Prima di intraprendere un’analisi puntuale dei brani in cui Bruno esamina la nozione di fides, è utile soffermarsi su un ulteriore aspetto della sua filosofia, vale a dire su quale etica della conoscenza egli elabori, a più riprese, nelle proprie opere. Dall’esame di alcuni particolari luoghi è possibile rilevare come Bruno costruisca un modello di conoscenza che, seppure trattato in diversi testi secondo prospettive differenti, si fonda in maniera permanente su precisi valori e princìpi, sull’importanza dei quali egli non smette mai di insistere.
La conoscenza, nelle sue varie forme e nei suoi approdi ultimi, nella sua appartenenza alla sfera dell’azione pratica e nella sua capacità di direzionare e migliorare quest’ultima, costituisce un tema d’importanza centrale in tutta l’opera bruniana, a partire dai testi parigini fino ad arrivare alle opere francofortesi: Bruno lavora continuamente, in vari modi alla definizione di un percorso conoscitivo che conduca l’uomo alla comprensione non solo della natura e dei suoi elementi particolari, ma anche del principio che presiede alla natura stessa, situandosi a un livello ontologico distinto da quello degli enti.
Articolando questa complessa e continua riflessione gnoseologica ed epistemologica, Bruno si sofferma su quale sia la disposizione psicologica adeguata a conseguire una conoscenza e una operatività che siano veridiche ed efficaci. Già dalle prime opere pubblicate in Francia emerge come, a suo giudizio, per esplorare adeguatamente la realtà occorra assumere un preciso atteggiamento, in assenza del quale la comprensione risulta incompleta e impoverita; in altre parole, la conoscenza può davvero darsi solo se è sorretta da una ben determinata componente ‘etica’. Intendo qui mostrare che questa componente consiste in un atteggiamento combattivo e costante, che prevede il prendere coscienza dei limiti delle facoltà umane e della natura sfuggente dei loro oggetti, ma che nella coscienza della difficoltà persegue con forza i propri obiettivi. Cercherò di mettere in luce come, conformemente alla difesa di questa etica, nella Cabala Bruno assuma come bersagli polemici gli atteggiamenti conoscitivi che fanno della remissività o della passività la loro bandiera.
1. Le ‘figure’ della conoscenza nel ‘De umbris idearum’ e negli ‘Eroici furori’.
È utile, in primo luogo, richiamare ancora l’attenzione sulle sezioni teoriche del De umbris, nelle quali Bruno pone i fondamenti di una metafisica che si arricchisce in maniera decisiva nelle opere inglesi – con la teorizzazione dell’infinità del cosmo e la definizione di una nuova ontologia a sostegno di quella infinità –, ma di cui già nelle opere parigine sono individuati alcuni tratti portanti.
Si è già visto nel capitolo precedente come Bruno istituisca uno scarto netto tra «ombra della luce» e «ombra della morte», indicando con questi termini, ripresi dalla tradizione neoplatonica e in particolare da Origene, due modi contrapposti di intendere la dimensione dell’ombra. La distinzione di «ombra della luce» e «ombra della morte» individua due zone all’interno dell’ombra, una in cui la tenebra predomina sulla luce, l’altra in cui all’inverso è la luce ad affermarsi sulla tenebra; situandosi nell’una oppure nell’altra zona, ogni azione umana viene a configurarsi come positiva o come negativa, appare costruttiva oppure improntata alla decadenza. Ogni uomo si trova dunque davanti a una scelta radicale tra due alternative che, pur appartenendo entrambe a una realtà umbratile che si struttura per gradi e per sfumature, non si intrecciano affatto, tra le quali non si dà compromesso.
Da cosa sono costituite queste due aree dell’ombra? Cosa, inoltre, fa sì che l’uomo si collochi nell’ombra della morte o piuttosto nell’ombra della luce? Sembra di poter dire che l’alternativa dipende dalla possibilità, per l’uomo, di produrre enti materiali o mentali in diversi modi. Gli enti che si trovano in natura non hanno connotazioni morali, non sono in sé decadenti o virtuosi, o fonte a loro volta di decadenza o virtù; diverso pare invece il caso di quelli artificiali. Nel Conceptus XI Bruno si sofferma appunto sulla differenza che intercorre tra produzione naturale e produzione umana:
L’intelletto primo per la sua fecondità nel modo che gli è proprio propaga idee che non sono nuove, né si producono per effetto di nuove operazioni. La natura produce cose nuove secondo un numero di individui sempre nuovi, ma non – al modo che le è proprio – secondo operazioni nuove, se è vero che essa opera sempre nel medesimo modo. La ragione all’infinito forma contenuti nuovi e secondo nuove vie di procedere, componendo, dividendo, astraendo, contraendo, aggiungendo, sottraendo, ordinando, dissolvendo l’ordine.81
81OMN I, p. 97.
Se il primo principio avvia il processo di esplicazione che dà vita alla realtà, rifrangendosi in una pluralità di idee, la natura continua questo processo di differenziazione progressiva, declinando a sua volta queste idee nei diversi individui. Essa dunque produce di continuo enti nuovi, ma fa ciò ripetendo costantemente le stesse operazioni; da queste derivano le specie, i cui membri si distinguono l’uno dall’altro in virtù di differenze specifiche, di varianti individuali. Tali varianti non modificano i caratteri connotativi delle specie, ovvero non pongono le basi affinché nascano specie nuove. La ragione umana, al contrario, ha la capacità di produrre forme nuove, di «dissolvere l’ordine»: utilizzando il vasto patrimonio di rappresentazioni che le viene dalla conoscenza del mondo naturale, può progettare enti mai visti, dare vita a nuove specie di cose, formulare addirittura nuove leggi. In questo consiste la sua assoluta peculiarità: l’uomo, unico nell’universo, ha il potere di creare il nuovo e di introdurlo nel mondo. È in virtù di questa capacità che la mente umana si trova a costituire e a generare attraverso i propri prodotti un intero settore dell’essere.82
Nello Spaccio Bruno parla della verità rapportandola a tre livelli metafisici: «Dumque la verità è avanti a tutte le cose, è con tutte le cose, è dopo tutte le cose; è sopra tutto, con tutto, dopo tutto; ha ragione di mezzo, principio e fine. Essa è avanti le cose per modo di causa e di principio, mentre per essa le cose hanno dependenza; è nelle cose ed è sostanza
82 Questo passo solleva in realtà un interrogativo proprio riguardo all’operare della natura: se i
meccanismi naturali controllano innanzitutto le specie, la specificità degli individui sembra un prodotto accidentale della dinamica naturale. Le differenze tra i singoli enti hanno la massima dignità ontologica, ma non sembra spettare alla natura la capacità di scegliere tra di diversi particolari quale porre in atto in un certo momento; questa capacitò di perseguire la realizzazione di precisi enti individuali spetta invece all’uomo. Cfr. su questo scarto tra operare naturale e operare umano OMN I, pp. 127-8: «Ora dunque dovrai considerare con quale intenzione abbiamo potuto lasciar intendere che in certe opere l’arte eccelle al di sopra della natura, in altre invece è superata da quella. Questo infatti non può accadere se non dopo che avremo visto come la natura mostra maggiore criterio negli atti più remoti che in quelli prossimi. Dicono che la natura perpetua in una medesima specie la forma sostanziale che non può perpetuare invariata in individui diversi: operazioni simili non rientrano nell’ambito dell’arte». Sul valore delle differenze specifiche, dei dettagli connotativi, Bruno torna nella sezione dei Conceptus, dove è affermata l’esistenza di idee relative agli enti individuali, segno che i particolari non sono meno degni ai fini dell’indagine della natura e dell’arte della memoria delle nozioni universali; OMN I, p. 113: «Platone non ammise idee di individui, ma solo di specie, sia perché le idee presiedono esclusivamente al prodursi delle forme, senza riguardo alla materia, sia anche perché sono le forme stesse – non i generi o gli individui – ciò cui primariamente mira la natura. I teologi ammettono invece idee di singoli individui, sotto il profilo della forma, sia sotto il profilo della materia, e affermano che Dio ne è totalmente causa. Nel nostro trattato siamo propensi ad accettare l’esistenza di idee per ciascun singolo individuo: consideriamo infatti la natura di quanto è prodotto dalle idee secondo analogia con quanto è prodotto per atto di figurazione o apprensione, sia che questa sussista prima della cosa o nella cosa, ovvero sia la cosa stessa, o dopo la cosa; e parimenti sia che riposi nel senso o nell’intelletto, pratico o teorico che sia».
di quelle istessa, mentre per essa hanno sussistenza; è dopo tutte le cose, mentre per lei senza falsità si comprendeno. È ideale, naturale e nozionale; è metafisica, fisica e logica».83 Nella Cabala è proposto un analogo ragionamento a proposito della conoscenza
umana: «A la verità nulla cosa è più prossima e cognata che la scienza; la quale si deve distinguere, come è distinta in sé, in due maniere: cioè in superiore ed inferiore. La prima è sopra la creata verità, ed è l'istessa verità increata, ed è causa del tutto; atteso che per essa le cose vere son vere, e tutto quel che è, è veramente quel tanto che è. La seconda è verità inferiore, la quale né fa le cose vere né è le cose vere, ma pende, è prodotta, formata ed informata da le cose vere, ed apprende quelle non in verità, ma in specie e similitudine: perché nella mente nostra, dove è la scienza dell'oro, non si trova l'oro in verità, ma solamente in specie e similitudine. Sí che è una sorte de verità, la quale è causa delle cose, e si trova sopra tutte le cose; un'altra sorte che si trova nelle cose ed è delle cose; ed è un'altra terza ed ultima, la quale è dopo le cose e dalle cose. La prima ha nome di causa, la seconda ha nome di cosa, la terza ha nome di cognizione».84
Bruno riprende una distinzione scotista, impiegandola per distinguere ben precisi livelli dell’essere per come l’uomo lo concepisce e lo conosce.85 Anche il piano logico,
incorporeo e mentale, si configura come un vero e proprio mondo, di pari dignità e statuto rispetto alla dimensione naturale.
Sulla distinzione dei livelli ontologici e sull’esistenza di un livello che pertiene alla mente Bruno insiste anche nelle opere successive, per esempio nell’incipit del De imaginum compositione: «L’ente si intende distinto in tre capi, metafisico, fisico e logico in senso generale; ugualmente tre sono i princìpi di tutte le cose, Dio, natura e arte e tre sono i loro effetti, divino, naturale e artificiale.»86 Vale la pena di notare che il Nolano
parla qui di principio artificiale e non di principio logico. Qui mutato termine ben sottolinea un aspetto che pare valido già nel De umbris: a giudizio di Bruno gli atti della mente che conducono alla conoscenza rientrano anch’essi nella sfera dell’azione, nell’orizzonte pratico. La categoria dell’‘operare’ umano comprende cioè anche il
83 DFI, pp. 533-4.
84 DFI, pp. 706-7.
85 Cfr. Joannis Duns Scoti Doctoris Subtilis ordinis minorum Opera omnia, editio nova, Parisiis 1891, p.
140: «Significatum autem huius termini homo […] potest accipi tripliciter, videlicet secundum esse materiale, vel suppositabile, vel Physicum; secundum esse quidditativum, vel praedicabile, vel Metaphysicum; vel secundum esse intelligibile, vel actu universale, vel comparatum, vel Logicum»; cfr. anche p. 179.
‘conoscere’, che è a tutti gli effetti una forma di produzione, i cui esiti sono le rappresentazioni che ognuno formula degli enti naturali, a partire dalle impressioni sensibili fino ad arrivare ai concetti. Ogni rappresentazione costituisce dunque un ente, si situa dal punto di vista ontologico sullo stesso piano dei prodotti della natura.
Realtà fisica e realtà ‘logica’, peraltro, si influenzano vicendevolmente: nel processo di conoscenza la natura offre la materia da cui vengono ricavati i contenuti mentali; allo stesso tempo, le conoscenze umane posso dare luogo ad atti che determinino il corso delle dinamiche fisiche. In questo senso il pensiero e la conoscenza risultano non un ambito separato, ma una continuazione e addirittura un compimento della natura, che l’uomo realizza proprio esaminando e modificando quest’ultima, riuscendo al contempo a padroneggiarla e a potenziarla, estendendone alla novità le capacità produttive.87
Grazie alla forza generatrice delle rappresentazioni mentali l’uomo può acquisire potere non solo sulla natura, ma anche sugli altri uomini e nella vita associata; per questa ragione Bruno prospetta al lettore che, attraverso un uso proficuo dell’arte della memoria, «secondo le nostre stesse facoltà sapremo anche conformarci in modo da compiere opere divine e straordinarie agli occhi del volgo».88 Avere fama e potere sul popolo, tuttavia,
non è il solo né il più alto scopo della conoscenza: parallelamente all’esplorazione del mondo naturale è possibile intraprendere un percorso di ascesa. Accumulando esperienza del mondo l’uomo può cioè elevarsi al di sopra della realtà plurale e mutevole in cui è immerso, avvicinarsi al primo principio e all’unità assoluta che esso rappresenta. A questo proposito è opportuno riportare il testo dell’Intentio XIIII, in cui torna la già presentata distinzione tra «ombra della luce» e «ombra della morte»:
L’ascesa che si compie attraverso realtà connesse e concatenate non procede, per quanto concerne le ombre delle idee, secondo una catena composta di anelli simili, per il motivo che si comprende da quanto abbiamo detto e da quanto dovremo enunciare in seguito. E l’anello di questa catena non deve essere l’ombra sotto la quale si crede che dorma il Leviatano; voglio dire, non l’ombra che allontana dalla luce, ma l’ombra che conduce alla luce e che, per quanto non sia verità, discende tuttavia dalla verità e si protende
87Pur nella diversità delle operazioni, l’uomo è incluso nella natura e ne costituisce il compimento; OMN I, p. 135: « Quanto si è soliti definire a proprio piacere fato o necessità, oppure bene, demiurgo,
anima del mondo o natura, si sviluppa secondo moto e tempo procedendo da enti imperfetti fino alle realtà perfette che devono comunicarsi alle inferiori: e questo in tutte e in ciascuna cosa è un medesimo principio».
verso la verità: non credere dunque che essa racchiuda l’errore, ma il celarsi del vero.89
Il percorso di ascesa che l’uomo può compiere è rappresentato ricorrendo all’immagine omerica della catena aurea tesa tra cielo e terra: le conoscenze che via via sono elaborate devono costituirne gli anelli, innestarsi le une sulle altre, costruendo in questo modo uno strumento per intraprendere la risalita verso la pura luce. Situarsi nell’ombra della luce significa maturare una conoscenza quanto più possibile veridica della realtà esplicata, orientarsi in essa ‘orizzontalmente’; al contempo significa tentare, a partire da questa conoscenza, il cammino dell’ascesa.
Si è detto che l’uomo ha il potere di determinare, attraverso le proprie facoltà e i propri strumenti, intere porzioni dell’ombra. Esercitando la sua peculiare funzione, che è insieme continuazione e superamento della natura, l’uomo infatti trova davanti a sé due possibilità: può porsi in continuità con l’andamento della natura, mantenendone, pur nell’innovazione, lo spirito e il senso; può in alternativa distaccarsi dal corso della natura, agendo contro le sue leggi. La possibilità di scegliere tra queste due vie definisce il carattere morale delle sue azioni. Le opzioni che si offrono all’uomo non sono indifferenti: solo nella misura in cui riallaccia il proprio agire all’operare della natura, ponendosi in armonia con essa, egli realizza pienamente le proprie potenzialità; nel caso opposto degrada se stesso e avvia un processo di decadenza destinato a investire non solo la sua persona, ma anche a ripercuotersi, attraverso le azioni che discendono dalle sue idee, sul contesto civile in cui vive.
Ricalcando da vicino fonti neoplatoniche e cristiane, prima tra tutte Origene, già nell’Intentio IV Bruno rappresenta la permanenza umana nell’ombra della luce nei termini di un’ascesa e di un’astrazione dalla carne e dalla materia. Nel Conceptus IV, riprendendo la definizione paolina dell’anima come «uomo interiore», ribadisce che l’anima compie l’attività più alta nel momento in cui «abbandona la materia e il tempo» e «si congiunge alle idee».90 È però da notare come, già nel De umbris, Bruno non assegni alcun valore
alle pratiche ascetiche, anzi rifiuti decisamente l’idea di una beatitudine che si possa
89 Ivi, p. 63.
conseguire attraverso atteggiamenti di allontanamento dal mondo.91 Pur sviluppando
l’idea di un moto che si slancia al di sopra dell’ombra, Bruno individua come condizione imprescindibile di una simile elevazione una conoscenza del mondo non astratta, che è esperienza e azione. È stata a più riprese osservata la vocazione pratica della filosofia bruniana, confermata dal frequente ricorrere nei suoi testi di termini come «opera», «industria», «effetti»:92 chi abita al meglio l’ombra agisce, conoscendo e operando
concretamente, producendo risultati tangibili, immergendosi completamente nella realtà naturale. In questo quadro l’aspirazione a conoscere il primo principio e l’esplorazione della natura si sorreggono l’un l’altra, rendendosi reciprocamente possibili.
Nel De umbris queste due istanze sono rappresentate, come già si è visto, dalle figure di Adamo e della Sulamita. Reinterpretando questi due personaggi biblici Bruno personifica due itinerari conoscitivi: Adamo concentra la sua attenzione e le sue aspirazioni sulla dimensione dell’ombra; la Sulamita invece cerca di raggiungere il primo principio, si tende verso qualcosa di assolutamente alto e unico, situato al di là della realtà in cui è immersa.93 Poiché gli oggetti cui essi tendono differiscono, Adamo e la Sulamita
nutrono due diversi tipi di desiderio: il primo rivolge agli enti particolari una curiosità che costantemente rinasce e si rinnova, portando a considerare sempre diversi elementi; la seconda desidera infinitamente, mettendo capo a una tensione che non può risolversi.94
Pur nelle rispettive differenze e ciascuno dal proprio punto di vista, tanto Adamo quanto la Sulamita si scontrano con la costitutiva limitatezza che connota la prospettiva umana. Ho già sottolineato che l’uomo, in quanto ente prodotto dalla natura, per Bruno appartiene alla dimensione dell’ombra; ciò significa che il suo pensare e il suo agire non
91 Sono interessanti a questo riguardo le riflessioni di Nicoletta Tirinnanzi: « […] nel delineare la
condizione della Sulamita, è evidente il rifiuto deciso di una felicità oziosa; la perfezione, a giudizio di Bruno, non può scaturire da una ‘elezione’ divina, né comunicarsi a chi si trova nell’interzia. E, del resto, la critica a una ‘beatitudine’ interte costituisce un nucleo tematico essenziale negli Eroici furori, dove Bruno, riprendendo tematiche già presenti nel De umbris, contrappone la “felicità e beatitudine sensuale”, “orto e paradiso degli animali”, alla condizione travagliata, ma felice dell’amante»; N. TIRINNANZI, ‘Umbra
naturae’. L’immaginazione da Ficino a Bruno, Roma 2000, p. 220.
92 Cfr. ad esempio M. CILIBERTO, L’occhio di Atteone. Nuovi studi su Giordano Bruno, Roma 2002, p.
29.
93 Riferendosi alla versione del Cantico dei cantici proposta da Origene, che recitava «sub umbra sedi
illius quem desideraveram» anziché alla lezione vulgata «sub umbra sedi illius quam desideraveram» egli precisa che il desiderio della Sulamita si rivolge non all’ombra stessa, ma allo sposo, del quale la ragazza percepisce solo l’ombra. Si tratta di una variazione significativa, perché essa illustra come l’oggetto desiderato si situi oltre ciò che è raggiunto: pertanto, quella della Sulamita è una tensione insoluta verso qualcosa che sta fuori del suo orizzonte; cfr. quanto giustamente osservato in OMN I, pp. 401-2.
94 Si rimanda di nuovo alla chiusa dell’Intentio XXIII: «Ad umbram ergo arboris scientiae confugit
homo pro cognitione tenebrae et lucis, veri et falsi, boni et mali, cum quaereret ab illo Deus: ‘Adam ubi es?’»; OMN I, p. 72.
possono portarlo ad esperire altro che ombre: la sua volontà di ascendere si scontra con un limite ontologico che pare invalicabile:
Nell’orizzonte della luce e della tenebra non possiamo certo intendere altro che l’ombra. Questa è nell’orizzonte del bene e del male, del vero e del falso. Qui è ciò che si può far diventare bene o male, falsare o conformare alla verità; qui è ciò che tendendo da una parte si dice essere nell’ombra di un principio, tendendo dall’altra in quella del suo opposto.95