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L'OPINIONE PUBBLICA ED IL PUBBLICO POTERE

Nel documento L'esternazione del pubblico potere (pagine 55-70)

1. La nozione di opinione pubblica

Perché si possa riconoscere un'esternazione come tale, è ancora necessario che essa sia atta a concorrere alla formazione dell'opinione pubblica (o sfera pubblica). In virtù di ciò, si rende opportuna anche per il giurista una riflessione sulle modalità di svolgimento del dibattito pubblico e sul ruolo che in esso rivestono le esternazioni degli organi pubblici. Analisi da svolgersi, in questo caso, non in astratto, e cioè alla ricerca delle condizioni universali di un discorso finalizzato all’intesa199, quanto piuttosto in concreto, al fine di delineare le modalità di un confronto pubblico ragionevole entro uno specifico contesto storico-sociale. Ed è possibile anticipare fin d'ora che non può che essere la Costituzione il punto di riferimento per individuare le modalità ragionevoli del pubblico dibattito.

Occorre chiedersi anzitutto cosa si debba intendere per opinione pubblica. Autorevole dottrina l'ha definita come quella zona della vita sociale nella quale in epoca moderna si dibattono questioni di interesse collettivo attraverso il metodo dell’argomentazione200. Scrive Habermas: «La traduzione letterale del termine tedesco “Öffentlichkeit”» (propriamente “il pubblicistico”, “la pubblicità”) comporta l'equivoco d'intendere “ciò che costituisce il fatto pubblico” (tale è lo specifico senso concettuale di questa parola) nel significato italiano di elemento pubblicitario, destinato, cioè, alla “pubblicità” (Publizität). Si è preferito perciò volgere il termine con espressioni meno rigorose forse, ma più comprensive, quali “sfera” o “dimensione pubblica” […] Definiamo “pubbliche” quelle istituzioni che, contrariamente alle società chiuse, sono accessibili a tutti […] Lo Stato è il “potere pubblico”. Deve l'attributo di pubblico al suo compito di provvedere al bene pubblico e comune di tutti coloro che sono consociati sotto lo stesso diritto. La parola acquista un altro significato se si parla […] di pubblica opinione, di sfera pubblica indignata o informata, significati, questi, che si riconnettono a quelli di “pubblico”, “pubblicità”, “pubblicare”. Il soggetto di questa sfera è il pubblico quale depositario della pubblica opinione; alla sua funzione critica si riferisce la pubblicità»201.

I termini di questa definizione – offerta da quella che si può denominare “dottrina classica” dell'opinione pubblica – necessitano di essere, sia pure rapidamente, chiariti seguendo l'impostazione di chi l'ha proposta.

L'opinione pubblica costituisce una “zona” pubblica, nel senso in cui “spazio pubblico” si contrappone a “spazio privato”: su questo si è già detto e non serve ripetersi.

“Opinione pubblica” è poi una espressione tipicamente moderna: non è possibile quindi comprenderla – secondo la tesi classica – semplicemente riferendo la pubblicità 199 J. HABERMAS, Etica del discorso, trad. it. a cura di E. Agazzi, Roma-Bari, 2009, part. 64 ss.

200 J. HABERMAS, Storia e critica dell’opinione pubblica, cit., 103 ss. 201 Ibidem, XLV e 3 s.

ad un concetto premoderno di opinione. La prima delle due parole che compongono la locuzione, vale a dire “opinione”, non dovrebbe essere intesa né come δόξα o opinio (congettura), né come reputation (fama, giudizio altrui). La parola “opinione” verrebbe ad assumere nella espressione “opinione pubblica” un significato completamente nuovo: a partire dalla fine del XVIII secolo, con opinione pubblica ci si riferirebbe «all'attività razionale di un pubblico capace di giudizio»202. Anzi, a seguire questa dottrina, entrambi i significati originari di opinione – la semplice opinione e la reputazione che si riflette nelle opinioni – si contrapporrebbero a quella razionalità che l'opinione pubblica pretende.

A seguire tale indirizzo, “argomentazione” sarebbe infatti, puramente e semplicemente, quella “razionale”, intesa alla maniera degli illuministi e dei marxisti, quale discussione critica al servizio della emancipazione umana. In virtù di una simile concezione dell'argomentazione, la sfera pubblica avrebbe in origine una funzione politica democratica che tuttavia, sempre secondo tale orientamento, finirebbe per perdere nel corso del Novecento203.

La dottrina classica è stata sviluppata come teoria descrittiva ed è divenuta più tardi la base per una teoria prescrittiva. Non è possibile dilungarsi sul punto. Basti osservare che le implicazioni della dottrina classica per lo sviluppo di una teoria prescrittiva e, quindi, per quanto interessa il costituzionalista, di una dottrina della giusta costituzione, non necessitano di essere prese in esame ai nostri scopi. L'idea di sfera pubblica ha costituito il punto di partenza di una teoria etica del discorso (razionale)204. Non è possibile accogliere questa teoria, neppure indipendentemente dai rilievi che si muoveranno alla dottrina classica: in estrema sintesi, essa ha un fondamento incerto sul piano epistemologico e, anche a prescindere da una simile contestazione, possiede un contenuto criticabile “per difetto”: conduce infatti, a parere di chi scrive, ad una problematica forma di “giusnaturalismo minimo”.

Quanto alla dottrina classica [intesa come descrittiva dell'opinione pubblica (qual è) e non come prescrittiva (dell'opinione pubblica quale dovrebbe essere)], essa si espone alle seguenti critiche: a) la definizione di argomentazione che propone è riduttiva; b) non è idonea a spiegare perché l'opinione pubblica è un concetto tipicamente moderno; c) separa senza giustificazione la teoria dell'opinione dalla teoria dell'opinione pubblica; d) riduce la teoria dell'opinione pubblica in una dottrina della fine dell'opinione pubblica (è viziata nella parte in cui considera la sfera pubblica contemporanea inevitabilmente priva di funzioni politiche democratiche).

Queste critiche sono indicate e saranno esposte di modo che l'accoglimento della critica che precede renda più forte la critica che segue. Questo non significa, però, che esse non siano autonome l'una dall'altra.

La prima può essere sintetizzata affermando che se per “argomentazione razionale” si intende una manifestazione di pensiero che si giustifichi necessariamente a prescindere dalle emozioni, dalla tradizione o dalla religione (per fare alcuni esempi), allora la definizione di sfera pubblica risulta essere troppo angusta, perché non descrive adeguatamente l'opinione pubblica come realtà storica.

Non a caso, la stessa dottrina che l'ha proposta più tardi lo ha riconosciuto, distinguendo tra “sfera pubblica informale” e “sfera politico-istituzionale”. L'occasione 202 Ibidem, 104.

203 Ibidem, 209 ss.

del chiarimento è stata offerta dallo studio del pluralismo religioso che caratterizza le società democratiche contemporanee: nella “sfera pubblica informale” – si è sostenuto – i non credenti devono riconoscere il significato dei contributi offerti in “termini religiosi” perché questi sono preziosi per la formazione dell'opinione pubblica. Pertanto, nella “sfera pubblica informale” l'argomentazione non deve essere necessariamente razionale.

La tesi classica non viene con ciò abbandonata, ma semplicemente corretta. Il salvataggio passa attraverso l'elaborazione di una nuova dottrina che la integra: la dottrina della riserva istituzionale di traduzione.

Secondo questa teoria, nella “sfera politico-istituzionale” (nella quale le questioni di interesse collettivo sono discusse da persone che ricoprono cariche pubbliche) sono i credenti a doversi sforzare di esprimere in modo laico le loro opinioni, traducendo il loro pensiero in forme accessibili ai non credenti: si tratta quindi di un processo di reciproco apprendimento dei non credenti dai credenti (nella “sfera pubblica informale”) e dei credenti dai non credenti (nella “sfera politico-istituzionale”). Difatti la democrazia, «che con la garanzia della libertà religiosa quale diritto fondamentale tutela espressamente tali forme di esistenza, non può attendersi che tutti i credenti motivino le loro scelte politiche, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose o visioni del mondo. Questa rigorosa richiesta può essere rivolta soltanto a quegli uomini politici che nell'ambito delle istituzioni statali soggiacciono all'obbligo della neutralità rispetto alle visioni del mondo»205. Laddove per “uomini politici” devono intendersi «tutti coloro che assumono mandati pubblici»206, quindi tutti gli organi pubblici. In altre parole, lo Stato democratico «non deve trasformare la debita separazione istituzionale tra religione e politica in un peso mentale e psicologico che è impossibile imporre ai suoi cittadini credenti. D'altro canto, esso non può non aspettarsi da loro che riconoscano il principio dell'esercizio ideologicamente neutrale del potere. Ciascuno deve sapere e accettare che oltre la soglia istituzionale che separa la sfera pubblica informale da parlamenti, tribunali, ministeri e amministrazioni, contano soltanto le ragioni laiche»207. Questo effetto del principio di laicità è stato appunto definito «riserva istituzionale di traduzione»208.

La teoria della riserva istituzionale restringe la validità della tesi classica alla “sfera politico-istituzionale” e così, almeno in parte, la salva. Deve, però, concedere che la tesi classica non è valida quanto alla “sfera pubblica informale”.

A ben vedere, nella dottrina classica corretta la riserva istituzionale definisce un modello di laicità (e di sfera pubblica) intermedio tra due “estremi teorici”. È facile immaginare che genere di critiche possano esserle state rivolte. Da una parte, è stato sostenuto che non occorre prevedere alcuna riserva, per cui i credenti, quando ricoprono cariche pubbliche, non incontrerebbero nei comportamenti comunicativi pubblici atipici, alcun limite nella manifestazione del proprio credo (dottrina dell'assenza di limite o libertaria)209. Dall'altra, si è ritenuto che la riserva dovrebbe valere non soltanto per coloro che ricoprono cariche pubbliche, ma per tutti i cittadini chiamati ad un uso pubblico della ragione: «Sulle questioni politiche fondamentali non si devono mai 205 J. HABERMAS, Tra scienza e fede, cit., 24.

206 Ivi. 207 Ibidem, 33. 208 Ivi.

introdurre nella ragione pubblica considerazioni esplicitamente formulate in termini di dottrine comprensive»210 (riproposizione della dottrina classica).

La dottrina dell'assenza di limite si riferisce ai comportamenti comunicativi pubblici atipici degli organi pubblici, poiché non contesta il rispetto delle forme tipiche né prende in esame il comportamento privato di chi ricopre la carica. Asserisce che nessun limite particolare discende dal principio di laicità per i comportamenti comunicativi atipici degli organi pubblici: essi, almeno per questo aspetto, non sono diversi dai comportamenti tenuti dai privati. Più che una teoria dell'opinione pubblica è quindi una teoria della laicità. L'attacco che muove alla nuova versione della teoria classica dell'opinione pubblica non è per questo meno insidioso, perché insinua il dubbio che la correzione operata attraverso la distinzione tra “sfera pubblica informale” e “sfera politico-istituzionale” sia viziata: la teoria classica corretta – si potrebbe dire – propone come universale un concetto particolare di laicità, che un ordinamento costituzionale democratico potrebbe non accogliere. In tal modo, la critica libertaria ridimensiona la portata della tesi classica anche nella sua ultima formulazione: essa sembra essere vera se e solo se – nel singolo ordinamento costituzionale – dal principio di laicità discenda come effetto la riserva istituzionale di traduzione. Questo non necessariamente succede in tutti gli ordinamenti democratici, come invece la dottrina della riserva istituzionale pretenderebbe. Quanto all'ordinamento italiano, la critica libertaria è falsa, ma ciò – come vedremo – dipende dal modo in cui il principio di laicità viene inteso nel nostro Paese211.

Quanto alla riproposizione della tesi classica, invece, occorre capire se la pretesa che la discussione si svolga nella forma di una argomentazione rigorosamente razionale abbia soltanto a che vedere con un procedimento ipotetico di scelta della giusta costituzione ovvero si riferisca alla realtà storica, prescrivendo che le discussioni pubbliche debbano sempre essere razionali o addirittura identificando con esse il concetto di sfera pubblica. Sul piano di una dottrina della Costituzione elaborata entro il quadro epistemologico tipico del razionalismo moderno (strada che non sappiamo se sia percorribile: si ricordi il paradosso di Böckenförde), devono effettivamente essere accolte solo argomentazioni razionali212. Se la tesi classica, unitamente alla teoria della riserva di traduzione, pretende di valere come base di una dottrina della Costituzione “razionalista”, questa critica – a nostro avviso – coglie nel segno ma, per i motivi cui già si è accennato, non interessa la presente trattazione. Per stessa ammissione di chi l'ha criticata, la tesi classica, integrata dalla teoria della riserva istituzionale, non si riferisce però ad un dibattito ideale per la definizione dei principi di una giusta costituzione, ma ad una situazione discorsiva concreta bisognosa di condizioni procedurali che la guidino nel contesto di una democrazia costituzionale213.

Per quanto interessa nelle economie di questo lavoro, ogni riproposizione della dottrina classica nella sua formulazione originaria si esporrebbe alla critica di veicolare 210 J. RAWLS, Liberalismo politico, trad. it. a cura di A. Ferrara, P. Palminiello, G. Rigamonti, C.

Spinoglio, Torino, 2012, 224.

211 Per laicità si intende il principio per il quale il dominio temporale e quello spirituale sono separati. La separazione tra sfera istituzionale e sfera morale/religiosa è un aspetto del rapporto tra istituzioni pubbliche e cultura nella forma di Stato e deve intendersi «come tutela del pluralismo, a sostegno della massima espressione della libertà di tutti, secondo criteri di imparzialità» (sent. n. 67 del 2017, punto 2.1, cons. dir.).

212 J. RAWLS, Una teoria della giustizia, trad. it. a cura di U. Santini, Milano, 2010, 38 ss. 213 J. RAWLS, Liberalismo politico, cit., 340.

una nozione riduttiva di argomentazione. A nulla varrebbe osservare che “in certe situazioni” i cittadini abbiano la possibilità di «proporre quella che essi considerano una base dei valori politici radicata nella loro dottrina comprensiva purché lo facciano in modo da rafforzare l'ideale della ragione pubblica»214. Non servirebbe, cioè, precisare che i cittadini possano includere nel discorso pubblico il riferimento a dottrine comprensive subordinatamente alla presenza di peculiari condizioni storiche giustificative entro una determinata comunità politica. Pure se si ammettesse che «i limiti esatti della ragione pubblica variano secondo le condizioni storiche e sociali»215, il “punto essenziale” della dottrina classica non muterebbe e la definizione di argomentazione rimarrebbe troppo angusta, anche accettando che “sfortunatamente” si debba tollerare una argomentazione non razionale tenendo conto delle variabili storiche («i cittadini dovrebbero sentirsi spinti ad onorare l'ideale in sé», l'ideale dell'uso pubblico della ragione; «dovrebbero quando le circostanze lo permettono, farlo immediatamente; ma spesso si è costretti a mettersi in una prospettiva a lungo termine»216).

La dottrina classica, nella sua formulazione originaria, sembra essere riproposta in alcuni passaggi dell'opera di John Rawls. Il pensatore americano riporta a questo proposito alcuni esempi: i discorsi degli abolizionisti, di M.L. King e ancora alcune esternazioni del Presidente Lincoln. A quest'ultimo proposito scrive: «Potremmo chiederci se la proclamazione di una giornata nazionale di digiuno da parte di Lincoln nell'agosto del 1861 o le sue due proclamazioni della festa del Ringraziamento nell'ottobre del 1863 e del 1864 violassero l'idea di ragione pubblica. E che dire del secondo discorso inaugurale, con la sua interpretazione profetica (veterotestamentaria) della Guerra civile come punizione di Dio, che ricadeva in modo eguale sul Nord e sul Sud, per il peccato della schiavitù? Io sono incline a pensare che Lincoln non abbia violato la ragione pubblica, come l'ho analizzata e come valeva ai suoi giorni (se valga allo stesso modo anche ai nostri è un'altra faccenda), dato che le sue parole non avevano implicazioni che investissero elementi costituzionali essenziali o questioni di giustizia fondamentale – o quelle che avevano potevano, sicuramente, trovare un saldo sostegno nei valori della ragione pubblica»217. Da queste parole si capisce che la ragione pubblica costituisce un ideale, un metro di giudizio della realtà: pertanto, come si è già detto, Rawls non è interessato a contestare la riformulazione della dottrina classica come teoria descrittiva. Al tempo stesso, Rawls è disposto ad intendere con una certa flessibilità l'ideale della ragione pubblica, tenendo conto delle coordinate storiche e dei principi fondamentali che caratterizzano i singoli ordinamenti.

Tranne che nei casi in cui le condizioni storiche giustifichino contingentemente un riferimento a dottrine comprensive in funzione rafforzativa dell'ideale dell'uso pubblico della ragione, i cittadini – secondo l'illustre pensatore – dovrebbero, però, confrontare le loro idee imponendosi una riserva che si potrebbe spiegare anche suggerendo questo “test”: «Per controllare se stiamo seguendo la ragione pubblica possiamo chiederci

214 Ibidem, 225. 215 Ibidem, 228.

216 Ivi. Sulla necessità che contributi offerti in termini religiosi animino la sfera pubblica v. anche L. DIOTALLEVI, Religione/i e società civile: la condizione di ieri e le questioni di oggi, in AA.VV., Società civile e democrazia, Roma, 2002, 98 ss.

come ci apparirebbe il nostro argomento se si fosse presentato come parere della Corte Suprema: ragionevole o vergognoso?»218.

Questa impostazione – lo si è visto – non può essere accolta perché l'argomentazione che caratterizza la sfera pubblica o opinione pubblica non è necessariamente razionale (e ciò è del tutto legittimo in un ordinamento democratico ed è indispensabile per il progresso della cultura)219. Comprensibilmente, la dottrina classica è stata modificata dalla teoria della riserva di traduzione, di modo che l'esigenza di una argomentazione razionale, che vale per gli organi pubblici, sia estesa soltanto ai candidati a ricoprire cariche pubbliche elettive220 (si tratta di una estensione nel caso in cui le allocuzioni di quest'ultimi non siano imputabili ad organi pubblici). L'estensione della riserva di traduzione può trovare giustificazione, dal punto di vista costituzionalistico, in quanto alcuni dei candidati possono essere (e sono non poche volte) persone che ricoprono cariche pubbliche, talvolta in regime di prorogatio: il che implica, per evitare diseguaglianze, che il principio di laicità (sempre che da esso, nel singolo ordinamento, discenda un effetto analogo alla riserva di traduzione) operi allo stesso modo per tutti quanti siano candidati a ricoprire la carica. Anzi, procedendo oltre la considerazione di elementi di tipo meramente formale, la forza del principio di laicità dovrebbe essere allora tale da plasmare anche il comportamento dei candidati in senso “meramente

materiale”: si pensi all'identificazione – almeno tendenziale – del leader di

partito/coalizione vincente con il Presidente del Consiglio dei ministri. Per la dottrina classica, è quindi richiesto che anche i leader di partito o coalizione, che aspirino alla carica di Presidente del Consiglio (quand'anche non candidati formalmente al Parlamento), si attengano alla riserva istituzionale di traduzione. Stesso discorso dovrebbe farsi anche per coloro che si propongono, risultati delle elezioni permettendo, come futuri componenti del Governo. Riassumendo, per la dottrina classica (corretta; d'ora in avanti, di nuovo, per comodità anche solo “dottrina classica”) il principio di laicità impone la riserva istituzionale di traduzione a tutti gli organi pubblici e a coloro che si candidano a ricoprire cariche pubbliche elettive. In questo senso, tale principio limita e conforma la manifestazione di pensiero imputabile agli organi pubblici e ai candidati a ricoprire cariche politiche. Come detto, è possibile contestare che il principio di laicità debba limitare e conformare in tal modo la manifestazione di pensiero imputabile agli organi pubblici in ogni ordinamento democratico221.

La sfera politico-istituzionale è individuata dai sostenitori della dottrina classica con criterio soggettivo (con riguardo a coloro che manifestano il proprio pensiero: organi pubblici e candidati), ma si isola entro la sfera pubblica tout court in termini anche oggettivi, in quanto plasmata dalla riserva istituzionale di traduzione.

Tuttavia la definizione di opinione pubblica come zona della vita sociale nella quale si dibattono questioni di interesse collettivo mediante il metodo della argomentazione (non solo razionale, nel senso che si auspica di avere chiarito) non è ancora 218 Ibidem, 230 s.

219 P.K. FEYERABEND, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, trad. it. a cura di L. Sosio, Milano, 2008, 15 ss.

220 J. HABERMAS, op. ult. cit., 32. Comunque questo non significa che il riferimento alle dottrine comprensive debba essere cancellato dalla sfera politico-istituzionale, ma che tutti gli attori di tale sfera debbano sforzarsi di offrire, a sostegno delle loro idee, motivazioni potenzialmente valide anche per quanti non condividano il loro stesso modus vivendi.

221 C. CARUSO, La libertà di espressione in azione. Contributo a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Bologna, 2013, 245.

soddisfacente. Come preannunciato, essa si espone infatti ad una seconda critica: ciò che si suole indicare con “sfera pubblica”, dotata di “funzioni politiche”, si afferma – si sostiene – a partire dal Settecento in Europa222. Tuttavia nessun elemento della definizione proposta è idoneo a rendere conto della modernità del concetto di sfera pubblica. Difatti le questioni di interesse collettivo sono state dibattute, mediante il metodo della argomentazione, in molti contesti ed in epoche storiche differenti (a maggior ragione se, come si è ritenuto, per argomentazione non deve intendersi soltanto quella razionale).

2. La nascita dell'opinione pubblica

La dottrina classica mostra molto chiaramente come l'opinione pubblica non nasca in ogni Paese nello stesso tempo e allo stesso modo. In alcuni casi, il “metodo della argomentazione” si afferma prima nella “sfera politico-istituzionale” e poi nella “sfera pubblica informale”; in altri, esso conquista la “sfera pubblica informale”, fino al punto di trasformare profondamente anche la “sfera politico-istituzionale”.

La public opinion e l'opinion publique nascono in tempi e modi differenti:

a) in Inghilterra, già nel XVI secolo, un dibattito pubblico critico si registra dentro le

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