I l fIuMe Della poesIa
VIII. Teatro e Follia
(Ottava edizione del convegno, 27-28 ottobre 2007)
Dopo una riflessione sulla “Convenzione internazionale per la difesa e la salvaguardia dei diritti e della dignità delle persone con disabilità”
insieme a Urbano Stenta, consulente per le politiche della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli esteri, si entra subito nel vivo del tema principale del convegno con l’intervento di Sergio Piro su “Teatro, disagio psichico, antropologia trasformazionale”. Ancora una comunicazione di Gianfranco de Bosio su “La possessione da Dioniso ad Artaud” e due testimonianze su teatro e disagio psichico della regista greca Tania Kitsu di Thessaloniki e di Mariano Dolci, del quale era stata già ospitata nell’ambito del convegno 2005 una mostra dal titolo “La parentesi”
su trent’anni di burattini in contesti di cura a Reggio Emilia. Lasciando spazio anche ad altre tematiche, nel 2007 si consolida l’esperimento del Festival Le Visioni del Cambiamento, con spettacoli promossi all’Università di Urbino: Visioni contemporanee della marionetta della Compagnia italo-francese Stultifera Navis, Antigone della Compagnia Bagnati di luna dell’Associazione Italiana persone Down di Catania, L’isola sconosciuta con attori del Teatro Aenigma e dell’AIPD. Ancora un seminario di formazione curato dall’attore Massimo Ranieri esperto in ricerche di antropologia teatrale applicata.
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eaTro,
DIsagIo psIChICo,
anTropologIa TrasforMazIonaledi Sergio Piro45
In Italia, già a partire dagli anni cinquanta, si sviluppò in psichiatria
I e in psicopatologia generale un’opposizione sempre più forte all’op-pressione manicomiale e alle totale mancanza di una cultura della cura nel campo della sofferenza malamente detta psichiatrica. In Italia negli anni cinquanta vi furono molti studi nuovi sui rapporti fra arte e follia e nel 1958 fu fondata la Società italiana di psicopa-tologia dell’espressione, in cui confluirono molti psichiatri giovani italiani fra cui Maccagnani, Basaglia, Pirella, Jervis e chi Vi parla;
la successiva fondazione di una Società internazionale di psicopa-tologia dell’espressione con la convergenza di nomi altissimi della migliore psichiatria antropologica internazionale (da Minkowski a Racamier, da Lacan a Irene Jakáb, da Benedetti a von Gebsattel, etc.). Gli studi sull’espressione pittorica, poetica, musicale dei malati mentali videro presto la trasformazione delle attività dei pazienti in atelier protetti a favore della loro attiva partecipazione ad attività artistiche complesse, teatrali e musicali, non più come spettatori, ma sempre più come protagonisti e, più tardi, come autori e registi. Di tutto ciò vi è documentazione estesa.
La decisione italiana, dapprima di movimento e poi anche politica
II nel suo farsi concreta proposta di riforma, di abolire il manicomio e porre fine alla condizione di abbruttimento e di maltrattamento di massa che vi era connessa, favorì la vampata d’interesse per i malati mentali, per le loro attività spontanee, per la loro capacità
45 Psichiatra , direttore del Centro sperimentale di antropologia trasformazionale a Napoli.
Documento trasmesso dall’autore impossibilitato a raggiungere Cartoceto per motivi di salute. Piro, protagonista insieme a Basaglia della riforma psichiatrica italiana, è morto a Napoli il 7 gennaio 2009 all’età di 81 anni.
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partecipativa artistica, per il valore terapeutico di un’attività che implicava una trasformazione esistentiva profonda, un ritorno alla vita, un vantaggio terapeutico senza precedenti, singolare e plurale, dei sofferenti e degli altri che erano con loro. Non v’è qui bisogno di spiegare perché in una siffatta situazione, l’attività connessa al teatro divenne centrale, praticabile, fertilissima.
Si fa qui un breve
III excursus della ricerca di chi Vi parla sull’argo-mento.
1. Se si approfondisce lo studio del rapporto fra antropologia
• generale e studio dell’accadere teatrale, la pratica sociale dei singoli o dei gruppi è sempre un’azione scenica; così essa dà alla conoscenza scientifica intesa come narrazione accurata dell’accadere.
2. La potenza trasformazionale della scena ha il suo correlato
• antropologico diretto nell’ineludibile teatralità di ogni acca-dimento umano (culturale, didattico, «terapeutico», politico, etc.), proteso ad ottenere trasformazioni in altre donne e in altri uomini.
3. Le parole
• trasformazionalità e teatralità sono modi diversi per parlare di una stessa fluente caratterizzazione della comu-nità umana.
4. Nella pratica sociale, come nella vita, il testo letterario non
• è scritto da una sola «persona» o «maschera» prevalente di un singolo, bensì da tutte le «persone» che vanno configurandosi come attori: il testo letterario dell’attività trasformazionale è così anche un aggregato di copioni personali.
5. Mentre nel teatro il copione deriva dal
• testo, nella vita il
testo letterario è la risultante di una serie di copioni aggregati stocasticamente.
6. La
• scena trasformazionale della vita contiene tutti i copioni testuali come elementi di compresenza progettuale e linguistica
nel flusso degli eventi trasformazionali nuovi che senza posa si costituiscono nello svolgimento scenico (degli incontri, degli interventi nel sociale, della «cura», etc.).
7. Nelle scene trasformazionali della vita, dell’insegnamento e
• della «cura», un singolo può essere portatore protensionale di un unico copione personale oppure di una molteplicità di copioni personali, in accordo con l’ipotesi antropologico-trasformazionale che la singolarità coincida con una molteplicità intrasingolare di «persone» o «maschere».
8. Così, contro ogni forma di falsa innocenza ideologica e di
• limitazione d’orizzonte, la ricerca trasformazionale che chi Vi parla ha svolto per molti anni, postula la fondamentale teatralità degli accadimenti antropici plurali.
9. Questa
• fondamentale teatralità variamente e incessantemente si combina con il lirismo, l’oratorietà, la retoricità e l’interro-gatività dell’espressione, in uno svolgimento temporale multi-dimensionale che non ha mai fine.
10. Fare teatro è allargamento senza posa e senza limiti
dell’inte-• riorità alonare. Alonare significa qui che non v’è moto interiore che non abbia conseguenza all’esterno, nel campo antropico continuo che è intorno a noi e che continuamente muta.
Per la necessaria brevità qui non si fa accenno ad altre attività ad
IV elevata attività trasformazionale, come la musica che pure chi Vi parla ha intensamente approfondito e delle arti che vi sono connesse.
Si ritorna invece al punto di partenza: tutte le attività trasformazio-nali, che coinvolgono la persona sofferente o nelle quali chi soffre autonomamente si getta, hanno un’enorme potenza di «cura». Esse possono generare un turbine trasformazionale che getta la donna e l’uomo al di là dell’immobilità vitale, della resa alla malattia, della nullificazione esistentiva.
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Di tutto ciò si sarebbe dovuto parlare più estesamente. Al rapporto
V fra trasformazione e prassi, fra trasformazione e cura, fra trasforma-zione e arte era necessario dar maggiore spazio. Era necessario dire più estesamente che cosa significa in senso antropologico generale il termine trasformazione.