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L'immaginario corre sul GRA

Geografie da ripensare

4.1 CONFIGURAZIONI METROPOLITANE

4.1.1 L'immaginario corre sul GRA

Il Grande Raccordo Anulare esplicita già nel nome il sogno megalomane coccolato dal proprio inventore, che segnerà per sempre il destino della città. L'ingegnere Gra, che nominerà la sua creatura costruendo un apposito e auto-celebrativo acronimo, era probabilmente solo in parte consapevole degli effetti in termini non trasportistici che l'infinito nastro che si voleva abbracciasse Roma avrebbe determinato.

Questa non è solo la storia di una infrastruttura urbana, ma la vicenda di una strada che diventa città.(Cao 2005, pag.12)

La Roma del GRA è una città dalla duplice valenza. Percepita percorrendo il raccordo è pura immagine. Il punto di osservazione è una veloce traiettoria di attraversamento che mostra una città bidimensionale, senza profondità: il paesaggio è allineato linearmente[...]. Il tutto ha una suggestione confrontabile con quella che si ha guardando una costa lontana dal mare prima di entrare in porto, quando tutto è appiattito e sfumato, tra case, fabbriche e colline.(Cao, cit, pag. 12)

Con l'avvio della sua costruzione all'inizio degli anni '50 il raccordo, così familiarmente ribattezzato per comodità dei romani, ha assistito e in buona parte determinato le scelte insediative ed espansive della Roma del dopoguerra. Cintura che abbracciava la città, protezione lontana ma percepita fino al Piano Regolatore del 1965, che prevedeva unicamente due punti di espansione oltre la sua circonferenza, il Parco dell'Appia Antica a Sud e il campus universitario di Tor Vergata a est. La sua progettazione e realizzazione avviene senza alcun contatto con o riferimento con la città esistente. Loro unico legame è il sistema delle comunicazioni radiali, sistema per contrastare il quale era stato concepito e che invece contribuirà ad alimentare (Vannelli 2001, pag.189)

Il Sistema Direzionale Orientale, previsto dal piano, si agganciava al raccordo verso est costruendo un sistema di connessioni veloci che servisse il prefigurato sistema terziario. Senza entrare nel merito della complessa e infinita storia dello SDO, è necessario evidenziare la stretta relazione che intercorre tra la sua graduale eclissi e il raccordo, che ne ha pezzo per pezzo fagocitato le aree per il suo continuo accrescimento (De Giorgi

2005). Sino a quel momento, tra gli anni '60 e '70, il raccordo conteneva la città e assicurava una netta separazione tra l'urbano e il rurale, o almeno tra l'urbano e il non urbano (il “fuori porta”) nelle intenzionalità della pianificazione. Nell'immaginario collettivo, rimaneva un nastro di protezione lontano, una sorta di fossato, o confine artificiale posto a corona della città, a distanza di sicurezza.

Le necessità infrastrutturali e trasportistiche portano negli anni un suo costante allargamento e adattamento alle accresciute esigenze della mobilità privata. Alla fine degli anni 70 si conclude il raddoppio di carreggiata sull'intera circonferenza. Il nastro si allarga, di conseguenza la cesura è di sempre più complessa valicabilità. Il confine si fa sempre più netto e diviene un dispositivo di contenimento per le nuove espansioni, siano esse di iniziativa pubblica (secondo programma di attuazione dei Piani di Edilizia Economica e Popolare) o di iniziativa privata. Ampie porzioni di territorio vengono destinate a capannoni e magazzini, sfruttando il conveniente prezzo di acquisto di terreni con un basso indice di edificabilità. Si inizia da subito a mangiare il territorio destinato alla realizzazione del sistema direzionale. Direttrice privilegiata per l'espansione, non solo residenziale, è infatti quella orientale, in particolare come effetto, desiderato o meno, delle previsioni legate alla realizzazione del polo universitario di Tor Vergata . Con gli anni '80, si dà avvio ai lavori di realizzazione della terza corsia, oggi in fase di ultimazione. Nel corso di questi anni e del decennio successivo prosegue e amplifica la tendenza avviata negli anni 70: lungo il raccordo si densificano e ammassano singoli edifici e nuclei destinati al terziario e al commercio. Si sommano alle costruzioni legali e informali realizzate a partire dagli anni cinquanta: sono nuclei isolati e autosegregati, uniti soltanto dal nastro avvolgente del raccordo.

Negli anni 2000 il fossato si fa muro, sul quale vengono aperte trionfali porte di accesso alla città. Il dibattito costruito dal Nuovo Piano Regolatore, poi approvato nel 2008, ragiona ossessivamente in termini di porte di ingresso alla città. La più vistosa, la porta

di Roma, si realizza nel settore nord-est all'altezza della Bufalotta, dove la nuova

centralità prevista dal piano si sostanzia, nell'immaginario collettivo, nell'enorme svincolo realizzato per accedere all'area commerciale, su cui campeggiano le indicazioni per l'ingresso ad Ikea. Il consumo entra prepotentemente e rapidamente nella storia del raccordo, sancendo con la strada un patto indissolubile. Sul raccordo si addensano i nuovi grandi poli per il commercio, presenza prima di allora estremamente discreta nel panorama romano. Pur essendo logica e naturale conseguenza della impostazione degli anni '70. per l'opinione pubblica è uno shock.

Vi domina il consumo di massa, i cui luoghi insistono tra la campagna in via di estinzione e i quartieri residenziali abusivi condonati, misti a edilizia legale

malriuscita. Ambito privilegiato delle grandi catene internazionali, incuranti delle sovrapposizioni da traffico che esse continuano a generare. Traffico infernale. (De Giorgi , cit..29)

Il rapporto di amore/odio che la città intrattiene col suo ormai slabbrato confine immaginato è fatto di un mix di dipendenza e ostilità. La linea della strada è un coacervo di agglomerazioni più o meno irrazionali che vi si appendono e ne dipendono, continuando a rifiutare la relazione con i contesti fisicamente vicini da cui si sentono diversi e distanti.

La metropoli del GRA

fonte: Gomorra (cit.) pag. 68

Il pendolarismo, divenuto ormai proprietà inerente all'abitare l'area romana, si sostanzia in interminabili file lungo il raccordo a tutte le ore. Il web raccoglie decine se non centinaia di filmati di denuncia sulle agglomerazioni del consumo e sulla rapidità di realizzazione degli svincoli ad esse destinati. Il significato della strada e degli eventi che offre in un gioco di quinte continue prendono il sopravvento sulle sue ragioni funzionali e infrastrutturali: la striscia di asfalto si trasforma in orizzonte di eventi (Mattioli 2005). Si creano a-topie che con la stessa rapidità si trasformano in iper-topie, buchi neri urbani che si annidano tra le maglie dei tessuti cresciuti intorno al raccordo e di volta in volta occupati da popolazioni diverse ed effimere che li utilizzano per la costruzione delle loro effimere esperienze, come i rave (AA.VV. 2005).

Il tabù della invalicabilità del raccordo decade e l'espansione insediativa ingloba e fagocita l'autostrada, si aggrappa alle diramazioni che al raccordo si uniscono e sancisce la perdita di configurabilità dell'extra-urbano come tale, della separazione netta tra la città e il suo agro.

Né il GRA ha chiuso dentro di sé Roma. Che strane mura sarebbero dunque queste, incapaci di fermare alcunché! Mura che fanno filtrare qualsiasi urbanizzazione, in ogni direzione. Che sono state anzi occasione di molteplici forme di urbanizzazione, dalla più semplice, le stazioni di servizio, alle più complesse, i centri direzionali e i mall. Roma città metropolitana, conurbazione ininterrotta ad est, a ovest, a sud e a

nord, estesa ben oltre i confini comunali, ha semplicemente ignorato il limite del GRA. Come immagine preformata, dalle molteplici valenze e ramificazioni nell'immaginario dei progettisti come dei cittadini, il GRA continua ad essere percepito come quel limite del costruito che invece non è. (Nicolini 2005, pag.25)

IL GRA si trasforma così da arteria a dispositivo logistico (Ottaviani 2005, pag.181), zona cuscinetto delle sollecitazioni cui Roma è sottoposta e riserva di aree pronte ad ospitare le necessità che la capitale manifesterà, le emergenze del momento, come accaduto con i raduni dei giovani in occasione del giubileo o del concerto del primo maggio del 2000. Il confine allora si slabbra, le sue componenti, urbane e rurali vanno ricercate volta per volta, contesto per contesto. Non si tratta soltanto dell'utilizzo effimero di alcuni spazi, ma di una vera e propria geografia dell'oltrecittà33 (Stalker 2009), tutta da percorrere ed esplorare. È un oltrecittà che allarga inevitabilmente il confine, lo permea e vi passa attraverso, trasformando la linea in frontiera e sancendo l'inesorabile sutura delle espansioni tra Roma e i comuni di prima cintura.

Geografie dell'oltrecittà

fonte:http://primaveraromana.wordpress.com/primavera-romana-2009/graracconti/geografie-delloltrecitta/