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URA E CONFLITTO
Il tema della cura dell’anima accompagna l’intera riflessione di Jan Patočka. L’ideale dell’epimeleia tes psyches non viene discusso solo nei saggi che il filosofo dedica al pensiero antico, ma anche nelle riflessioni rivolte alla società contemporanea: egli crede che l’antico principio della cura dell’anima abbia forgiato la storia europea, costituendone l’eredità più nobile e preziosa. Patočka recupera un tema per certi versi desueto come quello dell’anima e lo riarticola all’interno di un’originale impostazione fenomenologica capace di investirlo di un preciso significato storico e politico. L’Europa, infatti, attraversa una crisi politica e spirituale che appare irresolubile: incapace di frenare le spinte disgregative dei singoli Stati – non disposti a riconoscersi reciprocamente i propri diritti e impegnati a far valere le proprie pretese di soggetto assoluto nell’arena bellica del mondo – l’Europa ha ormai da tempo smarrito la sua forma unitaria59 e cede il proprio ruolo di comando politico, economico e spirituale ai suoi eredi ipertrofici, primi fra tutti gli Stati Uniti e la Russia Sovietica60. La nuova “era planetaria”61, come la definirà Patočka anticipando di un decennio il dibattito sulla globalizzazione, è sorta grazie al diffondersi dell’eredità europea nella forma depauperata di una ragione tecnica tesa unicamente al risultato e all’efficienza; nella forma di una razionalizzazione economica che pretende di estinguere le turbolenze della politica; nella
59 È interessante notare che Patočka afferma questa tesi proprio nel periodo in cui si inizia a dare concretezza al progetto di una “comunità europea”: si tratta di comprendere come l’Europa spirituale di cui parla Patočka non sempre coincida con il concetto politico di Europa.
60 Patočka sviluppa questi temi nel testo redatto in tedesco a partire dal 1973 “Europa und Nach-Europa. Die nacheuropäische Epoche und ihre geistigen Probleme”. Nel saggio si annuncia l’avvento di un’epoca post-europea, in cui saranno nuovi giganteschi soggetti politici, europeizzati da un punto di vista formale ma nuovi in termini di contenuto, a giocare un ruolo decisivo sotto il profilo politico e culturale. Cfr in J. Patočka, “Europa und Nach-Europa. Die nacheuropäische Epoche und ihre geistigen Probleme”, in Id., Ketzerische Essais zur Philosophie der Geschichte und Ergänzende Schiriften.
Ausgewählte Schiriften, volume II, a cura di K. Nellen e J. Němec, Klett-Cotta, Stuttgart 1988.
61 Patočka parla dell’epoca post-europea chiamandola “Unsere Epoche des Planetarismus”, cfr. J. Patočka, “Europa und Nach-Europa. Die nacheuropäische Epoche und ihre geistigen Probleme”, in Id.,
Ketzerische Essais zur Philosophie der Geschichte und Ergänzende Schiriften. Ausgewählte Schiriften,
forma di un sapere che ha perso il suo fondamento spirituale – l’Einsicht morale – pervertendo la cura dell’essere in cura dell’avere.
Bisogna quindi andare all’origine della tradizione europea per comprendere quali siano le matrici che hanno determinato la grandezza e la forma politica unitaria dell’Europa: se la cura dell’anima è la cifra della sua storia, bisognerà tornare ad essa per comprendere quali chances si offrano all’umanità contemporanea: « Le soin de l’âme, qui est à la base de l’héritage européen, n’est-il pas aujourd’hui encore à même de nous interpeller, nous qui avons besoin de
trouver un appui au milieu de la faiblesse générale et de l’acquiescement au déclin? »62 si chiede Patočka nelle pagine introduttive di Platone e l’Europa.
Prima di concentrarci sulla nozione patočkiana di cura dell’anima, sondandone i risvolti etici e le implicazioni politiche, è opportuno inquadrarla all’interno del percorso di ricerca complessivo tracciato dal filosofo. Infatti, la riscoperta dell’antica arte epimeletica rientra nel progetto di una “filosofia fenomenologica”63 che tenta di trarre delle conseguenze filosofiche generali dell’analisi fenomenologica dell’esperienza umana. In questo senso, potremmo dire che l’adesione di Patočka alla fenomenologia non si riduca alla scelta di un’opzione teorica: nella fenomenologia contemporanea Patočka riscopre una forma di pensiero che permette di coltivare la cura dell’anima come âme ouverte64:
se la fenomenologia può aiutarci non è malgrado la sua incompiutezza, ma proprio perché essa non è un sistema chiuso. Una filosofia incompiuta è una filosofia aperta. Una filosofia che, in un certo modo, ricomincia di nuovo a ogni passo, riprende ogni problema a partire dal suo inizio.65
62 J. Patočka, Platon et l’Europe, cit., p. 21.
63 In Platone e l’Europa Patočka scrive : « La philosophie phénoménologique se distingue de la
phénoménologie dans la mesure où elle ne veut pas seulemente analyser les phénomènes en tant que tels, mais encore en tirer des conséquences ‘métaphysiques’ » (J. Patočka, Platon et l’Europe, cit., p.
41).
64 Con il concetto di âme ouverte Patočka allude alla necessità di coltivare l’apertura che connota l’esistenza, sia come distanziamento critico, sia come margine per la trasformazione di sé. Indagheremo più nel dettaglio questa nozione nel corso della trattazione successiva.
Il movimento della fenomenologia e la fenomenologia del movimento
Jan Patočka, com’è noto, è una delle personalità più significative del movimento fenomenologico: egli ha avuto il merito di cogliere anzitempo, non solo l’opportunità, ma anche la necessità di un dialogo fra i suoi due illustri predecessori, Edmund Husserl e Martin Heidegger, in un’epoca in cui le posizioni dei due filosofi tedeschi sembravano inconciliabili. Anzi, potremmo dire che per Patočka la fenomenologia non possa essere compresa che nel confronto e nello scontro tra Husserl e Heidegger: essa compendia entrambi i percorsi di ricerca alimentandosi delle loro reciproche tensioni66.
Il lavoro di Patočka sarà allora il tentativo di riarticolare la proposta fenomenologica modulando le opzioni teoriche dei suoi maestri, così da rimediare alle lacune dell’uno con le proposte dell’altro. Probabilmente è durante il suo soggiorno di studio a Friburgo (193367) che Patočka matura l’intenzione di proseguire la ricerca fenomenologica di Husserl coniugandola con l’indagine ontologica di Heidegger. Patočka vuole riprendere i temi e i metodi dell’indagine husserliana evitando però di inciampare nel limite del suo maestro: un soggettivismo trascendentale incapace di cogliere il fenomeno dell’apparire in quanto tale. All’origine del suo personale itinerario di ricerca – che troverà nell’elaborazione di una
fenomenologia asoggettiva uno dei suoi esiti più fecondi e innovativi – vi è la tesi secondo cui
occorre ristabilire “l’intenzione originaria della fenomenologia” come il tentativo di “condurre a manifestarsi non l’apparente, ma l’apparire, l’apparire dell’apparente, che non appare esso stesso nell’apparizione di quest’ultimo”68.
66 « Ce qu’est la phénoménologie, on ne peut l’apprendre ni chez Husserl ni chez Heidegger isolément,
mais uniquement à partir de leur conflit, à partir de leur explication avec la tradition et de leur retour aux sources de la crise » (J. Patočka, Papiers Phénoménologiques, cit., p. 278).
67 Patočka si stabilisce a Friburgo nel 1933. Qui, soprattutto grazie alla mediazione di Eugen Fink, ebbe modo di frequentare privatamente Husserl e di leggere i suoi manoscritti ancora inediti. Il padre della fenomenologia lo diffida dal seguire le lezioni di Heidegger e dal combinare le ricerche fenomenologiche con la filosofia dell’esistenza di Heidegger. Tuttavia, la figura di Heidegger esercita un forte fascino e Patočka decide di frequentare le sue lezioni. Dunque, è sin dal periodo di studio a Friburgo che l’opera di Patočka prende la forma di un ininterrotto dibattitto con il pensiero di Husserl e Heidegger. Come osserva Renaud Barbaras, « Patočka ne prétend donc pas se situer par-delà Husserl
et Heidegger (…) mais plutôt en deçà, c’est à dire en ce lieu non formulé où ils se rejoignent » (R.
Barbaras, Le mouvement de l’existence. Etudes sur la phénoménologie de Jan Patočka, Les Éditions de La Transparence, Chatou 2007, p. 30).
68 J. Patočka, Papiers phénoménologiques, p. 196. Implicita in queste parole vi è la tesi per cui la coscienza è essa stessa un “apparente” del campo fenomenico che deve essere compreso a partire dalla struttura dell’apparire.
Epoché e riduzione
Ragionando in questa direzione, Patočka individua nella riduzione fenomenologica l’errore di Husserl, che, spostando il polo dell’evidenza dall’apparire del mondo al soggetto apparente, avrebbe ricondotto all’immanenza della coscienza il fenomeno dell’apparire. Critico nei confronti di tale riduzione, Patočka crede che sia necessario, piuttosto, radicalizzare il gesto husserliano dell’epoché così da estenderla al campo stesso della soggettività. Husserl ha praticato l’epochè solo per quel che riguarda il polo oggettivo della realtà, non coinvolgendo, nel gesto di sospensione, anche il polo della soggettività. È proprio in questo passaggio che Patočka ravvisa l’errore del suo predecessore: mettendo tra parentesi la tesi sull’esistenza del mondo in quanto realtà alla mano, Husserl avrebbe scoperto il campo dell’apparire. Il problema, per Patočka, è che invece di approfondire tale scoperta portando a tema l’apparire in quanto tale, Husserl riconduca la fenomenicità all’immanenza della coscienza: così facendo, egli cadrebbe nell’ingenuità di ridurre l’apparire all’ente che appare. Patočka, pertanto, ritiene che sia necessario radicalizzare l’epoché, per chiedersi cosa succederebbe se essa “non dovesse fermarsi davanti alla tesi del proprio sé, ma fosse intesa in senso del tutto universale”69. L’immediatezza della datità dell’ego si rivela così un pregiudizio70 al pari della credenza ingenua nella realtà del mondo: per aprirsi all’apparire in quanto tale occorre rinunciare anche alla certezza dell’io quale luogo assoluto, trasparente e fondante del fenomeno71. Se la realtà non è più ciò che ci sta di fronte nel modo della rappresentazione ma ciò di cui facciamo parte, sembrano venire meno i diritti di un soggetto costituente chiamato a render conto dei fenomeni. Il tentativo di dar vita a una fenomenologia che non abbia il proprio fondamento nella sfera della soggettività induce Patočka a proporre una fenomenologia asoggettiva, capace di andare oltre l’oggetto e il soggetto della manifestazione.
Patočka ritiene che con l’estensione dell’epoché sia possibile uscire dal paradigma del soggetto trascendentale così da portare alla luce il “nucleo organizzativo di una struttura universale dell’apparizione, che non è riducibile all’apparente in quanto tale nella sua
69 J. Patočka, Epoché e riduzione, in Aut aut, nn. 299-300, 2000, p. 149.
70 Ibidem.
71 Come ha scritto Renato Cristin nella sua recensione all’edizione tedesca del testo patočkiano Die
Bewegung der menschlichen Existenz. Phaenomenogische Schriften II, “Se la riduzione husserliana
afferma che bisogna prima perdere il mondo, per poterlo poi recuperare nella sua interezza, la riduzione che vorremmo chiamare soggettiva sostiene che il soggetto deve perdere la propria essenza per poi, forse, riconquistarsi” (Aut aut, n. 247, 1992, p. 110).
singolarità. Questa struttura noi la chiamiamo mondo”72. Se studiare l’apparire in quanto tale conduce Patočka a riconoscere nel mondo la struttura della totalità che segna l’orizzonte ultimo, possiamo dire che egli proceda a una riconfigurazione in chiave cosmologica della fenomenologia. Patočka intende, infatti, attestare il mondo nella sua priorità fenomenologica73: esso è la totalità preliminare, l’orizzonte originario di ogni prassi, la condizione di possibilità dell’esperienza. Come scrive Roberto Terzi, Patočka descrive il mondo come “l’unità del trascendentale e dell’ontologico, è ciò che permette l’apparire e l’essere di ogni cosa e quindi l’esperienza che facciamo di essa”74.
Il mondo si offre ad una soggettività ma non trova in essa il proprio fondamento: in diversi passaggi, Patočka specifica che le possibilità soggettive non sono una nostra creazione ma il prodotto della correlazione originaria con il mondo come “unico-intero, universale, non oltrepassabile, che contiene in sé tutte le realtà e le possibilità effettive”75.
Già da questi brevi cenni è possibile cogliere l’influenza di Heidegger nella lettura patočkiana della fenomenologia husserliana. È bene dunque precisare in che modo i temi esistenziali e la svolta ontologica influiscano sul lavoro del fenomenologo cèco.
In primo luogo va considerato che l’epoché, per Patočka, non è un atto intellettuale ma un movimento costitutivo dell’essenza umana che presuppone l’apertura del Dasein, quale luogo di comprensione del senso dell’essere. Emerge a questo proposito il ruolo della filosofia dell’esistenza di Heidegger. Come ricorda Guido Davide Neri, per quanto il termine non compaia mai esplicitamente, anche nel pensiero di Heidegger possiamo trovare qualcosa di analogo all’epoché76. Il passaggio dall’atteggiamento naturale della quotidianità media
72 J. Patočka, “Epoché e riduzione”, cit., p. 149.
73 Come spiega Barbaras, « Le monde est la loi de l’apparaître ; il paraît en toute apparition comme le
fond dont elle procède, l’Un dont elle est une différenciation » (R. Barbaras, Le mouvement de l’existence. Etudes sur la phénoménologie de Jan Patočka, cit., p. 40).
74 R. Terzi, Il tempo del mondo. Husserl, Heidegger, Patočka, cit., p. 178. Nel breve saggio “Forma-del-mondo dell’esperienza e esperienza del mondo” contenuto in Che cos’è la fenomenologia? Patočka scrive: “Il mondo condiziona l’esperienza, (…) è all’opera nell’esperienza in quanto orizzonte non tematico, e l’orizzonte è la promessa di qualcosa di intuitivo, concreto e, in questo senso, sempre singolo. Il mondo non è perciò lui stesso un orizzonte (…) ma è eminentemente l’omnitudo realitatis” (J. Patočka, Che cos’è la fenomenologia?, Centro Studi Campostrini, Verona 2009, p. 139)
75 J. Patočka, “Intero del mondo e mondo dell’uomo”, in Id., Il mondo naturale e la fenomenologia, cit., p. 154.
76 Secondo Neri, Heidegger nelle pagine di Essere e tempo sostiene che per superare l’impersonalità e l’inautenticità della quotidianità media occorre “un’‘epoché’ di tipo particolare, non un metodo intenzionalmente praticato, ma innanzitutto una situazione emotiva in cui veniamo a trovarci al di fuori
all’atteggiamento autentico, tuttavia, non avviene in virtù della decisione liberamente assunta da parte del filosofo, ma si produce come conseguenza di un evento che sopraggiunge, o di una situazione in cui ci troviamo a cadere, al di fuori della nostra volontà: si tratta, evidentemente, della disposizione emotiva dell’angoscia (Angst). Anche in Patočka – forse attraverso l’influenza di Eugen Fink, il quale interpreta esplicitamente l’epoché come stupore e insiste sulla natura traumatica di quest’ultimo77 – l’epoché assume il valore di uno scuotimento esistenziale che mette tra parentesi le certezze che orientano le nostre prassi quotidiane. Dunque per Patočka, come per Heidegger, l’epoché non è il gesto teorico di una soggettività disinteressata, ma si configura come un “passo indietro” effettuato dall’esserci dinnanzi al mondo come totalità. L’epoché non dischiude il campo della coscienza assoluta, ma quello di un io finito e che si scopre come tale aprendosi all’ente in totalità78. In sostanza, potremmo dire che la radicalizzazione dell’epoché proposta da Patočka non sia tesa solo a coinvolgere il polo della soggettività nel gesto di sospensione, ma anche a mettere fuori circuito l’impostazione volontaristica dell’epoché husserliana79: vedremo come in Patočka l’epoché venga a coincidere con un evento espropriante che, schiudendo l’orizzonte della totalità, rinvia il soggetto alla sua finitezza.
della nostra volontà, uno straniamento esistenziale che neutralizza in noi il normale coinvolgimento pragmatico nel mondo” (G. D. Neri, Il mondo del lavoro e della fatica, Aut aut, 299-300, 2000, p. 167).
77 Nel tentativo patočkiano di far dialogare il pensiero di Husserl e quello di Heidegger bisogna riconoscere l’influenza di Fink. Si deve probabilmente a Fink la rilettura in chiave esistenziale dell’epoché husserliana proposta da Patočka: Fink, infatti, identifica nello stupore la situazione emotiva fondamentale: esso viene descritto come lo spaesamento espropriante che sospende l’atteggiamento naturale nei confronti del mondo e pone di fronte alla natura enigmatica delle cose (E. Fink, Studien zur
Phänomenologie 1930-1939, Martinus Nijhoff, Den Haag 1966, tr. it. di N. Zippel, Studi di fenomenologia 1930-1939, Lithos, Roma 2010).
78 Patočka si occupa delle trasformazioni subite dalla nozione di epoché nel passaggio tra Husserl ed Heidegger in diverse occasioni e in particolare nel saggio di Che cos’è la fenomenologia? dove interpreta il saggio Che cos’è la metafisica? di Heidegger come una ridefinizione critica dell’epoché di Husserl.
79 La tesi secondo cui l’epoché patočkiana si compie nella passività di un evento che sopravanza la volontà del soggetto può sembrare in contraddizione con i passaggi in cui Patočka caratterizza l’epoché come un’esperienza di libertà (« L’epoché est, de toute évidence, un acte qui peut être accompli à
n’importe quel moment, qui ne dépend pas, come les thèses dont la certitude ou l’incertitude n’est pas en notre pouvoir, de conditions objectives. Cette liberté de l’acte de l’epoché tient au fait qu’il ne contient aucune thèse, voire n’en fait qu’une avec la liberté même da la pensée, avec son indipéndance à l’égard de tout contenu, de tout donnée, de tout ‘présupposé » J. Patočka, Papiers phénoménologiques, cit., p. 188-89). Tuttavia, nel corso di questo lavoro vedremo come la libertà sia
qui da intendere come l’esperienza negativa della trascendenza: esperienza de-realizzante che si traduce nell’insoddisfazione dinnanzi ad ogni dato ontico e nella disponibilità a lasciarsi scuotere da ciò che irrompe nell’esistenza. In questo senso, la libertà non va intesa come forma di controllo ma come disponibilità allo spossessamento.
Dall’immanenza dell’ego alla trascendenza del sum
L’estensione dell’epoché sposta l’attenzione di Patočka dal terreno dell’ego trascendentale a quello del sum esistenziale: l’istanza del sum designa il modo d’essere di un ente che appare e che si appare riflessivamente in seno all’orizzonte del mondo. L’ego è visibile solo a partire dal
sum e cioè dall’insieme di possibilità che si dispiegano all’interno della sfera fenomenica:
la funzione originariamente pratica e vitale della sfera fenomenica consiste nel rendere possibile questo incontro con se stessi. Il fenomeno non è un io; esso è fattuale, ma riempito fino all’orlo di caratteri che rendono l’ego visibile mettendolo in presenza delle possibilità del suo essere: in questo modo si può dire che non è nell’osservazione del soggettivo che si conosce come si costituisce l’oggetto, ma è invece nell’osservazione di ciò che è oggettivamente fenomenico che si impara, come in un negativo, a conoscere il soggetto.80
Patočka sostiene dunque che l’incontro con se stessi, e cioè l’atto riflessivo che genera la soggettività, si produca come effetto di rimbalzo a partire dalla sfera pratica e fattuale del fenomeno. Come scrive Emilie Tardivel: « la réflexion est moins un acte d’auto-fondation, que
le mouvement de ma propre subjectivité vers un monde »81. Il sum si definisce dunque come esistenza-al-mondo in senso heideggeriano, esistenza che si dispiega nel terreno primario della prassi e che intrattiene un rapporto col mondo che eccede la pura tensione conoscitiva.
La nozione di esistenza ci porta a scorgere altri due elementi di ascendenza heideggeriana nella coscienza della finitezza e nella questione della differenza ontologica declinata, per l’appunto, come esistenza. Secondo Patočka, Heidegger ha mostrato che i comportamenti del
Dasein dipendono dalla sua temporalità estatica e finita, così come la possibilità di riscattarsi
dalla dispersione inautentica e impersonale del Man sboccia dalla consapevolezza della propria mortalità. Patočka fa sua questa lezione e pone la finitezza alla base dell’esistenza che nella consapevolezza del limite trova la possibilità di dispiegarsi in modo autentico. Come suggerisce Françoise Dastur, nel testo La phénoménologie et la question de l’homme82, un
80 J. Patočka, Che cos’è la fenomenologia?, cit., p. 281.
81 E. Tardivel, La subjectivité dissidente. Etude sur Patočka, in “Studia Phaenomenologica” VII (2007), 435-463.
82 F. Dastur, La phénoménologie et la question de l 'homme, « Les cahiers de Philosophie », 1990-91, 11-12, pp. 83-92.
motivo ricorrente della filosofia occidentale è la contrapposizione tra atteggiamento di rifiuto della finitudine mondana con la conseguente tensione all’immortalità (da Platone a Husserl) e l’atteggiamento che al contrario pone la priorità ontologica del mondo e l’insuperabilità del contesto mondano di un’esistenza finita (da Aristotele a Heidegger). Patočka riesce a trovare un equilibrio tra queste due tendenze: riesce, cioè, a combinare la trascendenza metafisica del