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L’epistolario familiaris tra il dictamen e il libro di lettere

IV. Storia dell’epistolografia fra Petrarca e Boccaccio: verso la respublica litteraria

IV.1 L’epistolario familiaris tra il dictamen e il libro di lettere

Rientra sicuramente fra uno dei più affascinanti tasselli che compongono la trama degli esordi dell’Umanesimo, il ritrovamento ad opera di Petrarca delle lettere di Cicerone ad Attico, al

fratello Quinto e a Bruto:286 non solo perché allora per la prima volta emerse l’immagine di un

Cicerone inedito, gravato dalle contraddizioni e dalle debolezze, ma anche per la profonda ridefinizione del genere epistolare che quella scoperta avrebbe avviato, a partire proprio dall’elaborazione letteraria del suo patrono. Tuttavia non basta assestare attorno all’illuminante presenza delle lettere dell’Arpinate sullo scriptorium petrarchesco la riforma di un genere così vivido e prolifico per tutto il millennio medievale – dalle Variae di Cassiodoro alle corrispondenze di Lupo di Ferrieres fino alle formulazioni teoriche e tecniche della artes

dictandi;287 serve anche tenere presente la sostanziale critica mossa dal poeta alla struttura del Trivio e la sua contesa sull’ordine degli studi, che, già implicite nelle linee guida del suo modello poetico articolato nella Collatio laureationis, divengono il motore trainante dello sviluppo umanistico dell’epistola. La quale, voltate le spalle all’esperienza meramente dettatoria, è sottratta ai rigidi schematismi formali e professionali, per inoltrarsi nel modello classico della “familiare”, senza dimenticare, soprattutto nella seconda raccolta, le Senili, un serrato confronto con la prosa morale senecana e con quella omiletico-religiosa di San Paolo, Agostino e Gerolamo. Quando si parla della prima origine di questa nuova tipologia di lettera umanistica – è bene specificarlo -, non si sottintende l’azzeramento della tradizione medievale, che pure continua, a servizio delle cancellerie, lo sforzo di conciliare i suoi presupposti con le recenti influenze delle lettere di Cicerone e, in seguito, di Plinio:288 si tratta, piuttosto, di inquadrare la ricerca sulla lettera privata, ossia un prodotto la cui definizione si profila in limine fra il marchio letterario e la necessità comunicativa, stretti su due piani oramai sempre più interconnessi.

286

Fam. XXIV 3, 1. Cf. DOTTI, Vita, pp. 132-134.

287 Sulla la novità del modello epistolare petrarchesco rispetto alla tradizione medievale preziosi i contributi di

P.G.RICCI, Il Petrarca e l’epistolografia, in Id. Miscellanea petrarchesca a cura di M.BERTÉ, Roma 1999, pp. 201-212 e GOLDIN FOLENA, Petrarca.

288 Cf. C.G

RIGGIO, Aspetti retorico e formali dell’epistolografia umanistica, in Alla lettera: teorie e pratiche epistolari da Greci al Novecento, a cura di A. Chemello, Milano, Guerini e Associati, 1998, pp. 83-107, in part. pp. 83-86 e 96-100, ove emerge anche lo stato degli studi sulla questione, a partire dalla tesi del Kristeller, che affermava la sostanziale continuità fra le artes dictandi e i modelli epistolografici quattrocenteschi (cf. ivi, p. 86, n. 7).

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Le novità apportate da Petrarca nell’ambito del genere epistolare fra Tre e Quattrocento possono essere affrontate da diversi punti di vista, che, per gran parte, sono già stati proficuamente avallati dagli studi critici. Si consideri, anzitutto, lo slittamento dal dictamen nato entro le cancellerie o tentato come puro esercizio di stile, ma comunque sempre ascritto ad un’istanza ideologico-politica o etica, alla corrispondenza fra amici, impostata, cioè, sulla sintonia umana ed intellettuale fra mittente e destinatario:289

«Epycurus, philosophus vulgo infamis sed maiorum iudicio magnus, epystolas suas duobus ac tribus inscripsit: Ydomeneo, Polieno et Metrodoro; totidem pene suas Cicero: Bruto, Athico et Ciceronibus suis, fratri scilicet et filio; Seneca perpaucas preterquam Lucilio suo scribit. Promptum opus et felicissimi successus nosse collocutoris sui animum, unius assuevisse ingenio, scire quid illum audire iuvet, qui te loqui deceat»;290

questo presupposto si traduce, sul piano pratico, nella possibilità di affrontare per lettera una confessione laica del proprio animo e delle proprie esperienze di vita, con l’obiettivo di rendere il destinatario partecipe degli stessi sentimenti. Il passaggio dallo scolastico vos al classico tu, poi proposto da Coluccio Salutati - non senza contrasti - anche nelle lettere pubbliche, è sintomatico del rapporto sodale che Petrarca imposta con i suoi corrispondenti, dai potenti ai familiari più stretti; certo, lo stile deve tener convenientemente conto dei diversi tipi umani a cui l’autore si rivolge,291

ma l’obiettivo precipuo a cui esso è informato permane il «desiderio di chiarezza», perché la comunicazione privata risulti anche immediata e capace di agganciare subito un canale diretto con l’altro.292 Su una prosa oscura, nella quale lo sviluppo argomentativo è intralciato dalla sintassi a tratti impenetrabile o lussureggiante, dall’utilizzo di termini ricercati e spesso estranei all’uso classico e, ancora, dall’irrinunciabile ricorso al cursus, ora avanzano periodi equilibrati, l’accurata selezione dei vocaboli latini – sistematica e continua la revisione di Petrarca su questo aspetto – e il ripudio delle tradizionali formule ritmiche. In generale, nelle mani dell’autore, ancora lontano da quella concezione storica della lingua che sarà acquisizione dell’Umanesimo maturo, il latino è una

grammatica,293, cioè un insieme di regole morfo-sintattiche e lessicali, che possono essere

289 G

OLDIN FOLENA, Petrarca, pp. 62-66.

290 Fam. I 1, 20. 291

GOLDIN FOLENA, Petrarca, pp. 69-74.

292 G.A.L

EVI, Sullo stile latino delle “epistole” del Petrarca, in «Atene e Roma», VI (1938), pp. 121-130, cit. a p. 125. Sul latino di Petrarca, ed in particolare sulla prosa epistolare, vd. anche S.RIZZO, Il latino del Petrarca e il latino dell’umanesimo, in in Il Petrarca latino e le origini dell'umanesimo. Atti del Convegno internazionale, Firenze, 19-22 maggio 1991, in «Quaderni Petrarcheschi», IX-X (1992-1993), pp. 349-365 e ID., Il latino del Petrarca nelle Familiari, in The uses of Greek and Latin: historical essays, edited by A.C. Dionisotti-A. Grafton- J. Kraye, London 1988, pp. 41-56.

293 Cf. in generale M. T

AVONI, Latino, grammatica, volgare: storia di una questione umanistica, Padova, Antenore, 1984.

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rimodellate sulla base delle esigenze stilistiche, messo al bando l’intento imitativo.294 Anche

il ricorso agli auctores risulta quasi sempre diretto e introdotto dalle formule «ait» o «inquit», che affastellano soprattutto le pagine delle Senili, e molto spesso in concomitanza con i maggiori snodi argomentativi: a dimostrazione che l’intento di Petrarca non si distoglie dal requisito di fornire alla sua lettera la garanzia di un discorso improntato al vero, o meglio, ad una verità universale,295 la quale, testata dal concomitante accordo degli autori pagani e cristiani, merita di essere ora esplicata in una scrittura fluida e chiara.

Su questi principi di base si innesta la personale reinterpretazione della medievale e scolastica partizione dell’epistola – salutatio, exordium, narratio, petitio e conclusio -, condotta in parallelo con il tentativo di sperimentare una variegata gamma retorica entro lo stesso contenitore epistolare: tra i pezzi più prettamente contingenti – eppure, si è già avuto modo di notarlo, così importanti per la capacità di aprire squarci sui nuovi fermenti culturali – trovano spazio anche “familiari”, e poi “senili”, calcate sui modelli delle consolationes, delle descriptiones, ed ancora veri e propri trattatelli teorici o invettive o prove narrative. Il variegato, e comunque parziale, ventaglio di opzioni retoriche qui disegnato è tratto dal sondaggio fra la corrispondenza con Boccaccio, che ancora una volta si dimostra una specola privilegiata per valutare il senso più profondo del passaggio dal Medioevo all’Umanesimo. Certo, la riorganizzazione delle Familiari e nelle Senili attorno al canale del dialogo con il «più grande discepolo» viene a sacrificare l’idea del libro di lettere, voluto e sperimentato per la prima volta da Petrarca in nome di una rilettura ideale/epistolare della sua vicenda biografica; ma è anche vero che, tramite questa operazione, è possibile acquisire una visuale nuova o ancora non precisamente squadrata: e, cioè, sgombrato il campo dalle istanze che la legavano ad un progetto autobiografico, saggiare la vera introduzione dell’epistola familiare in un reale circuito di comunicazione intellettuale.

Il fatto che Boccaccio non abbia raccolto le sue lettere in modo sistematico è uno dei motivi che hanno contribuito alla dispersione di gran parte del suo carteggio, tanto consistente o significativo da essere ricordato nella biografia del poeta stilata da Filippo

Villani.296 Ciò nonostante quel che è rimasto è abbastanza per constatare una linea evolutiva

che parte dai dictamina retorici del ’39 ed arriva fino alle ultime lettere degli anni Settanta; e nello specifico, nell’ambito della corrispondenza con Petrarca, oltre ad emergere il processo

294 S.R

IZZO, Il latino del Petrarca e il latino dell’umanesimo, cit., pp. 355 ss.

295 G.C. G

ARFAGNINI, Note sull’uso degli auctores nelle Seniles, in in Il Petrarca latino e le origini dell'umanesimo. Atti del Convegno internazionale, Firenze, 19-22 maggio 1991,«Quaderni Petrarcheschi», IX-X (1992-1993), pp. 671 ss.

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di adeguamento allo stile del maestro,297 reclama attenzione un perduto ma non silente

materiale che, opportunamente regestato, amplia l’orizzonte delle conoscenze

sull’epistolografia boccacciana.

È evidente che proprio tra due epistole indirizzate a Petrarca - la Mavoris milex (Corr. I) e la famosa Ep. XV=Corr. LIII, non a caso intitolata nel codice Par. lat. 8631 «familiaris

epistula, una ex mille» -298 si compie tutto il percorso di Boccaccio corrispondente, a seguito della lenta ed accurata riflessione sui modelli danteschi e sulle strette connessioni fra epistolografia e scrittura bucolica affioranti nella corrispondenza fra Dante e Giovanni del

Virgilio.299 Di rientro a Firenze, dopo il soggiorno veneziano assieme ai familiari di Petrarca,

Boccaccio propone un resoconto del suo viaggio in una scrittura sui cui si invera la definizione umanistica di «epistola velut pars altera dialogi»:300 perché sulla descrizione dei fatti gravita una particolare e sincero controllo della sintonia con il mittente, dalla quale scaturisce il prosieguo stesso della comunicazione e una risposta che sappia toccare nel vivo le questioni poste nella missiva. Nel passaggio dal dictamen fittizio alla familiaris, oltre a gestire liberamente, senza vincoli schematici, il proprio discorso entro il corpus dell’epistola, adotta l’allocutivo tu e dà prova di un periodare equilibrato, ove l’ordo membrorum non intralci l’immediatezza del discorso. E se potrebbe sembrare che in questa prova Boccaccio abbia un po’ troppo calcato la mano sugli accenti lirici, non può sfuggire l’apprezzamento del Petrarca – definì la lettera «una ex mille» - per questa sfumatura, che è una delle tante in grado di essere inclusa nella varietas stilistica dell’epistolario.

Basta poi guardare ai regesti delle perdute boccacciane di questa corrispondenza, per trovar una più incisiva conferma del magistero di Petrarca. Seguendo questa linea, i dialoghi epistolari del Certaldese mostrano un’intrinseca molteplicità di argomenti, tutti afferenti al piano della complicità familiare ed intellettuale con il maestro: a partire dalla commossa confessione dei timori suscitati dal vaticinium, al racconto della missione Avignonese fino alle impegnate requisitorie contro gli averroesti veneziani, sullo stile delle quali dovettero 296F.V

ILLANI, De Joanne Boccaccio, pp. 674-675 «Edidit insuper Eglogas sedecim pulcherrimas, et Epistolas quamplures, aliquas nexu pedum ligatas, aliquas solutas et vagas, non parvi omnes pretii penes doctos».

297 «Le più antiche [scil. epistole di Boccaccio] sono mere esercitazioni letterarie, compilate secondo le norme

dell'ars dictandi, con tutti gli artifici che essa comportava e l'uso del cursus, sulla traccia degli ammirati esempi di Dante, complicati dall'imitazione di Apuleio. In seguito, nelle epistole vere e proprie, sottentra, sul modello del Petrarca, un modo di espressione più sciolta e moderna» [cit. N.SAPEGNO,Boccaccio Giovanni, in DBI, vol. X (1968), http://www.treccani.it/biografie/. (corsivi miei)].

298Cf. Ep. XV=Corr. LIII, Tit.

299 Per la prima formazione di Boccaccio nel genere epistolare, tenendo conto, in particolare, del piano di lavoro

approntato fra le carte dello Zibaldone laurenziano, cf. BELLI

300 La definizione è proposta da Poliziano nella sua riflessione teorica sull’epistolografia antica, che si trova

nell’introduzione al commento alle Silvae di Stazio (vd. A.POLIZIANO, Commento inedito alle Selve di Stazio, a cura di L.CESARINI MARTINELLI, Firenze, Sansoni, 1978, pp. 15-50).

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influire le requisitorie contra medicos e contra astrologos inviategli da Petrarca sempre entro lo scambio epistolare, dando prova del nuovo modello della sua invettiva a metà fra la tradizione classica e quella cristiana. Ed ancora: all’inizio degli anni Settanta il Boccaccio ormai pienamente avviato al programma umanistico giunge, se non ad infrangere, certo a ridimensionare la rigida etichetta di «discipulus» approntando, grazie ad una più stretta confidenza, un ragionato tentativo retorico di convincere il maestro senex ad interrompere gli studi.

Se poi si allarga la visuale alle lettere pervenute indirizzate a destinatari diversi fra gli anni Sessanta-Settanta, si trova ulteriore conferma di questa evoluzione. Nel suo carteggio Boccaccio si atteggia alla stregua di un dotto maturo, pronto ad offrire nelle sue lettere precisi orientamenti di studi o valutazioni critiche globali. Si pensi all’Ep. XIX a Iacopo Pizzinga, ove loda i propositi del logoteta siciliano ad impegnarsi nella poesia e acclude una ragionato bilancio della rinascita degli studi letterari in Italia, fra Dante, Petrarca e Zanobi da Strada; analoghe considerazioni valgano per l’Ep. XX a Pietro Piccolo da Monteforte, una autentica tessera della vivacità intellettuale coltivata nel terreno della scrittura epistolare: in questa sede Boccaccio affronta il problema della ricezione dell’opera letteraria e, innestando un parallelo fra l’operazione dotta proposta nelle sue Genealogie e l’Africa, avvalora il proposito di estrema cautela nella pubblicazione, richiamando alla memoria del suo corrispondente la Sen. II 1=Corr. XXXVII del maestro; e nel contempo difende di fronte a Pietro Piccolo, che pone criticamente delle riserve, l’accusa di superba mossagli da Petrarca nella Sen. V 2=Corr. XL. Si tratta, dunque, di una testimonianza di prima mano del ruolo assunto dalle epistole delle corrispondenza nell’ambito della formazione dell’opinione pubblica culturale del tempo, ovvero della codifica di una epistola familiaris autonoma rispetto al progetto letterario autobiografico, alla quale, entro una rete di sodali corrispondenti, è affidata la funzione basilare veicolare e trattare gli aspetti più scottanti dell’avanguardia umanistica.

Da questo punto di vista, meritano di essere osservati con particolare interesse i luoghi della corrispondenza in cui i due dotti si richiedono vicendevolmente materiale, perché da lì si ricavano spunti preziosi per ricostruire i loro scriptoria e gli orientamenti di studio. Si pensi, per esempio, al finale dell’Ep. XV=Corr. LIII, dove Boccaccio sollecita l’invio delle lettere non pervenute del maestro:

«Et ego, iam fere annus est, eo quod michi ipsi plurime videantur epistole tue ad me, in volumen unum eo ordine quo misse seu scripte sunt redigere cepi: sed iam gradum figere coactus sum, cum deficiant alique quas nunquam habui, etiam si a te misse sint, ut puta «Beasti me munere» etc., et eam quam de Dantescripseras ad me et alias forsan plures; et

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ad presens eam quam adversus astrologos te scripsisse dicis nunquam recepi, nec illam in qua pueri tui laudes, nec de etate tua, quas summe cupio ut ceteris addam»:301

da cui si evince, da un lato, una lacuna che rende la definizione della corrispondenza in bilico fra sviluppo storico-reale, pure attestato dai numerosi richiami alle missive boccacciane, e le istanze retoriche del libro di lettere, e, dall’altro, l’interesse di Boccaccio nella messa a punto di un selezionato florilegio di epistole, che fosse anche uno strumento di studio sull’evoluzione del modelli epistolari cresciuti, se vogliamo, proprio sotto le sue mani: ed, infatti, il codice che sembra rispecchiare i criteri di raccolta predisposti in nuce nella Ep. XV=Corr. LIII - con l’aggiunta, non a caso, della missiva di Pietro Piccolo da Monteforte - è

il già citato miscellaneo Ob,302 uno dei tanti zibaldoni di studenti di retorica transalpini che

all’inizio del Quattrocento guardavano ancora con ammirazione i testi del preumanesimo. Un altro aspetto emblematico della vocazione dell’epistola a diventare lo strumento privilegiato del confronto intellettuale è l’inclusione nelle sue trame dell’autocommento esegetico. Già nella Fam. X 4 Petrarca, inviando al fratello Gherardo la prima egloga del suo

Bucolicum carmen, si serviva del corpus epistolare per formulare una esegesi del testo

bucolico.303 Ora è superfluo insistere sulla straordinaria fortuna delle formulazioni teoriche presenti in questa lettera, tutte impegnate a mettere a frutto le riflessioni sulla poesia ricavate dalla Pro Archia, così come è superfluo ricordare quanto esse influirono nella formazione del

Boccaccio umanista e biografo di Dante:304 piuttosto, preme considerare il successo di questo

modello di lettera nelle formule dell’epistolografia, a partire proprio dall’attenta ricezione dell’ancora una volta «più grande discepolo». Nei primi anni Settanta, difatti, nella sua Ep. XXIII a Fra Martino da Signa realizza un articolato commento a tutte le sue egloghe, che, sebbene non sia costituito a prefazione all’invio dei componimenti, ma in risposta ad una richiesta precisa dell’agostiniano, appare calcato sull’esempio petrarchesco; ed è interessante notare come questa operazione avvenga grosso modo in concomitanza con la composizione del libro XVII delle Senili, nel quale la versione latina di Griselda è racchiusa fra due sezioni di autocommento e poi seguita da un’ulteriore tessera che completa le riflessioni. Solo così, affrancato dal libro di novelle o dalla tradizionale cornice di impostazione medievale, il racconto, ora dotato di un consustanziale apparato esegetico, può viaggiare autonomamente, ratificando una felice soluzione dotta e umanistica che godrà di incontrastabile fortuna nelle

301 Ep. XV, 19.

302 Cf. supra, Introduzione I, 3, n. 110. 303 A

LBANESE, La novella di Griselda, p. XLVI.

304

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scritture novellistiche fra il Tre e il Cinquecento, fino a squarciare gli orizzonti del moderno

romanzo epistolare.305

Nel carteggio fra Petrarca e Boccaccio, le direttive programmatico-culturali e gli sviluppi creativi sono due facce di una stessa medaglia, che considerate nella loro reciproca influenza, in quanto frutto di una dotta amicizia, segnano la massima distanza dai rigidi schemi della tradizione epistolografica medievale: nasce, dunque, su questo terreno il modello degli epistolari familiares umanistici, nei quali non solo la finalità ideologica dei

dictamina, ma anche la componente autobiografica ideale, tendono ad essere subordinate al

fervente bisogno di creare e testare fondamenti e prodotti di una rinascita ispirata dall’uomo e dalla collaborazione tra gli optimi umani ingegni. E come è doveroso rimarcare l’acme e l’eccezionalità dal dialogo epistolare fra le due corone, non si può nascondere che esso abbia contribuito a definire una struttura archetipica, o meglio, una summa delle variegate e poliedriche scritture di lettere tra l’Umanesimo, il Rinascimento e almeno fino all’introduzione di nuovi strumenti per la comunicazione intellettuale nel pieno dell’età moderna.

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