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L’art. 117 e la partecipazione dolosa dell’intraneo

Nel precedente capitolo abbiamo visto come la partecipazione dell’estraneo ad un fatto non doloso dell’intraneo sia generalmente da ammettersi, salvo i casi in cui la tipicità della fattispecie sia arricchita da un peculiare disvalore soggettivo di condotta, tale da esigere un agire colpevole del soggetto qualificato.190

Rispetto al caso disciplinato dall’art. 117 invece, la dottrina maggioritaria, con la quale ci sentiamo di convenire, richiede il dolo dell’intraneo rispetto al reato proprio, anche in ragione dell’inestensibilità dell’imputazione per responsabilità oggettiva oltre i casi tassativamente previsti dalla legge.191 Anzi, è la responsabilità anomala del compartecipe estraneo a dipendere

190 Cfr. infra, cap. II, 2.3.

191 In questo senso GRASSO in ROMANO-GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, cit., p. 253. Similmente SEMINARA, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, cit., p.

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dalla consapevolezza da parte dell’intraneo della propria qualifica personale. Non a caso, si dice, il legislatore, particolarmente meticoloso nella tecnica di redazione delle norme, definisce il soggetto qualificato “colpevole”: ciò implica che l’intraneo non potrebbe rispondere al pari del compartecipe estraneo a mero titolo di responsabilità oggettiva, ma solo se in dolo rispetto al reato proprio realizzato. Infatti dalla terminologia usata, che non può essere considerata una mera svista dei compilatori, si ricava chiaramente che per l’applicabilità dell’articolo 117 c.p. l’intraneo non solo deve possedere le qualifiche richieste per il mutamento del titolo, ma deve anche agire con la volontà di realizzazione di un reato proprio.

In una diversa prospettiva si pone invece altra dottrina, secondo la quale il meccanismo di cui all’art. 117 consentirebbe, in nome del dogma dell’unitarietà del titolo di reato, di estendere in via puramente obiettiva la responsabilità per il fatto commesso anche al soggetto qualificato.192 Ciò in ragione dell’indifferenza rispetto al ruolo rivestito dal concorrente in dolo, nel caso di realizzazione plurisoggettiva del fatto. In altri termini, sarebbe sufficiente che taluno dei compartecipi, non necessariamente l’intraneo, versi in dolo rispetto al reato proprio perché tutti i concorrenti, indistintamente, rispondano in via obiettiva a tale titolo. A suffragio dell’impostazione si evoca la voluntas legis, improntata al principio di unitarietà della responsabilità penale, e il dato letterale (“anche gli altri rispondono”), che consentirebbe di punire a titolo di responsabilità oggettiva anche (e dunque non solo) i compartecipi

192 Così PADOVANI, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, cit., p. 110 ss. Recentemente anche CAMAIONI, Il concorso di persone nel reato, cit., p. 255 ss.

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estranei e, a contrario, presupporrebbe la possibilità che tale forma di responsabilità, nel caso di cui al 117, possa colpire ogni concorrente, senza riguardo alle qualità dallo stesso possedute o rivestite nella dinamica concorsuale.193 Per questa via, anche nel caso in cui l’estraneo versasse in dolo riguardo al reato proprio e l’intraneo, ignorando la propria qualifica, solo rispetto alla corrispondente fattispecie comune, ambedue i concorrenti dovrebbero rispondere per l’illecito proprio realizzato.

I fautori della tesi esposta tra l’altro obiettano alla dottrina dominante che il dolo dell’intraneo non potrebbe considerarsi imprescindibile ex art. 117 a meno di non voler giungere a conseguenze palesemente assurde sul piano sistematico. Questo modo di argomentare infatti, si dice, condurrebbe a esiti paradossali: se infatti, esemplificando, ambedue i concorrenti versassero in dolo solo rispetto al reato comune, l’inestensibilità della prevista responsabilità oggettiva al concorrente qualificato determinerebbe la congiunta applicazione degli artt. 47, comma 2, c.p. (responsabilità colpevole per l’intraneo) e 117 c.p.

193 Di questa opinione PAGLIARO, La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto, cit., p. 74. Secondo l’A. il dato letterale conferma che la responsabilità dell’intraneo per reato proprio deve essere condizionata agli stessi presupposti previsti per gli atri compartecipi al fatto (e dunque sussiste anche in caso di mancata conoscenza della qualifica). Tra l’altro, aggiunge, la negata applicabilità dell’attenuante facoltativa al soggetto qualificato, a fortiori, dovrebbe far ritenere sussistente la responsabilità di quest’ultimo anche nell’ipotesi in cui lo stesso ignori la propria qualità o condizione personale. A suffragio dell’impostazione accolta aggiunge poi considerazioni esegetiche e sistematiche in tema di reato proprio. In primo luogo fa leva sugli artt. 42 e 43 c.p., che riferendo l’elemento della coscienza e volontà a momenti di carattere effettuale (“azione” ed “evento”), escluderebbero la riferibilità dello stesso al solo soggetto che pone in essere l’azione. “Non si può perciò ritenere che, per il semplice fatto che un reato sia “proprio”, l’errore sulla qualifica personale commesso dal soggetto attivo debba importare la esclusione del reato”. Dall’altro, fa leva su argomenti connessi alla ratio della qualifica nell’economia del fatto: “Se la funzione della qualifica subiettiva è quella di determinare quale soggetto può validamente commettere l’azione richiesta dalla fattispecie, l’incorporarsi della qualifica subiettiva nell’azione come momento che dovrebbe essere conosciuto non consegue logicamente in modo necessario alla funzione che la qualifica svolge nel fatto di reato. Pertanto, una situazione diversa dovrebbe risultare almeno in modo implicito dalle disposizioni di legge”. L’A. conclude poi per la necessità o meno del dolo dell’intraneo a seconda che la qualifica si rifletta oppure no sui momenti effettuali che entrano nella struttura del fatto di reato.

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(responsabilità oggettiva per l’estraneo). In altre parole, si perverrebbe all’illogica conclusione per la quale l’intraneo dovrebbe rispondere del reato comune e l’estraneo di quello proprio.194

Ma l’obiezione non sembra affatto cogliere nel segno. E’ infatti chiaro che, difettando in capo al soggetto qualificato il dolo del reato proprio, mancherebbe un presupposto indefettibile per l’addebito di responsabilità anomala all’estraneus. Pertanto, non sussistendo alcun mutamento nel titolo, l’ipotesi ricadrebbe al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 117 e entrambi i concorrenti dovrebbero rispondere secondo i principi generali di concorso nel reato comune.

Dunque, ricapitolando e tirando le fila dei risultati raggiunti, si deve concludere che l’applicazione dell’art. 117 c.p. esige una serie di presupposti. Segnatamente, si richiede la presenza di una situazione di concorso, relativa ad un illecito proprio a qualifica cd. differenziale, ove per effetto delle condizioni o qualità personali di uno dei concorrenti muti il titolo del reato;

la mancata conoscenza, da parte dell’estraneo, delle predette condizioni o qualità (sempre che non si tratti di ignoranza inevitabile ex art. 45 c.p.); e, da ultimo, il dolo del soggetto qualificato rispetto al reato proprio realizzato.195

194 Situazione illogica paventata anche da LATAGLIATA, I principi del concorso di persone nel reato,cit., p. 218. Sul punto PAGLIARO, op. ult. cit., p. 73 precisa che, al contrario, in caso di errore dell’estraneo, le regole generali di cui agli artt. 47 e 110 c.p. troverebbero esplicita deroga nell’art. 117, che determinerebbe la punibilità per reato proprio dell’estraneo pur in errore sulla qualifica soggettiva. Con ciò, aggiunge, generando un’ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni analoghe: “non si spiega per quale motivo l’errore sulla qualifica dovrebbe escludere la responsabilità per il reato proprio, se commesso dal soggetto qualificato, mentre non possiederebbe tale idoneità qualora fosse commesso dall’estraneo. Se proprio si volesse scorgere una differenza tra le due posizioni, si dovrebbe pervenire alla soluzione opposta dato che, indubbiamente, è più scusabile l’errore su una qualifica subiettiva altrui, piuttosto che l’errore sulla qualifica subiettiva propria”.

195 Analogamente GRASSO in ROMANO-GRASSO, op. ult. cit., p. 253.

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