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L’ambito paternalistico

CAPITOLO III: GLI AMBITI DEL WELFARE AZIENDALE

3.3 L’ambito paternalistico

La trattazione incomincia da questo ambito in quanto in esso è possibile rintracciare la linfa originaria del futuro welfare aziendale. Ci si riferisce in particolare a quelle realtà industriali che, già a partire dai primi anni del secolo scorso, si occupavano non soltanto della produzione di beni e servizi per il mercato dei consumi, ma anche della crescita del tessuto sociale nel quale operavano. Lo sviluppo del welfare aziendale, in Italia, è strettamente correlato alla storia delle imprese: infatti, il welfare d’impresa era parte integrante delle politiche di piccoli e grandi gruppi industriali andatesi affermando in parallelo con lo sviluppo dello Stato sociale (Ciuffetti, 2012) . Il periodo storico in cui si fa riferimento va dalla dominazione fascista fino al boom economico che ha caratterizzato il periodo della ricostruzione post bellica. Le azioni intraprese dalle imprese in ambito sociale ebbero il merito di assorbire il conflitto tra lavoro e capitale in un momento in cui le stesse imprese vivevano profondi mutamenti organizzativi, dovuti all'adozione dell'impostazione fordista del lavoro. Il modello di sviluppo del primitivo welfare aziendale era costituito dal villaggio operaio, che rappresentò il modello di organizzazione socio-industriale tipico nella fase di avvio del processo imprenditoriale. La costruzione di veri propri villaggi industriali era principalmente causata dalla progressivo abbandono delle campagne da parte degli agricoltori che iniziarono a trasferirsi nei contesti urbani in via di industrializzazione. Intorno alle fabbriche iniziarono a diffondersi delle company town, costituite dalle residenze, strutture ricreative, servizi per la cura dei bambini, mercato e mensa. In questo periodo, che si potrebbe definire come primo paternalismo, convivevano le due anime del welfare aziendale: la risposta ai reali bisogni ed esigenze dei lavoratori da un lato, e l'aumento della produttività degli stessi dall'altro. Questa situazione mutò nel corso del dominio fascista, laddove

l’anima della produttività diventa predominante; ciò per due ordini di ragioni. Innanzitutto perché l'ordine totalitario proprio del fascismo aveva completamente assorbito il conflitto sociale, riducendo di conseguenza drasticamente le possibilità d’intervento di altri attori nella sfera sociale; in secondo luogo, perché la spinta verso l'organizzazione fordista del lavoro focalizzava l'attenzione sull'efficienza produttiva piuttosto che sui bisogni dei lavoratori. Con la fine del secondo conflitto mondiale, lo sviluppo dello Stato sociale vive uno dei suoi momenti di espansione più significativi. In Inghilterra, nel 1942, viene pubblicato il Social Insurance and Allied Services, che propone l'adozione di un sistema di protezione sociale universale, si abbia il fine di tutelare le categorie sociali più deboli. In particolare si sosteneva l'intervento economico dello Stato a favore di quanti si trovavano involontariamente in condizioni di indigenza, come i disoccupati, gli anziani o i malati, nonché l'istituzione di un servizio sanitario nazionale che consentisse l'erogazione gratuita di cure mediche e di assistenza anche per i poveri (Harris, 1994). Gli echi di questo sviluppo sociale, promosso dapprima in Inghilterra e seguito successivamente da altri paesi europei, giunsero anche nel nostro paese, in quel tempo impegnato in ambiziosi progetti di edilizia popolare, aventi il duplice scopo di avviare un innovativo processo di urbanistica e di rispondere ai bisogni sociali dei lavoratori (Benassi, 2010). In questa fase, le imprese continuarono nella loro azione di costruzione di alloggi ma la novità rispetto alle iniziative pregresse è costituita dall’espansione di strutture e servizi a completamento dei villaggi industriali, come mense, colonie, mercati, centri culturali e di formazione. Il tentativo più articolato di convogliare le iniziative delle imprese in un più ampio progetto volto a sostenere il benessere sociale degli operai è rintracciabile nell'esperienza di Adriano Olivetti ad Ivrea. Il vero protagonista di questa iniziativa è stato l'imprenditore, che ha voluto istituire una mutua sanitaria, servizi sociali ma anche istituzioni culturali come biblioteche, esposizioni d'arte o contributi a riviste scientifiche: Adriano Olivetti, infatti, riteneva che la ricchezza prodotta in tre confini della fabbrica potesse ricadere anche sul tessuto sociale non solo in termini economici (attraverso il salario) ma anche in termini di contenuti relazionali (attraverso la fiducia, la cooperazione, la reciprocità) (Ferrarotti, 2013). Tuttavia, a partire dagli anni 70 dello scorso secolo, gli sforzi di coordinare le

azioni imprenditoriali con lo sviluppo di un sistema di tutela sociale e di sviluppo urbanistico iniziarono a rallentare, per interrompersi definitivamente nel decennio successivo. Le motivazioni di questo cambio di tendenza sono essenzialmente riconducibili da un lato alle pressioni competitive che spinsero le imprese ad accantonare ogni velleità di azione sociale per concentrarsi esclusivamente su obiettivi di tipo economico; dall'altro allo sviluppo di un contesto sociale molto conflittuale che iniziò ad interpretare le azioni imprenditoriali come meri strumenti utilizzati dall'imprenditore per ridurre le conflittualità sociali, senza considerare, però, gli effetti benefici sullo sviluppo del sistema locale. In conclusione nell’ambito paternalistico, in un momento storico in cui lo Stato Sociale non era ancora pienamente strutturato, le prime forme di welfare aziendale sono riconducibili all’opera e alla sensibilità di singoli imprenditori illuminati, che colsero l’importanza di intraprendere iniziative a favore dei propri dipendenti, così da permettere un più rapido sviluppo del contesto sociale nel quale erano inseriti. I principali punti di forza di questa impostazione sono costituiti dalla capacità del singolo imprenditore di rispondere in modo efficace ai bisogni dei lavoratori attraverso l'ascolto quotidiano e diretto. Tuttavia l’affidamento dello sviluppo sociale di un territorio al carisma e al buon senso di un singolo soggetto ne costituisce anche il principale punto di debolezza. La più diretta conseguenza è, infatti, uno sviluppo disomogeneo dei territori e una disuguaglianza sociale molto accentuata.