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URA DI SÉ E CORAGGIO DELLA VERITÀ
Cura di sé: un terzo asse
Ivan Chvatík e Pavel Kouba, curatori dell’edizione cèca delle opere complete di Jan Patočka, hanno scelto di riunire molti dei testi patočkiani sotto il titolo di “Cura dell’anima”, ritenendo che esso possa riunire diversi vettori di ricerca:
works that concern the position of human beings in the world and history: from the moral and religious questions of the individual through the attitudes towards current social and political events up to general reflections on the philosophy of history.413
Nel corso di un convegno sul filosofo cèco che si svolse a Bergamo nel giugno del 2009, Chvatík tornò a motivare questa scelta spiegando che l’espressione “cura dell’anima”, nel caso di Patočka, risulta appropriata per tutti quegli scritti capaci di far emergere la specificità di “un impegno filosofico durato tutta la vita”414. Un impegno che Patočka formulò già all’inizio della sua carriera e cui rimase fedele fino alla fine:
Filosofare non è un’attività puramente intellettuale che possa venir esaustivamente chiarita e giustificata (…). Filosofare presuppone un atto di coraggio, un’assunzione risoluta di rischio, consistente nel legare la propria vita a una speranza che può rivelarsi fuorviante e irrealizzabile (…). Il filosofo dovrebbe far sua l’arte di restare, per tutta la vita, sospeso in
413 I. Chvatík, P. Kouba, “Preface to Collection: Care for the Soul”, in J. Patočka, The Collected Works
of Jan Patočka, vol. I, p. 10. (“Lavori che riguardano la posizione dell’essere umano nel mondo e nella
storia: dalle questioni morali e religiose dei singoli individui, passando all'atteggiamento nei confronti attualità sociale e politica fino ad arrivare alle riflessioni generali sulla filosofia della storia”).
414 I. Chvatík, La responsabilità degli “scampati”. Jan Patočka e la sua cura dell’anima nel mondo
un certo senso a una posizione precaria, dal momento che egli non potrà mai scalzare la sua decisione ricorrendo a certezze acquisite.415
La formula “cura dell’anima” si presta, dunque, a dar conto di uno stile di pensiero che lega insieme ricerca filosofica e modo d’esistenza: che è insieme un impegno intellettuale e un atto di coraggio.
Il sottotitolo scelto da Chvatík e Kouba, Raccolta di saggi e lezioni intorno alla posizione
dell’uomo nel mondo e nella storia, spiega come il titolo “Cura dell’anima” riunisca, inoltre,
gli scritti che interrogano il presente a partire da un’acuta consapevolezza della prospetticità e della storicità di ogni significato. Infatti, già dai primi scritti che Patočka dedicò al tema della storia416, troviamo espressa la tesi secondo cui il passato è l’estraneità inquietante che non cessa di interpellarci, l’insieme di quei rapporti appassionati che noi417, nelle nostre dinamiche attuali, facciamo riemergere.
L’espressione “Cura dell’anima”, pertanto, più che indicare un nucleo tematico, sembra evocare un certo ethos: un’attitudine filosofica che scalza il soggetto dalla posizione sovrana del cogito e lo reimmette nella corrente del tempo, nei sussulti della storia, nelle turbolenze del presente.
Mi sia concessa, allora, una forzatura: se nel caso di Patočka l’espressione cura dell’anima si rivela pertinente per tutta una serie di testi che eccede l’ambito specifico della pratica epimeletica, anche l’espressione foucaultiana “cura di sé” potrebbe prestarsi a un uso più esteso: potrebbe indicare tutti quegli scritti in cui Foucault riflette sul rapporto critico e creativo che il soggetto, o meglio il sé418, intrattiene con se stesso. Tutti quegli scritti, dunque,
415 J. Patočka, Kapitoly ze současné filosofie [Capitoli dalla filosofia contemporanea], in Sebrané spisy, 1, Péče o duši I, a cura di I. Chvatík e P. Kouba, OIKOYMENH, Praha 1996, p. 87. Nella prima sezione abbiamo visto come Patočka riconosca nei fenomeni di crisi l’occasione feconda per tenere vivo il pensiero. In questo senso mi sembrano significative le parole che Deleuze rivolse a Foucault: “Come in tutti i grandi pensatori, il suo pensiero ha sempre preceduto per crisi e scosse quasi fossero la condizione della creazione, della sua coerenza estrema” (G. Deleuze, Pourparler, Quodlibet, Macerata 2000, p. 113).
416 Si vedano in particolare Quelques remarques sur les concepts d’histoire et d’historiographie e
Quelques remarques sur le concept d’histoire mondiale ora riuniti in J. Patočka, L’Europe après l'Europe, Editions Verdier, Lagrasse 2007.
417 Nella prossima sezione, soprattutto attraverso un confronto con le posizioni di Foucault, vedremo come questo “noi” sia una nozione altamente problematica.
418 Come avremo modo di approfondire in seguito, se è vero che nei suoi ultimi lavori Foucault reintroduce il problema del soggetto, un problema che, per sua stessa ammissione, egli aveva precedentemente “accantonato”, il soggetto non è mai posto come forma statica, sostanza definita o condizione di possibilità di una conoscenza possibile. Il soggetto è semmai studiato nella sua storia,
in cui l’attenzione di Foucault dall’asse del sapere e da quello del potere si sposta verso l’asse dell’etica: “quello dei rapporti con se stessi”419.
Pertanto, consapevole di allargarne indebitamente le maglie, con l’espressione souci de soi vorrei fare riferimento all’ultima fase della ricerca foucaultiana, una ricerca che Arnold Davidson riassume in tre tappe:
Après l’étude des formes de pratiques discursives qui articulaient le savoir et l’examen des relations multiples, les stratégies ouvertes et les techniques rationnelles qui articulent l’exercice des pouvoirs, Foucault entreprend un nouveau déplacement pour analyser des formes de subjectivation (…).420
Tecniche di sé e pratiche di libertà
Nel testo Il soggetto e il potere Foucault descrive le movenze del suo pensiero, aiutandoci a comprendere le ragioni della torsione teorica assunta dalla sua ricerca finale:
il mio obiettivo (…) è stato quello di fare una storia dei differenti modi di soggettivazione degli esseri umani nella nostra cultura. Nel mio lavoro ho considerato i tre modi di oggettivazione che trasformano gli esseri umani in soggetti.421
Foucault passa dunque in rassegna i tre vettori lungo i quali, a suo avviso, gli esseri umani si costituiscono come soggetti. Vi sono, innanzitutto, le oggettivazioni operate dai saperi che si dotano dello statuto di scienza: l’oggettivazione del soggetto parlante nell’ambito della grammatica generale, per esempio, o del soggetto produttivo nell’analisi economica. Vi è poi l’oggettivazione prodotta da quei poteri che operano attraverso “pratiche di divisione”: il folle
nella sua genesi, nelle sue variazioni, così da invertire la direzione tradizionale del rapporto trascendentale tra soggetto ed esperienza: non è il soggetto condizione di possibilità dell’esperienza, ma è l’esperienza “che è la razionalizzazione di un processo, esso stesso provvisorio, che sfocia in un soggetto o, piuttosto, in diversi soggetti. Chiamerei soggettivazione il processo attraverso cui si ottiene la costituzione di un soggetto, più esattamente di una soggettività, la quale, com’è evidente, è soltanto una delle possibilità di organizzare una coscienza di sé” (M. Foucault, “Il ritorno alla morale”, Archivio
Foucault 3, cit., p. 271), 419 Ivi, p. 230.
420 A. I. Davidson, Présentation de Le gouvernement de soi et des autres, in M. Foucault, Philosophie.
Anthologie, Gallimard, Paris 2004, p. 652.
421 M. Foucault, Il soggetto e il potere, H. L. Dreyfus, P. Rabinow, Michel Foucault: Beyond
Structuralism and Hermeneutucs, The University of Chicago Press, Chicago, 1982, tr. it. di D. Belati,
dal sano di mente, il malato dall’uomo in buona salute, il criminale dalla gente per bene, e così via. Vi è, infine, una direttrice che indaga i rapporti che ciascuno intrattiene col proprio sé per arrivare a costituirsi e a riconoscersi come soggetto: qui il soggetto non viene costituito da linee di forza esterne ma da un ripiegamento sul proprio sé che si traduce in attività creativa.
È quest’ultima direttrice quella che Foucault segue nella fase finale della sua vita. Come si evince dall’intervista L’etica della cura di sé come pratica riflessa della libertà, il fil rouge della riflessione foucaultiana è costituito dal problema dei rapporti tra il soggetto e la verità. Questo problema, tuttavia, può essere illuminato da diverse prospettive: può essere affrontato a partire dalle pratiche coercitive – come nel caso del sistema penitenziario – o nelle forme della conoscenza scientifica – come nel caso del sapere clinico. Una terza possibilità consiste nell’inquadrare il problema dei rapporti tra soggetto e verità a partire dalle pratiche di autoformazione del sé. Si tratta di individuare una diversa area di ricerca:
quella che potrebbe essere definita una pratica ascetica, dando all’ascetismo un senso molto generale, cioè, non il senso di una morale della rinuncia, ma quello di un esercizio di sé su di sé, attraverso cui si cerca di elaborare se stessi, di trasformarsi e di accedere a un certo modo d’essere.422
Se Foucault individua questa traiettoria è perché l’analisi dei rapporti tra soggetto e verità viene complicata dalla comparsa di un terzo termine, e cioè dall’emergere della problematica della libertà. L’analitica del potere, infatti, conduce Foucault a sottolineare, con sempre maggior insistenza, come ogni relazione di potere, se non si traduce in brutale violenza o in bieca dominazione, prevede un margine di libertà come condizione strutturale. In modo analogo, la sua analisi critica dell’ipotesi repressiva423 nell’ambito della sessualità lo ha
422 M. Foucault, L’etica della cura di sé come pratica riflessa della libertà, in Id., Archivio Foucault 3, cit., p. 274.
423 Come spiegano Dreyfus e Rabinow, “In contrasto con l’ipotesi repressiva, Foucault sviluppa una interpretazione radicalmente diversa delle relazioni che intercorrono fra sesso, verità, potere, corpo e individuo. Egli definisce questa sintesi alternativa potere bio-tecnico, ossia bio-potere” (H. L. Dreyfus, P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., p. 186). Il concetto di biopotere – che Foucault elabora in modo puntuale proprio nel primo volume di Storia della sessualità, e dunque in un testo che polemizza con la retorica della “liberazione sessuale” – mette in discussione la natura negativa, proibitiva e coercitiva della visione “giuridico-discorsiva” del potere, per affermare invece la produttività delle relazioni di potere che attraversano l’intero campo sociale. In un articolo apparso su
Le Monde nel novembre del 1976 Foucault riassume i propositi delle sue ricerche per una Storia della sessualità: « D’une façon spontanée, quand on parle du pouvoir, on le conçoit comme loi, comme interdit, comme prohibition et répression ; et on est bien désarmé quand il s’agit de le suivre dans ses mécanismes et ses effets positifs. Un certain modèle juridique pèse sur les analyses du pouvoir, donnant
condotto a dubitare delle velleità di liberazione per scommettere, piuttosto, sul potenziale trasformativo delle pratiche di libertà.
Si tratta del problema che ho dovuto affrontare proprio a proposito della sessualità: ha senso dire ‘liberiamo la sessualità’? Il problema non consiste invece nel tentare di delineare le pratiche di libertà con cui si potrebbe definire che cosa siano il piacere sessuale, i rapporti erotici, d’amore e passionali con gli altri? Mi sembra che il problema
etico della definizione delle pratiche di libertà sia molto più importante dell’affermazione,
un po’ ripetitiva, che bisogna liberare la sessualità o il desiderio.424
Potremmo dire, dunque, che Foucault arrivi a misurarsi con il “problema etico” nel momento in cui nella sua riflessione riemerge la questione della libertà, o meglio il problema contingente, empirico e situato della “pratica della libertà”, poiché l’etica non è altro che “la pratica della libertà, la pratica riflessa della libertà”425.
In modo molto schematico, potremmo dire che egli arriva a questa riformulazione del suo orizzonte di ricerca a partire da due snodi fondamentali:
• L’introduzione della nozione di governo426: una categoria utile a reinterpretare la sua precedente analitica del potere poiché sposta l’accento da un modello di stampo polemico ad un modello più complesso, capace di prendere in esame tanto l’aspetto attivo (come governare?) quanto l’aspetto passivo (come essere governati?) e suscettibile di essere declinato a molteplici livelli: la casa, la famiglia, le anime, la popolazione, se stessi427.
un privilège absolu à la forme de la loi. Il faudrait écrire une histoire de la sexualité qui ne serait pas ordonnée à l’idée d’un pouvoir-répression, d’un pouvoir-censure, mais à l’idée d’un pouvoir-incitation, d’un pouvoir-savoir ; il faudrait essayer de dégager le régime de coercition, de plaisir et de discours qui est non pas inhibiteur, mais constitutif de ce domaine complexe qu’est la sexualité » (M. Foucault,
« L’Occident et la vérité du sexe », Le Monde, n° 9885, 5 novembre 1976, ora in Dits et écrtis II, cit., pp. 105-06).
424M. Foucault, L’etica della cura di sé come pratica riflessa della libertà, in Id., Archivio Foucault 3, cit., p. 275.
425 Ivi, p. 276.
426 Come avremo occasione di spiegare meglio, la nozione di governo è strettamente connessa con quella di libertà: “Quando si definisce l’esercizio del potere come un modo di azione sulle azioni degli altri, quando si caratterizzano queste azioni attraverso il governo degli uomini da parte di altri uomini (…) vi si include un elemento importante: la libertà. Il potere viene esercitato soltanto su soggetti liberi, e solo nella misura in cui sono liberi” M. Foucault, “Come si esercita il potere?”, in H. L. Dreyfuss, P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., pag. 292).
427 Nella sua “Introduzione” a una raccolta di saggi critici sul pensiero di Foucault, Lorenzo Bernini scrive: “ad accumunare gli autori degli studi raccolti in questo volume è la convinzione che l’interesse
• Lo studio della “sessualità” – avviato con La volontà di sapere – che lo pone di fronte a una forma d’esperienza complessa che lo spinge ad indagare il tipo di correlazione che, all’interno di una certa cultura, si instaura tra campi del sapere, sistemi di normatività e forme di soggettività.
E così, come spiega Frédéric Gros, la questione del governo, nel suo versante attivo e passivo, e l’indagine sull’esperienza della sessualità producono una variazione del paesaggio concettuale foucaultiano. Tra la pubblicazione de La volontà di sapere del 1976 e le lezioni de
L’ermeneutica del soggetto, tenute al Collège de France tra il 1981 e il 1982, il quadro è
cambiato:
non siamo più di fronte alla modernità dell’Occidente ma all’Antichità greco-romana; non abbiamo più a che fare con una lettura politica, condotta in termini di dispositivi di potere, ma con una lettura etica, sviluppata in termini di pratiche di sé. Non si tratta più, infine, di una genealogia dei sistemi, bensì di una problematizzazione del soggetto.428
Nell’introduzione a L’uso dei piaceri Foucault ci fornisce alcune indicazioni utili a chiarire la torsione subita dalla sua ricerca. Egli arriva ad occuparsi delle tecniche di sé nell’ambito dell’Antichità greco-romana quando si accorge di una carenza nel suo arsenale concettuale: i suoi studi sulla genesi dei saperi e sui sistemi di potere non erano sufficienti a dar conto di una forma di esperienza – quella della sessualità429 – che evidenzia l’emergere di un terzo asse, quello dei modi in cui gli individui sono portati a costituirsi e a riconoscersi come soggetti. La domanda da cui muove Foucault, dunque, è come il soggetto occidentale è stato portato a concepirsi come soggetto di desiderio: per rispondere a questa domanda occorre impegnarsi in
dell’ultimo Foucault per il rapporto che la trattazione greca, ellenistica e romana della epimeleia
heautou (o cura sui) e della pratica della parresia istituisce tra soggetto, verità e potere nasca dalle sue
analisi del governo in età moderna: al pari dei più grandi filosofi del Novecento, dell’antichità classica Foucault indaga la possibilità di modi di pensare e di praticare la politica che la modernità avrebbe tentato di estinguere, riuscendo in realtà solo a rarefare” (L. Bernini, Michel Foucault, gli antichi e i
moderni. Parrhesìa, Aufklärung, ontologia dell’attualità, Edizioni ETS, Pisa 2011, p. 6). 428 F. Gros, “Nota del curatore”, in M. Foucault, L’ermeneutica del soggetto, cit., pp. 455-456.
429 Intendere la sessualità come un’esperienza e tentare di farne la storia significa prendere in considerazione la correlazione che si crea all’interno di una certa cultura tra campi del sapere, tipi di normatività e forme di soggettività.
una genealogia430 delle pratiche attraverso cui gli individui danno forma al rapporto col proprio sé.
Si tratta, in altri termini, di intraprendere una storia della soggettività che tenga conto dell’armature technique431 attraverso la quale si stabilisce il rapporto con se stessi. Lo studio delle antiche technai tou biou e delle pratiche epimeletiche non elude la questione del sapere e del potere, ma semmai la complica, introducendo un terzo ambito d’indagine in cui il soggetto, da correlato oggettivo dei dispositivi di sapere-potere, emerge anche come prodotto di una prassi autopoietica.
In sostanza, impegnarsi in un’indagine del mondo greco e romano non significa, per Foucault, riabilitare la cura di sé antica, ma problematizzare lo studio genealogico del rapporto tra soggetto, verità e potere, prestando attenzione anche al versante attivo con cui un individuo si lega a un certo atto di parola, si riconosce come soggetto di una certa pratica, si pone come oggetto di stilizzazione etica.
Foucault e la fenomenologia
Prima di prendere in esame le problematiche specifiche affrontate da Foucault, mi sembra utile accennare al rapporto che la sua indagine intrattiene con la fenomenologia.
Nel corso degli anni Settanta Foucault rilascia numerose interviste in cui prende le distanze dalla “generazione di Sartre e di Merleau-Ponty”432: è nota infatti la tensione critica che negli anni Sessanta oppone molti degli intellettuali della generazione di Foucault alle filosofie di impostazione fenomenologica ed esistenzialista. È bene ricordare, infatti, che negli anni della formazione del nostro autore il clima culturale francese era dominato dalle rielaborazioni della
430 “Una ‘genealogia’ (…) delle pratiche attraverso le quali gli individui sono stati spinti a fermare l’attenzione su se stessi, a decifrarsi, a riconoscersi e dichiararsi soggetti di desiderio, mettendo in gioco gli uni con gli altri un certo rapporto che permette loro di scoprire nel desiderio la verità del loro essere, sia esso naturale o viziato” (M. Foucault, L’uso dei piaceri, Feltrinelli, Milano 2008, p. 11).
431 M. Foucault, Subjectivité et vérité, in Dits et érits II, p. 1033.
432 Cfr. D. Trombadori, Colloqui con Foucault, cit., pp. 31-32; Entretien avec Madeleine Chapsal, «La Quinzaine littéraire», maggio 1966, ora in Dits et écrits I, n. 37; L’homme est-il mort ?, intervista con C. Bonnefoy, «Arts et Loisirs», 38 (giugno 1966), ora in Dits et écrits I; Interview avec Michel
Foucault, intervista di I. Lindung, «Bonniers Litteräre Magasin», 37 (marzo 1968), ora in Dits et écrits I; Foucault répond à Sartre, intervista con J.-P. Elkabbach, «La Quinzaine littéraire», 46 (marzo 1968),
fenomenologia husserliana e dell’esistenzialismo heideggeriano offerte rispettivamente da Merleau-Ponty e da Sartre. Come Foucault stesso dichiarò:
J’appartiens à une génération de gens pour qui l’horizon de la réflexion était défini par Husserl d’une façon générale, plus précisément Sartre, plus précisément encore Merleau-Ponty. Et il est évident que vers les années cinquante cinquante-cinq (…) cet horizon a
pour nous comme basculé.433
Una serie di fattori contribuiscono a destabilizzare l’orizzonte teorico entro cui si è compiuta la formazione di Foucault: la lettura dei testi nietzschiani, l’influsso dello strutturalismo e dell’epistemologia di Canguilhem, l’esperienza letteraria con Blanchot, Bataille e Roussel. Ben presto Foucault prende le distanze dal metodo fenomenologico: in via generale, potremmo dire che il suo principale bersaglio polemico sia l’idea di un soggetto
costituente come fondamento trascendentale di ogni sapere possibile434. Egli si sforza, piuttosto, di dar conto della storicità della ragione facendo la genealogia di un soggetto
costituito: di un soggetto divenuto oggetto per un sapere possibile, di un soggetto capace di
dire la verità su stesso al prezzo di una presa entro le maglie del potere e del sapere, di un soggetto “che emerge come una funzione variabile e complessa del discorso”435.
Pur richiamando le obiezioni che Foucault muove al metodo fenomenologico, mi sembra tuttavia opportuno avanzare una precisazione. Credo, infatti, che il giudizio di Foucault non tenga dal tutto conto delle trasformazioni che la fenomenologia incontra in ambito francese. Se
433 M. Foucault, Dits et écrits I, cit., p. 695. Nell’intervista Strutturalismo e post-strutturalismo,