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sociale applicata nelle inchieste e negli interventi

Gli sviluppi più recenti dell’ Antropologia culturale

Fin dalle sue origini, lo abbiamo già visto, l’Antropologia culturale ha messo i propri dati al servizio delle iniziative politiche e sociali destinate a semplificare e a sistemare i rapporti tra gruppi culturali diversi all’interno degli Stati Uniti.

Questa possibile utilizzazione dell’Antropologia culturale viene sfrut­ tata su scala sempre più larga dacché essa è stata riconosciuta come valido strumento nell’individuazione e nella soluzione di un certo numero di scottanti problemi che la seconda guerra mondiale ha imposto alla attenzione dei politici, degli studiosi e spesso anche dell’uomo della strada.

Quali sono questi problemi? Parlando di essi gli antropologi cul­ turali americani intendono riferirsi a fatti di natura politica ed econo­ mica non meno che ideologica e morale. La persistente tensione psico­ logica, la cosiddetta « guerra fredda » tra i due blocchi mondiali di potenze, vi è inclusa non meno della crisi del colonialismo europeo ; lo sviluppo addirittura ipertrofico della scienza e della tecnica, di cui l’uomo finisce col trovarsi schiavo nelle civiltà industriali, non meno del disgregamento delle popolazioni delle aree arretrate, incapaci di assimilare organicamente il tecnicismo e il politicismo che il contatto con l’uomo bianco ha rovesciato su di esse; il crollo o almeno il vacillare dei valori democratici di fronte al totalitarismo in molte parti del mondo, non meno dell’incapacità di alcune nazioni europee, piegate dall’ultima guerra, a reinserirsi efficientemente e con vitalità in uno dei due blocchi.

E non sono che alcuni dei fatti più evidenti.

Pur riconoscendo l’importanza dei fattori economici, delle eredità storiche, delle condizioni sociali ed ecologiche nel determinare queste crisi e questi conflitti, moltissimi studiosi americani concordano nel ritenere che l’origine prima di essi sia da ricercarsi nel terreno cultu­ rale. L’attuale situazione mondiale, affermano, è tale da poter condurre facilmente a una terza guerra i cui effetti non è difficile prevedere disastrosi per tutta intera l’umanità. L’incapacità delle culture e civiltà

attualmente esistenti a scongiurare definitivamente un tale flagello, mediante la creazione di un’omogeneità culturale mondiale che, senza condurre a un livellamento, permettesse la comprensione e l’integra­ zione, è segno dell’esistenza di una profonda crisi culturale di portata mondiale.

Tra le moltissime citazioni possibili, mi limito a indicare come il Klukhohn individui le origini prime della crisi del mondo moderno nell’uomo, come individuo e come società, « l’uomo che non si comprende e non si controlla » (1), mentre il Bidney afferma che « la rivoluzione atomica impone di necessità una corrispondente rivoluzione sociale e axiologica per fronteggiare questa nuova crisi dell’umanità », sotto­ lineando1 2 3 quindi in questa sede soprattutto le attuali tensioni psicolo­ giche e morali (2); poi, in termini più rigorosamente politici, aggiunge ancora : « Le crisi del nostro tempo mettono in luce una tendenza a oscillare da una teoria dei diritti assoluti dell’individuo a una teoria dei diritti assoluti dello Stato; dall’uno all’altro dei due poli opposti del totalitarismo culturale e della ” terrificante libertà ” dell’indivi­ dualismo esistenziale. Esiste una tendenza duplice : o instaurare degli assoluti culturali pietrificati basati sull’arbitraria volontà di alcuni singoli, oppure negare l’autorità delle tradizioni culturali e delle isti­ tuzioni sociali più antiche al fine di affermare la libera volontà indi­ viduale ».

In questa situazione all’Antropologia culturale è riservato, secondo gli studiosi americani, un compito di estrema importanza. Il Linton lo riassume così :

« Nessuno può dubitare che lo scopo che l’antropologo si prefigge valga la spesa di qualunque somma di lavoro e di delusioni. Esso è, in breve, la comprensione della natura dell’uomo e delle forze che operano nella società. Per mezzo di tale comprensione raggiungeremo la possi­ bilità dell’autocontrollo e l’umanità sarà in grado, per la prima volta nei suoi milioni d’anni d’esistenza, di dare deliberatamente e intelli­ gentemente una forma al proprio futuro » (3).

Francamente, si resta un po’ sconcertati di fronte a queste gene­ riche (e antistoriche) affermazioni : personalmente, non mi sentirei di condividerle per intero né sul piano della diagnosi, né su quello del­ l’ottimistica terapia.

Tuttavia, è innegabile che esistono oggi conflitti culturali di por­ tata mondiale; che, senza esserne la causa, essi sono un importante coefficiente di molte situazioni critiche ; e ancora che l’Antropologia culturale può dare un contributo di innegabile utilità alla loro analisi e può contribuire a una corretta impostazione degli interventi politico-sociali che per fronteggiare queste situazioni vengono ormai intrapresi un po’ in tutto il mondo.

Sta di fatto comunque che da una simile visione della situazione mondiale deriva per l’Antropologia culturale tutta una serie di compiti

(1) Clyde Kluckhohn, Specchiati, uomo!, op. cit., pag. 316. (2) D. Bidney, Theoretical Anthropology, op. cit., pag. 364. (3) R. Linton, The Study o f Man, op. cit., pag. 489.

nuovi, mentre anche quelli tradizionali vengono visti in una nuova prospettiva. In sede teorica i problemi che divengono preminenti sono quelli che vengono considerati all’origine della crisi culturale mondiale : natura e carattere delle culture nazionali, rapporti tra il patrimonio culturale e il comportamento individuale e collettivo, contatti, coesi­ stenza e integrazione tra culture diverse, rapporti tra popolazioni arre­ trate e popolazioni moderne.

Anche le indagini ormai tradizionali sui processi costanti e sulle permanenze effettive nei fenomeni culturali vengono finalizzate a questo nuovo compito di comprensione della situazione culturale mondiale e di eventuale pianificazione dei suoi sviluppi futuri.

In sede metodologica questo nuovo orientamento porta l’antropo­ logo a utilizzare largamente i dati delle ricerche psicologiche, socio­ logiche, economiche e storiche, ponendogli in modo preciso la questione dei rapporti tra le scienze corrispondenti e la propria.

Infine in sede di ricerca e di inchiesta, l’antropologo si trova, come

mai per il passato, impegnato in un terreno concreto : le sue indagini, nella misura in cui vengono sempre più legandosi ad una serie di inter­ venti politico-sociali, assumono sempre maggiormente il duplice carat­ tere di interpretazione analitica e sintetica di una situazione e di piano o almeno guida degli interventi intesi a modificarla; parallelamente, cresce la responsabilità che tali indagini comportano per colui che le

intraprende. *

Nelle pagine che seguono esaminerò, sulla scorta dei maggiori autori americani, i termini della nuova problematica dell’Antropologia culturale, i suoi rapporti con le altre discipline e i metodi e le tecniche delle inchieste antropologico-culturali.

Le culture nazionali e la teoria della personalità di base

Ho già accennato come la ge­ nesi e il carattere delle culture nazionali e la loro funzione nel determinare e differenziare i com­ portamenti individuali e collettivi siano stati oggetto di indagini ap­ profondite fra studiosi americani in questi ultimi anni.

Interessante anche come esem­ pio di collaborazione tra Antropo­ logia culturale e psicologia sociale è la teoria, formulata dal Linton e dallo psicoanalista Kardiner,

sulla personalità di base come origine dei caratteri di una cultura na­ zionale.

Per Kardiner la personalità di base si forma in relazione a certe condizioni fondamentali dell’ambiente e a certi aspetti caratteristici dell’organizzazione sociale, che sono i primi a porre all’individuo un problema di adattamento. « In rapporto a queste condizioni fìsse e immu­ tabili egli deve sviluppare certi metodi di adattamento. La scarsezza

degli alimenti, i tabù sessuali, le discipline di ogni sorta sono condizio­ namenti che l’individuo non può controllare direttamente; egli può solo adottare una attitudine nei loro confronti... Le costellazioni psicologiche fondamentali che in tal modo vengono a crearsi nell’individuo... costitui­ scono la struttura della sua personalità di base » (4). Ciò che è alla base

della personalità individuale è nello stesso tempo il fondamento del significato e della funzione delle istituzioni, nella misura in cui anche esse traggono la loro origine da un bisogno di qualunque natura avvertito dalla società.

Pertanto, la personalità di base, comune a tutti i componenti della società, e all’origine della loro cultura, viene a coincidere con ciò che normalmente chiamiamo carattere nazionale, spinto di gruppo, menta­

lità di una certa società; non si tratta di un tipo definito di personalità,

bensì dello scheletro su cui gli individui di un dato gruppo sviluppano poi le proprie nelle più varie direzioni. Per quanto differenziate a un certo punto del loro processo di sviluppo queste ultime possano appa­ rire, esse conserveranno sempre quel fondamento comune.

« Quello che è nuovo e importante non è il nome dato al concetto bensì la tecnica con cui esso è ottenuto e il fatto che introduce nella sociologia un punto di vista genetico » (5). Per il Kardiner, infatti, , la personalità di base si forma nell’esperienza infantile dell’individuo; e la personalità di base è simile per tutti gli individui di un certo gruppo proprio perché analoghe sono, nelle loro linee fondamentali, le esperienze infantili che essi affrontano.

La personalità di base « proietta » la sua forma sull’universo, dando così origine, mediante un processo di obbiettivazione, al « sistema proiet­ tivo o di proiezione » ; che è poi il modo caratteristico e inconscio del­ l’esperienza, l’attitudine naturale, nel senso che è precedente a qualunque presa di coscienza, verso la vita. Roger Girod, riassumendo le teorie del Kardiner, definisce il sistema proiettivo « l’ontologia incosciente di una società » (6).

Naturalmente, a fianco dell’ontologia incosciente, ogni società ha un’ontologia cosciente : ciò che Kardiner definisce un « sistema reale », cioè l’insieme di processi mentali scaturiti dall’esperienza e dalla rifles­ sione al livello conscio.

Il concetto di personalità di base con gli altri a lui connessi permet­ tono al Kardiner di costruire una teoria psico-sociologica, fondata sul- 4 5 6

(4) A. Kardiner, The Individual and His Society, Columbia University Press, 1947, pag. 131.

(5) A. Kardiner, The Psychological Frontiers of Society, Columbia University Press, 1948, pag. 24.

(6) Roger Girod, Attitudes collectives et relations humaines, Paris, 1953, pag. 115.

l’analisi « psico-dinamica » di differenti culture, compiuta generalmente in collaborazione con il Linton.

Il quale, a sua volta, nella prefazione al libro del Kardiner, rias­ sume così i postulati su cui si fonda e le conclusioni metodologiche cui conduce il metodo dello psicoanalista, sfruttato per indagini culturali :

postulati :

1 - Le prime esperienze di qualunque individuo giovane hanno un’influenza durevole sulla sua personalità, specialmente sullo sviluppo dei suoi sistemi proiettivi.

2 - Esperienze simili tendono a produrre personalità di forma simile negli individui che le compiono.

3 - 1 metodi cui fanno ricorso i membri di una società per allevare i bambini sono standardizzati dalla cultura e ten­ dono ad esser simili, per quanto non identici, nelle differenti famiglie della stessa società.

4 - Questi metodi differiscono da una società all’altra. Ne consegue :

1 - I membri di una società hanno in comune numerosi elementi delle loro prime esperienze.

2 - Per conseguenza, avranno in comune numerosi elementi della personalità.

3 - Le esperienze di tutti i bambini variano da una società all’altra; per conseguenza, varieranno anche gli standard della personalità (7).

Per questa via, tentando di astrarre dai comportamenti individuali le forme e le tendenze psicologiche comuni a tutti i componenti di una società, Kardiner e Linton ricercano la definizione del concetto di atti­ tudine collettiva; questo concetto, connesso all’altro di relazioni umane, durante e dopo l’ultima guerra diviene di un’importanza fondamentale nelle ricerche antropologiche americane e rappresenta l’anello di salda­ tura di esse alle scienze sociali.

Il processo è semplice : abbiamo visto come il concetto di cultura, come realtà strumentale, funzionale al conseguimento di certi scopi, abbia condotto all’idea di utilizzare i dati delle ricerche culturali per arrivare a una scelta consapevole degli scopi e ad un impiego cosciente dello strumento stesso. Malinowsky aveva distinto i bisogni (e quindi gli scopi) in primari e secondari : e aveva definito lo strumento cultu­ rale del loro soddisfacimento nelle istituzioni. Ma già la Benedict aveva chiarito come il processo culturale non fosse così meccanico ed uniforme, bensì non solo orientato, ma anche libero, vale a dire non determinato da cause esterne, nella scelta del suo modello orientativo. 7

(7) Cfr. Linton, prefazione a Kardiner, T-he Psychological Frontiers of Society, op. -cit., pag. VII segg., come riassunto dal Girod, Attitudes collectives, op. cit., pag. 117.

In realtà la cultura non è solo una realtà strumentale per il soddi­ sfacimento dei generici bisogni dell’uomo; ogni singola cultura è una realtà orientata al soddisfacimento dei bisogni caratteristici del gruppo umano che di essa cultura è portatore; e poiché questi bisogni sono selezionati culturalmente, ogni gruppo umano, in quanto portatore di cultura, avrà una tendenza precisa a selezionare certi bisogni e a rispon­ dere alle loro sollecitazioni in un certo modo : avrà cioè delle attitudini

collettive (8).

Pur senza condividere totalmente le premesse psicoanalitiche del Kardiner, più di uno dei recenti autori americani considera centrale, in un’analisi culturale, il problema della personalità umana vista non tanto come luogo quanto come modo dell’esistere di una cultura.

Naturalmente, oltre a una certa preferenza per l’uso di strumenti psicologici di indagine (9), una simile impostazione porta a sottoli­ neare il carattere dinamico della realtà culturale, nella misura in cui la stessa personalità umana sfugge a una definizione statica. Nello stesso tempo, come già hanno dimostrato Kardiner e Linton, il concetto di

personalità permette di evitare la concezione della cultura come aggre­

gato di contenuti mentali particolari a cui può condurre quello di indi­ viduo : mentre, infatti, il termine « individuo » ha sempre una certa implicazione monadistica, abbiamo visto come invece non sia diffìcile individuare un comune denominatore culturale a personalità tenden­ zialmente anche diversissime.

Infine, l’uso del concetto di personalità permette di superare, nel concreto attuarsi della dimensione culturale di una realtà umana, l’astratto dualismo delFuniversalità dei processi e particolarità di con­ tenuti cui conduce una concezione « superorganica » della cultura, e questo senza negare, anzi giustificando, la diversità delle varie culture.

Una chiara esposizione di questa teoria si trova nel saggio Culture,

Personality and Society (10). '

Egli parte dalla constatazione che « società, cultura e personalità » non possono essere postulate come variabili indipendenti in senso asso­ luto (11). Se infatti le potenzialità psicologiche dell’individuo sono la prima condizione per l’attuazione di un « modo umano di esistenza » (12), per converso « lo sviluppo di una struttura psicologica tipicamente

umana (mente o personalità) dipende fondamentalmente da un’espe­

(8) Cfr. Girod, op. cit., pag. 14.

(9) Un buon panorama dello svilupparsi dei rapporti tra antropologia da un lato e psicologia, psichiatria e psicoanalisi dall’altro, si trova in Clyde Kluckhohn,

The Influence o f Psychiatry on Anthropology in Am erica During the Past One Hundred, Years, in « One Hundred Years o f American Psychiatry », New York,

Columbia University Press, 1944, pagg. 589-617. L’articolo offre inoltre un quadro delle attuali influenze delle scienze della psiche sull’antropologia, sia nella tecnica delle interviste, sia nel campo degli studi di personalità e cultura, e fornisce anche un’ampia bibliografia.

(10) A. Irving Hallowell, Culture, Personality and Society, in « Anthropology Today : An Encyclopedic Inventory », edit, by A.L. Kroeber, Chicago, 1953, pagg. 597-620.

(11) Ibidem, pag. 600. (12) Ibidem, pag. 601.

rienza mediata socialmente dell’azione reciproca tra persone » (13). Non è sufficiente, tuttavia, l’aggregato umano per permettere una simile esperienza : è necessària 1’appartenenza a una società e a una società che sia umana, giacché « il nucleo psicologico dell’esistere come umani comporta un livello di integrazione che include ben più che un insieme di ruoli e di schemi abitudinari, per importanti che questi siano» (14). Infatti per essere umana una società « richiede un ininterrotto e moti­

vato agire di esseri umani in un ambiente esistenziale creato per mezzo della cultura e consapevolmente strutturato tanto in relazione alla natura del cosmo quanto a quella dell’individuo; ambiente in cui i significati e valori tradizionali hanno un ruolo vitale nell’organizzazione dei bisogni e dei fini e in cui sono possibili la riorganizzazione e riorientamento dell’esperienza mediante la scoperta, l’invenzione e la, trasformazione culturale » (15).

In altri termini, per essere umana, una società ha bisogno di una cultura.

Partendo da queste premesse, è semplicistico parlare di « mente umana creatrice di cultura » o di « individui » unità della società e portatori della cultura. Ciò che preme chiarire è « quali sono le rela­ zioni integrali tra mente, società e cultura » (16).

Innanzi tutto l’Hallowell ritiene necessario introdurre un nuovo concetto : quello di struttura della personalità, con il quale si vuole indicare « come l’individuo umano è specificamente organizzato psico- dinamicamente » (IV). La struttura della personalità non è il contenuto bensì la forma di essa, è il rapporto di forze che la caratterizza, è la sua tensione e orientamento, la sua « disposizione » a certe reazioni. L’Hallowell rileva esplicitamente l’analogia tra il termine psicologico « struttura della personalità » e quello culturale « modello ». I vantaggi che l’uso del concetto di struttura comporta sono da ricercarsi proprio nel fatto che esso sottolinea il carattere dinamico dell’organizzazione psichica richiamando così l’attenzione sulle condizioni dell’organizzazione stessa e sui rapporti tra organizzazione della personalità e comporta­ mento esplicito. In definitiva « il concetto di struttura della personalità presuppone una matrice socioculturale come condizione essenziale di uno sviluppo ontogenetico. Inoltre, implica una spiegazione sistematica dell’influenza dei fattori di rilievo che costituiscono questa matrice considerati come variabili indipendenti in relazione con il genere di struttura della personalità che ne risulta e con i quali sono in rapporto i modelli caratteristici di comportamento considerati come variabili dipendenti » (18). Esiste cioè una « relazione dimostrabile tra variazioni della cultura e sistemi di automotivazione degli individui umani, cioè quell’organizzazione differenziale di spinte, bisogni, emozioni, impulsi e così via che costituiscono il nucleo della relativamente duratura dispo­ sizione ad agire in modo prevedibile » (19). Per conseguenza « Vappar­

avi) A.I. Hallowell, Culture, Personality, op. cit., pag. 601. (14) Ibidem, pag. 603. (15) Ibidem, pag. 602. (16) Ibidem, pag. 604. (17) Ibidem, pag. 604. (18) Ibidem, pag. 605. (19) Ibidem, pag. 605.

tenenza a un determinato sistema socioculturale sottopone gli esseri umani a un insieme di condizionamenti comuni che sono rilevanti ai fini dell’organizzazione della personalità di essi » (20).

Senza limitarsi alla posizione psicoanalistica, l’Hallowell individua queste variabili culturali influenzanti la formazione della personalità individuale in altri fattori oltre che nel tipo di educazione a cui l’indi­ viduo è sottoposto : ad esempio nel sistema di valori e di fini caratte­ ristico della sua cultura, ecc. (21), e non è improbabile che da una cultura all’altra varii l’importanza relativa degli stessi fattori deter­ minanti.

Altro problema interessante che resta ancora da chiarire è quello della relazione tra unità culturali e fattori variabili dell’organizzazione della personalità. Sono cioè le variabili legate alle più piccole unità culturali quelle realmente determinanti, o sono invece quelle proprie delle aree culturali, o delle unità nazionali o addirittura di un certo tipo di cultura? (22). Inoltre è possibile che culture di contenuto diverso abbiano lo stesso valore come determinanti psicologiche e viceversa? (23).

Quello che importa è che « l’ipotesi su cui si fondano gli studi sulla cultura e personalità è stata confermata » (24) dalle ricerche sin qui svolte : esistono effettivamente variabili culturali di valore determi­ nante nel condizionare l’organizzazione della struttura delle personalità individuali.

Questa conclusione permette di impostare in una nuova prospettiva alcune vecchie questioni.

Così se lo studioso si rende conto che la sua visione di una cultura è esterna, obbiettiva e perciò totale, mentre per coloro che ne vivono all’interno essa « ha significato nei termini di adattamento psicologico dall’essere umano al proprio mondo d’azione e alla propria esistenza concreta » (25), sarà in grado di distinguere fra il proprio sistema per­ cettivo e quello degli individui che incarnano quella cultura (26), i quali non « osservano la cultura », bensì « osservano la realtà attraverso1 quella cultura ». Soprattutto sarà in grado di distinguere tra la propria astra­ zione concettuale della cultura in esame e l’effettiva realtà della cultura stessa che « non è qualcosa di separato dagli individui che la vivono o di separabile dall’organizzazione sociale attraverso cui il gruppo vi­ vente funziona » (27), giacché « le credenze viste astrattamente come parti della cultura obbiettivamente descritta diventano le sue (del­ l’individuo) credenze; i valori• vengono incorporati entro il suo proprio sistema di motivazioni; e i suoi bisogni e fini, benché si siano definiti mediante la cultura, funzionano come bisogni e fini personali » (28).

Ancora, pur restando intatta quella base di caratteristiche gene­

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