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L’attribuzione della cittadinanza dell’Unione Europea

In primo luogo è doveroso precisare come non esista, né sia possibile ipotizzare una nozione europea di cittadinanza, pertanto le norme dell’Unione che ne prescrivono il possesso come presupposto della loro applicazione , in realtà rimandano alla legge nazionale dello stato la cui cittadinanza viene posta a fondamento del diritto richiamato. Si tratta di un rinvio al diritto nazionale operato anche nel Trattato, ove si definisce all’art. 20 TFUE cittadino dell’Unione “chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”.

Ciò non significa che la competenza degli Stati membri in materia di cittadinanza sia priva di limiti in quanto essa deve esercitarsi entro

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alcuni limiti definiti dal diritto dell’Unione come è stato interpretato dalla Corte di giustizia. 43

L’istituzione della cittadinanza europea costituisce una delle maggiori novità inserite nell’ordinamento europeo dal Trattato di Maastricht del 1992, si tratta di uno status del quale possono disporre tutti coloro che sono cittadini di un Paese membro dell’Unione ed è indicato nell’art. 9 del TUE ed è disciplinato dagli articoli 20-25 del TFUE.44

La cittadinanza europea può essere considerata un arricchimento di quella nazionale, che non mira a sostituirla bensì a potenziarla attraverso alcuni diritti.

La europea può essere definita una cittadinanza aggiuntiva, derivata o “ancillare” rispetto alla nazionale.

Tuttavia la cittadinanza dell’Unione Europea viene acquisita solamente a titolo “derivato” in virtù del fatto che l’interessato è cittadino dello Stato membro, in base alla legge dello stesso.

Non esistono infatti dei principi che determinino l’acquisto o la perdita della cittadinanza europea nel diritto dell’Unione, il compito di delinearli spetta infatti a ciascun stato membro, come ricorda più volte la Corte di giustizia: “la determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto internazionale nella competenza di ciascun stato membro”.45

Il fatto che l’attribuzione della cittadinanza sia automatica esclude che l’Unione possa stabilire l’esistenza di criteri di acquisto o perdita della cittadinanza in via automatica.

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G. Tesauro “Diritto dell’Unione Europea”,CEDAM, Padova, 2012 p. 448 ss.

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Articolo 20 TFUE, Paragrafo 1:“E’ istituita una cittadinanza dell’Unione. E’ cittadino dell’Unione chiunque abbia cittadinanza in uno Stato membro. La cittadinanza dell’unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non si sostituisce a quest’ultima”.

Paragrafo 2: “I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei Trattati.”

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Gestri M. “La cittadinanza e gli stranieri”da “Immigrazione, Diritto e Diritti: profili internazionalistici ed europei” a cura di A. M. Calamia, M. Di Filippo, M. Gestri, Trento, 2012, p. 32 ss.

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Infatti spetta agli Stati membri disciplinare l’attribuzione o la perdita della propria cittadinanza, determinando di conseguenza anche l’ acquisto o la perdita della cittadinanza europea.

E’ importante ricordare che ogni Stato membro dispone della libertà di determinazione della propria cittadinanza e ciò non può essere confutato né dalle istituzioni europee né da nessun altro Stato membro. Ciò viene dichiarato con chiarezza nella dichiarazione n. 2 sulla cittadinanza di uno Stato membro allegata al Trattato di Maastricht. 46 Tale dichiarazione consente agli Stati membri di capire quali persone debbano essere considerate propri cittadini ai fini del diritto dell’Unione europea.

Si tratta di una libertà degli Stati membri che ha ripercussioni anche sulla cittadinanza dell’Unione, infatti dal momento che gli stati membri hanno libertà nella determinazione della prima così anche per quella europea.

Nella sentenza del 20 febbraio 2001, causa C-192/99, Manjit Kaur, la Corte di giustizia ha riconosciuto le molteplici categorie di cittadini del Regno Unito previste dalla legge di detto stato.

Si tratta di categorie che non dispongono dei medesimi diritti.

La signora Kaur è nata in Kenya ed è compresa nella categoria dei “cittadini inglesi d’oltremare”47

che non hanno diritto né d’ingresso né di soggiorno nel Regno Unito.

La Corte, rifacendosi alla legislazione britannica, ha negato a Kaur il diritto di entrare e restare nel territorio del Regno Unito sebbene un simile diritto derivi dall’art. 21 TFUE per i cittadini dell’Unione.

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“Ogni qualvolta nel Trattato che istituisce l’Unione Europea si fa riferimento ai cittadini degli stati membri, la questione se una persona abbia la nazionalità di questo o di quello stato membro sarà definita soltanto in riferimento al diritto nazionale dello stato membro interessato.”

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Per quanto concerne la impossibilità di uno Stato membro di sindacare la cittadinanza di un altro ricordiamo la sentenza del 7 luglio del 1992, causa C-369/90. 48

La Corte di Giustizia, già a partire dal caso Micheletti 49, aveva evidenziato che gli Stati membri devono esercitare la propria competenza relativamente all’acquisto e alla perdita della cittadinanza in conformità col diritto comunitario.

La Corte nello specifico ha respinto la posizione della Spagna, che negava che una persona che fosse provvista di cittadinanza sia argentina che italiana, potesse considerarsi italiana, in quanto per la legge spagnola, nel caso in cui ci si trovi in una situazione di doppia cittadinanza, deve necessariamente prevalere quella ove l’interessato ha residenza abituale, nel caso in questione, l’Argentina.

Dalla sentenza Micheletti si desume il principio secondo il quale la competenza degli Stati riguardo alla cittadinanza deve esercitarsi nel rispetto del diritto dell’Unione.

Pertanto non produrrebbero effetti sulla cittadinanza europea le disposizioni che per esempio fossero volte a privare qualcuno della cittadinanza per ragioni razziali e dunque il soggetto avrebbe ancora lo

status di cittadino dell’Unione.

Infatti non devono essere intaccati né i valori su cui si fonda l’Unione né i diritti fondamentali dell’individuo quali ad esempio la privazione della cittadinanza in seguito al soggiorno prolungato in un altro stato membro che mina la libertà di circolazione.

In tal senso è significativo il caso Rottmann, sentenza del 2 marzo 2010, causa C-135/08, in cui la Corte ha affermato la valenza dell’art. 20 del TFUE sulla cittadinanza dell’Unione.

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U. Villani “Istituzioni di Diritto dell’Unione europea”, Cacucci editore, Bari, 2016 p.113-129

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Il fatto che uno stato membro decida di revocare la cittadinanza che è stata ottenuta fraudolentemente comporta che tale deliberazione debba essere controllata dal punto di vista giurisdizionale qualora abbia come conseguenza la perdita di cittadinanza dell’Unione europea.

Il caso in esame riguardava Rottmann, un uomo che aveva già una pregressa cittadinanza austriaca e aveva ottenuto, attraverso naturalizzazione, quella tedesca.

Le autorità tedesche avevano revocato la naturalizzazione in conseguenza di una condotta fraudolenta tenuta dal Sig. Rottmann nella procedura di acquisizione della cittadinanza, che aveva in tal modo perduto anche quella dell’Unione.

Era stato possibile l’acquisto di una nuova cittadinanza ,da aggiungersi a quella che aveva ricevuto precedentemente per origine, attraverso una serie di dichiarazioni che si erano poi rivelate false. Tale situazione ha comportato, da parte della autorità tedesca, un provvedimento di revoca della cittadinanza.

Una decisione del genere avrebbe potuto condurre a una perdita della cittadinanza dell’Unione, a fronte di una incerta possibilità di riacquisto della cittadinanza austriaca.

Il diritto dell’Unione, come ha evidenziato la Corte di giustizia , non impedisce a uno stato membro di revocare la cittadinanza dell’Unione a un cittadino che l’abbia acquisita per naturalizzazione, anche quando la conseguenza possa essere la perdita di cittadinanza dell’Unione. La Corte di Giustizia ha evidenziato come la cittadinanza dell’Unione costituisca lo “statuto fondamentale” dei cittadini degli Stati membri. In ragione dell’importanza che il diritto dell’Unione attribuisce allo stato di cittadino dell’Unione, la Corte ha sostenuto che la decisione di revoca debba rispettare il principio di proporzionalità rispetto alle conseguenze che possono riversarsi sull’interessato ed eventualmente, sui suoi familiari per quanto riguarda la perdita di diritti di cui gode ogni cittadino dell’Unione.

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Dunque la competenza di cui gli Stati membri godono nella attribuzione e revoca della cittadinanza è sottoposta a limiti che derivano dal diritto dell’Unione, quando tale competenza incida sulla cittadinanza europea.

La Corte di Giustizia ha messo in luce come dalla cittadinanza dell’Unione possono essere ricavati risultati imprevisti.

Pensiamo al caso Zambrano, nel quale la Corte si è pronunciata favorevolmente nei confronti della richiesta di diritto di soggiorno e di lavoro in Belgio, invocata da un cittadino colombiano che si trovi in suddetto Stato.

L’uomo aveva avanzato la domanda poiché in Belgio risiedevano due suoi figli piccoli, a suo carico, che avevano acquisito la cittadinanza belga, e dunque anche quella dell’Unione, tramite ius soli.

La legislazione belga infatti, concedeva la cittadinanza a coloro che, nati in Belgio, in mancanza di tale attribuzione sarebbero risultati apolidi. Infatti il rifiuto di concedere il permesso di soggiorno e di lavoro avrebbe comportato come conseguenza quella di sottrarre i figli dal godere dei diritti collegati allo stato di cittadino dell’Unione e questo perché l’effetto per i figli, pur essendo cittadini dell’Unione, sarebbe quello di dover abbandonare il territorio dell’Unione per seguire i propri genitori.

La Corte dunque fa derivare il diritto di soggiorno del genitore da quello dei figli, che non avevano mai lasciato il territorio belga.

Mentre nell’articolo 20 del TFUE si parla in maniera esaustiva dei diritti dei cittadini dell’Unione al paragrafo 2, oltre che in appositi Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, non vi è alcuna precisazione di quali siano i doveri che derivano dallo status di cittadino.

La cittadinanza dell’Unione non costituisce un vincolo giuridico- politico caratterizzato da un lato dalla soggezione del cittadino allo Stato, dall’altro, da una sua partecipazione alla vita politica dello Stato.

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Si parla invece di una serie di diritti che possono essere esercitati nei confronti degli Stati membri, piuttosto che dell’Unione, e alcuni spettano non solo ai cittadini ma anche alle persone fisiche o giuridiche che hanno residenza o sede sociale in uno Stato membro.

La creazione della cittadinanza dell’Unione costituisce un evento di grande importanza. L’individuo non costituisce più solamente un soggetto economicamente attivo, ma anche un soggetto politico, attore attivo del processo di integrazione europea.

La Corte ha confermato che anche i diritti che derivano dalla cittadinanza dell’Unione possono essere esercitati solo nel caso in cui non si sia in presenza di situazioni esclusivamente interne ad uno stato membro.

Nella pratica tuttavia la Corte ha sempre dispensato con generosità elementi che sottraessero la fattispecie ad una configurazione meramente interna e la collocassero nel diritto dell’Unione.

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