3.6 La crisi del ’97
3.6.2 L’Albania e la Comunità Internazionale
Lo studio dell'integrazione europea è stato inizialmente affrontato all'interno della disciplina delle relazioni internazionali, la chiave di lettura più diffusa è stata, non a caso, il realismo. Nell'approccio (neo)‐realista le organizzazioni internazionali sono istituzioni intergovernative, cioè arene dove si incontrano i rappresentanti dei governi nazionali. In un sistema fondamentalmente anarchico, ciascuno Stato agisce per difendere la propria sicurezza e, se possibile, conquistare nuovo potere: i rapporti tra stati sono principalmente competitivi e basati su una sfiducia reciproca [Caiani e Della Porta 2006, 13‐15]. Le strutture di coordinamento, come appunto i trattati di cooperazione, riflettono gli interessi economici e di potenza dei singoli Stati che li sottoscrivono. Anche delle istituzioni europee si è sottolineato il carattere intergovernativo, basato su accordi tra gli Stati membri, orientati ai vantaggi economici derivanti dall'appartenenza all'unione.
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101 Di recente, un approccio istituzionalista ha evidenziato comunque una differenziazione degli attori rilevanti nelle relazioni internazionali. La crescita di organizzazioni governative internazionali ha portato a sottolineare l'orientamento degli stati a cooperare (e non solo competere), insieme alla capacità delle emergenti istituzioni sovranazionali di generare interessi e risorse necessari per la loro sopravvivenza ed espansione. Le organizzazioni internazionali non operano in un sistema anarchico, ma anzi contribuiscono a diffondere regole e norme internazionali, superando anche il principio della sovranità nazionale.
Invece, un approccio costruttivista guarda a una politica transnazionale dove gli attori non sono solo stati ma anche organizzazioni non governative, imprese multinazionali, opinione pubblica, movimenti ecc.. A cambiare non sono soltanto gli attori, ma anche la concezione del loro comportamento. Se il realismo propone un'immagine di attori razionali, che calcolano le loro utilità in relazione a preferenze date, l'approccio costruttivista adotta una logica di "appropriatezza", guardando a come le istituzioni producono norme che strutturano a loro volta l'identità degli attori [Caiani e Della Porta 2006, 13‐15].
Nel caso albanese gli interventi della comunità internazionale si caratterizzarono per una certa «frammentarietà» ed «impulsività», rendendo difficile l'elaborazione di un progetto di politica economica globale valido nel lungo termine, adottando piuttosto una politica dell’"emergenza" che avrebbe ben presto rivelato gravi falle. Si possono ricordare alcuni esempi. In primo luogo, per tamponare massicce migrazioni dal paese e, in un primo momento, per risolvere i problemi di sopravvivenza della popolazione, la comunità internazionale fece cadere una pioggia di finanziamenti che avrebbero fatto diventare l’Albania il paese con i più alto valore di donazioni pro‐capite nel mondo con conseguenze apparentemente positive nel breve termine, ma rovinose nel lungo termine. Insieme alla politica dell'assistenza propria dello Stato albanese, fondata su strumenti come la cassa integrazione, necessaria inizialmente per tamponare il problema della disoccupazione, le donazioni
102 internazionali favorirono una cultura della "dipendenza" [Perrone 1992], senza fornire prospettive in un contesto sociale già di per sé segnato da un forte disinteresse della cosa pubblica e abituato ad un concetto di Stato‐utero in cui l'essenziale per vivere, seppur minimo, era sempre garantito.
In secondo luogo nell’introdurre le riforme economiche in molti casi non si considerò il contesto socio‐culturale dell'Albania, impedendo così un reale "assorbimento" dei cambiamenti.
Infine l'attenzione al problema della costruzione di una società civile in cui immettere riforme economiche fu scarsissima da parte delle istituzioni internazionali, mentre questo compito venne tacitamente demandato alle molte organizzazioni non governative internazionali che si sarebbero adoperate allo scopo, seppure anch’esse in maniera assolutamente frammentata a causa di differenti orientamenti [Segre 1999, 7‐11].
Per quanto l'Albania avesse inizialmente decantato il proprio progresso economico, sostenuta nel suo entusiasmo da organismi internazionali come la Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale che, fino all'inverno del 1996, avevano esaltato il suo particolare successo economico, gli effetti negativi di una transizione condotta nel modo che si è detto sarebbero ben presto emersi. Intanto il Consiglio d'Europa aveva accettato l'Albania come membro sulla base della promessa da parte del Parlamento di adottare una nuova costituzione, di attuare una riforma della magistratura, e di garantire la libertà di stampa. Quest'ultima, come evidenziato in precedenza, già dal 1993 era stata messa in serio pericolo da una legislazione restrittiva. Tuttavia il 24 maggio 1996, a due giorni dal voto, il governo annunciò di aver scoperto un'organizzazione clandestina facente capo al Partito Socialista e orientata ad influenzare l'esito del voto. Il 26 maggio, giorno delle elezioni, a sole tre ore dallo spoglio i socialisti ritirarono tutti i loro candidati. Lo stesso fecero gli altri partiti di opposizione, denunciando il verificarsi di brogli e disconoscendo il risultato elettorale che aveva decretato vincitore il Partito Democratico con ben 122 seggi su 140.
103 Molti osservatori internazionali dichiarano la loro indignazione, chiedendo la ripetizione delle elezioni. Gli osservatori dell’ODIHR e dell’OSCE, che visitarono circa 300 seggi, riconobbero "serie irregolarità tecniche", chiedendo la ripetizione delle votazioni in alcune zone.
L’OSCE dichiarò inoltre nel suo rapporto35 sull'osservazione delle elezioni che la situazione politica attuale avrebbe potuto mettere a rischio le prospettive di democratizzazione del paese.
Non mancarono osservatori occidentali con opinioni del tutto opposte e che riconoscevano la validità del processo elettorale. Il governo italiano e quello statunitense, pur chiedendo l’annullamento e la ripetizione delle elezioni, non replicarono alla risposta negativa del governo. Le elezioni infine vennero ripetute soltanto in quelle circoscrizioni dove, secondo la relazione OSCE, si erano riscontrate serie “irregolarità tecniche”.
Intanto il Segretario Generale dei socialisti europei chiese senza esito l’esclusione dell’Albania dal Consiglio d’Europa. Nelle elezioni municipali dell’ottobre 1996 all’OSCE non venne permesso di osservare le consultazioni. Poterono però controllare il processo, riscontrando le consuete irregolarità tecniche, la delegazione italiana, alcune ONG e il Consiglio d’Europa. Qualche tempo dopo, con il crollo delle società di investimento “piramidale”, sarebbe iniziata la crisi [Guttry e Pagani 1999, 28‐34].