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Le IVG delle donne peruviane a Firenze: il progetto Escapes come caso di studio

3.1 Nota metodologica

Questo lavoro, per la sua intrinseca natura multidisciplinare, ha visto l’utilizzo di una molteplicità di strumenti teorici e metodologici. Nei due capitoli precedenti il lavoro è stato principalmente di tipo teorico e ha chiamato in causa più ambiti disciplinari, facendo riferimento sia a dati quantitativi preesistenti e alla normativa nazionale in tema di diritto alla salute sia agli strumenti teorici offerti dalla filosofia politica. Per questo capitolo, e in realtà per il significato complessivo dell’intero lavoro, invece, ho fatto ricorso non solo agli strumenti classici della ricerca qualitativa (come interviste semi- strutturate in profondità e focus group) ma anche ad alcuni dispositivi propri della ricerca-azione, con la mia partecipazione attiva ad alcune fasi del progetto Escapes e un’attitudine complessiva practice-oriented. Nonostante, come mostrerò nelle prossime pagine, la sperimentazione del progetto abbia avuto dei tempi ridotti, senza questa occasione sarebbe stato altrimenti estremamente complesso, se non impossibile, prendere parte e osservare l’interazione tra soggetti di natura diversa – enti pubblici di tipo sanitario e istituzioni, ONG e associazioni – con il fine di mettere alla prova una figura innovativa e complessa come quella dell’ESC.

La parte di questa ricerca svolta all’interno del progetto Escapes ha avuto dunque una valenza trasformazionale: a partire dall’analisi di una specifica problematica e del contesto di riferimento, si è costruito un processo di comunicazione e confronto tra i molteplici attori coinvolti, con il fine ultimo di delineare i tratti essenziali e comprendere le ragioni della questione inizialmente individuata, proponendo una direzione di cambiamento. Inoltre, nel procedere di questo lavoro, gli aspetti teorici approfonditi nel secondo capitolo sono sempre stati un punto di riferimento e in forte connessione con gli aspetti più

pratici e concreti del caso di studio. La linea tracciata e seguita è stata quindi quella di una teoria in the making, in cui si è cercato di valutare l’appropriatezza e la validità di alcune riflessioni teoriche di tipo filosofico-politico – ovviamente nell’ambito di riferimento della ricerca e non tout court – anche tramite un confronto serrato con quanto stava emergendo dal caso di studio e dal procedere del progetto, in un continuo scambio e rimando tra teoria e prassi. L’idea di fondo è che questo approccio, rispetto ad altri unicamente quantitativi o teorici, consenta di cogliere e analizzare in modo più preciso e potente fenomeni sociali e culturali complessi. Considero quindi la partecipazione al percorso del progetto Escapes un notevole valore aggiunto a questo lavoro, che mi ha dato la possibilità di osservare e prendere parte a contesti e situazioni che altrimenti non avrei conosciuto, e che certamente hanno portato una prospettiva inedita e difficilmente replicabile sul tema della salute sessuale e riproduttiva delle donne migranti.

Come vedremo in questo capitolo, il compito del caso di studio sarà principalmente quello di delineare i tratti salienti del complesso rapporto tra individuo, comunità e stili di vita. Considerando la natura estremamente personale e intima dei temi trattati e l’unicità dell’esperienza individuale, il mio intento non è quello di ricercare cause univoche, determinanti e universali ma di individuare, grazie alle parole delle donne, alcuni aspetti significativi e caratterizzanti. In linea col concetto di cultura analizzato nel precedente capitolo, senza quindi creare contenitori rigidi e stereotipati, andrò a delineare con l’aiuto delle interviste gli aspetti e le modalità che hanno un ruolo rilevante nei comportamenti di salute sessuale e riproduttiva delle donne peruviane a Firenze. A conclusione di questo capitolo, vedremo come sia possibile considerare, in maniera non rigida e non stereotipata, gli elementi emersi dalle interviste come tratti comuni che individuano una cultura e che definiscono gli stili di vita di chi ne è portatore. Valuteremo inoltre come non tutti abbiano lo stesso valore e lo stesso ruolo nell’orientare le scelte delle persone che in quella cultura si riconoscono, e quindi come la cultura sia al suo interno articolata e

costituita da elementi portatori di significati diversi.

Le interviste per questa ricerca si sono svolte nell’ambito del progetto Escapes e hanno coinvolto principalmente donne peruviane, operatori socio- sanitari del settore materno-infantile, dirigenti e funzionari della Regione Toscana del settore sanitario (Diritti di cittadinanza e coesione sociale), membri di associazioni che sul territorio fiorentino si occupano di queste tematiche. I tempi di questo lavoro si sono in parte sovrapposti ad un’altra ricerca in cui sono stata coinvolta, legata al progetto europeo CARE180, e che ha portato alla

pubblicazione del libro La “crisi dei rifugiati” e il diritto alla salute. Esperienze

di collaborazione tra pubblico e privato no profit. Se in questo caso il focus del

lavoro ha riguardato principalmente il diritto alla salute di persone richiedenti asilo e rifugiate, che a maggior ragione negli ultimi anni è stato strettamente connesso alla situazione dell’accoglienza, si è trattato comunque di un’importante occasione per riflettere sul tema del diritto alla salute, e della capacità di accedervi, di categorie considerate vulnerabili, valutando la risposta dei servizi e dei suoi operatori. Per questo motivo, sono certamente arrivati input e suggestioni anche da questo contesto, dagli incontri e dalle interviste condotte per questa occasione.

All’interno del progetto Escapes, durato da giugno 2017 a marzo 2018, ho condotto molte delle interviste confluite in questo lavoro. Ne sono comunque state fatte anche in precedenza e a conclusione del progetto, in un periodo più

180 Il progetto CARE (finanziato dall’Unione Europea nel contesto del Programma Health

2016-2020 e guidato da INMP) aveva l’obiettivo di promuovere una migliore conoscenza delle condizioni di salute di rifugiati e richiedenti asilo, cercando di comprendere quali fossero i comportamenti clinici più appropriati nei loro confronti, in particolare quando in stato di estrema vulnerabilità e fragilità (minori, donne in gravidanza e/o vittime di violenza). Il progetto è stato pensato e portato aventi in stretta cooperazione con le Autorità Nazionali e Locali dei Paesi coinvolti (Italia, Grecia, Malta, Slovenia, Croazia) e in relazione alle attività già esistenti rivolte alla popolazione migrante.

In particolare, per il Centro di Salute Globale e in collaborazione con Oxfam Italia, mi sono occupata di una ricerca circa la collaborazione tra il SSN italiano e le associazioni no profit nel campo dell’assistenza sanitaria alla popolazione migrante richiedente asilo e rifugiata. A partire dalla loro diversa posizione nella gestione dei flussi migratori, si è scelto di approfondire il caso di quattro regioni italiane: Toscana, Lazio, Sicilia e Friuli-Venezia Giulia. Si veda https://www.inmp.it/index.php/ita/Progetti/Progetti-2016-2017/Progetto-CARE, ultima visita 03/07/2019.

ampio che si estende da giugno 2016 a marzo 2019. Le interviste alle donne peruviane sono state raccolte a Firenze, con setting e modalità differenti a seconda degli incontri. La maggior parte sono state interviste semi-strutturate biografiche in profondità, a partire da alcune domande molto ampie e tematiche guida che hanno costituito semplicemente un punto di avvio, lasciando poi le interlocutrici libere di spaziare con le parole e il pensiero. In alcuni casi, quando le donne si conoscevano già in precedenza e a partire da un loro suggerimento, sono stati svolti dei piccoli focus group, con un massimo di due o tre partecipanti. In questo modo, nonostante le tematiche affrontate fossero altamente intime e personali, e per questo motivo da parte mia c’è stata un’iniziale perplessità, è stato possibile osservare un confronto tra le donne e le loro esperienze di vita in uno specchiarsi a vicenda estremamente significativo e arricchente. Alcune interviste, grazie alla presenza della direttrice del Centro di Salute Globale, madrelingua spagnola, sono state raccolte in lingua spagnola, con l’idea di semplificare loro l’espressione e il dialogo, evitando lo sforzo dell’utilizzo di una lingua straniera e sperando quindi di raccogliere parole e pensieri il più possibile autentici e non tradotti.

Si è cercato sempre di organizzare un setting per le interviste che fosse il più possibile confortevole e riservato, data anche la peculiarità delle tematiche affrontate: in alcuni casi mi sono servita dei locali di Oxfam Italia e dell’Associazione Nosotras181

, entrambe coinvolte nel progetto, in altri di ambienti differenti (come bar o spazi dell’Università di Firenze) ma sempre con un’estrema attenzione all’accoglienza del luogo e alla necessità di far sentire l’intervistata a proprio agio. Per questo motivo, per quanto possibile è sempre stato chiesto alle donne di esprimere una preferenza sui luoghi di incontro. In media, le donne sono state incontrate una volta sola per circa due ore di tempo. Nel caso di coloro che sono state selezionate come ESC per la sperimentazione di Escapes, ho chiesto loro di incontrarci nuovamente al termine del progetto, in modo da raccogliere il loro parere anche sull’esperienza conclusa.

Parallelamente, si sono svolte le interviste al personale socio-sanitario, prevalentemente afferente all’Ospedale Piero Palagi di Firenze. In questo caso, è stato organizzato un focus group iniziale, che ha visto la partecipazione di otto operatori socio-sanitari (tra medici ginecologi, ostetriche, infermieri e psicologhe) e ha consentito una prima riflessione congiunta sul fenomeno, sui fattori che contribuiscono a determinarlo e su quelli che possono ostacolare un accesso appropriato ed equo ai servizi. Successivamente, ho voluto riprendere alcune tematiche più in profondità in interviste svolte singolarmente, sia con coloro che avevano già partecipato al focus group che con altri operatori.

Tutte le interviste sono state sbobinate integralmente, quelle in lingua spagnola sono state tradotte, e il mio impegno è stato quello di riportare le parole delle donne e degli operatori nel modo più fedele possibile a come erano state pronunciate, inserendole all’interno della riflessione complessiva ma mantenendone il senso e il contesto originari. Come si vedrà nelle prossime pagine, ho voluto mantenere le parole e le frasi così come sono state usate e costruite dalle donne, anche quando queste non erano del tutto corrette in italiano, come anche le espressioni più colloquiali e proprie della forma orale. Questa scelta è dettata dal tentativo di restituire un quadro il più possibile fedele a quanto le donne hanno raccontato e al loro modo di porsi nei confronti del tema affrontato insieme, che molto passa anche dall’uso che si fa della lingua e dalle parole che si sceglie o siamo abituate a usare.

Per tutto l’andamento di questo lavoro, fin dalla sua impostazione, la metodologia di ricerca femminista ha costituito un punto di riferimento essenziale, in particolare per il suo monito a «partire da sé», dalla propria esperienza e ad avere consapevolezza circa il proprio posizionamento nel mondo182. In verità, parlare di metodologia femminista, al singolare, è

182 Si veda: Fonow M. M., Cook, J. A, Beyond Methodology, Feminist Scholarship as Lived

Research, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis 1991; Fonow M. M., Cook, J. A, Feminist Methodology: New Applications in the Academy and Public Policy, in «Journal of Women in Culture and Society», Vol. 30, No. 4, 2005, pp. 2211-2236; Gorelick S., Contradictions of Feminist Methodology, in «Gender & Society», Vol.5, No.4, 1991, pp. 459-477; Haney L., Negotiating Power and Expertise in the Field, in May T., Qualitative

fuorviante e poco accurato: il dibattito interno è estremamente vivace e scelte e interpretazioni differenti portano a posizioni distinte a livello metodologico, per cui sarebbe meglio utilizzare l’espressione al plurale. Alla base di queste riflessioni, vi è l’idea che la produzione del sapere e della cultura, in quanto situata in una società che non è neutra dal punto di vista di genere, sia influenzata da meccanismi di potere fortemente impari e strutturati secondo la linea del genere. Anche il lavoro di ricerca, quindi, prodotto in un contesto di asimmetria di potere, tenderà a riprodurre quei meccanismi di discriminazione e svantaggio e, comunque, a proporre dei risultati che non possono essere considerati neutri. Le scelte e le decisioni circa la metodologia da impiegare in un lavoro di ricerca sono quindi estremamente significative e potenti nel processo e nella pratica della produzione del sapere, perché fornendo le regole attraverso le quali produrre una conoscenza della realtà sociale che sia valida, portano con sé una particolare ontologia ed una precisa epistemologia. È bene infatti ricordare che la questione della metodologia non si risolve in quella delle tecniche, cioè degli strumenti che la ricerca sociale ha messo a punto, ma riguarda più in generale l’impostazione e le scelte che vengono fatte nel definire le categorie e i concetti di riferimento che, secondo il ricercatore o la ricercatrice, saranno adeguate alla produzione di un sapere valido. Per questo motivo, possiamo pensare che i problemi posti dalla metodologia femminista non rappresentino un interesse peculiare del femminismo, ma della ricerca sociale nel suo complesso e per chiunque voglia confrontarsi con i fenomeni sociali e culturali della contemporaneità. Ovviamente, sempre secondo il principio dell’intersezionalità, le linee di diseguaglianza e di asimmetria da prendere in esame non sono solo quelle relative al genere, ma anche alla condizione socio-economica, allo status lavorativo, alla condizione di salute, alla cultura, la religione e l’etnia e a tutte quelle costruzioni sociali e culturali

Research in Action, Sage Publications, London 2002, pp.286-299; Ramazanoglu C., Holland J., Feminist Methodology. Challenges and Choices, Sage Publications, London 2002.

sulle quali possono instaurarsi situazioni di svantaggio e squilibrio.

Se, come si è visto nel secondo capitolo, la neutralità degli individui è un’invenzione teorica della modernità che poco ha a che fare con la vita concreta delle persone, il merito delle metodologie femministe è quello di rendere espliciti i legami e le connessioni con il contesto in cui ognuno si situa e la collettività di riferimento, anche e a maggior ragione per chi lavora nella ricerca e nella produzione del sapere. Il ricercatore o la ricercatrice – in quanto esseri sessuati, portatori di caratteristiche e immagini del mondo personali e situati in un contesto peculiare e non neutro – con il proprio lavoro non potranno mai produrre un risultato scientifico neutro e imparziale, ma un sapere che sarà certamente legato all’autore della ricerca, alle sue scelte e al contesto di riferimento. È all’interno di questa riflessione che emerge il tema del posizionamento, ovvero quel processo di auto-riflessione teso a valutare e mettere in discussione la specifica collocazione del ricercatore o della ricercatrice, individuandone le peculiarità, i punti di forza e di debolezza. E considerando in che modo questa posizione possa influenzare la ricerca, sia nella sua parte di impostazione e definizione sia nel suo andamento.

Nel corso di questa ricerca, mi sono quindi a lungo interrogata sul tema del posizionamento, riflettendo sia sulle motivazioni che ormai da alcuni anni mi hanno portata a scegliere come lente per il mio lavoro la prospettiva di genere, coniugata in particolare al tema della salute e del corpo nelle società multiculturali, sia sulle modalità con cui ho portato avanti l’indagine. Negli incontri con le donne peruviane, le loro parole mi hanno potentemente messa di fronte a ciò di cui ero consapevole soltanto da un punto di vista astratto, ovvero la differenza tra le nostre condizioni ed esistenze, di fatto accomunate quasi solo dall’appartenenza al genere femminile. Un privilegio, il mio, che è emerso riguardo a molte delle tematiche affrontate nel corso dei nostri colloqui.

Consapevole della mia posizione di potere nell’impostare e portare avanti la ricerca, ho cercato di condurre le interviste non sottovalutando mai questa differenza, anche al fine di evitare l’oggettivazione o addirittura lo sfruttamento

delle vite e delle esperienze delle intervistate. Ho cercato il più possibile di far emergere le esperienze delle donne peruviane direttamente dalla loro voce, dando loro valore e possibilità di empowerment, andando a narrare una coscienza opposizionale, di chi spesso è considerato – in un’accezione negativa – marginale, vulnerabile e senza voce, e che raramente ha avuto la possibilità di esprimersi ed autorappresentarsi. Certamente, come già detto, quanto emerge dalla ricerca non può essere considerato valido per tutte le donne peruviane residenti a Firenze, né per un sottoinsieme di questo gruppo, ma è soltanto una delle molte possibili traiettorie. Ripensando al tema della fluidità delle identità e delle culture che è stato sviscerato nel secondo capitolo, sarebbe infatti difficile pensare ad un risultato scientifico, nel senso di universale, per una tematica così complessa e che coinvolge una dimensione così intima dell’esistenza come quella affrontata. La scelta del caso di studio è quindi legata alla possibilità, tramite l’aspetto pratico ed empirico del progetto e della sperimentazione del modello ESC, di analizzare il complesso rapporto tra individuo, comunità e stili di vita. Questo è stato fatto anche rivalutando i concetti di margine e vulnerabilità, portando loro un nuovo significato, nella certezza che questo possa sì dare un contributo alla lettura e all’interpretazione del tema della salute sessuale e riproduttiva delle donne migranti, ma possa anche costituire un momento di riflessione di più ampio, utile a ripensare il concetto di cittadinanza e partecipazione per tutte e tutti.

3.2 Il progetto Escapes: origine e obiettivi

Come anticipato, il caso di studio di questo lavoro è fortemente legato alla mia collaborazione con il Centro di Salute Globale della Regione Toscana (d’ora in avanti CSG) e, in particolare, alla partecipazione al progetto Escapes – Educatori alla Salute di Comunità per un Accesso appropriato ed equo ai Servizi, di cui sono stata responsabile per il CSG. Il progetto Escapes è stato

finanziato dal Ministero dell’Interno tramite i fondi Fami – Fondo Asilo Migrazione e Integrazione183, è stato guidato da Coeso – Società della Salute di

Grosseto e ha visto la partecipazione, oltre al CSG, di OIM – Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Oxfam Italia Intercultura, Comune di Carpineto Romano (Osservatorio Zonale Distretto socio-sanitario Roma 5) e Associazione Interculturale Griot di Roma. Il progetto è iniziato nel mese di giugno 2017 e si è concluso il 31 Marzo 2018.

La scelta dei territori da coinvolgere nel progetto è stata legata da un lato alle caratteristiche del tessuto sociale, alla composizione della popolazione migrante e alle principali problematiche di salute e di accesso ai servizi rilevate, dall’altro alla provenienza dei partner di progetto e ai loro preesistenti rapporti e collaborazioni. Le attività del progetto si sono quindi concentrate sulle città di Firenze, Arezzo e Grosseto per la Regione Toscana e sulle zone di Guidonia, Colleferro e Carpineto Romano per la Regione Lazio e ogni territorio è stato seguito in maniera specifica dal partner di riferimento. Come anticipato, in questo lavoro mi soffermerò in particolar modo sul percorso svolto a Firenze, principalmente di competenza del CSG, e quindi sul tema delle IVG delle donne peruviane. In ogni territorio infatti, secondo i criteri appena enunciati, è stato scelto un tema di salute peculiare e un gruppo target specifico.

Come mostrerò meglio più avanti, il progetto prende le mosse da un contesto specifico e dalla volontà di suggerire delle possibili soluzioni ad alcune problematiche individuate, in parte anticipate nel primo capitolo. Da un lato, infatti, si registra ormai da tempo un’accelerazione dei processi di trasformazione demografica a causa dei fenomeni di migrazione interna ed esterna. Dall’altro, constatiamo ancora una condizione di svantaggio da parte dei cittadini migranti nell’accesso e nell’uso dei servizi, laddove l’accessibilità ai servizi sanitari e sociali è considerato uno degli indicatori primari del livello di integrazione delle persone migranti. Tra le principali motivazioni delle

183 Per maggiori informazioni si veda https://fami.dlci.interno.it/fami/, ultima visita

difficoltà di accesso, indicate da alcune ricerche svolte in ambito sanitario184, vediamo citate questioni di tipo linguistico, di comprensione di diversi codici culturali e organizzativi, di attivazione di reti di sostegno in caso di necessità. Questioni che si ricollegano molto facilmente a quanto detto nel primo capitolo circa la salute sessuale e riproduttiva delle donne straniere in Toscana, che, ad esempio, ritardano spesso l’accesso all’assistenza in gravidanza, non utilizzano i servizi post partum ed effettuano lo screening per il tumore alla cervice uterina e la mammografia in misura minore rispetto alle donne italiane. Con il progetto Escapes, si è cercato sia di valutare le ragioni di un accesso svantaggiato ai servizi delle donne straniere, sia, nel caso specifico delle donne peruviane a Firenze, di delineare gli aspetti socio-culturali che portano ad un ricorso così più frequente e spesso ripetuto all’interruzione volontaria di gravidanza. Come vedremo, la figura professionale dell’ESC può essere pensata come una delle

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