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L’espansione imperiale Qing

Nel documento Gli 'album dei Miao' (pagine 30-35)

La dinastia Qing fu fondata dall’antica etnia Jurchen. Questa tribù, stanziata nel Nord-est dell’Asia, conquistò la Cina nel 1644 prendendo il posto della precedente dinastia Ming. Stringendo alleanze e sconfiggendo i regni vicini, in pochi anni i Qing riuscirono a creare

70 Herman, 1997, p. 65.

71 Rawski, 1979, pp. 33-34. Nel giro di vent’anni, per volere imperiale, furono costruite 17 scuole nella

provincia del Guizhou e 74 nella provincia dello Yunnan (Herman, 1997, p. 66).

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un grande Impero multietnico. L’Impero Qing, fu una potenza espansionista. Nel secolo che va dal 1660 al 1760, il territorio sotto il suo controllo si estese fino a raggiungere, con l’esclusione della Mongolia esterna, la forma dell’attuale Repubblica Popolare Cinese.73 La conquista della Cina da parte dei mancesi ebbe inizio negli anni trenta del XVII secolo, quando, approfittando dell’instabilità politica e delle rivolte popolari che laceravano lo Stato Ming, essi attaccarono e occuparono la Mongolia Interna. In meno di quindici anni, l’intero territorio cinese all’interno della Grande Muraglia venne conquistato. Al Nord, la conquista mancese non incontrò una forte opposizione, anzi, alcuni ufficiali accolsero positivamente la restaurazione dell’ordine e delle leggi che accompagnò l’ascesa dei Qing. Al contrario, nei territori meridionali, la resistenza contro gli invasori stranieri si dimostrò attiva e ben organizzata, pertanto la conquista effettiva di queste regioni avvenne solo dopo decenni di dure battaglie.74

Entro la fine del XVII secolo, con la soppressione della rivolta del leader militare Koxinga75 e della Rivolta dei Tre Feudatari, l’isola di Taiwan divenne prefettura della provincia del Fujian e i territori del Sud-ovest entrarono a far parte, almeno formalmente, dell’Impero Qing.

Nel 1720, a causa di una serie di scontri originati da una disputa riguardo la proclamazione del nuovo Dalai Lama, l’Impero impose per la prima volta la propria presenza militare in Tibet. Durante il regno di Yongzheng, con l’introduzione del sistema gaitu guiliu in molte delle provincie sud-occidentali, come il Guizhou e lo Yunnan, il governo centrale rese più effettivo il suo controllo su questa regione. Infine, con la conquista dello Xinjiang nel 1760, l’Impero Qing completò la propria espansione territoriale.76

Insieme ai nuovi territori, entrarono a far parte dell’Impero le molte popolazioni di etnia e cultura non-Han che li abitavano, e che oggi contribuiscono a formare le cinquantacinque minoranze etniche nazionali della Repubblica Popolare Cinese.77

73 Hostetler, 2009. 74 Dikötter, 1998, p. 25.

75 Koxinga (1624-62) è il nome con cui è conosciuto il condottiero sino-giapponese Zheng Chenggong.

Fedele alla dinastia Ming, Koxinga si oppose all’avanzata mancese e, dopo una prima sconfitta a Nanchino nel 1658, sbarcò con le sue truppe a Taiwan scacciandone gli olandesi. Il governo evacuò le coste della vicina provincia del Fujian e proibì ogni commercio marittimo nella zona al fine di isolare i ribelli. La rivolta venne sedata definitivamente nel 1683, con l’occupazione di Taiwan da parte dei Qing (Sabattini, Santangelo, 1986, pp. 553- 554).

76 Hostetler, 2000, p. 630.

77 Gli Han sono considerati il cinquantaseiesimo gruppo etnico. Nel XVIII secolo, il termine hanren汉人

definiva coloro che si ritenevano i discendenti della dinastia Han (202 a.C.- 220 d.C.) ed era utilizzato per distinguere gli individui di cultura cinese da quelli di culture diverse, che abitavano le frontiere del Paese. A partire dal XIX secolo, con il termine han汉 si indicano tutti coloro che sono, appaiono o si dichiarano di etnia cinese (Hostetler, 2000, p. 623).

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Le dimensioni dell’Impero raggiunsero un’estensione senza precedenti nella storia della Cina imperiale, ponendo in primo piano il problema del mantenimento dell’ordine nei territori di frontiera, soprattutto quelli nelle province sud-occidentali dove vi era una forte presenza di popolazioni Miao, Yao e tibetane, e della difesa di questi dai regni vicini che potevano rivendicarne la sovranità.78

In quanto dinastia di origine straniera, i Qing avevano una lingua, tradizioni, costumi e pratiche propri e nella prima fase del loro governo dovettero dimostrare di saper gestire il delicato equilibrio tra il mantenimento dell’identità culturale mancese e la necessità di persuadere la popolazione cinese che, anche se stranieri, possedevano i requisiti necessari a rivendicare il ‘mandato celeste’.79 Per fare questo gli Imperatori Qing studiarono la lingua cinese e accettarono di avvicinarsi al Confucianesimo e ai suoi riti. Per oltre un secolo, l’abilità dei Qing nello stabilire il proprio controllo su diverse aree dell’Impero fu notevole, tuttavia alcuni territori presentarono problemi di tipo amministrativo. Tra questi vi erano le provincie del Sud-ovest che, sebbene facessero parte formalmente dell’Impero, per almeno un secolo rimasero di fatto al di fuori della sfera d’influenza mancese.80 Inizialmente, il governo Qing impiegò la burocrazia e il Confucianesimo come strumenti per relazionarsi alle aree di frontiera. Il sistema di amministrazione entrato in vigore sotto la dinastia Ming, secondo il quale capi indigeni amministravano le popolazioni non-Han delle frontiere, proseguì per alcuni anni anche sotto la dinastia Qing. Allo stesso tempo, nelle zone caratterizzate da una maggiore presenza di coloni e da un maggiore contatto tra popolazione Han e popolazione indigena, l’amministrazione propagò un ideale di sinizzazione attraverso l’educazione al fine di portare la popolazione locale a condividere il sistema di valori dei suoi vicini Han.81

Il fatto che la dinastia al potere fosse di etnia non-Han rappresentava un ostacolo per l’assimilazione dei territori in questione, infatti l’impegno dei Qing nel mantenere la propria identità culturale mancese era in conflitto con la necessità di promuovere la sinizzazione delle popolazioni barbare di Guizhou e Yunnan. Per raggiungere il proprio

78 Hostetler, 2000, p. 632; Rowe, 2009, p. 100.

79 Hostetler, 2005, p. 34. Il ‘mandato celeste’ (tianming天命) è un concetto di sovranità utilizzato nella Cina

imperiale fin dai tempi della dinastia Zhou Occidentale (XI- XVIII secolo a.C.) secondo il quale le divinità conferivano ai sovrani retti e virtuosi il mandato a regnare, ma potevano ritirarlo nel caso in cui il sovrano si fosse comportato in modo indegno. Era un concetto finalizzato a legittimare la salita al trono di un nuovo sovrano in periodi caratterizzati da difficoltà e corruzione. Le calamità naturali venivano spesso interpretate come segni del ritiro del mandato celeste da parte del cielo. La teoria del mandato celeste non escludeva che a guidare la Cina fossero imperatori di etnia non cinese purché questi si impegnassero a tenere unito il Paese e condividessero un sistema di valori etici e sociali e determinati riti (Mote, 1994, p. 623- 624).

80 Hostetler, 2005, p. 35. 81 Hostetler, 2005, p. 36.

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obiettivo di espansione, il governo centrale puntò sulla creazione di una nuova ideologia di stampo confuciano che esaltava la figura dell’Imperatore come Figlio del Cielo e mirava a convincere tutta la popolazione, e non solo gli Han, che l’espansione fosse il primo passo verso la formazione di un grande Impero multietnico nel quale ognuno avrebbe trovato il suo posto.82

Allo stesso tempo, grande importanza fu data allo sviluppo di sistemi più precisi di rappresentazione dei territori e delle popolazioni del Sud-ovest, come strumento per ottenere e mantenere il controllo.83

Per lo sviluppo di questa tendenza fu cruciale il ruolo dei missionari gesuiti. Questi giunsero in Cina dall’Europa alla fine del XVI secolo per diffondere la religione cristiana, ma il loro impatto sulla cultura cinese fu molto più significativo nell’ambito della diffusione di nuove tecnologie e conoscenze di tipo scientifico. Studiando il cinese e il mancese e adottando l’abbigliamento tradizionale confuciano, ben presto i missionari si adattarono allo stile di vita cinese, inoltre, la posizione neutrale nei confronti delle questioni dinastiche, permise loro di ottenere la fiducia degli Imperatori mancesi e di ricoprire posizioni autorevoli.84

I gesuiti portarono in Cina nuove conoscenze nell’ambito dell’astronomia e della cartografia, assistettero gli Imperatori in qualità di consiglieri e rappresentarono territori e popolazioni su commissione. Le nuove tecniche portate dai missionari ebbero un forte impatto sulla diffusione di nuovi sistemi di rappresentazione dei territori di confine e dei loro abitanti nella Cina del XVII e XVIII secolo.85

82 Rowe, 2009, p. 100. 83 Hostetler, 2005, p. 36. 84 Hostetler, 2005.

85 In Qing Colonial Enterprise: Ethnography and Cartography in Early Modern China, Hostetler osserva

come la comparsa di questi nuovi sistemi di rappresentazione costituisca un passaggio per la Cina verso un modo nuovo, ‘moderno’, di concepire lo spazio e le persone (Hostetler, 2005, p. 23).

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