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L’ambiente come terzo educatore

Nel documento The Classroom has Broken (pagine 37-41)

L’ambiente come terzo educatore

Giuseppina Cannella

INTRODUZIONE

modello scolastico e la necessità di “rifiutare” il modello tradizionale di scuola della modernità. Con queste premesse nasce la Escola da Ponte.

L’obiettivo educativo è quello di rendere l’alunno autonomo attraverso un percorso di apprendimento per scoperta e un approccio critico alla realtà in modo da favorire la razionalizzazione dei processi cognitivi aumentando l’autostima. Il suo percorso narrativo procede verso la de-scrizione di una progettazione, condivisa tra più soggetti, di una visione di scuola che ha come obiettivo la formazione e l’educazione del sog-getto in un dato contesto. È lo spazio che guida il percorso quotidiano di scoperta di ogni studente: «Non ci sono classi, né lezioni. Uno spazio di apprendimento può, all’inizio della giornata, accogliere un lavoro di gruppo, può servire per l’espressione drammatica a metà mattinata, a fine giornata può ricevere i bambini che parteciperanno ad un dibattito.

Nella stessa giornata, il polivalente può essere uno spazio mensa, di as-semblea, di espressione plastica, di educazione fisico-motoria» (si veda il contributo di José Pacheco).

Lo spazio diventa il terzo insegnante se viene progettato insieme all’or-ganizzazione del tempo didattico e alla tipologia di attività necessarie al raggiungimento degli obiettivi e «ha senso nel quadro di un proget-to locale di sviluppo, che trova espressione in una logica comunitaria e presuppone anche una profonda trasformazione culturale» (si veda il contributo di José Pacheco).

Su questa linea di pensiero si attesta il contributo di Harry Daniels e Hau Ming Tse), che descrivono luci e ombre di un percorso avviato qualche anno fa in Inghilterra e che ha come fondamento la progettazione parte-cipata come una pratica sociale. Nel loro contributo emerge chiaramente l’importanza del coinvolgimento degli utenti nei processi di progettazio-ne o riprogettazioprogettazio-ne degli spazi di una scuola poiché il coinvolgimento ha un effetto diretto sulle componenti sociali e sul senso di appartenen-za degli studenti.

In particolare è emerso che nonostante i buoni propositi dell’autorità promotrice della nuova costruzione, che ha costituito un gruppo di progetto che elaborasse una visione in funzione della progettazione esecutiva, in alcuni casi è stata rilevata una certa discontinuità tra i desiderata espressi nel progetto didattico e la struttura realizzata;

o in altri casi in cui sono state realizzate le indicazioni espresse nel progetto pedagogico, lo spazio è stato utilizzato dagli utenti in maniera tradizionale, spesso a causa di un cambio del dirigente scolastico.

Nell’esperienza riportata si è verificata una corrispondenza tra visione della scuola e progetto finale quando all’interno della commissione

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è stato incluso un membro della scuola sia esso il dirigente scolastico o un docente suo vice. Di qui l’importanza di quello che in contesto anglosassone viene chiamato “Design Brief” (Barrett, 2015; Blyth, 2007;

Fontana, 2007; Woolner, 2009) e che nel contesto normativo italiano si può assimilare al Documento Preliminare di Progettazione (DPP). Nella tradizione anglosassone, vista la recente esperienza, il “Brief” comincia ad assumere i connotati di uno strumento che descrive il processo di costruzione e quindi si presenta come un documento dinamico, funzionale a esplorare i desiderata del committente e stimolare i progettisti. In Italia lo schema del DPP è ancora strutturato in una sequenza lineare e prevede che tutti i dettagli del progetto siano ben definiti prima della fase esecutiva.

Per evitare di costruire edifici disfunzionali, gli autori suggeriscono tre principi: 1. una chiarezza della visione della scuola; 2. la partecipazione degli utenti al processo di progettazione e infine 3. una valutazione dopo l’occupazione da parte degli studenti non solo delle funzionalità tecniche ma anche degli aspetti pedagogici.

Un approfondimento di quest’ultimo tema (la valutazione funzionale degli spazi dopo l’occupazione degli utenti) ci viene offerto dal caso australia-no. Il prof. Wesley Imms mette in evidenza l’importanza di una fase valu-tativa dopo l’occupazione da parte degli utenti di spazi scolastici nuovi o rinnovati. L’altro aspetto, tipico del contesto australiano, della ricerca sul rapporto tra pedagogia e architettura, riguarda il metodo utilizzato anche per l’ambito della post-occupancy evaluation che si basa su un approccio evidence-based, già ampiamente utilizzato nelle ricerche di John Hattie.

Il gruppo di ricerca guidato dal prof. Wesley Imms ha sviluppato una serie di strumenti di valutazione isolando le variabili più adeguate per misurare l’efficacia dello spazio progettato. Il contributo infatti propone una rassegna di questi strumenti indicando per ciascuno i risultati dell’uso di questi nella valutazione dell’impatto. Anche in questo caso, nonostante l’alto livello di progettazione, una delle criticità che emerge riguarda la formazione degli insegnanti all’uso di uno spazio non convenzionale. La ricerca rivela che nonostante le premesse positive «l’approccio pedagogico predominan-te nelle scuole parpredominan-tecipanti è quello incentrato sull’insegnanpredominan-te» (si veda il contributo di Wesley Imms). Il passaggio successivo e ulteriore che la ri-cerca adesso deve compiere, dopo una progettazione di qualità degli spazi, riguarda la verifica della loro efficacia cercando di identificare i modi migliori per aiutare gli insegnanti ad adattare i loro metodi pedagogici.

Il percorso che gli autori di questa sezione ci hanno permesso di fare si può riassumere in tre parole chiave, che possono consentire al terzo

insegnante di diventare protagonista al pari degli altri due: un modello di una scuola che sia condiviso e portato avanti in maniera comunitaria;

una progettazione non appena partecipata ma condivisa e una valuta-zione dell’impatto nell’uso degli spazi che porta con sé ancora una volta l’accompagnamento degli insegnanti ad un uso consapevole degli spazi sulla base della loro progettazione funzionale.

Lo spazio quindi si presenta come un sistema in cui, parafrasando Saussure, tutte le parti devono essere considerate nella loro sincro-nicità. Esso è inglobato in un sistema più ampio, il sistema educativo, i cui elementi costituitivi sono il comportamento umano, il processo di apprendimento, le funzioni dell’insegnamento, la variabile tempo e i simboli.

Riferimenti Bibliografia

Alexander, C. (1977). A Pattern Language. OUP USA.

Barrett, P., Davies, F., Zhang, Y. & Barrett, L. (2015). The Impact of Classroom Design on Pupils’

Learning: Final Results of a Holistic, Multi-Level Analysis. Building and Environment, 89, 118-133.

Blyth, A. & Worthington, J. (2007). Il progetto e il committente. Ed. it. a cura di Carlotta Fontana.

Napoli: Se (Sistemi Editoriali).

Edwards, C., Gandini, L. & Forman, G. (a cura di), (2014). I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia. Bergamo: Edizioni junior.

William Goldhagen, S. (2017). Welcome to Your World: How the Built Environment Shapes Our Lives. Harper.

Woolner, P. (2010). The Design of Learning Spaces. Future Schools.

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The metaphor of space (or physical environment) embodied in the figure of the “Third Educator” came out of Loris Malaguzzi’s experiences in the 1970s. Conceivably, in coining this expression, Loris Malaguzzi’s concern was to throw light on the world of children for adults. The importance of the environment – for Malaguzzi – lies in the conviction that children can create meaning and make sense of the world better in environments that uphold relationships between complex and variegated situations.

From here come two aspects related to the concept of space, so dear to this teacher from Reggio Emilia: the importance of relationships, and the languages of children. In this way, space becomes not only a physical casing that protects the pupils and allows them to move around. It is also content or, as Alexander said (1977), a place becomes a space when it is connoted by emotional relationships, which fill it with stimuli for constructive learning (Gandini, 2014).

A space comes equipped with its own grammar which, also in the light of recent research in the field of neuroscience, influences our psychophysical wellbeing (Goldhagen, 2017). Like any other language, space is multi-sensory, since it involves the five senses (sight, hearing, taste, touch and smell) but also receptors such as the skin, the membranes, and the muscles. As a relationship tool, it promotes or inhibits interactions between people and objects in a network of possible connections and constructions. In short, it is an element that is seemingly invisible, but that describes and shapes our life. This point inspired Indire to take up the reflection which in 2013 produced its manifesto 1+4 Learning Spaces for a New Generation of Schools, investigated further in subsequent chapters.

Malaguzzi’s space was born within a precise context, to realize the vision of a school whose goal was education. José Pacheco, who speaks to us of the value and function of space, and therefore the learning environment, tells us about the experience of the Escola Da Ponte educational model. Pacheco highlights some features of the Portuguese experience which subsequently spread to South American countries,

THE ENVIRONMENT AS THE THIRD TEACHER

The Environment as the

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