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3. Creatività e Movimento Creativo

3.1 L’atto creativo

Ken Robinson definisce la creatività come “il processo con cui si generano idee originali e di valore”, (Robinson, 2016: 138) sostenendo che alla radice della creatività ci sia l’immaginazione. Essere creativi significa quindi utilizzare la nostra immaginazione per portare alla mente cose che non sono presenti ai nostri sensi.

E’ un processo dinamico che spesso richiede di stabilire nuovi nessi, d’incrociare discipline diverse e di usare metafore e analogie. Essere creativi non vuol dire soltanto avere idee strambe e lasciar correre la fantasia. Può implicare anche tutto ciò, ma implica sempre anche perfezionare, verificare e focalizzare quello che si sta facendo. (Ivi: 139)

Essere creativi, quindi, significa “pensare in modo nuovo” e tale condizione non si contrappone alla disciplina e al controllo. La creatività, al contrario, richiede una profonda

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conoscenza dei fatti e forti abilità pratiche. Sarebbe errato pensare all’atto creativo come ad un processo lineare, per cui occorre apprendere tutte le abilità necessarie prima di iniziare. Il lavoro creativo richiede sì, la conoscenza di abilità e concetti ma essi non necessariamente devono essere pienamente padroneggiati per poter iniziare a lavorare creativamente. In ogni ambito concentrarsi sulle singole abilità può uccidere l’interesse: ripetere, per esempio, meccanicamente ogni giorno esercizi di grammatica può far passare la voglia di studiare una lingua. Il desiderio di scoperta e la passione per il lavoro sono gli elementi chiave della creatività e “quando gli studenti sono motivati a imparare, acquisiscono naturalmente le abilità di cui hanno bisogno per fare il lavoro’’ (Ivi:140). Molte teorie ritengono che il processo fondamentale della creatività sia quello di generare idee finalizzate a trovare la soluzione ad un problema, attuando una ricerca sempre più mirata in quanto “le idee creative in genere non si lasciano subito scovare ma occorre ampliare la mente per poterle individuare’’ (Antonietti, 2011:32). Teorie differenti vedono nel pensiero creativo l’abilità di compiere collegamenti: “Un esito creativo talvolta viene raggiunto stabilendo legami tra concetti disparati, cogliendo somiglianze tra elementi che non hanno nulla in comune” (Ibidem). Per alcuni sembra quindi essere la capacità di compiere “associazioni remote”, il meccanismo alla base della creatività. Antonietti (2011) sostiene che “il modo con cui le persone comuni talvolta affrontano le situazioni è simile a quello con cui operano i “grandi” creativi” (Ivi: 40). Per spiegare questo concetto prende ad esempio il processo dell’inversione, un meccanismo spesso utilizzato da Magritte che, per esempio, dipinse una sorta di sirena invertita dove la parte inferiore del corpo era quello di una donna e quello superiore di pesce. “Invertire il modo di pensare ed agire può essere utile non solo per escogitare originali soggetti pittorici, ma anche per risolvere problemi di altro genere.“ (Ivi: 41)

Nel corso della storia vari studiosi hanno cercato di dare una definizione opportuna e di individuare le caratteristiche cognitive e psicologiche dei cosiddetti “individui creativi”. Come evidenzia Trombetta (1990), alla fine del XVIII secolo, i primi studi si concentrarono sui meccanismi della mente che sono alla base del processo di immaginazione e invenzione. Per Colozza, l’immaginazione “ci fa vedere gli elementi che entrano nel problema e i rapporti che corrono tra ciò che si conosce e ciò che si ignora, tra ciò che si sa e ciò che si vuol sapere” (Colozza in Trombetta, Ivi: 30); essa dunque diventa la chiave che permette di risolvere i quesiti che ci poniamo e di fare ricerca scientifica. In particolare, egli distingue l’immaginazione riproduttiva da quella

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costruttiva, attribuendo alla prima “il compito di riconoscere, di confrontare, di ricostruire fatti, episodi che appaiono disordinati e incompleti” e alla seconda “il compito di elaborare e costruire, attraverso una tonalità emotiva come pure attraverso qualcosa di nuovo, sulla base di una visione di un complesso di proprietà e rapporti adeguati che permettono di avanzare delle ipotesi” (Ivi: 29). Quasi settant’anni dopo, lo psicologo statunitense Guilford, similmente a ciò che dichiara Colozza, individua due modalità di pensiero: il pensiero convergente e il pensiero divergente, individuando in quest’ultimo quegli aspetti che contraddistinguono l’atto creativo. Antonietti espone in maniera chiara la differenza tra questi due tipi di pensiero: mentre il pensiero convergente viene utilizzato per lo più in quei momenti in cui è richiesta una risposta immediata, univoca, ed è quindi necessario rispettare degli schemi già utilizzati in precedenza e delle regole già codificate, il pensiero divergente si attiva in quelle situazioni in cui sono possibili più soluzioni e pertanto richiede una risposta ben ponderata. (Antonietti 2011: 25) Sempre Guildford, suppone che il pensiero divergente sia caratterizzato da aspetti quali la fluidità, la flessibilità, l’originalità (Ivi: 26), oltre che da attività mentali come l’elaborazione e la valutazione (Rubini, 1980: 31-32).

La fluidità è la capacità di produrre una ricca varietà di idee, a favore più della quantità che della qualità di esse. “Quanto più abbondante è il numero di ipotesi, ricordi o fantasie che viene prodotto, tanto maggiore è la possibilità che uno di questi elementi possa risultare utile» (Antonietti, 2011: 26).

La flessibilità invece è quella capacità che permette alle persone di passare “da una categoria di elementi ad un’altra”, creando quindi relazioni insolite rispetto a quelle in genere più comuni. Ad esempio se chiedessimo a una persona di dirci quali sono gli utilizzi di una scatola con molta probabilità egli ci indicherà ad esempio quella di “contenere oggetti”, se maggiormente flessibile potrà indicare anche utilizzi più lontani dal contesto classico come ad esempio “creare un teatrino per i burattini” (Ibidem). È dunque chiaro che la flessibilità è collegata all’originalità, che risiede nella capacità di una persona nel trovare idee inconsuete. Ovviamente per decretare l’originalità di un’idea è necessario capire il contesto culturale da cui nasce, facendo un confronto con la “normalità” in cui l’individuo vive (Antonietti, 2011: 27).

Guildford ritiene che durante il flusso di idee creative, siano necessarie le capacità di elaborazione e di valutazione. La prima ci permette “di percorrere compiutamente e con ricchezza di particolari sensatamente collegati una strada ideativa imboccata”, mentre la

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seconda seleziona le idee che sono “congruenti agli scopi che si vogliono raggiungere” (Rubini, 1980: 31-32).

Lo psicologo bielorusso Vygotskij sostiene che osservando l’“attività umana”, è possibile cogliere due aspetti: l’attività riproduttrice e l’attività combinatrice o creativa (Vygotskij, 1990: 3-5). La prima è collegata alla memoria e quindi alla nostra capacità di ripetere comportamenti acquisiti durante le nostre esperienze passate. Con essa quindi non si crea niente di nuovo, ma si riproducono azioni che il nostro cervello, vista la sua plasticità, ha già elaborato antecedentemente e di cui ha conservato le ‘tracce’. Sebbene questo tipo di attività sia indispensabile all’individuo, lo studioso afferma che se “tutta l’attività del cervello si fermasse a ciò, l’uomo sarebbe soltanto, in prevalenza, un essere capace di adattarsi alle condizioni usuali e stabili dell’ambiente circostante” (Ivi: 4). Ecco allora che interviene il secondo tipo di attività, la quale ci permette di creare “una rappresentazione, un’immagine, un quadro mio personale […] o azioni nuove”. Il cervello, difatti, “è un organo che combina, che rielabora creativamente e, dagli elementi dell’esperienza antecedente, forma delle nuove situazioni e un nuovo comportamento” (Ivi: 5).

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