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Corpi femminili in movimento. Il caso delle IVG delle donne peruviane a Firenze e la sperimentazione del progetto Escapes"

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Corso di PhD

Human Rights and Global Politics: Legal,

Philosophical and Economic Challenges

Anno Accademico

2018/2019

Corpi femminili in movimento.

Il caso delle IVG delle donne

peruviane a Firenze e la

sperimentazione del progetto Escapes

Autrice

Giulia Borgioli

Relatrice

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Corpi femminili in movimento.

Il caso delle IVG delle donne peruviane a Firenze e la

sperimentazione del progetto Escapes

Introduzione (p. 3)

Capitolo 1 – Migrazioni, genere e salute nelle società multiculturali: principali questioni e sfide

1.1 Chi sono le persone migranti oggetto della ricerca? (p. 10) 1.2 Perché adottare una prospettiva di genere? (p. 24)

1.3 Perché il focus sulla salute sessuale e riproduttiva? (p. 29) 1.3.1 Gravidanza e parto (p. 32)

1.3.2 L’Interruzione Volontaria di Gravidanza (p. 38)

1.3.3 Gli screening oncologici per i tumori ‘femminili’ (p. 41) 1.4 Il concetto di salute: definizioni e dimensione sociale (p. 46)

1.5 Il diritto alla salute nella normativa italiana e l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera (p. 57)

1.6 La Regione Toscana come contesto di riferimento (p. 62)

Capitolo 2 – Cultura, autonomia e vulnerabilità in una prospettiva femminista intersezionale

2.1 Un approccio di genere e intersezionale (p. 69) 2.2 Il corpo e la sessualità al centro delle culture (p. 79) 2.3 Quale idea di cultura? (p. 85)

2.4 Quando le altre prendono la parola (p.100)

2.5 Soggetti vulnerabili e in relazione: per una nuova idea di agency (p.113)

Capitolo 3 - Le IVG delle donne peruviane a Firenze: il progetto Escapes come caso di studio

3.1 Nota metodologica (p. 130)

3.2 Il progetto Escapes: origine, obiettivi, risultati (p. 137)

3.3 L’interruzione volontaria di gravidanza: tra riflessione femminista, diritto e possibilità di esercitarlo (p. 143)

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3.4 La comunità peruviana in Italia e a Firenze (p. 153)

3.5 La salute sessuale e riproduttiva delle donne peruviane e il ricorso all’IVG: la parola alle donne (p. 160)

3.5.1 Le condizioni lavorative delle donne peruviane (p. 164)

3.5.2 Il ruolo della cultura nelle scelte di salute e nel ricorso all’IVG: la questione della contraccezione (p. 172)

3.5.3 Il ruolo della cultura nelle scelte di salute e nel ricorso all’IVG: violenza di genere e micromachismi (p. 179)

3.6 Il progetto Escapes: le fasi di formazione e sperimentazione (p. 189)

Conclusioni (p. 200) Bibliografia (p. 212)

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Introduzione

La presente ricerca si propone di analizzare alcune questioni connesse al diritto alla salute e all’accesso ai servizi socio-sanitari delle donne migranti nel contesto della Regione Toscana, con particolare riferimento al tema della salute sessuale e riproduttiva. In particolare, il caso di studio e la ricerca empirica riguarderanno il tema delle Interruzioni Volontarie di Gravidanza (d’ora in avanti IVG) nelle donne peruviane residenti a Firenze, che ho potuto approfondire grazie alla mia collaborazione con il Centro di Salute Globale della Regione Toscana, partner del progetto “Escapes”. Infatti, come mostrerò, le donne peruviane sono tra le prime nazionalità a fare ricorso all’IVG e ad essere interessate dal fenomeno delle IVG ripetute e rappresentano un caso particolarmente significativo e che pone questioni rilevanti, sia riguardo il tema dell’accesso ai servizi socio-sanitari sia per una riflessione sui temi del corpo, della sessualità e dei rapporti di genere. Inoltre, si vedrà come le donne peruviane a Firenze siano particolarmente impiegate nel settore della cura, e quindi la scelta di questo gruppo mi permetterà di indagare e approfondire il legame tra il lavoro di cura, gli stili di vita e lo stato di salute, soprattutto sessuale e riproduttiva, di queste donne.

Come mostrerò, il contesto di riferimento di questo lavoro a livello teorico riguarda le migrazioni e le società multiculturali, i femminismi e i diritti delle donne, il corpo e la salute. Se già in passato ho avuto occasione di occuparmi di questi temi, grazie al lavoro di tesi magistrale sulle modificazioni dei genitali femminili1, in questo caso la prospettiva di indagine è più ampia, grazie ad

un’analisi più generale della questione dell’uso e dell’accesso ai servizi socio-sanitari, un tema in un certo senso più quotidiano e ordinario rispetto al caso specifico delle MGF2. I temi della salute e del corpo, in particolar modo

1 Titolo della tesi: Multiculturalismo e modificazioni genitali femminili. Dibattito teorico e

caso di studio, discussa il 17 dicembre 2013 presso l’Università degli Studi di Firenze, con la supervisione del Prof. Dimitri D’Andrea.

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femminile e migrante, saranno in questo lavoro un punto di riferimento costante, come categorie che consentono una riflessione interessante su alcune questioni come lo status di cittadinanza, i diritti e, soprattutto, l’effettivo accesso ad essi, e l’inclusione o meno a livello sociale dei soggetti presi in esame. Infatti, come vedremo, una valutazione inizialmente concentrata su aspetti di salute e sanitari mi porterà molto velocemente a considerare lo status complessivo di cittadinanza delle donne oggetto della ricerca, la loro partecipazione alla vita sociale, politica ed economica nel Paese di arrivo.

Per quanto riguarda la research question, che andrò a dipanare nelle prossime pagine, è molto cambiata nel corso degli anni in cui ho portato avanti questo lavoro. Inizialmente, la mia curiosità è stata attratta dalle differenze culturali, soprattutto riguardo alle concezioni del corpo, della salute e della sessualità, come possibili cause di un diverso uso e accesso – spesso diseguale e svantaggiato – ai servizi socio-sanitari. Mi sono chiesta, cioè, se la causa di una posizione svantaggiata delle donne migranti fosse dovuta a culture altre del corpo, della salute e della sessualità, innanzitutto meno medicalizzate delle nostre.

Procedendo con il lavoro di ricerca e incontrando e intervistando le donne peruviane, la mia attenzione si è spostata sulle loro condizioni di vita e di lavoro in Italia, e quindi su un piano più sociale ed economico. Esiste certamente una dimensione culturale essenziale che prenderò in esame, primariamente per quando riguarda i rapporti e i ruoli di genere all’interno della famiglia e della coppia e, in misura minore, le caratteristiche e l’uso che dei servizi socio-sanitari viene fatto nei Paesi di origine. Nello sviluppo di questo lavoro,

documenti ufficiali e accettato da molte delle associazioni e organizzazioni internazionali che si occupano del tema, anche nella sua versione inglese FGM – Female Genital Mutilation. Nel mio lavoro di tesi, ho preferito utilizzare il termine “modificazioni”, più preciso – visto che non tutte le pratiche prevedono l’asportazione di una parte – e meno stigmatizzante nei confronti della donna che le ha subite. Per una riflessione sul tema, che include anche quella sull’uso del linguaggio, si veda Fusaschi, M., I segni sul corpo. Per un’antropologia delle modificazioni genitali femminili, Bollati Boringhieri, Torino 2003 e Fusaschi, M., Quando il corpo è delle altre. Retoriche della pietà e umanitarismo-spettacolo, Bollati Boringhieri, Torino 2011.

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identificando i rapporti di genere impari e squilibrati come una delle cause primarie di questo stato di svantaggio, ho voluto però tenere lontano uno sguardo paternalista e coloniale, che considera questi aspetti come caratteristici di culture altre e non occidentali e che, come vedremo, ha caratterizzato anche alcune riflessioni femministe. E, inoltre, come si vedrà più avanti con Anne Phillips3, il concetto di cultura che intendo proporre non vuole escludere quello di agency, imponendosi come l’unico elemento guida, monolitico e immutabile, nella vita di queste donne, spesso pensate e rappresentate – da uno sguardo occidentale e coloniale – come incapaci di elaborazione e scelta autonoma. Certamente il tema della disparità di genere esiste, ed è centrale, ma non caratterizza il contesto peruviano o migrante in quanto tale, ma la cultura e la società patriarcale in ogni parte del mondo. Non rappresenta un elemento caratterizzante per la vita delle donne migranti che ho incontrato ma una questione con cui tutte le donne del mondo devono ancora fare i conti in molti contesti delle proprie vite.

L’analisi che intendo proporre non vuole quindi creare un’idea di donna migrante, del Terzo Mondo, come vittima, dipendente, incapace di agency, sia nel contesto pubblico e politico che in quello privato e familiare4. E,

specularmente, un’immagine di donna occidentale, europea, italiana, come pienamente emancipata, consapevole e autonoma, inserita in contesti e relazioni pienamente paritari dal punto di vista del genere. Come approfondirò più avanti, anche in Italia riceviamo continuamente notizie di cronaca relative a femminicidi e violenze estreme5 e assistiamo a episodi di più o meno ordinario

sessismo nei media e nel dibattito pubblico e politico, così come in tutto il 3 Si veda Phillips A., Multiculturalism Without Culture, Princeton University Press, Princeton

2007.

4 Riprenderò nel secondo capitolo le riflessioni dei femminismi non occidentali e

post-coloniali. Si tenga intanto presente Mohanty C. T., Under Western Eyes: Feminist Scholarship and Colonial Discourses, in «Boundary 2», Vol. 12, no. 3, On Humanism and the University I: The Discourse of Humanism (Spring - Autumn, 1984), pp. 333-358.

5 Secondo il IV Rapporto Eures sul femminicidio in Italia (2017), tremila donne sono state

vittime di omicidio volontario dal 2000 ad oggi. A fronte di una complessiva diminuzione degli omicidi in Italia, nel 2016 si è registrata una crescita del 5,6% dei casi di femminicidio. Nel 77% dei casi le donne sono uccise da un familiare, nel 92% per mano di un uomo.

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mondo l’autonomia femminile nel campo dei diritti sessuali e riproduttivi – dal diritto all’aborto all’accesso alla contraccezione – è messa fortemente in discussione, con modalità più o meno esplicite e diversificate.

Cercherò quindi di portare avanti l’analisi del caso di studio tenendo costantemente insieme le due dimensioni, quella socio-economica e quella culturale e relativa ai rapporti di genere, avendo come punto di riferimento teorico alcune riflessioni femministe con prospettive molteplici e plurali.

Come vedremo meglio più avanti, la mia sarà un’analisi necessariamente multidisciplinare e intersezionale per due principali ragioni. In primo luogo, i temi da me scelti – la migrazione e il diritto alla salute – coinvolgono inevitabilmente una molteplicità di contesti e questioni, a livello politico, normativo, economico e culturale, che sarebbe impossibile, oltreché miope, ignorare. Inoltre, secondo una prospettiva intersezionale, la mia analisi prenderà in esame tutte quelle dimensioni che concorrono alla formazione dell’identità personale, e che possono quindi essere motivo di discriminazione e svantaggio, senza considerare nessuna di queste come prevalente rispetto alle altre e, quindi, in grado da sola di definire, in modo essenzialistico, l’identità della persona. In linea con uno dei principi cardine del femminismo, ho cercato di partire dalle donne stesse, dalle loro parole, facendo parlare la loro vita e le loro esperienze, consapevole del mio posizionamento nel mondo.

In questo senso, l’analisi del caso di studio da me scelto risulterà interessante non solo per il tema specifico individuato, ma anche come specchio, per le donne italiane, per valutare lo stato di salute della propria autonomia nel campo della salute sessuale e riproduttiva e, eventualmente, ripensare insieme percorsi e strategie di empowerment, anche con il coinvolgimento e il confronto con le donne straniere e i servizi socio-sanitari come i consultori. Come vedremo, i dati e le ultime ricerche sul tema della salute sessuale e riproduttiva degli italiani, soprattutto giovani, mostra alcuni aspetti regressivi, in termini di responsabilità e consapevolezza, che meritano di essere indagati e approfonditi. Il consultorio, luogo simbolo del femminismo degli anni ’70, emblema di

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autonomia, empowerment e autocoscienza, attualmente in sofferenza dal punto di vista economico, potrebbe essere ripensato come luogo primario di incontro, ascolto e confronto sui temi della salute sessuale e riproduttiva. Invece di creare compartimenti stagni, utenze differenziate e servizi ad hoc, credo che un approccio che evidenzi le radici comuni delle problematiche e indichi una stessa direzione di azione possa contribuire ad evitare una contrapposizione noi vs.

loro.

Come sappiamo, il dibattito tra multiculturalismo e femminismo, che ha visto la sua nascita con le osservazioni di Susan Moller Okin6 al lavoro di Will Kymlicka7, è inizialmente rimasto interno ad una cultura e prospettiva liberale,

ricorrendo esclusivamente ad una grammatica dei diritti. Se certamente la titolarità di un diritto rimane un punto di riferimento essenziale, la riflessione filosofico-politica ha mostrato come questa, da sola, non riesca a garantire il suo pieno esercizio e necessiti di altri elementi e parametri per essere messa in atto e valutata8. È questo il caso, che andrò ad analizzare, della salute sessuale e

riproduttiva delle donne migranti: a fronte di un diritto alla salute che è pienamente garantito, a parità dei cittadini italiani, si registra uno svantaggio delle donne straniere nell’accedere ai servizi sanitari e un grado minore di consapevolezza circa i temi di salute in oggetto. Per avviare la riflessione teorica, prenderò spunto da alcune questioni poste da Okin, principalmente nella sua parte analitica e non normativa. Sarà infatti opportuno considerare altri punti di vista oltre a quello liberale dei diritti, che, come vedremo, è stata sia superata dal dibattito femminista sul tema, e sia, per svariate ragioni che andrò ad analizzare, non rappresenta il punto di vista più adatto per analizzare il tema prescelto. Infatti, a mio parere, il tema dell’uso e dell’accesso ai servizi socio-sanitari da parte delle donne migranti, con specifico riferimento al campo della

6 Okin, S. M., Diritti delle donne e multiculturalismo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007.

Vedi anche Okin, S.M., Feminism and multiculturalism: Some tensions, in «Ethics», Vol. 108. No. 4 (July 1998), pp. 661-684.

7 Kymlicka, W., La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, Bologna 1999.

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salute sessuale e riproduttiva, non si legge e analizza al meglio tramite la lente dei diritti – visto che, come vedremo, il diritto alla salute è declinato in Italia secondo una logica fortemente universalista – ma tramite una riflessione sulle condizioni – sociali, economiche, culturali – che rendono possibili e facilitano l’accesso e l’esercizio dei diritti.

Nel primo capitolo di questo lavoro mostrerò quindi le motivazioni – sia di ordine teorico che di ordine operativo e pratico, come l’analisi di dati quantitativi e policies – che mi hanno portata a individuare la questione dell’assistenza socio-sanitaria per la salute sessuale e riproduttiva delle donne migranti come particolarmente rilevante e degna di essere approfondita. Contestualmente, sarà poi fondamentale chiarire le parole chiave di questo lavoro, che possono sembrare dal significato univoco ad una prima lettura, ma i cui contesti e profili di riferimento sono stati scelti e definiti in modo attento e puntuale. Mostrerò quindi meglio le peculiarità del contesto migratorio e che cosa si intende in questa ricerca con il termine “migranti”; perché è stata scelta un’ottica di genere e un focus sulla salute femminile; e perché il tema della salute, in special modo sessuale e riproduttiva, è stato considerato significativo e privilegiato nell’indagine. Chiarirò inoltre le ragioni della scelta della Regione Toscana come contesto di riferimento.

Il secondo capitolo, grazie all’analisi di alcune riflessioni femministe sui concetti di cultura, autonomia e vulnerabilità, rappresenta la lente teorica attraverso la quale osservare il caso di studio di questo lavoro, problematizzando e mettendo in discussione alcune categorie che si dimostreranno essenziali nella lettura del caso di studio e, più in generale, della questione del diritto alla salute e dell’uso e dell’accesso ai servizi sanitari.

Nel terzo capitolo verrà dato spazio al caso di studio, e quindi alla questione delle IVG delle donne peruviane a Firenze e del progetto Escapes. Grazie alle interviste e ad una metodologia di ricerca più vicina alla ricerca-azione, la questione della salute sessuale e riproduttiva sarà indagata a partire dalle storie e dalle parole delle donne. Questa parte del lavoro, con il contributo essenziale

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della sperimentazione del progetto Escapes, avrà quindi l’obiettivo di individuare e riflettere sulle cause di un accesso ai servizi svantaggiato per le donne migranti, al tempo stesso mettendo in pratica e valutando una possibile soluzione. Inoltre, come vedremo, il coinvolgimento diretto delle donne tramite le interviste mi permetterà di osservare processi e soggettività concrete così come le loro modalità di attivazione e risignificazione di alcuni concetti essenziali per questo lavoro, come quelli di autonomia, relazione e cultura.

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Capitolo 1 – Migrazioni, genere e salute nelle società multiculturali: principali questioni e sfide

1.1 Chi sono le persone migranti oggetto della ricerca?

Il tema delle migrazioni e delle persone migranti ha assunto, nel corso degli ultimi anni, sempre più rilevanza, sia a livello di dibattito pubblico che di agenda politica, sia a livello nazionale che europeo ed internazionale. Spesso si è visto come il tema non sia stato affrontato con il dovuto rigore, con l’obiettivo di analizzarne le caratteristiche, le cause, le implicazioni e le possibili soluzioni, ma sia stato politicamente strumentalizzato, attraverso la diffusione di dati e notizie false, la creazione di un clima di panico sociale e di emergenza e la narrazione costruita circa l’identità della persona migrante come “l’altro”, “il diverso”, “la minaccia”9. Tutta la questione della migrazione – dagli arrivi via

mare alle soluzioni per l’accoglienza – è stata gestita in Europa e in Italia tramite una logica emergenziale, come se si trattasse di un fenomeno eccezionale e non strutturale, e le parole d’ordine a livello di dibattito politico e mediatico sono state quelle di crisi ed emergenza.

Secondo un sondaggio condotto da Demos nel 201710, la paura e la

sensazione di pericolo degli italiani nei confronti dei migranti sarebbe cresciuta in modo costante negli ultimi anni. Se nel 2014 era il 16% degli intervistati a sostenere che i migranti rappresentassero una minaccia per il Paese, si è passati al 20% nel 2015, al 23% nel 2016 fino ad arrivare al 33% nel 2017.

Il fenomeno è stato presentato e trattato nei termini di un’invasione, sia per quanto riguarda il numero delle persone in arrivo, la sicurezza e le risorse economiche disponibili, sia in termini identitari. Spesso, infatti, il fenomeno

9 Riprenderò nel secondo capitolo la questione della costruzione dell’alterità. Si veda Rivera

A. M., La Bella, la Bestia e l’Umano. Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo, Ediesse, Roma 2010.

10 Le mappe di Ilvo Diamanti, “La sinistra e la paura degli immigrati”, La Repubblica, 27

novembre 2017, http://www.demos.it/a01454.php, ultima visita 31/07/2019. Qui le tabelle della ricerca: http://www.demos.it/a01453.php, ultima visita 31/07/2019.

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della migrazione è stato accostato a quello del terrorismo e dell’estremismo islamico, a suggerire un nesso tra i due. Inoltre, come mostra la ricerca di Demos il sentimento di paura e risentimento nei confronti dei migranti è cambiato nel tempo ma non sempre in corrispondenza all’andamento reale del fenomeno, così come accade con la criminalità, spesso associata alla migrazione nelle narrazioni mediatiche. La percezione del fenomeno, e le emozioni di insicurezza collegate ad esso, non sono in linea con le sue reali dimensioni e caratteristiche, come l’aumento o meno degli arrivi, l’incremento o meno di atti criminali e il numero di questi che vede coinvolte persone straniere11. Inoltre, nella narrazione fatta dai media di alcuni episodi di cronaca legati alla migrazione, si sono spesso intrecciati, in modo per noi interessante, elementi di razzismo e sessismo12.

Nonostante, come mostrerò più avanti, il gruppo di donne migranti oggetto di questa indagine sia un gruppo piuttosto specifico, anche per la sua nazionalità, e che poco ha a che fare con coloro che sono arrivati nel nostro Paese e sulle nostre coste negli ultimi anni, con la narrazione che intorno vi è stata costruita e con il loro profilo giuridico, penso sia importante uno sguardo alla situazione globale e una breve ricostruzione della cosiddetta “crisi dei rifugiati” che interessa l’Europa e l’Italia dal 2014. Credo infatti che questo percorso sia utile al fine di motivare al meglio la scelta del gruppo di questa

11 Per una raccolta dati sul fenomeno migratorio in Italia, si veda il Cruscotto Statistico

Giornaliero del Ministero degli Interni. È importante sottolineare che il cruscotto raccoglie esclusivamente il dato degli arrivi via mare, senza contare quindi quelli via terra e i rientri da altri paesi europei in linea con i Regolamento di Dublino. http://www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/statistica/cruscott o-statistico-giornaliero, ultima visita 31/07/2019.

12 Come ha scritto Giorgia Serughetti, «nel presunto scontro tra ciò che è “nostro” e ciò che

“altro” […] il corpo delle donne si fa confine, linea di separazione, o campo di battaglia per l’affermazione di istanze identitarie. La violazione delle “proprie” donne indica una penetrazione del “nemico” nel cuore di un’identità che si ammanta di purezza, omogeneità, tradizione». Si veda https://femministerie.wordpress.com/2018/02/04/contro-il-razzismo-e-contro-il-sessismo-ancora/, ultima visita 31/07/2019. Si veda anche Ribeiro Corossacz V., L’intersezione di razzismo e sessismo. Strumenti teorici per un’analisi della violenza maschile contro le donne nel discorso pubblico sulle migrazioni, in «Antropologia», n. 15, 2013, pp.109-129.

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indagine e per capire il contesto politico, sociale e culturale in cui si è svolta la ricerca. Come vedremo, infatti, anche i bisogni di salute e le modalità di accesso ai servizi socio-sanitari sono legati alla storia migratoria delle persone e al loro profilo – anche giuridico – una volta in Italia, e scegliere un diverso gruppo di persone come oggetto della ricerca avrebbe necessariamente spostato altrove le tematiche di salute.

Se ci facciamo guidare dalla definizione fornita dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM – International Organization for Migration)13, la migrazione è «il movimento di una persona o di un gruppo di persone, sia attraverso un confine internazionale che all’interno di uno Stato. Si tratta di persone che lasciano il loro paese di origine o la loro residenza abituale per stabilirsi temporaneamente o definitivamente in un altro luogo»14.

Vediamo quindi da questa definizione come la parola “migrazione” e, quindi, “migranti” sia ampia e porti con sé una pluralità importante di significati. In questo senso, la parola indica tutti coloro che si spostano dal loro luogo di residenza abituale, sia all’interno dei confini nazionali che oltrepassandoli, e non fa riferimento alle cause e alle motivazioni che spingono una persona a muoversi, né tantomeno al suo status giuridico o alle sue condizioni di vita nel paese di arrivo.

All’interno di questa definizione, rientrano quindi legittimamente tutti quei profili – anche giuridici – di persone migranti a cui solitamente si fa riferimento nel dibattito pubblico, come migranti economici e forzati, comunitari e non, rifugiati e richiedenti asilo, nel tentativo di mettere ordine e di creare delle categorie, che poi non sempre riescono ad esaurire le scelte e le condizioni di vita delle persone ma possono sovrapporsi o non essere del tutto

13 L'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni è la principale organizzazione

intergovernativa in ambito migratorio ed è stata fondata nel 1951. L'Italia è uno dei paesi fondatori, attualmente gli Stati Membri sono 169 e ci sono oltre 460 uffici dislocati in più di 100 Paesi. Dal settembre 2016, l'OIM è entrata nel sistema ONU diventando Agenzia Collegata alle Nazioni Unite. L’Ufficio Italiano di OIM, con sede a Roma, svolge un ruolo di coordinamento per i paesi dell’area mediterranea.

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rappresentative15. Da questa prima lettura della definizione di IOM capiamo quindi come la parola “migranti” di per sé, nonostante sia spesso utilizzata nel dibattito pubblico e politico, non abbia un significato puntuale e univoco ma, al contrario, sia ampia e rappresenti molteplici situazioni anche molto diverse tra loro.

In questo senso, una prima grande distinzione, a cui si è fatto molto ricorso negli ultimi anni ma che risulta problematica, è quella tra migranti economici e migranti forzati. Nella prima categoria rientrano coloro che si sarebbero mossi per scelta, senza essere costretti, col solo obiettivo di migliorare le proprie condizioni e possibilità di vita, economiche e sociali. Alla seconda, appartengono invece le persone che sono state costrette alla fuga, a causa di minacce alla vita e ai mezzi di sostentamento, che possono derivare sia da cause umane che da cause naturali (guerre, dittature, gravi violazioni dei diritti umani, persecuzioni politiche, disastri naturali, carestie, disastri ambientali, chimici e nucleari).

A partire dal 2014, con la cosiddetta “crisi dei rifugiati”, nel dibattito politico europeo si è spesso cercato di fare una distinzione netta tra migranti forzati e migranti economici, cioè tra chi avrebbe avuto diritto a chiedere la protezione internazionale e chi no, distinzione che spesso è stata fatta – in termini molto netti – in base alle nazionalità, con alcune che di default sono state considerate in diritto di richiedere la protezione ed altre no. In realtà, la situazione è molto più complessa di come è stata rappresentata e spesso i due profili possono intrecciarsi e sovrapporsi. Infatti, una situazione di privazione economica – che andrebbe a definire la persona come migrante economico e quindi senza la possibilità di richiedere la protezione – può essere causata anche da forme di discriminazione e diseguaglianza che hanno anche radici politiche e sociali importanti e che quindi giustificherebbero una richiesta di protezione internazionale. Terrò quindi per il momento da parte questa distinzione, che non 15 Si veda il contributo di Giorgia Serughetti sul tema dell’etichettamento in Calloni M., Marras

S., Serughetti G., Chiedo asilo. Essere rifugiato in Italia, Università Bocconi Editore, Milano 2012.

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corrisponde in sé ad un profilo giuridico ma apre strade diverse in termini di accoglienza e status giuridico sul territorio, e che non va applicata in modo troppo rigido perché le situazioni di vita delle persone sono sempre molto più complesse di come si tende a rappresentarle.

Dando uno sguardo alla situazione globale, e ai contesti che possono aver portato ad una scelta, più o meno libera, di migrazione, vediamo che il numero di conflitti, crisi e tensioni tra il 2016 e il 2017 è aumentato e molte situazioni si sono cronicizzate, tanto che si contano nel mondo 36 conflitti e decine di situazioni di crisi, spesso causati dal controllo di risorse fondamentali: acqua, cibo e materie prime16. La causa principale delle migrazioni è rappresentata

dalle guerre, ma ci sono molti altri fattori che spesso operano in concomitanza: le disuguaglianze economiche, le disuguaglianze nell’accesso al cibo e all’acqua; si fugge dal land grabbing, dall’instabilità creata dagli attacchi terroristici e, sempre di più, da disastri e mutamenti ambientali.

L’insieme di queste cause ha portato, secondo gli ultimi dati disponibili dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) relativi all’anno 201717, a 68,5 milioni di persone costrette alla fuga e sradicate dai

propri luoghi di residenza e di vita abituali, un numero costantemente in crescita da cinque anni. Di questi, 24,5 milioni sono rifugiati fuori dal loro Paese di origine, 40 milioni sono sfollati interni e 3,1 milioni sono richiedenti protezione internazionale, cioè persone che hanno inoltrato una domanda di protezione ma sono ancora in attesa di conoscere la decisione in merito. Si tratta, come fa notare l’Alto Commissariato del numero più alto mai contato dopo la Seconda Guerra Mondiale e anche se, come sappiamo, l’essere umano si sposta fin dagli albori della sua esistenza, in molti hanno parlato dei nostri tempi come dell’”era delle migrazioni”.

16 Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, settima edizione, Le Mappe, Terra Nuova

Edizioni 2018, http://www.atlanteguerre.it/settima-edizione/, ultima visita 31/07/2019.

17 UNHCR, Global Trends 2017,

https://www.unhcr.it/news/oltre-68-milioni-persone-costrette-alla-fuga-nel-2017-cruciale-un-patto-globale-sui-rifugiati.html, ultima visita 31/07/2019.

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Lo status di rifugiato è definito e regolato dalla Convenzione di Ginevra, firmata nel 1951, che lo definisce come «colui che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese»18. Il rifugiato, titolare di asilo politico, corrisponde quindi ad uno status giuridico ed è una persona che ha fatto domanda di protezione nel Paese in cui è arrivato e ha visto accolta la sua richiesta19. Altra situazione è invece quella dei cosiddetti richiedenti asilo, o richiedenti protezione internazionale, che hanno lasciato il proprio paese di origine, sono arrivati nel Paese di destinazione, hanno inoltrato la domanda di protezione internazionale ma sono in attesa di avere una risposta.

Se andiamo a vedere gli ultimi dati elaborati da UNHCR nel 201720, si nota

che coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale in Italia sono circa 130.000 e rappresentano il 2 per mille dell’intera popolazione italiana, a fronte di più di 5 milioni di cittadini stranieri residenti, l’8,7% della popolazione21. Se

incrociamo, con le dovute cautele metodologiche, il dato degli sbarchi via mare degli ultimi anni con il numero degli stranieri residenti in Italia emerge che il fenomeno degli arrivi via mare rappresenta poco più del 3 % del totale degli stranieri residenti in Italia22. È bene infatti ricordare che, delle persone che sono

18 Art. 1 della Convenzione di Ginevra

19 Secondo la normativa italiana, il riconoscimento dello status di rifugiato prevede: a) il

rilascio di un permesso di soggiorno per asilo politico della durata di 5 anni; b) il rilascio del titolo di viaggio per rifugiati per potersi recare all’estero; c) il rilascio del tesserino di rifugiato che consente ulteriori rinnovi e pratiche; d) di fare richiesta di cittadinanza per naturalizzazione dopo 5 anni; e) di ricongiungere la propria famiglia o effettuare una coesione (art. 29 bis D.lgs. 286/98) ma senza dimostrare alloggio e reddito, e con facilitazioni per quanto riguarda i documenti attestanti il legame familiare; f) accesso all’occupazione; g) accesso all’istruzione; h) assistenza sanitaria e sociale a parità con i cittadini italiani.

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https://www.unhcr.it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/linvasione-dei-rifugiati-italia-numeri, ultima visita 31/07/2019.

21 Dati Istat al 1 gennaio 2019, https://www.tuttitalia.it/statistiche/cittadini-stranieri-2019/,

ultima visita 31/07/2019.

22 Nel complesso e diversificato sistema di accoglienza italiano sono presenti, a fine marzo

2017, 174.356 persone (Commissione parlamentare, 2017), molte delle quali arrivate da tempo in Italia. Queste persone rappresentano il 3,5% della popolazione straniera in Italia e lo 0,29% dell’intera popolazione. Basti pensare che nel 2015 le acquisizioni di cittadinanza da parte di

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arrivate in Italia negli ultimi anni (tra le 100.000 e le 180.000 ogni anno dal 2014 al 2017), molte hanno proseguito il loro viaggio attraverso l’Europa, nel tentativo di attraversare le frontiere tra gli Stati europei per raggiungere parenti e amici nel Nord Europa ed evitare le maglie del Trattato di Dublino – che disciplina il sistema di asilo europeo e che prevede che la persona faccia richiesta di asilo nel primo paese europeo in cui arriva23.

In questo dato numerico – ovvero l’assoluta irrilevanza dal punto di vista

cittadini stranieri, quindi la stabilizzazione del percorso migratorio, sono state più numerose: 178mila rispetto ai 155mila arrivati quell’anno via mare e ai 176mila inseriti nel circuito dell’accoglienza.

Ampliando la prospettiva di osservazione ai principali paesi di destinazione a livello globale, l’85% dei rifugiati, quasi 9 persone su 10, è accolto in Paesi in via di sviluppo (definizione

della United Nations Statistic Division,

https://unstats.un.org/unsd/methodology/m49/#developed, ultima visita 31/07/2019). L’Unione Europea ne accoglie una parte esigua, l’8,6% del totale, e la Germania, con 970.400 rifugiati presenti sul territorio, è l’unico membro dell’Unione Europea a comparire nella classifica e il sesto Paese nel mondo per numero di rifugiati accolti.

Mi permetto di rimandare all’Introduzione di Tizzi G., Albiani S., Borgioli G., La crisi dei rifugiati e il diritto alla salute. Esperienze di collaborazione tra pubblico e privato no profit, Franco Angeli, Milano 2018.

23 Il Regolamento di Dublino (604/2013) – atto giuridico dell’Unione Europea con portata

generale (valido per tutti), applicazione diretta (non deve essere recepito) e obbligatorietà in tutti i propri elementi – è il regolamento UE che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o di un apolide. Il regolamento prevede che la persona inoltri la richiesta di protezione internazionale nel primo Stato membro in cui arriva. Per questo motivo, e per la posizione geografica di Italia e Grecia e la provenienza delle persone arrivate in Europa negli ultimi anni, i due Paesi europei sono stati particolarmente interessati dalle richieste di protezione internazionale.

La European Agenda on Migration, dell’estate 2015, è stato un tentativo di riequilibrare le richieste tra tutti gli Stati membri, tramite l’approccio hotspot (che prevede l’identificazione delle persone allo sbarco nei principali porti di arrivo) e la relocation (la ridistribuzione di una quota di persone tra tutti gli Stati membri). Prima del 2015, molte persone cercavano di non essere identificate all’arrivo, in modo da poter proseguire il viaggio attraverso l’Europa e fare richiesta di protezione nel Paese da loro scelto come ultima destinazione. L’Agenda non ha finora raggiunto i risultati sperati. Ormai da tempo, al Parlamento Europeo, si discute una modifica del Regolamento di Dublino, in modo da superare le principali criticità. Una prima bozza, approvata dalla Commissione libertà civili del Parlamento Europeo ad ottobre 2017 e dal Parlamento Europeo a novembre dello stesso anno, prevede che il criterio del primo paese di accesso venga sostituito con un meccanismo permanente e automatico di ricollocamento secondo un sistema di quote, a cui sono tenuti a partecipare obbligatoriamente tutti gli stati membri dell’Unione. Inoltre, introduce un principio che tiene conto dei legami significativi tra la persona richiedente la protezione internazionale e lo Stato in cui essa vuole andare (come la presenza di familiari e parenti e la conoscenza della lingua). La riforma è stata però bloccata a giugno 2018 in Consiglio Europeo, presieduto dalla Bulgaria, per l’opposizione alle quote di ripartizione da parte degli Stati dell’Europa dell’Est, il cosiddetto ‘gruppo di Visegrad’.

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numerico della popolazione rifugiata e richiedente asilo in Italia rispetto a quella residente – risiede una delle ragioni che mi hanno guidata nella scelta relativa al gruppo di indagine. Questo ovviamente non significa che le biografie e le storie migratorie di queste persone non pongano problematiche urgenti e degne di essere indagate, ma che la narrazione circa la loro presenza e il loro impatto nel Paese è stata decisamente sproporzionata. Inoltre, è importante notare come lo status di rifugiato sia definito dalla Convenzione di Ginevra in maniera molto precisa e che le situazioni in cui viene riconosciuto lo status di rifugiato riguardano in modo specifico le persecuzioni personali, legate alle caratteristiche identitarie della persona e non al contesto (ad esempio di guerra, povertà o disastro) in cui la persona si trova. Per garantire una forma di protezione anche in quelle situazioni che non riguardano le persecuzioni personali ma possono comunque recare un danno grave alla persona (condanna a morte, tortura, minacce alla vita in caso di guerra interna o internazionale), esiste nella normativa italiana un’altra forma di protezione internazionale, la protezione sussidiaria24. Inoltre, fino all’approvazione del cosiddetto ‘decreto

immigrazione e sicurezza’ (decreto legge n. 113/2018)25 esisteva anche la

24 Il permesso per protezione sussidiaria: a) ha una durata di 5 anni; b) è rinnovabile, previa

verifica dell’attualità delle cause che hanno consentito il rilascio; c) consente l’accesso allo studio; d) consente lo svolgimento di un’attività lavorativa (subordinata o autonoma e pubblico impiego); e) consente l’iscrizione al servizio sanitario; f) dà diritto alle prestazioni assistenziali dell’Inps (‘assegno sociale’ e ‘pensione agli invalidi civili’) e all’assegno di maternità concesso dai Comuni. I titolari di permesso per protezione sussidiaria possono presentare richiesta del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria può altresì essere convertito in un permesso di soggiorno per lavoro. La conversione però comporta la rinuncia allo status di protezione sussidiaria.

25 Il dl 113/2018 è stato presentato, approvato e convertito, con modifiche, in legge nel periodo

di scrittura di questo lavoro (cfr. L. n. 132/2018). Il primo articolo contiene nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo e prevede di fatto l’abrogazione della protezione per motivi umanitari. Al posto di questa, è stato introdotto un permesso di soggiorno per alcune particolari categorie di persone, come le vittime di violenza domestica o grave sfruttamento lavorativo, per chi si trova in uno stato di salute gravemente compromesso e ha bisogno di cure mediche, per chi proviene da un paese che si trova in una situazione di “contingente ed eccezionale calamità”. È previsto inoltre un permesso di soggiorno per chi si sarà distinto per “atti di particolare valore civile”. Come ha spiegato il CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati, a seguito dell’eliminazione della protezione umanitaria, restano escluse tutte quelle ipotesi in cui, in caso di rimpatrio, il richiedente rischi trattamenti disumani e degradanti o semplicemente gli sia impedito l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla

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possibilità di chiedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari26. Secondo i dati disponibili, sono proprio queste due altre forme di protezione, che intervengono laddove non sussistano le condizioni dettate dalla Convenzione di Ginevra, che vengono concesse nella maggior parte dei casi27. Come anticipato, il gruppo di popolazione da me individuato non si colloca tra coloro che sono arrivati, spesso via mare, in Italia negli ultimi anni, facendo richiesta di protezione internazionale e essendo inseriti in percorsi di accoglienza. Come vedremo, la nazionalità peruviana, per le caratteristiche politiche, sociali ed economiche del Paese, non rientra tra quelle che possono richiedere la protezione internazionale ma si tratta di persone che migrano per migliorare le proprie condizioni di vita ed economiche, e che vengono etichettate quindi come migranti economici.

Questa breve premessa appena conclusa, grazie anche alle informazioni fornite dai dati numerici, mi ha però consentito di chiarire che il tema migrazione non si esaurisce con la cosiddetta “crisi dei rifugiati” che sta interessando l’Europa dal 2014 e che, come si è visto anche semplicemente dalla

Costituzione italiana e dei diritti garantiti a livello internazionale. Un’eventuale assenza di tutela per questi casi comporterebbe ipotesi di incostituzionalità, nonché di violazione dei trattati internazionali. Tra gli Stati europei, ventiquattro paesi su trentadue prevedono forme di protezione assimilabili alla nostra protezione umanitaria. Per quanto concerne i soli Stati membri, quelli che riconoscono una forma di protezione nazionale per motivi umanitari sono 20 su 28.

26 Il permesso di soggiorno per motivi umanitari poteva essere rilasciato, in caso di diniego,

revoca o cessazione dello status di protezione internazionale, in caso di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». La durata del permesso era pari alle necessità documentate che ne hanno consentito il rilascio. Nella prassi amministrativa, di fatto, la durata era variabile dai 6 mesi ai 2 anni. Il permesso consentiva: a) di svolgere attività lavorativa (sia lavoro subordinato che autonomo, con i requisiti necessari per questo tipo di attività, sia in qualità di socio lavoratore di cooperativa); b) l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale (iscrizione obbligatoria); c) l’accesso ai centri di accoglienza dei Comuni e alle misure di assistenza sociale previsti per le persone titolari di protezione internazionale; d) l’accesso alla formazione; e) la conversione a lavoro e per motivi familiari qualora ne sussistano i requisiti. In questo caso è necessario il possesso del passaporto. Non consentiva il ricongiungimento familiare. Il permesso era rinnovabile finché durava la situazione che ne ha motivato il rilascio, anche in mancanza di passaporto.

27 Si veda il Rapporto UNHCR 2017 sulla protezione internazionale in Italia

https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2017/10/Rapporto_2017_web.pdf, ultima visita 31/07/2019.

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definizione di IOM, sono molti i profili, anche a livello giuridico, che rientrano sotto questa parola. Tenendo quindi presente la complessità della questione e la molteplicità delle situazioni coinvolte, mostrerò adesso quali sono le principali motivazioni che mi hanno portata ad individuare le donne migranti residenti in Toscana – in particolar modo peruviane residenti a Firenze per il caso di studio – come focus della ricerca.

Come si è visto, esiste certamente un dato numerico che non può essere ignorato. Nonostante negli ultimi anni la questione delle migrazioni sia stata in un certo senso sovrapposta a quella delle migrazioni forzate e, quindi, dei richiedenti e titolari protezione internazionale, abbiamo visto dai dati che, almeno in Italia, la situazione è molto diversa. Ci sono più di 5 milioni di cittadini stranieri che risiedono stabilmente in Italia, che non sono titolari o richiedenti protezione internazionale e che sono arrivati nel nostro Paese seguendo altre vie. Senza inoltrarmi in una questa questione che mi porterebbe altrove, è bene però tenere presente che l’incremento dell’arrivo di persone che richiedono la protezione internazionale è anche legato alla diminuzione delle possibilità di arrivare in Europa e in Italia tramite altre strade28. Più

propriamente, ciò che è andato evidenziandosi nel corso degli ultimi anni è la difficoltà dell’Unione Europea e degli Stati membri di dare una risposta politica alla combinazione di due fenomeni: la restrizione progressiva dei canali di migrazione legale nell’UE e l’instabilità politica e i conflitti in ampie aree del continente africano e del Medio Oriente.

Se l’Italia è stata, nella prima parte del secolo scorso, principalmente un paese di emigrazione, è dagli anni ’80 che stiamo assistendo ad un ingresso sempre più costante di cittadini stranieri alla ricerca di migliori condizioni di vita,

28 Ad oggi, l’ingresso in Italia per motivi di lavoro subordinato non stagionale, stagionale e

per lavoro autonomo avviene esclusivamente nell’ambito delle quote di ingresso stabilite con scadenza annuale o triennale dal cosiddetto “decreto flussi”. I visti di ingresso per motivi di lavoro sono pertanto rilasciati entro i limiti di questo contingente numerico dopo il rilascio del nulla osta all’assunzione del lavoratore straniero da parte dello Sportello Unico per l’Immigrazione del territorio dove il lavoratore sarà domiciliato o dove ha luogo la sede di lavoro.

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economiche e lavorative. Nonostante ciò, nella gestione di questo fenomeno, con le due ultime leggi-quadro sull’immigrazione (la legge n. 40 del 6 marzo 1998, detta anche Turco-Napolitano, e la legge n. 189 del 30 luglio 2002, detta anche Bossi-Fini) l’Italia non ha ancora elaborato un chiaro modello di immigrazione e i decreti flussi non riescono, da soli, ad esaurire le richieste di ingresso nel Paese.

Certamente connesso al dato numerico sopra citato, vi è anche il fatto che il tema della salute dei cittadini stranieri è stato finora indagato principalmente per la popolazione residente e meno per i titolari e richiedenti protezione, che rappresentano un fenomeno più recente e che è stato gestito, anche nel campo socio-sanitario, ricorrendo ad una logica emergenziale. O meglio, possiamo dire che le questioni indagate relativamente alla salute dei due gruppi sono diverse perché diversa è l’immagine e la narrazione che abbiamo costruito di questi due gruppi e dei loro bisogni.

Gli stranieri residenti, che vivono stabilmente e lavorano in Italia ormai da anni, rappresentano un gruppo la cui salute è stata indagata per conoscere meglio abitudini, principali problematiche, aspetti socio-demografici, stili di vita, modalità di accesso e uso dei servizi. Le ricerche portate avanti su questa popolazione hanno avuto l’obiettivo di conoscere meglio le sue caratteristiche nel vasto campo della salute, e pensare soluzioni laddove fossero stati identificati dei problemi. La salute di queste persone è stata quindi considerata nel suo complesso, e in senso positivo, non come mera assenza di patologia ma come pieno benessere fisico, psicologico e sociale. Il tema della salute dei titolari e richiedenti protezione internazionale è stato invece affrontato in termini emergenziali, in linea con tutto ciò che ha riguardato il loro arrivo e la loro presenza e accoglienza sul territorio. Fin dai primi arrivi, infatti, le malattie infettive e la loro possibile diffusione sul territorio sono state la principale questione indagata tra la popolazione richiedente e titolare protezione internazionale, e anche un tema di grande preoccupazione a livello di dibattito politico e pubblico. È stata quindi organizzata una serie molto precisa di

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screening delle principali malattie trasmissibili, dallo sbarco fino al trasferimento delle persone nei contesti di accoglienza nelle varie Regioni italiane. Soltanto molto recentemente, a fronte di una serie di dati e ricerche che non hanno confermato una maggiore incidenza di malattie infettive tra le persone in arrivo sulle coste italiane29, si è iniziato a pensare alla salute di queste

persone in modo più completo e complesso, anche tramite un approccio olistico. Si è infatti constatato che le principali problematiche di salute di queste persone non riguardano le malattie infettive ma le situazioni croniche e la salute mentale, a causa delle terribili condizioni di viaggio e delle violenze, torture e trattamenti inumani e degradanti subiti nel tragitto che li ha portati in Europa30.

Tradizionalmente, la letteratura ha fatto riferimento al cosiddetto effetto del “migrante sano” (healty migrant effect), osservato anche in Italia in quanto paese di immigrazione relativamente recente. Secondo alcune tra le teorie più accreditate31, dipende dal fatto che solo i soggetti più forti e sani tendono a

intraprendere il difficile percorso migratorio, effettuando quindi una sorta di autoselezione nei Paesi di origine. Per questo motivo, le persone che arrivano nei Paesi di destinazione sarebbero generalmente sane e giovani, con un buono stato di salute complessivo in linea con la popolazione più giovane del Paese di

29 Si veda Castelli F., Geraci S., Egidi S., Malattie infettive e immigrazione: facciamo

chiarezza: http://www.saluteinternazionale.info/2015/09/malattie-infettive-e-immigrazione-facciamo-chiarezza/, ultima visita 31/07/2019 e Torrisi C., Rifugiati e salute. Dalla tbc alla scabbia, i dati che smentiscono gli allarmi infondati, https://www.unhcr.it/risorse/carta-di- roma/fact-checking/rifugiati-salute-dalla-tbc-alla-scabbia-dati-smentiscono-gli-allarmi-infondati, ultima visita 31/07/2019.

30 Per una raccolta di testimonianze sul viaggio e le violenze subite, rimando alla mappa Esodi

di Medici per i diritti umani - MEDU, costantemente aggiornata e che raccoglie più di 2600 storie di persone arrivate in Italia negli ultimi anni tramite la rotta del Mediterraneo: http://esodi.mediciperidirittiumani.org/, ultima visita 31/07/2019. MEDU è un’organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale, nata nel 2004 dall’esperienza internazionale di Médicins du Monde, che si occupa di promuovere il diritto alla salute e di denunciare, tramite azioni di testimonianza e advocacy, la violazione di diritti umani e in particolare dell’accesso al diritto alla salute.

31 Si veda Razum O., Zeeb H., Rohrmann S, The ‘Healthy Migrant Effect’ – Not Merely a

Fallacy of Inaccurate Denominator Figures, in «International Journal of Epidemiology», Vol. 29, Issue 1, April 2000, pp. 191-192; Kennedy S., McDonald J. T., Biddle N., The Healthy Immigrant Effect and Immigrant Selection: Evidence from Four Countries, Social and Economic Dimensions of an Aging Population Research Papers 164, McMaster University, 2006.

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arrivo. Negli ultimi anni, si è iniziato invece a pensare che l’effetto migrante sano potrebbe non essere valido per la tipologia di persone arrivate con la cosiddetta “crisi dei rifugiati” e si è ricorsi all’espressione del “migrante esausto”. Come accennato prima, le condizioni e la lunghezza del viaggio e soprattutto le violenze indicibili che queste persone subiscono – in particolare nella loro permanenza in Libia – costituiscono certamente un fattore centrale nella definizione del loro stato di salute32.

Proseguendo, a supporto della mia scelta di approfondire la salute dei migranti residenti, possiamo aggiungere che l’analisi dello stato di salute dei cittadini stranieri – ad esempio come quella presentata regolarmente dall’Agenzia Regionale di Sanità Toscana33 – non può contare sulla specifica

della protezione internazionale (richiesta o già posseduta) al momento dell’accesso ai servizi da parte delle persone. Ovvero, quando una persona si reca in un presidio sanitario, per accedere a delle analisi di laboratorio, delle visite mediche o anche al pronto soccorso, nella compilazione della scheda anagrafica non viene richiesto se è titolare o richiedente la protezione

32 Secondo i dati raccolti da MEDU, dal 2014 l’85% dei migranti giunti dalla Libia ha subito

torture e trattamenti inumani e degradanti e, nello specifico, il 79% è stato detenuto e sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie; il 60% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche; il 55% gravi e ripetute percosse e percentuali inferiori ma comunque rilevanti stupri e violenze sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, falaka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti. Tutti i migranti detenuti hanno subito continue umiliazioni e in molti casi oltraggi religiosi e altre forme di trattamenti degradanti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o in condizioni di schiavitù per mesi o anni. Questi dati, probabilmente addirittura sottostimati, rappresentano un quadro delle violenze sistematiche a cui vengono sottoposti tutti i migranti che giungono in Italia dalla Libia. Per questo motivo, la questione della salute mentale è ad oggi una tra le più rilevanti rispetto allo stato di salute delle persone migranti arrivate in Italia negli ultimi anni, titolari e richiedenti la protezione internazionale, anche dal punto di vista delle sfide cliniche e metodologiche che pone. Si veda su questo il contributo di Giuseppe Cardamone in Tizzi G., Albiani S., Borgioli G., La crisi dei rifugiati e il diritto alla salute cit., pp. 49-52.

33 L’ultimo report pubblicato da ARS su questa tematica risale ad ottobre 2016 ed è intitolato

Migrare in Toscana: accoglienza, presa in carico e stato di salute. Può essere consultato al

seguente link:

https://www.ars.toscana.it/files/pubblicazioni/Volumi/2016/Doc_ARS_88_web.pdf, ultima visita 31/07/2019.

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internazionale. Come vedremo più avanti, la normativa che regola il diritto alla salute in Italia per i cittadini stranieri ha un’impronta fortemente universalista ed è estremamente tutelante per tutte le situazioni citate fino ad ora (straniero residente (comunitario o no), richiedente protezione internazionale e titolare protezione internazionale o rifugiato). È quindi anche molto difficile, in termini di analisi dei dati a disposizione, fare un focus sui richiedenti e titolari protezione internazionale, soprattutto per quanto riguarda il loro uso e accesso ai servizi.

Ho quindi mostrato, finora, che cosa si intenderà, in questa ricerca, con la parola migranti e le principali ragioni che mi hanno portata a concentrarmi sulla popolazione straniera residente piuttosto che su quella titolare e richiedente la protezione internazionale. Ci sono ragioni legate al dato numerico, cioè al fatto che, al momento, il fenomeno degli stranieri residenti in Italia è molto più rilevante e strutturato rispetto a quello dei titolari e richiedenti protezione internazionale, nonostante la narrazione mediatica degli ultimi anni sia stata costruita in senso opposto. Ci sono poi motivi legati al fatto che, nonostante la presenza di cittadini stranieri in Italia sia ormai un dato assodato, la riflessione su che tipo di società multiculturale si voglia costruire – anche per quanto riguarda i servizi socio-sanitari – non è ancora stata approfondita e sistematizzata. Esiste poi una ragione connessa a come il tema della salute, per i due gruppi di popolazione, è stato concepito e affrontato. Esiste poi un’ulteriore ragione che andrò ad approfondire nelle prossime pagine, perché legata alla scelta dell’ottica di genere e del focus sulla salute sessuale e riproduttiva.

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1.2 Perché adottare una prospettiva di genere?

Dopo aver chiarito alcune delle ragioni che mi hanno portata a definire il gruppo di persone migranti oggetto della ricerca, andiamo ora ad analizzare le ragioni per cui ho scelto di privilegiare la prospettiva di genere, con un focus sulle donne migranti residenti in Toscana e, in particolare per il caso di studio, le donne peruviane e l’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG).

Premetto che, in questo lavoro, utilizzerò l’espressione genere per indicare la scelta di focalizzarmi sulla popolazione migrante femminile e di una prospettiva e metodologia femminista. Non si tratta di un uso scontato, visto che gli studi di genere ci hanno abituati a riflettere secondo una prospettiva ampia sulla costruzione sociale e culturale del genere, che quindi include anche l’orientamento sessuale e un’identità di genere non cisgender34. Inoltre, come

avrò modo di approfondire nel prossimo capitolo, l’adozione di una prospettiva di genere non si esaurisce nella scelta di indagare una tematica o un gruppo femminile, come in questo caso eterosessuale e cisgender, ma implica soprattutto uno sguardo attento e critico, teso a identificare e decostruire quelle strutture di potere che da sempre si sviluppano lungo la linea del genere.

In Toscana, gli stranieri residenti sono 417.382 e rappresentano l’11,2% della popolazione residente35, un dato in linea con la media italiana36. Osservando la

composizione della popolazione immigrata residente, si può notare ormai da

34 Con il termine cisgender, si indica una persona in cui il sesso biologico (l’appartenenza

biologica al sesso determinata dai cromosomi sessuali, che si manifesta nei caratteri sessuali primari e secondari) e l’identità di genere (come la persona si sente e si definisce a livello identitario rispetto al genere) corrispondono.

In questo senso, un’area di ricerca estremamente interessante riguarda le richieste di asilo da parte di persone LGBTQI+, che richiedono la protezione internazionale in ragione delle discriminazioni subite per la propria identità di genere o orientamento sessuale, e alle metodologie e gli strumenti con cui le Commissioni territoriali verificano le persecuzioni e decidono o meno di concedere la protezione.

35 Dati Istat aggiornati al 1 gennaio 2019:

https://www.tuttitalia.it/toscana/statistiche/cittadini-stranieri-2019/, ultima visita 31/07/2019.

36 Invece, la popolazione titolare e richiedente la protezione internazionale in Toscana conta

circa 13.000 persone, ovvero il 3,3 per mille dell’intera popolazione migrante regionale (Dati Dossier Statistico Immigrazione, Centro Studi Idos, 2017).

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alcuni anni una femminilizzazione dei flussi migratori: le donne, con più di 200.000 presenze, rappresentano infatti oltre il 53% degli stranieri residenti in Toscana37.

Questo è un dato molto interessante, che si è consolidato nel tempo e che rappresenta una cesura rispetto alla fisionomia che le migrazioni economiche hanno avuto in passato. Infatti, nei primi anni in cui i flussi migratori hanno interessato l’Europa e si sono stabilizzati, le donne arrivavano principalmente grazie al ricongiungimento familiare. I primi a migrare e a spostarsi erano infatti gli uomini che, secondo il classico modello del male bread winner, partivano in cerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita, sociali ed economiche. Solo in un secondo momento, quando la vita nel nuovo Paese era stata avviata e stabilizzata, venivano raggiunti dalle mogli e dai figli tramite il ricongiungimento familiare. Spesso madri di famiglie numerose e relegate nella sfera privata, le donne si univano alla migrazione maschile poco qualificata in condizioni molto difficoltose (in alloggi precari, nelle periferie delle grandi metropoli europee) e con un accesso limitato ai diritti in considerazione del loro scarso livello di conoscenza delle lingue parlate nei paesi di accoglienza e della loro scolarizzazione limitata o nulla.

Nel corso degli anni questa situazione è cambiata, e continua a cambiare. Sono infatti da tempo sempre di più le donne che si spostano per prime, che intraprendono un percorso migratorio da sole, senza un marito che le abbia precedute. Sempre più numerose sono le migranti che, quando partono, si lasciano dietro un congiunto. Ciò avviene sia per effetto di una forte scolarizzazione nei paesi di origine, che permette loro di avere delle basi più solide per migrare da sole e cercare di entrare nel mercato del lavoro, sia per il fatto che esse sono ricercate all’interno di nicchie occupazionali molto specifiche: babysitter, collaboratrici domestiche, assistenti per persone anziane, infermiere, addette ai lavori sartoriali, ovvero il campo dei lavori di cura38.

37 Dati Istat al 1 gennaio 2018.

38 Si veda Hochschild A., Global Care Chains and Emotional Surplus Value, in Hutton W.,

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Come avrò modo di mostrare nel terzo capitolo, analizzando le interviste alle donne peruviane, si tratta di lavori che, così concepiti, mal si conciliano con una vita privata e familiare, la cura di un figlio o di un familiare. Molte donne vivono quindi in un forte isolamento a causa del lavoro domestico, confinate all’interno delle abitazioni dei loro datori di lavoro, e scarsamente informate sui loro diritti o con scarsa possibilità di accedervi. Dobbiamo però anche ammettere che, se certamente questa nuova configurazione della migrazione femminile indipendente presenta numerose linee d’ombra che necessitano di una riflessione profonda, tutte coloro che sono partite da sole acquistano nella migrazione stessa uno status familiare che le affranca dalla tutela maschile che veniva loro imposta nel Paese d’origine. Una nuova autonomia, forse mai conosciuta in precedenza, che deriva dal fatto di aver scelto di partire per prime e di inviare regolarmente denaro destinato al benessere della loro famiglia rimasta in patria. Sono quindi spesso loro, ora, le nuove bread winner.

Ci sono poi altre ragioni, che spiegano la mia scelta di soffermarmi sulle donne migranti residenti in Toscana, e non sulle richiedenti e titolari protezione internazionale. Come vedremo, una legata alla composizione di questa popolazione, l’altra al tema di salute prescelto ma, in realtà, strettamente connesse l’una all’altra.

Da una lettura dei dati circa la presenza di titolari e richiedenti la protezione internazionale in Italia, sappiamo che la maggior parte di essi è rappresentata da maschi adulti, tra i 20 e i 40 anni, e solo una parte esigua sono donne e bambini. La fisionomia di questi flussi migratori sta però velocemente cambiando. Infatti, secondo i dati Eurostat, dall’inizio della “crisi dei rifugiati” il numero di donne che arrivano in Italia e che fanno richiesta di protezione internazionale è in netto aumento. Nell’anno 2016, la percentuale di donne tra i richiedenti protezione internazionale è passata dall’11% del 2015 al 14,84%. In termini assoluti, in Italia le domande di protezione internazionale avanzate da donne sono salite da 9.435 nel 2015 a 17.560 nel 2016, quasi raddoppiando. Come sottolineato da

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UNHCR, nel confronto tra gli sbarchi del 2015 e del 2016, il numero delle donne provenienti dalla Nigeria è quasi raddoppiato (+95,5%), passando da 5.633 a 11.009 e nigeriana è la nazionalità della gran parte delle donne richiedenti protezione internazionale in Italia39.

Nonostante la situazione stia rapidamente mutando, fino ad oggi in Italia la popolazione richiedente e titolare protezione internazionale è stata quindi principalmente formata da maschi adulti, tra i 20 e i 40 anni. Donne e bambini, spesso minori non accompagnati, hanno rappresentato in questi anni una piccola minoranza, spesso con esperienze di viaggio se possibile ancora più dure e traumatiche dei loro compagni maschi. Le donne richiedenti protezione internazionale e rifugiate sono infatti continuamente esposte – dal momento della fuga dal proprio paese di origine, per tutta la durata del viaggio e purtroppo anche una volta arrivate in Italia e inserite nel percorso di accoglienza – al rischio di subire varie forme di violenza da parte di una molteplicità di soggetti40. È necessario, inoltre, considerare che molte di loro provengono da

contesti fortemente ostili all’emancipazione femminile e che conflitti e crisi umanitarie hanno un diverso impatto su donne e uomini; è bene poi valutare come le strutture e le relazioni di potere di genere, sia nei paesi d’origine, sia di transito e di destinazione, incidono su esperienze come la fuga, il viaggio, l’arrivo, la domanda di protezione, l’inserimento in percorsi di accoglienza41.

39 Si apre qui la questione della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, che riguarda molte delle

donne migranti (secondo IOM circa l’80%) che arrivano in Italia richiedendo la protezione internazionale. Si veda il Rapporto IOM “La tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo centrale: dati, storie e informazioni raccolte dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni”, reperibile qui:

http://www.osservatoriointerventitratta.it/wp-content/uploads/2017/07/RAPPORTO_OIM_Vittime_di_tratta_0.pdf, ultima visita

31/07/2019. Rimando anche a Serughetti G., Donne richiedenti asilo e vittime di tratta: tra vulnerabilità e resilienza, in Marchetti C. e Pinelli B. (a cura di), Confini d’Europa. Modelli di controllo e inclusioni informali, pp. 63-93, Raffaello Cortina, Milano 2017.

40 Sul tema delle donne richiedenti e titolari protezione internazionale, si veda il rapporto del

Parlamento Europeo, scritto da Silvia Sansonetti della Fondazione Giacomo Brodolini, intitolato Female Refugees and Asylum Seekers: The Issue of Integration e disponibile a questo link:

http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/556929/IPOL_STU(2016)5569 29_EN.pdf, ultima visita 31/07/2019.

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Un’alta percentuale delle donne in arrivo in Europa e in Italia negli ultimi anni ha subito violenze, spesso sessuali, e trattamenti inumani e degradanti di ogni tipo – sovente legati alla loro identità di genere – e spesso, come già detto, sono coinvolte nei meccanismi della tratta degli esseri umani. Anche se, purtroppo, ancora la rete di accoglienza italiana e i servizi socio-sanitari non sono pienamente preparati ad affrontare le peculiari esigenze di salute di queste donne e la differenza di approccio e competenze è ancora estremamente variabile tra le Regioni, è necessario, per il futuro prossimo, considerare che l’assistenza e le politiche di integrazione rivolte a tali soggetti dovranno fare del supporto sanitario e psicologico un asse centrale dell’azione, tramite lo sviluppo di servizi destinati specificatamente alle donne e che tengano conto dei loro percorsi di vita, dei traumi subiti durante il viaggio e delle difficoltà che spesso esprimono nel raccontare le loro esperienze a soggetti estranei, soprattutto se di genere maschile. Nella progettazione di un’assistenza sanitaria adeguata ai percorsi di vita di queste donne, sarebbe inoltre auspicabile non creare rappresentazioni del femminile – in particolare migrante, rifugiato o richiedente la protezione internazionale – che siano stigmatizzanti, di donne traumatizzate e incapaci di scegliere e agire. Ovviamente, al tempo stesso è bene che i servizi siano preparati per identificare e prendersi cura di situazioni di sofferenza psicologica o trauma causate dal percorso migratorio.

Per quanto finora detto, è evidente che i bisogni di salute e di accoglienza delle donne titolari o richiedenti la protezione internazionale sono strettamente connessi alla loro esperienza di viaggio, anch’essa modellata da precise strutture di potere legate al genere. Nonostante queste donne arrivino sempre più numerose, si tratta ancora di una piccola parte della popolazione – anche migrante – con bisogni di salute molto specifici a cui si deve saper rispondere con competenza e umanità. In parte per il numero di queste donne e in parte per le loro peculiari e tragiche esperienze di viaggio, possiamo presumere e sperare

and the Mediterranean ‘Crisis’, in «Journal of Refugee Studies», Vol. 29, Issue 4, December 2016, pp. 568-582.

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