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l’ alTerITà InCoMpresa DI pIer paolo pasolInI

di Gualtiero De Santi37

Non fa dubbio che sia il desiderio omosessuale a offrire un forte pretesto di figura alla creatività pasoliniana. Ma non è ugualmente vero l’inverso: che cioè tale creatività - e congiuntamente la figura intellettuale dell’autore di Scritti corsari e di Poesia in forma di rosa - si risolvano al completo in quella semantica dell’omosessualità che ad esempio per un Dario Bellezza, che di Pasolini fu sodale ed allievo, almeno sino a una certa fase, era in concreto la chiave essenziale per entrare all’interno dell’universo pasoliniano.

La “diversità” non tanto di Pasolini ma nell’opera di Pasolini è infatti composta di molteplici piani, tutti egualmente importanti e reali. Forse quella dei sensi è l’influenza di maggiore intensità, ma essa si contempera e si incontra e scontra, nel sistema della contrad-dizione, con ulteriori tonalità ed inflessioni. Come mostra appieno lo stesso celebre poemetto de Le ceneri di Gramsci (ma in fondo tutta l’opera del grande regista-scrittore).

Del resto, se la stessa diversità pasoliniana appare legata alla sua condizione omosessuale e alla nozione di coscienza infelice, la scelta di usarla in un modo politico sposta il problema in avanti. Perciò nel sistema pasoliniano essa diviene la metafora rappresentativa di tutte le esclusioni e revulsioni. Incrociandosi volta a volta con la negritudine, l’ebraicità, la subordinazione contadina e operaia; poi estensivamente e progressivamente identificandosi con i proletari illuminati dalla fede nella redenzione sociale, e con le grandi masse depredate e affamate dei Terzi e Quarti Mondi del nostro pianeta. Infine stringendosi - già con Pilade, con Porcile - nella irriducibilità ad ogni legge o norma imposte da un potere che tendeva incessantemente a riprodursi e ad agire arbitrariamente.

37 Docente di Letterature comparate all’Università di Urbino “Carlo Bo”.

La metafora della lotta dei figli contro i padri, desunta dal parti-tario classico (Sofocle) e moderno (Freud), e tendente ad unificare il passato col presente, a ricercare nella colpa dell’origine le tracce dell’infelicità moderna e anche dell’alienazione esplicata da Karl Marx, dunque anche collocata nelle prospettive dell’analisi marxiana, diventa alla fine rivelatrice. Essendo il dissidio con la natura e col mondo incomponibile, la diversità è l’argine che si oppone alla distruzione e consumazione di tutto: è lo scandalo vissuto con coscienza civile, sino alla tragica scomparsa.

E i ragionamenti e sentimenti che la sostengono - sia quelli esem-plati su un umanesimo novecentesco e socialista sia quelli portati a indagare la tragicità della condizione umana - sono destinati dal potere a rimanere “considerazioni” sì “inattuali”, per dirla con Frie-drich Nietzsche, ma quanto vere e sconvolgenti. E quanto capaci di incidere sulla realtà e insieme di cogliere la condizione antropologica dell’italiano contemporaneo (in questo solo accostabili alle riflessioni intellettuali di un Giacomo Leopardi, come qualcuno ha osservato).

La concezione e la prassi espressiva di Pasolini - in breve il suo pensiero affidato emblematicamente alla forza della poesia, cioè a qualcosa che è simbolico e in congiunzione una forma del discorso - pertengono dunque a quegli spazi dell’alterità che la ratio borghese e la cosiddetta normalità non sanno ricomprendere nelle loro regole (ma che anche non debbono venirvi integrati).

Una tale impostazione ha guidato Pasolini all’analisi una per una delle molte espressioni della differenza moderna: il ventre naturale e per così dire materno delle piccole ma feconde comunità sociali, in quel Friuli contadino e cristiano che è al centro degli scritti dell’ado-lescenza e della prima giovinezza (a cominciare da quel capolavoro che sono le Poesie a Casarsa); le borgate romane indagate e percorse - in Ragazzi di vita, in Accattone o Mamma Roma - con una gram-matica e una sintassi narrativa e filmica in oscillazione tra il profano e il sacro (caratteristica presso che unica nell’arte contemporanea e

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appartenente quasi esclusivamente a Pasolini, come di recente ha ricordato Martin Scorsese nella sua “lectio” all’Università di Bologna nell’occasione del conferimento della laurea honoris causa al regista statunitense).

E poi l’Africa, il Terzo Mondo, la preistoria, sentiti e descritti in una loro purezza originaria - in quella desolazione che li fa comunque esistere dentro una verità e una letizia pre-borghesi - e insieme nella miseria e nel dolore. Termini volta a volta di sconfitta e di speranza, di attesa di futuro (come in Appunti per un’Orestiade africana) e di futuro negato da quell’omologazione culturale che già antivedeva profeticamente i processi dell’attuale globalizzazione.

Bisogna possedere gambe capaci per accettare questa condizione di solitudine, per assumerla sino in fondo. Tale il concetto espresso da Pasolini in un suo passaggio lirico. Perciò la diversità non è unica-mente il prodotto della reiezione e discriminazione razzista indotte dallo sfruttamento neo-capitalistico e dalla divisione della società in classi. Ma, nell’universo grigio delle merci e del pensiero unico, anche la rivendicazione della poesia. Ed è diversità l’abito intellettuale e critico esercitato nel presente da pochi (dalle avanguardie culturali oppure operaie), e nella prospettiva comunista dai molti.

Essere diversi è infine pensare oppositivamente, spingendosi al limite del dicibile e del rappresentabile. Il Pasolini visionario dell’ul-tima sua stagione risponde in fondo a questa figura. Nell’apocalisse moderna - già presentita con Pilade e poi esplosa in Salò, in Petrolio - lo sguardo dell’artista contravviene al senso comune campendo sulla pagina, oppure su uno schermo cinematografico o in una sala per teatro o conferenze, quelle immagini che delineano emblematicamente la nostra condizione di moderni e che sono anche parte del tempo.

Questo fa sì che Pasolini non sfugga mai verso la tangente metafisica rimanendo nei solchi della nostra storia italiana della ricostruzione capitalistica e dell’ideologia negativa del progresso. In questo senso la diversità rappresenta finalmente l’opposto di tutto ciò.

In alto:

dimostrazione di lavoro conclusiva del laboratorio diretto da Piero Ristagno.

A fianco:

L’ombra delle parole, Teatro Scalo Dittaino.

Sotto:

John Schranz con Emilio Pozzi.

Alle spalle di Pozzi, Claudio Facchinelli e Gastone Mosci.

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VII. Poesia, teatro, diversità II

(Settima edizione del convegno, 21-22 ottobre 2006)

Nel tentativo di approfondire la conoscenza degli accostamenti creativi tra poesia, teatro e diversità, “Il coraggio è una cosa” è il titolo che Piero Ristagno suggerisce per il suo secondo seminario a Cartoceto, prendendo a prestito un verso di Roberto Roversi dalla raccolta “L’Italia sepolta sotto la neve”. Il poeta Giancarlo Sissa dedica a Roversi un incontro rivolto ad allievi della Scuola “Marco Polo” di Lucrezia.

“Il teatro sociale è teatro popolare nel senso più alto e poetico del termine” suggerisce il regista Enzo Toma in un seminario di formazione.

Parallelamente il burattinaio Mariano Dolci si riferisce alla “Metafora concreta” per i linguaggi del Teatro di Animazione offrendo una esemplificazione attraverso lo spettacolo “Le sensate esperienze” dedicato a Galilei. Il Centro Teatro Universitario di Ferrara presenta Indignitas, spettacolo con la regia di Daniele Seragnoli ispirato ad alcune poesie di Gian Pietro Testa per il venticinquesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna. Grande partecipazione emotiva, inoltre, intorno ai due interventi di Giuliano Scabia su “Il Tremito. Che cos’è la poesia?” e di Gianfranco de Bosio su “Il fiume della poesia”.