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L'EFFICACIA DELL'ESTERNAZIONE

Nel documento L'esternazione del pubblico potere (pagine 70-141)

1. Il significato istituzionale

Come visto, l'esternazione del pubblico potere è un comportamento comunicativo imputabile ad un organo pubblico, pubblico, atipico, atto a concorrere alla formazione dell'opinione pubblica. Si è osservato in precedenza che essa ha significato istituzionale, ma non si è ancora chiarito cosa questo significhi. Ciò è indispensabile per completare la spiegazione del concetto di esternazione.

Tale comportamento, si è visto, si può realizzare in forma linguistica o non linguistica. Nel primo caso la manifestazione di pensiero può essere scritta o orale.

Quando la manifestazione di pensiero assume forma linguistica, essa si compone di enunciati linguistici. Gli enunciati linguistici scritti sono a loro volta composti da simboli, punti e linee che stanno per o indicano qualcosa di diverso da essi244.

Il simbolo è una cosa che sta per un'altra. La parola deriva dal greco antico σύμβολον che indicava una sorta di tessera (in latino, tessera hospitalis), impiegata per indicare il legame di ospitalità esistente tra due persone, due famiglie, due πόλεις. La tessera veniva spezzata in due parti, ognuna delle quali era assegnata ad uno dei soggetti della relazione come contrassegno del legame contratto. E proprio in quest'accezione di contrassegno, cosa che indica altro, il termine entrò nel vocabolario filosofico e scientifico245. Si può anche dire che i simboli che compongono gli enunciati linguistici scritti sono segni, ovviamente impiegando questo termine in una accezione diversa da quella che lo vede come sinonimo di “traccia” o “indizio” di un certo evento (es. l'umidità del terreno è segno che di recente è piovuto)246. Nel caso in cui l'enunciazione linguistica sia orale sono i suoni a stare per qualcosa di diverso, quindi ad assolvere una funzione simbolica. Nel caso dei meri comportamenti, essi stessi costituiscono segni o, come talvolta si dice, “cenni” (es. far cenno di sì col capo).

La comunicazione è un comportamento normativo in quanto implica che siano seguite alcune precise regole. Ciò è ancor più evidente in relazione alla comunicazione in forma linguistica. L'unità minima della comunicazione linguistica non è costituita dai simboli o dalle parole, ma dagli “atti linguistici”o più semplicemente – visto che tutti gli atti sono linguistici – dagli atti: «Gli atti linguistici […] sono le unità minime o di base della comunicazione linguistica»247. L'unità minima della comunicazione è il comportamento comunicativo. Questo è di particolare importanza nello studio dell'esternazione del pubblico potere.

244 A. ROSS, op. cit., 106.

245 P. LOMBARDI, voce Simbolo, in Dizionario di Filosofia, a cura di P. Rossi, B. Mancini, G. Marini, M. Nacci, S. Parigi, Milano, 2003, 441.

246 Credo che A. ROSS (op. cit., 107) lo utilizzi in questa accezione quando distingue tra simbolo (stabilito dall'uomo) e segno (naturale).

Quanto segue sarà riferito prevalentemente alle esternazioni in forma linguistica, ma vale – coi dovuti accorgimenti – anche per quelle che abbiano una forma diversa.

Ogni enunciato linguistico, ogni consapevole impiego del linguaggio, in un uso effettivo, orale o scritto, ha un significato, a condizione che siano rispettate le regole della lingua parlata248. Come noto, diversi enunciati possono avere significato equivalente e lo stesso enunciato, secondo le circostanze, può avere significati diversi (sul punto si avrà ulteriormente modo di ritornare). Spesso nel corso di questo lavoro si offriranno ricostruzioni del significato di alcune esternazioni. È un'operazione delicata che è indispensabile compiere per studiare il comportamento tenuto dall'organo pubblico in relazione al modello costituzionale di riferimento. Proprio in ragione di ciò, la nozione di significato dell'esternazione deve essere oggetto di alcune indispensabili precisazioni.

Ogni esternazione del pubblico potere ha un significato sintomatico, nel senso che è sintomo di uno stato emotivo-volitivo che porta l'organo ad esprimersi. In questo senso ogni esternazione è un'espressione: «Ogni enunciato linguistico ha un significato espressivo, cioè è espressione o sintomo di qualche cosa. Questo significa che, come parte di una situazione psicofisica, esso si riferisce a quell'esperienza che ha dato origine all'enunciato. Qualunque cosa io dica, il mio enunciato deve essere stato causato da circostanze emotivo-volitive che mi hanno indotto ad esprimermi, da una spinta a comunicare idee ad altri oppure da una emozione che spontaneamente esige di essere manifestata»249. Alcune esternazioni, aventi quasi sempre forma linguistica, oltre ad avere un significato sintomatico, ne hanno uno anche semantico, nel senso che simbolizzano uno stato di cose, asseriscono qualcosa (es. “È stata approvata la legge”). Alcune esternazioni del pubblico potere sono asserzioni250.

Potrebbe realizzarsi un elenco molto lungo di tipi di enunciati che hanno un significato soltanto sintomatico e quello che segue senz'altro non è esaustivo. Si pensi alle esclamazioni (es. il Presidente della Repubblica esclama: “Viva l'Italia!”), alle direttive (es. Il Comandante della Guardia di Finanza ai suoi durante una conferenza: “Colpite duramente gli evasori”), ai suggerimenti (es. Il Presidente del Consiglio dei ministri durante un incontro con la stampa: “Le consiglio di approfondire”), gli ammonimenti (es. “Guai a noi se dimenticheremo la lezione...”), le suppliche (es. “Vi prego di ascoltarmi...”), le richieste o domande (es. “Che cosa intende fare la maggioranza?”). In questi, e altri casi, l'enunciato linguistico è espressione di uno stato di coscienza emotivo-volitivo, ma non rappresenta niente altro, non asserisce alcunché. Se invece un giudice costituzionale descrive il ruolo della Corte in un incontro con gli studenti, verosimilmente renderà esternazioni dal significato non solo sintomatico, ma anche semantico (non mere espressioni, ma asserzioni).

Può essere interessante notare che alla categoria degli enunciati dotati di un significato semantico appartengono anche quelli che compongono (nel loro nucleo fondamentale) le teorie251. Ovviamente non tutti gli enunciati dotati di significato semantico sono controllabili (scientifici): il fatto che un'asserzione non sia controllabile non la rende priva di significato (semantico)252.

248 K.O. POPPER, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, cit., 432 ss. 249 A. ROSS, op. cit., 8.

250 Ibidem, 9. 251 Ibidem, 11.

Talvolta distinguere tra mere espressioni e asserzioni limitandosi alla sola considerazione dell'enunciato linguistico è impossibile, ma su questo punto dovremo ritornare più avanti.

Posto che le esternazioni, purché rispettino le regole del comportamento comunicativo (della lingua parlata o scritta, nella generalità dei casi), hanno sempre un significato sintomatico e talvolta uno semantico (in quest'ultimo caso si può discutere di “esternazioni assertive”), occorre procedere ancora oltre considerando quanto segue.

Il significato di una esternazione, come già visto, si ricava attraverso un procedimento ermeneutico che deve tenere conto anzitutto del senso dell'atto o del mero comportamento comunicativo, che immediatamente si ricava dalla considerazione degli elementi costitutivi dell'esternazione, espressiva od assertiva, dotati di funzione simbolica (segni, cenni).

Il senso non determina però univocamente quale atto o mero comportamento venga compiuto nell'enunciazione, perché l'organo esternante potrebbe voler dire di più o di meno di quanto effettivamente dica253 (vale la pena di ripetere che l'intenzione comunicativa è una costante del comportamento comunicativo anche quando esso viene eseguito a vuoto, cioè senza che possa essere recepito da altri). Questo non toglie che gli sia sempre possibile dire esattamente quello che vuole (secondo il c.d. «principio della esprimibilità»254).

Se il Presidente del Consiglio dei ministri dicesse “L'Italia non interverrà in Libia finché il Governo libico non lo chiederà ufficialmente”, può darsi che il significato dell'enunciato coincida esattamente con ciò che l'organo esternante vuole dire (con la sua intenzione comunicativa). Può anche darsi che dal contesto si desuma che in realtà ha detto meno di quanto voleva dire, perché magari intendeva che la comunità internazionale deve adoperarsi per consentire alla Libia di esprimere al più presto un unico Governo legittimo (come presupposto per l'intervento italiano... ma poteva anche voler dire che l'Italia non è affatto intenzionata ad intervenire e chi ascolta può pensarlo, per esempio, se sa che il Presidente del Consiglio stima lontano nel tempo il momento in cui la Libia potrà avanzare richieste tramite un unico Governo legittimo).

Com'è facile intendere, numerosi sono anche gli esempi che possono trarsi “dalla realtà”. Il Ministro Elsa Fornero nel giugno 2012 ebbe a dichiarare al Wall Street

Journal che «l'atteggiamento delle persone deve cambiare: il lavoro non è un diritto, ma

va guadagnato, anche con il sacrificio»… quantomeno con un eccesso di sintesi255. Quando si considera una esternazione in forma linguistica ricercandone in quanto tale il senso, la si esamina come atto enunciativo e proposizionale256. Ci si sofferma sulle singole parole enunciate, la cui scelta può essere determinante sotto il profilo ermeneutico. Anche nella scelta di un certo vocabolo, in luogo di un altro (magari un sinonimo), possono cogliersi della sfumature importanti e, a maggior ragione, quando si utilizza una certa espressione in luogo di un'altra.

253 J.R. SEARLE, op. ult. cit., 42. 254 Ibidem, 44.

255 V., sul punto, P. MARSOCCI, Cittadinanza digitale e potenziamento della partecipazione politica

attraverso il WEB: un mito così recente già da sfatare?, in AA.VV., La rete internet come spazio di partecipazione politica. Una prospettiva giuridica, a cura di F. Marcelli, P. Masocci, M. Pietrangelo,

Napoli, 2015, 66.

Si raffrontino queste due esternazioni: a) “L'Italia non interverrà in Libia”; b) “L'Italia non attaccherà l'Isis”.

È stato osservato in proposito che il significato delle parole è relativo (anche) su un piano «che possiamo chiamare sinonimico o sistematico. Ciò implica che il significato di una parola sarà determinato con maggior precisione se la parola viene raffrontata con le altre che potrebbero occupare lo stesso posto nella frase e che presentino un “campo di riferimento” più comprensivo»257.

L'atto, come atto proposizionale, consta di due elementi fondamentali, il riferimento o soggetto e la predicazione258 (nell'atto proposizionale “L'Italia non interverrà in Libia”, “L'Italia” è il riferimento o soggetto, “Non interverrà in Libia” la predicazione). È chiaro che la proposizione può cambiare, ma l'intenzione comunicativa (ciò che si vuole dire) può rimanere identica259 (si raffrontino le seguenti esternazioni: a) “L'Italia non interverrà in Libia”, b) “Escludo missioni italiane in Libia”).

Come detto, occorre distinguere tra senso dell'enunciato e intenzione comunicativa. Nell'ultimo esempio, l'intenzione comunicativa è la stessa, il senso dell'enunciato è diverso. Infatti il senso cambia sempre al variare dell'atto enunciativo e proposizionale (il senso delle parole è diverso), sebbene rimanendo eguale l'intenzione comunicativa possa considerarsi “equivalente”.

Non è sufficiente considerare le esternazioni come atti enunciativi e proposizionali, cioè interrogarsi soltanto sul loro senso, sul loro significato letterale260. Le esternazioni devono essere studiate anche in relazione all'intenzione comunicativa. Se sono espresse in forma linguistica, si può anche dire che devono essere studiate come atti illocutivi. Inoltre occorre distinguere ulteriormente ciò che l'organo esternante vuole dire e le conseguenze che produce negli ascoltatori. Quando si esaminano le conseguenze di un'esternazione in forma linguistica sui destinatari della stessa, la si riguarda come un atto perlocutivo. Lo studio delle conseguenze dell'esternazione sui suoi destinatari, in ultima analisi sull'opinione pubblica, interessa ovviamente anche le esternazioni in forma non linguistica261.

Per chiarire la distinzione tra atto illocutivo e perlocutivo basti per il momento considerare quanto dappresso. L'esternazione “L'Italia non interverrà in Libia” come atto illocutivo è (in ipotesi) un'asserzione, come atto perlocutivo potrebbe essere un avvertimento alle potenze straniere, una rassicurazione agli italiani, et sic deinceps.

A ben vedere, il significato dell'esternazione è sempre il suo effetto, tanto come atto illocutivo quanto come atto perlocutivo. Il significato dell'esternazione può quindi essere studiato a tre livelli di profondità: un primo livello consente di cogliere il senso del comportamento comunicativo in quanto tale, senza riferimento alle intenzioni del parlante, ma avendo solo riguardo al significato delle parole, legate tra loro, nell'enunciato o ai cenni realizzati; un secondo consente di cogliere il significato del comportamento comunicativo come intenzione del parlante, attraverso la considerazione della situazione concreta in cui la comunicazione si realizza (e solo ciò consente di comprendere se si tratti di una mera espressione o di una asserzione); un terzo ed ultimo 257 A. ROSS, op. cit., 112.

258 J.R. SEARLE, op. ult. cit., 48. 259 Ivi.

260 Anche la giurisprudenza, specialmente in materia penale, ne esprime costantemente consapevolezza: v. C. CARUSO, op. cit., 247.

livello di analisi, mette in relazione l'intenzione comunicativa del parlante con le conseguenze che questi produce nei destinatari, cioè tenendo conto della trasformazione che determina sulla realtà esterna e della reazione di quanti siano destinatari della comunicazione.

Alle esternazioni come atti perlocutivi sono dedicate alcune riflessioni più avanti. È opportuno adesso insistere sulle esternazioni come atti enunciativi e illocutivi, o più in generale sul senso delle esternazioni (anche non in forma linguistica).

L'esternazione del pubblico potere è un comportamento comunicativo, al quale – come già visto – viene collettivamente assegnato un significato. Quando l'assegnazione di significato è frutto di un processo collettivo (di un “noi intendiamo”) si tratta di un comportamento che ha un significato sociale262. Non è detto che tutti i comportamenti comunicativi siano sociali in questo senso. Possono esistere comportamenti comunicativi non sociali263.

Va però subito aggiunto che l'esternazione del pubblico potere non è semplicemente un comportamento sociale, ma anche “lato sensu istituzionale”264. Per descriverlo, noi facciamo riferimento ad una serie di concetti (“organo”, “potere”, “dovere”, ecc.) che presuppongono uno sfondo istituzionale, riguardano istituzioni umane. Se l'atteggiamento che noi adottiamo verso il fenomeno sociale è concettualmente costitutivo del fenomeno stesso, questo può dirsi a fortiori dei fenomeni istituzionali265. Senza una conoscenza dello sfondo lato sensu istituzionale, la descrizione non sarebbe completa, il comportamento potrebbe ancora essere descritto, ma non potrebbe assumere il significato che in effetti ha. Le manifestazioni di pensiero lato sensu istituzionali sono molto frequenti e quelle che incorporano elementi giuridici si distinguono dalle altre soltanto in relazione alla demarcazione tra diritto e non diritto operata in un certo contesto comunitario (v. infra)266.

262 J.R. SEARLE (La costruzione della realtà sociale, cit., 36) definisce sociale «ogni fatto riguardante l'intenzionalità collettiva. Così, per esempio, il fatto che due persone stiano facendo una passeggiata insieme è un fatto sociale». La nostra idea di “passeggiata” dipende dall'assegnazione di una “funzione” alla parola che la designa e quindi di uno specifico significato al comportamento: v. 21 ss. 263 Si prenda in esame questa asserzione: “Questa è un'appa”. Si immagini che “appa” stia per

“cacciavite”, e che quindi per il parlante la manifestazione di pensiero sia dotata di significato (se si tratta di un bambino alle prime armi con la lingua parlata forse i suoi genitori sanno cosa vuol dire con “appa”). Tuttavia l'asserzione non ha un significato sociale, perché noi non intendiamo per “appa” un cacciavite, e in verità quel suono, e i correlati simboli, non indicano proprio niente nella nostra cultura.

264 Ibidem, 36. 265 Ibidem, 130 ss.

266 “Ha è il predicato verbale”, “Questo è denaro”, “Questa è il mio cacciavite” sono tutte manifestazioni di pensiero dotate di un significato lato sensu istituzionale, comportamenti che si comprendono solo a partire da un certo contesto istituzionale. Solo le ultime due incorporano elementi giuridici. Alcune di queste manifestazioni di pensiero possono produrre anche effetti giuridici, purché ne ricorrano le condizioni (es. “Ti dono il mio orologio”, a condizione che il bene mobile venga con ciò consegnato ad altra persona che lo riceve in dono). Si noti che, in generale, molti fatti istituzionali sono creati attraverso l'uso del linguaggio, come quando viene dichiarato lo stato di guerra o si aggiorna la seduta di un'assemblea legislativa (ibidem, 65 ss.). L'assegnazione collettiva di funzioni ai comportamenti

lato sensu istituzionali è più complessa perché implica l'impiego di parole dal significato complesso,

cioè parole che vanno ben oltre la natura fenomenica soggiacente all'assegnazione stessa (ibidem, 43 s.). La complessità in questione non è però identica per tutti i comportamenti lato sensu istituzionali. Che un oggetto con determinate caratteristiche sia un cacciavite è un fatto sociale che dipende da un'assegnazione collettiva di significato. Che una persona a certe condizioni sia un organo pubblico lo

Occorre ricordare come il significato delle esternazioni sia lato sensu istituzionale e, più precisamente, giuridico. Le esternazioni, però, sono manifestazioni di pensiero che non hanno un significato soltanto lato sensu istituzionale, ma istituzionale in senso

stretto. Ciò in quanto si tratta di comportamenti imputabili ad organi pubblici, che sono

quindi espressione del sistema istituzionale inteso come complesso degli organi pubblici. Il significato di un comportamento, si è detto, risulta dalla sua interpretazione, la quale deve tenere conto – se si tratta di una manifestazione di pensiero – del senso, dell'intenzione e delle conseguenze. Sfortunatamente non abbiamo certezze sul modo più corretto di intendere il concetto di “significato” e la sua relazione con quello di “efficacia”. Il significato di un comportamento è – ad opinione di chi scrive – nient'altro che il suo effetto. Così, condivisibilmente si è sostenuto che, dato un atto giuridico (negozio privato, provvedimento amministrativo, legge, sentenza), i suoi «effetti si identificano con le situazioni o gli status che ne sono i significati»267.

è altrettanto, ma in natura un organo pubblico non è diverso da un privato cittadino come un cacciavite rispetto ad uno stuzzicadenti.

267 L. FERRAJOLI, op. cit., 9. È stato notato che i dubbi in proposito sono forse dovuti alle ambiguità dell'uso della parola “norma” nella dottrina kelseniana: infatti, «Kelsen, pur distinguendo chiaramente l'atto normativo di volontà e la norma che ne costituisce il senso, designa indistintamente, a seconda dei casi, sia l'uno che l'altra: sia l'atto che il significato prescrittivo che ne è l'effetto; sia il fatto empirico della produzione normativa che la norma propriamente detta che dell'atto è al tempo stesso

l'effetto e il significato; sia la fonte della norma, appartenente chiaramente al mondo dell'essere (Sein),

che la norma medesima, appartenente invece al mondo del dover essere (Sollen)» (ibidem, 89 s., miei i corsivi; ma sulla norma v. subito oltre). A ragionare diversamente, si dovrebbe distinguere, anche in una prospettiva dinamica, il significato – che si trae in via di interpretazione dal comportamento – dal suo effetto, per poi sostenere (con una inutile complicazione) che (non solo il comportamento ma anche) il significato stesso necessita a sua volta di una interpretazione perché si produca l'effetto ovvero che l'effetto scaturisca automaticamente dal significato. Nessuna delle due strade è facilmente percorribile. Entrambe sono – a nostro avviso – inutilmente complicate: dal comportamento si trarrebbe il significato dal quale si trarrebbe in via di interpretazione o scaturirebbe altrimenti (in automatico, quindi misteriosamente) l'effetto. Siccome ciò che si trae mediante l'interpretazione è sempre un significato, la prima delle due vie alternative alla identificazione di significato ed effetto, in una prospettiva dinamica, non è praticabile perché implica che dal significante si tragga un significato dal quale si trae un altro significato (e si innesca così un regressus ad infinitum). La seconda strada di cui sopra si scontra con l'idea, che mi sembra debba rimanere ferma, che l'interpretazione sia un

medium necessario perché si possa discutere di effetti: poiché, a ragionare diversamente, si

interpreterebbe il comportamento, ma l'effetto sarebbe prodotto non dal comportamento ma dal significato che non andrebbe interpretato. Peraltro questo non corrisponde alla pratica del diritto né tanto meno alla interpretazione dei fatti nella vita comune, poiché noi collochiamo eventi e comportamenti entro le coordinate della causa ed effetto: così comprendiamo noi stessi ed il mondo, fintantoché ci riusciamo, in termini di causa ed effetto (si è fatto notare in precedenza che chiamiamo libero il comportamento proprio perché non può essere del tutto spiegato in questi termini). Possiamo sì affermare che un effetto è al tempo stesso causa (di altro effetto), ma non possiamo affermare che da una causa si risalga ad una x (il significato) dalla quale soltanto si ricava un effetto: poiché x, se si vuole negare che sia un effetto, sarebbe una causa non causata, il che è contraddittorio rispetto alla premessa che x si ricavi a sua volta da una causa. Ciò ha delle precise conseguenze sul modo di intendere la norma giuridica. Infatti, quando si considera la norma in una prospettiva statica, essa è la causa di un effetto e al tempo stesso il prodotto di una attività ermeneutica, quindi un significato, che si trae da un fatto significante. In una prospettiva statica la norma (significato) e l'effetto non coincidono. In una prospettiva dinamica, invece, la norma è l'effetto di un comportamento che la genera, la crea; coincide con il significato e con l'effetto di un comportamento; ma ovviamente non il comportamento regolato dalla norma, quanto invece quello che l'ha creata. Le norme giuridiche sono

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