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Una breve ricostruzione storica 

2.4  I modelli della corruzione 

3.2.1  Una breve ricostruzione storica 

Al  fine  di  comprendere  la  transizione  albanese  è  necessario  guardare  indietro nel tempo, cercando di riassumere brevemente le sue fasi storiche12. 

L’Albania,  essendo  prettamente  una  società  arretrata  contadina,  senza  nessuna tradizione di classe operaia, era il paese meno adatto al comunismo di  qualsiasi  altro  paese  dell'Europa  dell’Est.  Mentre  piccoli  gruppi  comunisti  iniziarono  a  crearsi  nelle  città  principali  negli  anni  1920  e  1930,  il  Partito  Comunista  Albanese  (PKSH)  nacque  solo  nel  1941,  con  l'aiuto  diretto  dei  comunisti  jugoslavi.  Molto  presto  diventò  il  partito  meglio  organizzato  e  più  influente di tutti i partiti creati durante la guerra. Alla soglia della liberazione del  paese il Partito Comunista iniziò la guerra civile contro i suoi avversari, giungendo  in  breve  tempo  a  sconfiggere  i  gruppi  più  deboli  e  non  organizzati  come  i  sostenitori del Movimento per la Legalità o chi si batteva per il ritorno del re Zog  e del Balli Kombetar, sostenitore di una repubblica democratica. 

Diversamente  dall'esperienza  degli  altri  paesi  dell'Europa  dell'Est,  il  comunismo  in  Albania,  era  un  prodotto  interno.  In  questo  modo  i  comunisti  albanesi  avevano  il  più  alto  grado  di  legittimità  rispetto  agli  altri  compagni  dell'Europa dell’Est, i quali, tranne i comunisti del ex ‐ Jugoslavia, erano arrivati al  potere  con  l'aiuto  dei  sovietici.  Questo  fattore  ha  dato  la  possibilità  a  Enver 

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Per un analisi dettagliata sull’Albania vedi; Nickel e Iwaskiw 1994; Vickers 1995; Jacques 1995; Vickers e Pettifer 1997; Costa 1995.

61 Hoxha,  leader  del  Partito  Comunista  albanese  durante  tutta  la  sua  vita,  di  imporre al suo popolo uno dei regimi più repressivi che il mondo ha mai visto13. 

Dopo  la  creazione  di  un  governo  provvisorio  nel  novembre  del  1944,  i  comunisti  agirono  in  fretta  per  consolidare  il  controllo  in  tutto  il  territorio  e  costruire uno Stato monopartitico secondo l'esempio sovietico. Nel dicembre del  1945  si  svolsero  le  elezioni  dell'Assemblea  Costituente,  che  un  mese  dopo  dichiarò l'Albania «Repubblica Popolare», dimostrando così la fermezza dei nuovi  leader di legarsi strettamente al blocco dell’Est. L'assemblea formulò una nuova  costituzione, molto simile a quella della Jugoslavia comunista.  

 Anche  se  il  documento  non  nominava  il  «ruolo  particolare»  del  Partito  Comunista  (una  frase  generalmente  inclusa  nelle  costituzioni  degli  altri  paesi  dell'Europa  dell'Est  alleati  dell'Unione  Sovietica),  i  comunisti  albanesi  negavano  la possibilità di una coalizione con altri partiti e gruppi. Enver Hoxha che, pur non  ricoprendo  la  carica  di  segretario  generale  del  partito,  era  primo  ministro,  ministro  degli  esteri  e comandante  generale  delle  forze  armate,  diede  inizio  ad  un’azione politica, economica e militare che mirava al consolidamento del nuovo  ordine. 

Alla  fine  del  1946  il  regime  era  riuscito  a  spegnere  qualsiasi  opposizione  organizzata.  Il  governo  promosse  la  riforma  agraria,  statalizzando  tutte  le  proprietà e le foreste. Secondo il modello economico stalinista, i piani economici  dell'Albania  sottolineavano  il  rapido  sviluppo  dell'industria  pesante  rispetto  all'agricoltura  e  all'industria  leggera.  Tutte  le  aziende  industriali  e  commerciali  diventarono statali e lo Stato acquisì il monopolio sia del commercio interno che  di  quello  estero.  Vennero  confiscate  tutte  le  proprietà  degli  stranieri  e  degli  avversari  politici,  che  vennero  incarcerati.  La  costituzione  del  1946  garantiva  la  libertà  di  religione,  anche  se  dall'inizio  i  comunisti  espressero  chiaramente  l’obiettivo  di  sradicare  qualsiasi  pratica  religiosa.  All'inizio  del  1950  la  maggior  parte  dei  leader  religiosi  più  importanti  erano  stati  giustiziati,  imprigionati,  o  erano stati costretti a lasciare il paese. La campagna antireligiosa diventò molto 

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62 più  aspra  nel  1950‐60,  culminando  nel  1967,  con  la  decisione  del  governo  di  dichiarare illegittima la religione e chiudendo tutte le istituzioni di culto, l'Albania  divenne  così  ufficialmente  il  primo  Stato  ateo  del  mondo.  Nel  suo  primo  congresso,  il  Partito  Comunista  cambiò  nome  in  Partito  del  Lavoro  dell'Albania  (PPSh).  L'Albania  adottò  il  modello  sovietico  della  pianificazione  economica  centralizzata  e  ridusse  le  relazioni  estere  quasi  esclusivamente  con  i  paesi  del  blocco  sovietico,  congelando  i  rapporti  con  l'Occidente.  All'inizio  degli  anni  Cinquanta  quello  albanese  veniva  riconosciuto  come  il  regime  più  stalinista  nell'Europa dell’Est.  

La  successiva  rottura  con  l'Unione  Sovietica  e  l'Europa  dell’Est  e  l'alleanza  con  la  Cina  furono  sviluppi  monumentali  nella  storia  albanese  del  dopoguerra  [Griffith 1963, Hamm 1963]. Infatti al contrario dei paesi del blocco sovietico che  iniziavano  a  migliorare  le  relazioni  economiche  con  l’Occidente,  allentavano  il  controllo  del  partito  comunista  nelle  loro  società,  sperimentando  limitate  riforme economiche, l’Albania entrò in un periodo di lungo isolamento politico e  culturale dal mondo esterno [Biberaj 1986, 1990]. 

 Il controllo del partito venne esteso su tutti i campi della vita. Tirana superò  Pechino, impedendo totalmente lo sviluppo del settore privato e collettivizzano  l'agricoltura.  Nel  1966  il  dittatore  cominciò  ad  attuare  una  sorta  di  rivoluzione  culturale albanese, con lo scopo di eliminare qualsiasi centro di potere capace di  mettere  a  rischio  il  predominio  del  Partito  del  Lavoro.  Vennero  aggrediti  aspramente anche gli intellettuali e molti scrittori famosi furono condannati per  questioni  ideologiche.  Fu  così  che  il  regime  riuscì  a  spegnere  qualsiasi  dissenso  tra  le  file  degli  intellettuali,  spingendo  nelle  due  decadi  successive  scrittori  ed  artisti  a  dimostrare  la  loro  fedeltà  al  socialismo  reale  e  al  Partito  del  Lavoro,  propagandando il ruolo del partito tra le masse. Con l'aiuto di Pechino, dal 1962  al 1978, il governo albanese ebbe la possibilità di continuare la politica ambiziosa  della rapida industrializzazione del paese, giungendo a risultati folgoranti. Da una  società  prettamente  agricola  che  era  alla  fine  della  seconda  guerra  mondiale,  all'inizio degli anni ’80 l’Albania aveva creato una classe lavoratrice importante. 

63 Contemporaneamente  i  comunisti  crearono  un  largo  sistema  di  previdenza  sociale, che garantiva agli albanesi la sicurezza del lavoro, la stabilità dei prezzi,  l'istruzione  e  l'assistenza  sanitaria  gratuita.  Per  di  più,  utilizzando  una  politica  della  riduzione  delle  disuguaglianze,  i  comunisti  fecero  in  modo  che  le  disuguaglianze sociali ed economiche diventassero quasi nulle. 

In seguito alla morte di Mao Ce Dun nel 1976 e alla presa del potere in Cina  da parte di quelli che a Tirana venivano chiamati «revisionisti» in quanto decisi a  seguire  una  politica  capitalista,  le  relazioni  tra  i  due  paesi  degenerarono  fino  a  giungere  due  anni  dopo  alla  rottura  finale  e  privando  l’Albania  dell'unica  ed  ultima fonte d'aiuto esterno. Invece di un’apertura verso l'occidente, il regime di  Hoxha scelse la chiusura totale adottando il motto «tutto con le nostre forze». In  pochi  anni  le  conseguenze  catastrofiche  di  questa  politica  vennero  a  galla,  provocando  il  declino  rovinoso  dell'economia  in  rapida  caduta  [Sandstròm  e  Orjan Sjòberg 1991, 931‐947]. 

La morte di Enver Hoxha nell’aprile del 1985 accese le speranze di un’uscita  dall'isolamento internazionale e l'avvio di riforme politiche, economiche e sociali  ormai  diventate  indispensabili.  Per  quattro  decadi  il  regime  aveva  cercato  di  tener  fede  ad  un  contratto  sociale  non  scritto,  aveva  alzato  il  livello  di  vita  e  creato  un  ampio  sistema  di  previdenza  sociale  in  cambio  della  fiducia  politica  ceca.  Alla  morte  di  Hoxha  il  testimone  passò  a  Ramiz  Alia,  suo  delfino,  che  nel  novembre  1986,  in  occasione  del  IX  congresso  del  Partito  del  Lavoro  d'Albania,  inaugurò un piano quinquennale [Alia 1988, 377] che, però, non ebbe il successo  sperato  a  causa  della  scarsa  produzione  industriale14,  della  bassa  qualità  dei  prodotti  e  della  cattiva  gestione  delle  esportazioni.  Ciò  all'insegna  della  continuità  con  il  suo  predecessore,  pur  in  presenza  di  uno  scenario  internazionale  in  rapida  evoluzione  dovuto  al  «fattore  Gorbaciov».  «L'Albania  non è Est» divenne il motto di Alia quando gli eventi del '89 segnarono la caduta  del  socialismo  reale  nei  paesi  dell'Europa  centrale  ed  orientale.  Ma  le  prime 

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Negli anni che vanno dalla morte del dittatore Enver Hoxha, avvenuta nel 1985, alla cosiddetta «rivoluzione democratica» del 1991 e fino all'inizio del 1993, il paese visse una durissima crisi economica, dovuta alla totale immobilità e all’isolamento progressivo che aveva reso difficili gli scambi economici essenziali per la vita di una nazione.

64 riforme,  silenziose  e  irrilevanti  come,  ad  esempio,  il  permesso  della  vendita  al  dettaglio per i piccoli commercianti ambulanti o di alcune aperture al commercio  con l’Austria, l’Ungheria e la Germania, scalfirono il monolite stalinista albanese.  Intanto  la  nomenclatura,  come  sarebbe  emerso  successivamente,  aveva  già  contratto un debito pari a circa 400 milioni di dollari [Republika 5 dicembre 1993,  2].  

Nel 1988 l'eco della perestroika giunse anche in Albania assumendo il nome  di perteritje ma, ancora una volta, il regime decretò che si trattava di un attacco  al marxismo‐leninismo che avrebbe nuociuto fortemente al paese15. Fu così che,  mentre  nel  resto  dell'Europa  comunista  soffiava  il  vento  del  cambiamento,  in  Albania l'aria restava stagnante e la regola autarchica in auge.