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L’incidenza del giudicato penale in sede civile ed

CAPITOLO 1: IL GIUDICATO PENALE

1.6 L’incidenza del giudicato penale in sede civile ed

amministrativa

Dopo aver considerato l’istituto del giudicato ed i suoi caratteri fondanti e peculiari, è bene sottolineare che, ovviamente, la pronuncia avutasi in sede penale, una volta raggiunta la stabilità che caratterizza il giudicato, può avere riflessi anche in altri giudizi, quali il civile, l’amministrativo, il disciplinare.

In tutti i sistemi si è posto il problema del riflesso della sentenza penale sull’azione di danno esercitata separatamente in sede civile e, con uno sguardo più generale, se tale sentenza abbia o meno una assoluta valenza pregiudiziale.

53 C. Cost., 9 aprile 1987, n. 115, in Riv. Pen., 1987, p.719, rimarcava la necessità che il principio di intangibilità del giudicato fosse “rettamente inteso”: “è proprio l’ordinamento stesso che è tutto decisamente orientato a non tener conto del giudicato, e quindi a non mitizzarne l’intangibilità, ogniqualvolta dal giudicato resterebbe sacrificato il buon diritto del cittadino”.

54 Cass. Sez. Un., 26 settembre 2001, n. 624, Pisano, cit. “L’intangibilità del giudicato, il cui fondamento è di natura eminentemente partica, può essere sacrificato in nome di esigenze che rappresentano l’espressione di superiori valori costituzionali”.

Trattandosi, il nostro, di un ordinamento “misto”, e vigendo il principio di separazione delle giurisdizioni, la sentenza penale di condanna o, viceversa, di assoluzione, non ha sempre un’influenza diretta sulla sede civile, ma dipendentemente dal momento in cui sia stata esercitata azione davanti al giudice civile.

Infatti, a norma dell’art. 75, comma 2 “l’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile”, dove tale trasferimento in sede penale, per permettere l’“intoccabilità” della decisione maturata in sede civile, deve essere quindi successivo rispetto alla invece “tempestiva” proposizione di azione civile nell’apposita sede di giudizio.

Viceversa, se si esercita l’azione civile in modo “intempestivo”, ovvero a seguito della pronuncia della sentenza penale di primo grado, o perché il danneggiato che si sia costituito parte civile abbia poi deciso di trasferire l’azione in sede civile, il processo penale ha precedenza di svolgimento, costringendo ad una sospensione del processo civile fino alla pronuncia culmine del giudizio penale in itinere. In questo caso infatti, si conferisce alla sentenza penale una valenza pregiudiziale, nonché efficacia pregiudicante rispetto alla

definizione del processo civile, così come riconfermato agli artt. 651, 652, 653, 654 c.p.p.

Questi quattro articoli rappresentano, così, nella volontà del legislatore, un’eccezione “programmata” al princìpi di autonomia e di separazione dei giudizi penale e civile; per ciò stesso, dunque, non sono contemplabili interpretazioni analogiche.

Tra tutti, punto fermo è rappresentato dall’art. 652 c.p.p., a norma del quale, solo la sentenza penale di assoluzione, in quanto incide nel merito, ha efficacia di giudicato anche nei giudizi civile ed amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno.

Tuttavia, la vincolatività della sentenza assolutoria si atteggia in modo diverso a seconda della sede extrapenale in cui prosegue la controversia in causa.

Nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno, l’assoluzione ha efficacia di giudicato per quanto riguarda l’accertamento che “il fatto non sussiste”, che “l’imputato non lo ha commesso” o che “il fatto è stato compiuto in adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima” nei confronti del danneggiato o del soggetto costituitosi, o che abbia avuto la possibilità di costituirsi, parte civile, salvo che l’azione risarcitoria sia stata esercitata da subito

in sede civile, senza esercizio del diritto al trasferimento della stessa nel processo penale.

Combinando inoltre i disposti degli artt. 75 e 652 c.p.p., appare evidente come l’efficacia della sentenza di assoluzione nei giudizi di danno sia relazionata alla condotta processuale del danneggiato, per cui il giudicato penale esplicherà il suo riflesso in sede civile solo se costui non ha manifestato preventivamente la propria volontà di far valere la questione dinanzi al giudice civile; il tutto ovviamente con finalità deflattive della costituzione di parte civile.

Analogo discorso si può fare in caso sia stata pronunciata una sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto, figura di non punibilità introdotta all’art. 131-bis c.p. dal d.lgs n. 28/2015.

A contrario, nel caso in cui la sentenza all’esito del processo sia di condanna, il danneggiato può sempre usufruirne, giacché questa, una volta divenuta irrevocabile, esplica la sua efficacia nei giudizi civili ed amministrativi promossi sia nei confronti dell’imputato, sia del responsabile civile citato o intervenuto, quantunque solo limitatamente alla sussistenza del fatto, alla illiceità penale di quest’ultimo e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. Sicché, in questo caso, non risulta ovviamente più contestabile l’accertata responsabilità penale dell’imputato,

ormai condannato, rimanendo in capo al giudice civile solo la possibilità di valutare il grado della colpa e l’eventuale concorso del danneggiato, essendo, queste, questioni non colpite dalla vincolatività della sentenza penale passata in giudicato.

Da puntualizzare che l’art. 404 c.p.p. ha implicazioni sugli effetti ascrivibili all’art. 652 c.p.p., in quanto questi non si palesano se la sentenza si basi su “prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato dal reato non è stato posto in grado di partecipare”; stessa dinamica involve la figura del responsabile civile, in base a quanto previsto dall’art. 86, comma 2, c.p.p. Ciò al fine, come appare chiaro, di garantire sempre una effettiva organizzazione della difesa del soggetto danneggiato e del responsabile civile.

Per quel che concerne, invece, il rapporto tra giudicato penale e giudizio disciplinare, questo presenta significative divergenze rispetto alla disciplina offerta dagli artt. 651, 652 e 654 c.p.p.

Fulcro della disciplina è fornito dall’art. 653 del codice di rito, così come modificato dalla L. 97/2001, prospettando l’efficacia dispiegata nel giudizio disciplinare dalla sentenza irrevocabile di assoluzione e dalla pronuncia irrevocabile di condanna, rispettivamente al comma 1 e al comma 1-bis.

La sentenza penale di assoluzione, così, non ha efficacia di giudicato nel giudizio di impugnativa di una sanzione disciplinare applicata nell’ambito di un rapporto di lavoro di diritto privato. L’articolo in riferimento, pertanto, è applicabile nei giudizi disciplinari dei professionisti, tant’è che il relativo procedimento si svolge dinanzi all’ordine di appartenenza del professionista ed ha natura amministrativa, dove gli ordini professionali hanno personalità giuridica pubblica. Vediamo dunque come la sentenza assolutoria abbia efficacia preclusiva di giudicato nel giudizio per la responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità solo, però, quando questa sia stata pronunciata a seguito di dibattimento55; ne consegue, per ciò

stesso, che qualora venga pronunciata sentenza istruttoria di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, non risulta precluso l’avvio di un procedimento disciplinare a carico del medesimo soggetto ai sensi dell’art. 653 c.p.p.

Inoltre, sarebbe impensabile precludere al giudice disciplinare la possibilità di valutare fatti, la cui rilevanza penale sia già stata scartata con sentenza penale assolutoria, al fine di applicare o meno la sanzione disciplinare, posto che diverso è il valore in gioco nei rispettivi procedimenti, insieme ai presupposti delle relative responsabilità. “Deve invero restare

fermo solo il limite dell’immutabilità dei fatti accertati nella loro materialità operato dal giudice penale, cosicché, se è inibito all’Amministrazione di ricostruire l’episodio posto a fondamento dell’incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale passata in giudicato, sussiste tuttavia la libertà di valutare i medesimi accadimenti nell’ottica del giudizio disciplinare, con la conseguenza che l’amministrazione non è vincolata dalle valutazioni contenute nella sentenza penale laddove esse esprimano determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte rispetto a quelle del procedimento disciplinare”56.

Stesso discorso non può farsi, invece, per le sentenze di patteggiamento, le quali, grazie alla succitata legge, possono avere efficacia di giudicato nel procedimento disciplinare57, in

quanto hanno valore equiparabile sostanzialmente ad una qualsiasi sentenza di condanna in base a quanto previsto all’art. 445, comma 1-bis, c.p.p.

La sentenza di patteggiamento, infatti, “costituisce elemento di prova per il giudice di merito, che, ove voglia disconoscerne il valore probatorio, dovrà darne adeguata spiegazione nella motivazione della sentenza, giacché la

56 TAR Roma, sez. I, 9 luglio 2013, n. 6799.

sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, indipendentemente dalla sua qualificazione come sentenza di condanna, contenendo comunque una ammissione di colpevolezza, esonera il giudice disciplinare dall’onere di prova”58.

È stato fatto notare, inoltre, che, pur considerando in combinato la valenza della sentenza di patteggiamento come sentenza di condanna e il dettato dell’art 653, comma 1-bis c.p.p., questo “non elimina l’obbligo dell’Amministrazione di valutare i fatti accertati in sede penale al fine di stabilire se irrogare una sanzione disciplinare e di individuare la sanzione più adeguata al caso di specie”59.

Per quanto invece riguarda la sentenza penale irrevocabile di condanna, premesso il dettato del comma 1-bis dell’art. in esame, che esclude ogni ulteriore e differente valutazione della rilevanza penale del fatto in sede disciplinare, v’è però da notare che la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione della sanzione disciplinare e quindi, sul rapporto tra infrazione e fatto, è soggetta ad ampia

58 Cass. Civ. Sez. Un., 20 settembre 2013, n. 21591. 59 TAR Roma, sez. I, 4 febbraio 2013, n. 1159.

discrezionalità amministrativa, non sindacabile dal giudice di legittimità60.

L’irrogazione della sanzione disciplinare,

conseguentemente, non potrà derivarne in via automatica, in quanto è necessaria l’apertura di un procedimento che costituisca la sede naturale per una valutazione della responsabilità disciplinare, dove, tuttavia, l’autonomia dell’autorità disciplinare ne esce fortemente ridotta , proprio per la riconosciuta insindacabilità del fatto accertato in sede penale, e restando, così, liberi da vincoli i soli profili dell’illiceità o meno del fatto, l’elemento psicologico, la scelta della sanzione disciplinare da comminare, nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità.

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