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Fogo morto (1943) Fuoco spento Luciana Stegagno Picchio Roma: Fratelli Bocca 1956 Menino de Engenho (1932) O Moleque Ricardo (1936) Il treno di Recife

Antonio Tabucchi Milano:

Longanesi

1974

Per riprendere il discorso relativo alla discussione sul Modernismo è interessante fare riferimento a quello che rimane un testo fondamentale per quanto concerne lo studio della letteratura brasiliana in Italia, vale a

dire la Storia della Letteratura brasiliana di Luciana Stegagno Picchio54

oltre che alla nota alla traduzione Il Paese del Carnevale, 1984 (1931) e all’introduzione a Cacao, 1986 (1933)55, della stessa autrice,

all'introduzione56 alla traduzione italiana di Mar Morto, 1989 (1936),

scritta da Claudio M. Valentinetti, alla seconda di copertina della traduzione di Insonnia, 2008 (1947)57 e a un articolo di Ruggero Jacobbi. Nel suo testo Storia della letteratura brasiliana Stegagno Picchio riprende brevemente il discorso relativo ai rapporti tra il Modernismo e la letteratura degli anni Trenta, attraverso rapidi spunti di riflessione che fanno riferimento alle questioni trattate fino a ora. Nel primo paragrafo intitolato L’era di Vargas. Prima fase: 1930-45, che fornisce un quadro storico del Brasile di quegli anni, l’autrice esordisce con un collegamento, tanto esplicito quanto necessario, tra i due periodi:

la “Rivoluzione del Trenta”, la quale fa leva su quelle stesse forze “giovani” dell’esercito (i Tenentes) che nel 1922 si erano pronunciate a Copacabana, porta alla presidenza del Brasile, nel novembre 1930, il leader gaúcho Getúlio Vargas […]58.

La studiosa passa quindi a concentrarsi sulla letteratura e utilizza espressioni che rimandano alle posizioni di cui si è parlato, anche se in modo non sempre esplicito. Affermazioni che fanno pensare a Lafetá: “[…] sono gli anni del ripensamento ideologico e del nuovo impegno, politico e sociale, che sostituisce l’euforia panestetica del primo modernismo”59, ma anche a quanto sostenuto da Lacerda e Miguel

Pereira: “e sono insieme gli anni dell’istituzionalizzazione, da parte di prosatori e poeti, delle conquiste espressive effettuate dalla prima

54 STEGAGNO PICCHIO, L. Storia della letteratura brasiliana. Torino: Einaudi, 1997.

55 AMADO, J. Il Paese del Carnevale, traduzione di Elena Grechi. Milano: Garzanti, 2010, Nota, p.129-137, prima edizione negli Elefanti Bestseller; AMADO, J. Cacao, traduzione di Claudio M. Valentinetti. Milano: Mondadori, 1986, introduzione, pp. 5-13, prima edizione Oscar narrativa. 56 AMADO, J. Mar Morto, traduzione di Liliana Bonacini Seppilli. Milano:

Mondadori, 1989, prima edizione Oscar narrativa.

57 RAMOS, G., Insonnia, traduzione di Alessandra Ravetti. Roma: Fahrenheit 451, 2008.

58 STEGAGNO PICCHIO, L., Storia della letteratura brasiliana, op. cit., 1997, p. 473.

generazione modernista”60. L’uso dell’aggettivo “primo” induce di per sé

a pensare che ne esista un secondo, o almeno che ci sia un seguito: “oggi si è convenuto di coprire col nome di modernismo tutto il periodo che va dalla presa di coscienza del movimento, nel 1922, al 1945”61 e dalla

citazione dello stesso Getúlio Vargas:

le forze collettive che provocarono il movimento rivoluzionario del modernismo nelle lettere brasiliane, aperto con la ‘Semana de Arte Moderna’ del 1922 a São Paulo, furono le stesse che scatenarono, in campo sociale e politico, la rivoluzione del Trenta62.

Stegagno Picchio fa poi riferimento ad altre posizioni, che sanciscono invece la morte del Modernismo, come quella di Manuel de Abreu e di Octávio de Faria, di cui ho già detto, per poi spiegare come sia lo stesso carattere “composito e atipico” del movimento a dare vita a certe affermazioni e al loro contrario. Viene riconosciuto il grande cambiamento avvenuto nel Trenta, non soltanto dal punto di vista storico, ma anche da quello letterario, la nascita del romanzo “radicale” interpretato però come “insieme fatto modernista e prodotto della controrivoluzione antimodernista”, l’inserimento in poesia di componenti come serietà, sofferenza e senso di totalità fino a parlare di un “troppo precoce atto di morte del movimento: le cui conquiste, sul piano dell’espressione anzitutto, si mostravano invece irreversibili”63.

Dalle due pagine prese in considerazione si percepisce l’esistenza di un dialogo esistente tra diverse posizioni e sensibilità, ma su tale dialogo vengono forniti spunti forse un poco sbrigativi, che non conducono a una riflessione, si potrebbe dire uccisa sul nascere dall’affermazione riportata precedentemente secondo la quale “oggi si è convenuto di coprire col nome di modernismo tutto il periodo che va dalla presa di coscienza del movimento, nel 1922, al 1945”. L’idea di un Modernismo che si prolunga torna in alcune delle introduzioni e note

60 STEGAGNO PICCHIO, L., Storia della letteratura brasiliana, op. cit., 1997, p. 473.

61 STEGAGNO PICCHIO, L., loc. cit.

62 Apud STEGAGNO PICCHIO, L., Storia della letteratura brasiliana, op. cit., 1997, p. 474.

analizzate, nelle quali la studiosa parla di un “secondo Modernismo”64 nel

quale rientrerebbe Amado, con la sua “prosa modernista”65, proprio

quell’Amado che non si riconosce nel movimento, come ho già detto. Di fatto non compare una disquisizione di ampio respiro sulla diatriba che sembra aver animato e animare ancora la critica brasiliana sulle pagine di riviste letterarie, di saggi e di pubblicazioni di altro genere.

Un riferimento al Modernismo si trova nell’introduzione di Valentinetti alla traduzione di Mar Morto, 1989 (1936) di Amado, che da quel movimento aveva preso le distanze. Viene chiamato in causa Mario de Andrade e il suo Macunaíma, quello contro cui gli scrittori degli anni Trenta si erano scagliati, per spiegare come sia difficile riuscire a dare

un’identità culturale e “vitale”, nel senso di vita di ogni giorno, a un popolo così vasto e composito, con diversità ataviche e abissali dal Nord al Sud, per abitudini, costumi, religioni ecc. l’aveva capito ed evidenziato provocatoriamente, negli anni ‘20, Mario de Andrade col suo Macunaíma, dall’esplicito sottotitolo: “L’eroe senza nessun carattere”. Niente di più vero. Eroe senza nessun carattere, quindi con tutte le combinazioni possibili66.

Il richiamo vuole in realtà mostrare una caratteristica molto importante del Brasile, troppo spesso accantonata se non addirittura ignorata e taciuta: la varietà di questo paese che, per le sue dimensioni e diversità, potrebbe essere considerato un continente. Non esiste un Brasile, ne esistono tanti, ognuno con caratteristiche e peculiarità proprie, impossibili da raccogliere in un’unica immagine-contenitore, come mostra molto bene proprio la letteratura del Nordest degli anni Trenta, così legata a un ambiente fisico e culturale specifico, che presenta caratteristiche molto ben delineate e totalmente diverse, per esempio, dal sud. Valentinetti comunica questa esigenza di mostrare diverse sfaccettature di questo paese già nel titolo dell’introduzione: “Brasile bello, Brasile dolce, Brasile della memoria”, anche se poi sente la necessità di infarcire il testo di richiami che vanno da Omero, ai blues- men degli Stati Uniti, a Spoon River, realtà per sua stessa ammissione più

64 AMADO, J., Cacao, op. cit., 1986, introduzione, p. 11; AMADO, J., Il Paese

del Carnevale, 2010, op. cit., p. 132

65 AMADO, J., Il Paese del Carnevale, op. cit., 2010, p. 133 e 136. 66 AMADO, J., Mar Morto, op. cit., 1989, introduzione, p. 11.

“note e frequentate dal pubblico italiano”, e ancora al Neorealismo italiano, alla Francia della memoria, forse per rendere più facile e rassicurante l’incontro con il nostro paese. Di fatto si tratta di un’introduzione molto ricca di informazioni, che tocca diversi aspetti del Brasile, non ultimo un breve riassunto della Rivoluzione del Trenta, con riferimento alla Colonna Prestes67, al golpe di Vargas, all’Estado Novo,

alla militanza di Amado nell’Aliança Nacional Libertadora. L’autore si sofferma anche su alcuni degli stereotipi più classici legati al Brasile: “i calciatori, il tanga, il samba, le mulatas”68 e va oltre, fino alla

considerazione sul rapporto tra l’Europa e il Brasile: “[q]uel Brasile ormai ridotto a tutto vacanze (per gli europei, prima di chiunque altro), sesso da esportazione (i “veados”, spesso in cronaca di tutti i giornali) e da importazione (i turisti), Club Méditerranée, ecc.”69. Quello che qui si

intende considerare è che il richiamo al Modernismo ha un obiettivo non direttamente riconducibile alla discussione cui si faceva riferimento.

La stessa posizione di Stegagno Picchio si ritrova nell’informazione presente sulla seconda di copertina di Insonnia:

Graciliano Ramos è considerato uno dei maggiori narratori di quella generazione letteraria che negli anni Trenta del Novecento ha segnato la maturità del Modernismo in Brasile, assieme a João Guimarães Rosa, Jorge Amado e Clarice Lispector70.

Parlare di “maturità del Modernismo” significa infatti intravedere un movimento unico, colto in un particolare momento della sua evoluzione; interessante ma al contempo curiosa l’assenza di Lins do Rego.

67 La Colonna Prestes è un movimento politico e militare organizzato da Luís Carlos Prestesin opposizione al governo di Arthur Bernardes. Si tratta della marcia compiuta dal gruppo di soldati al seguito di Prestes, 26.000 chilometri percorsi dal 29 ottobre 1924 al 3 febbraio 1927 attraverso 14 stati del Brasile (e una parte del Paraguay); azione militare ma, allo stesso tempo, evento geografico-culturale, dal momento che Prestes e i suoi compagni, circa 1500, si vedono spesso obbligati ad aprire letteralmente nuove strade nelle parti più selvagge, sconosciute e ingrate del territorio brasiliano.

68 AMADO, J., Mar Morto, op. cit., 1989, introduzione, p. 11. 69 Ibidem, p. 9.

Non sembra, quindi, esserci molta preoccupazione quanto al problema della continuità-frattura tra Modernismo e letteratura degli anni Trenta. Soprattutto in Valentinetti, che pur si preoccupa di fornire un inquadramento storico del periodo in cui il libro che ospita la sua introduzione è stato scritto, sembra esserci un’urgenza diversa, quella di presentare un Brasile diverso da quello stereotipato e forse non così distante culturalmente dall’Italia. Diverso l’atteggiamento di Jacobbi, che, nell’articolo intitolato “Storie di schiavi e di padroni”71, dedicato

all’uscita de Il treno di Recife (nel giornale erroneamente riportato come Il treno per Recife), traduzione italiana di Menino de ngenho e O Moleque Ricardo di José Lins do Rego, entra con decisione in argomento prendendo nettamente posizione. L’autore dell’articolo dice infatti:

LA GRANDE avventura del rinnovamento della letteratura brasiliana, avvenuto dopo la prima guerra mondiale, si mosse su due strade diverse e spesso opposte: quella del «modernismo» che riuscì ad immettere la poesia del Brasile nel quadro generale delle ricerche d’avanguardia, e quella del realismo regionale, attraverso cui la narrativa prese coscienza della effettiva realtà del paese, dei suoi problemi sociali, delle varianti del linguaggio72.

In queste poche righe Jacobbi riesce a delineare in modo preciso le caratteristiche di questa letteratura regionalista, realista, che permette al Brasile stesso di prendere coscienza di intere realtà che gli appartengono (come non sentire l’eco delle parole di Candido?), ma fino ad allora non da tutti conosciute, segnate da profondi problemi sociali. Letteratura che non è vista come facente propriamente parte del Modernismo, ma come indipendente da questo, sebbene i punti di contatto ci siano; Jacobbi ne individua uno:

[p]roprio sul terreno linguistico le due rivoluzioni in qualche modo vennero ad incontrarsi: l’una e l’altra contribuirono a fondare un modo di espressione tipicamente «brasileiro», privilegiando il parlato sullo scritto, il colloquiale sull’aulico, il

71 “Storie di schiavi e di padroni”, Paese Sera, 26 luglio 1974, p. 7, Supplemento Libri, di Ruggero Jacobbi (ACGV).

72 “Storie di schiavi e di padroni”, Paese Sera, 26 luglio 1974, p. 7, Supplemento Libri, di Ruggero Jacobbi (ACGV). Maiuscolo nel testo.

dato locale di fronte alla tradizione classica portoghese73.

La posizione di Jacobbi è diversa da quella di Stegagno Picchio, sebbene entrambi entrino in merito alla questione, dimostrando che esiste ‘una questione’ e collocano le opere del corpus in una posizione letteraria precisa, che permette al lettore italiano di capire che si tratta di una letteratura che comporta una rivoluzione, un rinnovamento, un momento di presa di coscienza di tante cose. Risulta interessante notare che i due interventi più specifici sull’argomento compaiono in due documenti riconducibili all’epitesto, quindi, in qualche modo, esterni al testo stesso. Evidentemente l’esigenza di situare i romanzi tradotti in modo più preciso all’interno della discussione letteraria attiva in patria è sentita come necessaria solo nel momento in cui si ritiene di rivolgersi a un lettore ‘professionale’ o, comunque, ‘addetto ai lavori’, dal momento che si tratta di un manuale di Storia della Letteratura brasiliana in un caso, di un Supplemento Libri collegato a un giornale nel secondo. Entrambe le tipologie richiedono una certa volontà di approfondimento, vista, in realtà, quasi come un pre-requisito per avere accesso a determinate informazioni.

Le opere contenute nel corpus offrono lo spunto per ulteriori discussioni alla critica in Brasile, come per esempio se sia interessante o meno guardare al romanzo del Trenta a partire dalla dicotomia, tanto sfruttata, tra “romanzo sociale/regionalista” e “romanzo intimista”. Bueno pensa si tratti di una visione manichea, che “imprigiona” alcuni scrittori in una definizione troppo rigida, senza considerare che, nella produzione di uno stesso autore ritenuto, per esempio, “regionalista” si possono trovare opere che si avvicinano all’altra categoria, quella “intimista”, come accade, per esempio, ad Amado: “l’eventuale presenza di brani che si allontanano dall’‘accadimento’, per riprendere il termine di Silviano Santiago, può essere percepita perfino nel più dichiaratamente sociale degli autori degli anni Trenta, Jorge Amado”74 o per il Graciliano

Ramos di Angústia. Alfredo Bosi condivide sostanzialmente tale posizione quando afferma:

73 “Storie di schiavi e di padroni”, Paese Sera, 26 luglio 1974, p. 7, Supplemento Libri, di Riggero Jacobbi (ACGV). Qui si sente il richiamo alla posizione di Lúcia Miguel Pereira.

74 “A presença eventual de trechos que se distanciam do ‘acontecimento’, para

retomar o termo de Silviano Santiago, pode ser percebida até mesmo no mais assumidamente social dos autores de 30, Jorge Amado”. BUENO, L., Uma história do romance de 30, op. cit., 2006, p. 22.

la consueta separazione per tendenze in relazione alle tipologie romanzo sociale/regionale/romanzo sociologico aiuta lo storico della letteratura solo fino a un certo punto; superato questo limite didattico si vede che, oltre ad essere precaria di per sé (dal momento che regionali e psicologici sono capolavori come São Bernardo e Fogo Morto), essa finisce con il non riuscire a spiegare le differenze interne che differenziano i principali romanzieri collocati in una stessa fascia75.

Si tratta, come ho già detto, di scrittori che condividono determinati temi, ambienti, un comune sentire, ma che mantengono significative differenze tra di loro e nello stesso ambito della propria produzione letteraria; non si tratta di scrittori ‘monolitici’.

Bueno si spinge oltre e arriva a chiedersi se questa divisione abbia aiutato o, al contrario, se sia stata d’intralcio alla comprensione di quello che è stato l’impatto del romanzo degli anni Trenta sulla letteratura brasiliana e suggerisce di considerare sempre l’opera letteraria come fonte, a partire dalla quale fare poi eventuali generalizzazioni. Propone quindi l’esempio importante dell’opera ciclica: la letteratura degli anni Trenta sarebbe dunque ricca di opere cicliche, cosa che, in ambito brasiliano, rifletterebbe una tendenza verso il grande affresco sociale. Di fatto, dice Bueno, sono molti i cicli di romanzi che sono apparsi negli anni Trenta: il ciclo della canna da zucchero di José Lins do Rego, i Romanzi di Bahia di Jorge Amado, i Romanzi dell’Amazzonia di Abguar Bastos e la Tragedia Borghese di Octávio de Faria”76. La sua analisi, tuttavia,

continua così:

a eccezione della Tragédia Burguesa, nessuno di essi è nato come romanzo ciclico. Le prime

75 “A costumeira triagem por tendências em torno dos tipos romance social-

regional/romance psicológico, ajuda só até certo ponto o historiador literário; passado esse limite didático vê-se que, além de ser precária em si mesma (pois regionais e psicológicas são obras-primas como São Bernardo e Fogo Morto), acaba não dando conta das diferenças internas que separam os principais romancistas situados em uma mesma faixa”. BOSI, A. História Concisa da Literatura Brasileira. 39° ed., São Paulo: Cultrix, 2001, p. 440.

76 “O Ciclo da Cana-de-Açúcar”, “Romances da Bahia”, “Romances da

Amazônia”, Tragédia Burguesa. BUENO, L., Uma história do romance de 30, op. cit., 2006, p. 41.

edizioni di Menino de Engenho e di Doidinho non fanno alcun riferimento a un ciclo in andamento ed è necessario che sia la critica a identificare una continuità tra i due libri77.

La stessa cosa avviene con la seconda edizione di Menino de Engenho, che presenta due copertine, una a opera di Santa Rosa e una di Cícero Dias; soltanto la prima informa il lettore che quello che ha di fronte è il primo volume del “Ciclo della canna da zucchero” (Ciclo da Cana- de-Açúcar)78:

Immagine 1: Menino de Engenho di José Lins do Rego, Santa Rosa,

seconda edizione

Immagine 2: Menino de Engenho di José Lins do Rego, Cícero Dias 1934

Si tratterebbe di una categoria editoriale, non letteraria, creata dalla casa editrice o dalla critica e non dall’autore, esplicitata sulla copertina, paratesto che definisce, in questo caso, il testo letterario? Bueno si spinge oltre:

l’impressione è che ad avere la mania dei cicli fosse José Olympio e non il romanzo brasiliano degli anni 30, dal momento che in tutti questi casi

77 “Com exceção da Tragédia Burguesa, nenhum deles nasceu como romance

cíclico. As primeiras edições de Menino de Engenho e de Doidinho não fazem qualquer referência a um ciclo em andamento e é preciso que a crítica identifique uma continuidade entre os dois livros”. BUENO, L., Uma história do romance de 30, op. cit., 2006, p. 41.

78 BUENO, L., loc. cit. Ma si veda, soprattutto, BUENO, L., Capas de Santa

Rosa, São Paulo: Edições Sesc e Atelié Editorial, 2015, p. 38 (copertina di Cícero Dias), e p. 102 (copertina di Santa Rosa).

coincidono la denominazione comune e la pubblicazione a opera della casa editrice José Olympio;

e ancora: “nuovi cicli sono stati inventati da editori anche di recente”79. Laurence Hallewell arriva ad attribuire alla moglie di José

Olympio, Vera, l’idea della definizione di “Ciclo della canna da zucchero” da associare ai romanzi di José Lins do Rego: “quando Vera ha suggerito il titolo collettivo di ‘Ciclo della canna da zucchero’ per l’opera, Tomás Santa Rosa è stato assunto per progettare nuove copertine di tipo uniforme”80. Bueno presenta anche il caso di Amado, che pubblica

per la prima volta con la José Olympio Jubiabá nel 1935, edizione a cui fa seguito, l’anno successivo, una riedizione completa delle sue opere con il titolo generale Os Romances da Bahia, che compare sulle copertine accompagnato dal numero romano indicante la sequenza dei singoli romanzi: O Paiz do Carnaval I, Cacau II, Suor III, Jubiabá IV, Mar Morto V Capitães da Areia, VI:81

79 “A impressão é que quem tinha a mania de ciclos era José Olympio, e não o

romance brasileiro de 30, já que em todos esses casos coincidem a denominação comum e a publicação pela José Olympio Editora”; “até recentemente novos ciclos foram inventados por editores”. BUENO, L., Uma história do romance de 30, op. cit., 2006, p. 42.

80 “[Q]uando Vera sugeriu o título coletivo de ‘Ciclo da Cana-de-açúcar’ para

a obra, Tomás Santa Rosa foi contratado para projetar novas capas uniformes”. HALLEWELL, L., O livro no Brasil, op. cit., 1985, p. 486. Le immagini 1 e 2 sono disponibili in https://www.infoescola.com/livros/menino- de-engenho, accesso effettuato il 15 dicembre 2015.

81 BUENO, L., 2015, op. cit., pp. 106 e 107. Le illustrazioni delle copertine di

Cacau, Mar Morto e Capitães da Areia sono state messe gentilmente a disposizione dalla Fundação Casa de Jorge Amado e da me fotografate; quelle di O Pais do Carnaval, Suor, e Jubiabá sono disponibili rispettivamente in: http://palhacodeclasse.blogspot.com/2011/02/tragedia-de-fazer-ironias.html,

http://aprendizdebibliofilo.blogspot.com e

https://obuquineiro.com.br/produto/jubiaba-2a-edicao, accesso effettuato il 15 dicembre 2015.

Immagine 3: O Paiz do Carnaval terza edizione Immagine 4: Cacau, terza edizione Immagine 5: Suor, seconda edizione Immagine 6: Jubiabá, seconda edizione

Immagine 7: Mar Morto Immagine 8: Capitães da Areia

Le copertine di Santa Rosa sulle quali compare l’indicazione che ci si trova davanti a un ciclo di romanzi (sia nel caso di Amado che in quello di Lins do Rego), rientrano di fatto in un progetto editoriale importante: si tratta di dare un’identità iconografica molto precisa al romanzo brasiliano di quegli anni, tanto che nessuna opera che non lo fosse poteva essere dotata di quel tipo di copertina. Dopo aver definito i cicli come un fatto puramente editoriale, Bueno torna però leggermente sui suoi passi e, con una certa cautela, afferma che quanto detto precedentemente non significa, comunque, che l’idea di “ciclo” non fosse

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