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ANALISI COMPARATIVA DEI METATEST

4.1. L’apparato paratestuale

L’obiettivo di questo capitolo è osservare quali comportamenti abbiano adottato il traduttore inglese e la traduttrice italiana di fronte ad un romanzo tanto ricco di intertesti e di elementi culturospecifici. L’analisi compiuta nel capitolo precedente ha messo in luce il fatto che il prototesto mostra un profondo radicamento alla cultura emittente, per fattori quali il frequente uso di toponimi, l’espressione della data secondo il calendario islamico, la rappresentazione dettagliata di spazi caratterizzati da forme architettoniche tipicamente arabe, ma, soprattutto, per la presenza di numerosi rimandi intertestuali al patrimonio letterario arabo. Nelle prossime pagine, questi elementi del prototesto verranno confrontati con le loro attualizzazioni nel metatesto inglese e in quello italiano, perché dallo studio comparativo dei cambiamenti traduttivi emerga il metodo scelto dai traduttori. La traduzione inglese di al-ʿAllāma è stata pubblicata nel 2004 da The American University in Cairo Press sotto il titolo di The Polymath. L’autore, Roger Allen (1942)262 è stato, per quarantatré anni, professore di Letteratura araba e comparata nel Dipartimento di Lingue e civiltà del Vicino Oriente, all’Università della Pennsylvania. Sin dai tempi del suo Dottorato di ricerca in Letteratura araba moderna (conseguito nel 1968 presso l’Università di Oxford) ha rivolto i suoi interessi al romanzo arabo moderno. La sua tesi, scritta sotto la supervisione di M. M. Badawī (1925-2012), consisteva nello studio e traduzione del capolavoro di al-Muwayliḥī, Ḥadīṯ ʿĪsà Ibn Hišām. Venne pubblicata anni dopo sotto forma di libro, con il titolo A Period of Time.

Il primo autore a cui Allen si è dedicato come traduttore è Nağīb Maḥfūẓ263. Da qualche tempo, avendo constatato una lacuna nel campo dell’arabistica per quanto concerne la letteratura del Maghreb, si dedica ad autori di tale area come Aḥmad al-Tawfīq, di cui ha tradotto Ğārāt ʾAbī Mūsā (Abu Musa’s Women Neighbors) e, naturalmente, Binsālim Ḥimmīš. Oltre a al-ʿAllāma, di lui ha tradotto Mağnūn al-ḥukm (The Theocrat, 2005), Hadā al-ʾAndalusī! (A Muslim Suicide, 2011) e,

262 Le informazioni sono tratte dalla pagina ufficiale del professore nel sito: http://philae.sas.upenn.edu/~rallen/ 263 Dopo la pubblicazione di un’antologia di racconti brevi, God’s World, Allen ha tradotto al-Sammān wa’l-ḫarīf

(Autumn Quail), al-Marāyā (Mirrors), al-Karnak (Karnak Café), Ḫāan al-Ḫalīlī (Khan al-Khalili) e al-Bāqī min

al-zaman sāʿa (One Hour Left). Sempre su Mahfuz ha scritto anche diversi studi critici. Tra gli altri romanzi arabi

tradotti da Allen, ricordiamo al-Safīna (The Ship) e al-Baḥṯ ʿan Walīd Masʿūd (In Search of Walid Masoud) di Ğabrā Ibrahīm Ğabrā; al-Nihāyāt (Endings) di ʿAbd al-Raḥman Munīf; Dunyāzād (Dunyazad) di Mayy al- Talmissānī.

Muʿaḏḏabatī (My Torturess, 2015).

Tra le sue pubblicazioni scientifiche, non si possono non menzionare i due volumi The Arabic Novel: an historical and critical introduction e The Arabic Literary Heritage, che vengono adottati nei corsi di Letteratura araba nelle università di tutto il mondo, incluso quello arabofono.

Un ulteriore ambito in cui Allen si è speso molto è quello dell’insegnamento della lingua araba, con l’obiettivo di sviluppare nuovi metodi didattici. Dal 1986 al 2002 ha lavorato nel Consiglio Americano per l’Insegnamento delle Lingue Straniere (ACTFL) come national proficiency trainer per l’arabo.

La traduzione italiana di al-ʿAllāma, tre anni più giovane di quella inglese, è stata realizzata da Paola Viviani e pubblicata dalla casa editrice Jouvence, nella Collana “Narratori Arabi Contemporanei”, con il titolo di Il romanzo di Ibn Khaldūn: il grande erudito.

Viviani è ricercatrice di Lingua e Letteratura araba in Italia, nella Facoltà di Studi Politici e per l’Alta Formazione Europea e Mediterranea “Jean Monnet”. Inoltre, collabora alla Cattedra di Letteratura Araba Moderna e Contemporanea a “La Sapienza” di Roma, e ha insegnato Lingua e Letteratura araba nelle Università di Napoli e Perugia. Nel 2003 ha conseguito il Dottorato di Ricerca in “Studi e ricerche su Vicino Oriente e Maghreb” presso l’Università degli Studi “L’Orientale” di Napoli, con una tesi su Religiosità e laicismo in Faraḥ Antūn (1874-1922). L’anno successivo ha pubblicato la monografia Un maestro del Novecento arabo. Farah Antun, che si aggiunge ai vari articoli apparsi su riviste specialistiche e Annali universitari. Paola Viviani ha tradotto dall’arabo diversi racconti brevi264, nonché i romanzi Nuğūm ʾArīḥā (Le stelle di Gerico) di Liyāna Badr, in collaborazione con G. Della Gala, al-Ḥubb fī al-manfà (Amore in esilio) di Bahāʾ Ṭāhir, al-Bāḏinğāna al-zarqāʾ (Blu melanzana) di Mīrāl al-Ṭahāwī e al-Lağna (La Commissione) di Sunʿallāh Ibrahīm.

Riassumendo, entrambi i traduttori sono accademici arabisti che si occupano di lingua e letteratura araba. Per ovvie ragioni anagrafiche, tuttavia, Allen ha alle spalle molti più anni di esperienza rispetto alla collega italiana. Come abbiamo visto, il suo The Polymath arriva dopo una lunga serie di traduzioni di famosi romanzi arabi, mentre Il romanzo di Ibn Khaldūn è il terzo tradotto da Viviani. Comunque, le date di pubblicazione dei due metatesti sono abbastanza ravvicinate. Quanto agli editori, c’è un grande scarto di dimensioni, ma una somiglianza nel target delle pubblicazioni. Fondata nel 1960, The American University in Cairo Press è considerata il leader per i libri accademici in lingua inglese nel Medio Oriente. Le sue pubblicazioni, distribuite a livello mondiale, comprendono anche romanzi, libri per l’insegnamento dell’arabo, saggi incentrati sull’Egitto e altri di interesse generale. Ben più modesta è la casa editrice Jouvence, nata a Roma nel 1979, specializzata nelle

pubblicazioni storiche e dedicata anche alla filosofia e alla filologia. Si contraddistingue nel territorio italiano per l’interesse verso gli autori rappresentativi della narrativa araba, contemporanea e non, i cui romanzi sono inclusi nella collana diretta dalla studiosa Camera D’Afflitto. Vediamo quindi che entrambi gli editori si rivolgono a un pubblico specializzato, legato, in particolare, alle istituzioni accademiche e perlomeno interessato al mondo arabo.

Sia il metatesto inglese che quello italiano comprendono un apparato critico paratestuale a cura dei traduttori. In The Polymath, il paratesto è formato da una nota del traduttore (Translator’s Note) in posizione iniziale e da un glossario (Glossary) seguito da una breve bibliografia su Ibn Ḫaldūn (Bibliography) e un elenco dei riferimenti coranici (Qur’anic References) in posizione finale.

Nella Translator’s Note, Allen rivela che “the polymath” è Ibn Ḫaldūn. Ne fornisce le informazioni biografiche essenziali e lo presenta soprattutto come storico. Poi, sottolinea che è originario della regione occidentale del mondo arabo, «the Maghrib – the Arabic world implying the place where the sun sets, the West», da cui è stato esiliato. Qualche riga è spesa anche sull’autore, Binsālim Ḥimmīš, e sui suoi interessi per la filosofia della storia di Ibn Ḫaldūn. Dopodiché, Allen passa a parlare del processo traduttivo, mettendo l’accento sulle problematiche interculturali della traduzione. Afferma di essere solito prediligere la traduzione di tipo estraniante, rifiutando tutte quelle scelte addomesticanti con le quali la cultura ricevente rischia di esercitare una forma di egemonia sulla cultura emittente. Sennonché, nel caso di al-ʿAllāma, Allen ha dovuto confrontarsi con un testo radicalmente fondato sulla tradizione arabo-islamica, che presuppone una vasta serie di conoscenze sulla storia e la geografia di Spagna, Nord Africa, Egitto, Siria e Asia centrale. Il traduttore riconosce che l’ammontare di dati storico-geografici presenti nel romanzo può risultare scoraggiante non solo per il lettore inglese, ma anche per il lettore arabofono. Quindi ammette che, per riempire i vuoti nell’enciclopedia del suo lettore modello, si è concesso interventi di carattere accademico nella traduzione, tra i quali, appunto, l’aggiunta di un glossario e di un elenco dei riferimenti al testo coranico. Dichiara di aver volontariamente evitato i numeri di nota nel corpo del testo per non distrarre il lettore e lasciarlo libero di consultare l’apparato critico a suo piacimento. Alla fine, Allen, oltre a spiegare come convertire le date del calendario islamico nelle date del calendario gregoriano, precisa che tutti i titoli dei libri citati nella narrazione sono stati tradotti in inglese.

Il Glossary contiene un totale di centoventi voci, comprendenti nomi di politici, intellettuali, figure legate alla storia dell’Islam, personaggi della tradizione letteraria araba, nomi di guerre e altri eventi storici, toponimi, titoli dei testi citati, realia appartenenti al lessico politico e religioso. Infine, tutti i versetti del Corano citati nel romanzo sono riportati una seconda volta in traduzione nelle Qur’anic References, con l’indicazione della sūra e del numero di versetto.

antecedente il Prologo, dalle Note finali e da una Postfazione curata da Viviani. L’Avvertenza indica le fonti da cui Viviani ha preso le traduzioni delle citazioni tratte dal Corano, da Nahğ al-balāġa (La via dell’eloquenza) e da I viaggi di Ibn Battuta. Le Note ammontano a centosettantasei e i numeri sono inseriti nella narrazione, a differenza di quanto avviene nel metatesto inglese. Nella Postfazione, lunga undici pagine, Viviani dà alcune informazioni su Ibn Ḫaldūn, evidenziando in particolare l’influenza che egli ha esercitato nella storia del pensiero europeo, e poi parla di Binsālim Ḥimmīš negli stessi termini in cui ne parla Allen. Prima di fare un riassunto dei vari capitoli, la traduttrice spiega la propria interpretazione del romanzo, mettendone in luce soprattutto gli aspetti di critica sociale e politica e insistendo sul proposito di «desacralizzazione della figura di Ibn Khaldūn». Dopodiché, si sofferma sulla complessità del romanzo in quanto ipertesto che ingloba al suo interno molti generi letterari diversi. Analogamente al traduttore inglese, Viviani riconosce che si tratta di «un lavoro di carattere storico nel senso più alto e più ampio del termine». Torna poi sull’autore, di cui riporta una parte del discorso di ringraziamento tenuto alla cerimonia di assegnazione del premio “Nağīb Maḥfūẓ” nel 2002. La citazione è fatta allo scopo di spiegare che cosa significhi per Ḥimmīš scrivere un romanzo, nonché per introdurre la questione della lingua araba. Viviani ritiene, infatti, che questa sia di grande importanza per Ḥimmīš e sottolinea il fatto che egli spinga molto sull’uso dell’arabo fuṣḥà in quanto fattore di unità e risposta concreta al predominio linguistico del colonizzatore. In conclusione, Viviani propone una rilettura dell’incontro tra Ibn Ḫaldūn e Tamerlano come tête-à-tête tra due lingue e due culture: quella dei Paesi del Maghreb colonizzati e quella del colonizzatore. Contrariamente al metatesto inglese, quello italiano manca di un commento alla traduzione in cui la traduttrice stessa chiarisca le soluzioni adottate per la resa degli elementi “problematici” del prototesto, di cui parla nella postfazione.

Inoltrandoci nell’analisi dei cambiamenti traduttivi vera e propria, nelle prossime sezioni prenderemo in esame separatamente gli intertesti appartenenti al genere religioso, poetico, storico e fantastico.