1.3 I momenti della Pianificazione Strategica
1.3.3 L’Azione
La fase dell’azione certamente può essere definita come la fase più delicata della dinamica strategica, in quanto risulta caratterizzata dall’essere una dinamica nella dina- mica. In effetti, questa fase non si limita, così come avveniva per la pianificazione di ti- po tradizionale, solo al mero sviluppo applicativo delle decisioni analitiche predefinite, ma si realizza in un processo articolato, nel quale si riscontrano momenti decisionali, momenti operativi e di controllo. Di fatti si verifica una fase di messa a fuoco, seguita da una visione precisa e chiara a cui segue una definizione in progetti. Il sistema proget- to resta comunque aperto in quanto, in fase di realizzazione, si verificheranno una serie di problemi, di cui non era possibile preventivarne l’esistenza; pertanto il progetto è in continua evoluzione nel senso che giorno per giorno si attua un’azione di problem sol-
ving tale per cui il progetto si modifica a seconda dei problemi senza però perdere di vi-
sta quello che è l’obiettivo di fondo, ovvero le finalità dello stesso.
Ciò detto si sostanzia in un processo di apprendimento volto alla produzione di conoscenza che consenta di affrontare meglio i problemi che potrebbero presentarsi du-
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rante l’iter formativo. In tal senso l’apprendimento organizzativo è riscontrabile se e so- lo se si verificano due particolari condizioni: un alto grado di coinvolgimento generale ed il coinvolgimento del commitment.
Le fogge di cui si sostanzia la fase dell’azione sono, in particolare68: 1. L’approccio per processi;
2. L’apprendimento organizzativo; 3. L’elevato coinvolgimento degli attori;
1. L’approccio per processi. Individuando un approccio per processi, è inevitabile non portare il riferimento della catena del valore di Porter69; nella visione del modello individuato dall’Autore, le attività dell’impresa si dividono in attività primarie (macro- processi) e secondarie (microprocessi): le prime relative alla produzione di valore per il cliente e le seconde relative ai margini per l’impresa. Attraverso questa scomposizione, è possibile individuare una “gestione per processi”. Un processo non è altro che l’insieme di attività che trasformano gli elementi in ingresso (input: prodotti, energia, ecc. . ), in elementi in uscita (output: esiti del processo). Tra gli elementi persistono dei legami e delle interconnessioni70, pertanto, ogni processo viene gestito secondo una lo- gica cliente-fornitore interno in cui chi precede in una fase delle attività, opera per la soddisfazione di chi segue (cliente interno), in tal modo le attività sono collegate in se- quenze logiche, orientate ad un fine ultimo che è la soddisfazione del cliente esterno.
2. L’apprendimento organizzativo. L’apprendimento organizzativo è un aspetto fondamentale, soprattutto nella fase dell’attività sopra citata, ossia quella del problem
68
PELLICANO M. (2004), op. cit.. 69
PORTER M.E.(1980),Competitive Strategy: Techniques for Analyzing Industries and Competi- tors, The Free Press, New York.
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solving71. L’impresa ormai da tempo vista come sistema che apprende72, è individuata come un sistema che continuamente apprende informazioni dall’esterno o dall’interno (a seconda della natura del problema verificatosi), e sfrutta queste conoscenze individuan- do i rimedi agli eventuali problemi sorti. In questo contesto si parla di teoria dell’azione73 e nella fattispecie di una teoria individuale ed organizzativa. Ciò detto si verifica allorquando si pongono in relazione, sia le condizioni che definiscono un de- terminato problema con le strategie, sia gli atteggiamenti tesi ad affrontarlo e risolverlo. È indubbio, pertanto, che affinché a fronte di un dato problema sia stata individuata una strategia, è indispensabile che vi sia, a monte, un processo di conoscenza, apprendimen- to e valutazioni.
3. Il coinvolgimento degli attori. L’attuazione di un disegno strategico, non può ignorare o trascurare un buon livello di commitment74. In tal senso anche la strategic
persistance75 (persistenza strategica), di cui lo stesso commitment ne è parte integrante, valuta, a livello demografico e di crescita, i processi che portano alla formulazione di
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Il problem solving viene individuato anche in ambiti non propriamente economici ma che con esso sicuramente trovano diversi punti di incontro; il riferimento è con l’ambito medico. WATZLAWICK
P., BEAVIN J.., JACKSON DON D. (1971),Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma;
WATZLAWICK P.,WEAKLAND J.H.,FISCH R.(1974), Change: la formazione e la soluzione dei problemi, Astrolabio, Roma; NARDONE G.,RAMPIN M.(2005), La mente contro la natura, Ponte alle grazie, Milano.
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È ormai da tempo che diversi autori trattano l’argomento dell’impresa che è aperta ad imparare SIMON H.A. (1947), op. cit.; CYERT R.M., MARCH J.C.(1963), A behavior theory of the firm, Prantice Hall, Englewood Cliffs, New York; ZANZARA C.F. (1997), L’apprendimento organizzativo, in CODA G., NACAMULLI R.C.D. (a cura di), Manuale di organizzazione aziendale, vol. III, Utet, Torino.
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ARGYRIS C.&SCHON D.(1974),Theory in Practice, San Francisco, Jossey-Bass; ARGYRIS C. (1982),Reasoning, Learning and Action. Individual and Organizational, San Francisco, Jossey-Bass.
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Nella fattispecie per commitment si fa riferimento all’impegno vincolante prestato dall’OdG nella struttura che consente di raggiungere gli obiettivi prefissati e permane lungo la condotta strategica. GOLINELLI G.M., (2000), op. cit..
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Si riportano le cause di persistenza strategica di Ghemawat: il lock-in, ossia una sorta di blocco interno che blocca l’impresa all’interno della stessa strategia influenzandone le decisioni future; il lock-
out, ossia un blocco esterno, ossia un blocco che si verifica nel caso in cui l’impresa vorrebbe cambiare
strategia e riconsiderare strategie scartate a priori; i ritardi, ossia tempi tecnici che occorrono per realizzare ad esempio un impianto o un sistema distributivo, l’inerzia, ossia la tendenza, da parte dell’impresa a replicare scelte strategiche, nel tempo, da parte dell’impresa. GHEMAWAT P. (1993),
una determinata strategia. A fronte della strategic persistence, e quindi del commitment, le imprese che decidono di impiegare risorse in processi di scelte strategiche o meglio di processi all’interno di una dinamica strategica, sono per la maggior parte imprese di grandi dimensioni che detengono grosse quote all’interno di un mercato. La “strategia” migliore, in questo caso (ma in realtà non si tratta di una strategia, ma di una peculiarità fisiologica), sta nelle dimensioni aziendali: nel caso in cui il mercato cambi o l’impresa
leader del mercato opti per una linea strategica diversa da quella fin ora adottata, le im-
prese più piccole riescono ad essere maggiormente flessibili rispetto alle altre e si adat- tano in minor tempo a tale cambiamento. Quindi, la riduzione della capacità di anticipa- re i tempi ed imitare le innovazioni dei rivali, può essere certamente considerata una circostanza da evitare, meglio definita come uno svantaggio competitivo.