• Non ci sono risultati.

Capitolo 1. La seconda guerra mondiale: nuovi bisogni e nuovi principi (1941-45)

1.2. L’internazionalizzazione delle politiche sociali newdealiste

Atlantica, un documento di otto punti che enunciava alcuni principi da porre a futura base dell’ordine internazionale. Il testo, conosciuto perché preludio al più diretto impegno degli Stati Uniti nella lotta contro il nazismo, risultò rivoluzionario nel suo porre al centro dell’attenzione i diritti del singolo individuo rispetto ai diritti sovrani dagli stati e nel suo gettare le basi delle istituzioni multilaterali postbelliche. Al di là del suo scopo immediato – enfatizzare le differenze morali tra i valori anglosassoni e il fascismo europeo – le poche parole della Carta Atlantica traducevano l’emergere, negli anni del secondo conflitto mondiale, di un nuovo discorso sui diritti socio-economici, a livello nazionale e internazionale. Al quinto punto, i due contraenti dichiaravano di voler «attuare fra tutti i popoli la più piena collaborazione nel campo economico, al fine di assicurare a tutti migliori condizioni di lavoro, progresso economico e sicurezza sociale». Il punto successivo esprimeva l’auspicio di una pace che, dopo aver sconfitto la tirannide nazista, desse «la certezza che tutti gli uomini, in tutti i paesi, possano vivere la loro vita liberi dal timore e dal bisogno»189. La «libertà dal bisogno» e la «sicurezza sociale» esprimevano l’anelito a

coniugare i tradizionali diritti di libertà con un tipo di società trasformata nel rapporto con i suoi membri. L’utilizzo del primo sintagma dilatava a livello planetario la sfera di applicazione del discorso delle «quattro libertà» che Roosevelt stesso aveva pronunciato nel gennaio 1941, quando aveva espresso l’idea che il cittadino comune non potesse godere un’effettiva libertà in mancanza di adeguate politiche sociali. La libertà di religione e di parola e la libertà dalla paura e dal bisogno che, secondo Roosevelt, contraddistinguevano le democrazie moderne, divenivano i cardini di un futuro sistema internazionale fondato sul nascente discorso dei diritti umani, oltre che gli obiettivi per il periodo della ricostruzione, funzionali a mantenere un morale alto nel paese malgrado le restrizioni del tempo di guerra. Il secondo sintagma che rinviava nella Carta ai diritti socio-economici era «sicurezza sociale», divenuto negli Stati Uniti degli anni trenta un «symbolic marker» dell’impegno statale a garantire ai propri cittadini un reddito sufficiente a permettere il mantenimento di un concordato minimo standard di vita190:

«security served as both a technical concept for managing integrated systems of insurance and an instrument of control and calculation to help administer the economic 187 L'indice dei prezzi all'ingrosso, posta la base nel 1938, toccò quota 3000 nel 1946: cfr. Augusto Graziani,

Lo sviluppo dell’economia italiana : dalla ricostruzione alla moneta europea (Torino: Bollati Boringhieri,

2000), 30–33.

188 Cfr. Paolo Mattera, «All’alba della Repubblica: i progetti di riforma sociale degli anni Quaranta e la “Commissione D’Aragona”», in Momenti del welfare in Italia: storiografia e percorsi di ricerca, a cura di Paolo Mattera (Roma: Viella, 2012), 83–84.

189 Elizabeth Borgwardt, A New Deal for the World: America’s Vision for Human Rights (Cambridge, Mass., 2005).

and social policies of modern societies. Security acted as an umbrella term for a generalized model of prevention that targeted the specific risks of a modern, middle- class consumer society»191.

La plasticità del concetto di sicurezza sociale – privo di definizione internazionale fino agli anni sessanta – ha permesso l’evoluzione dei suoi significati lungo tutto il secondo dopoguerra192. La

genesi e lo sviluppo di questo concetto devono perciò essere analizzati nella loro specificità storica, prescindendo dagli sviluppi seguenti. La contingenza degli anni trenta risulta particolarmente importante perché il concetto di sicurezza – inizialmente accompagnato dall’aggettivo economica, con allusione alla garanzia di un reddito193 – sostituì il campo semantico

della deficienza e dell’incidente, che aveva costituito la matrice comune dei sistemi di protezione sociale primo-novecenteschi194. La risemantizzazione del termine «sicurezza sociale» ne fece una

forma di protezione sociale omnicomprensiva, più larga del tradizionale modello bismarckiano, e comprendente non solo le assicurazioni sociali ma anche «sistematiche e incorporate forme di assistenza sociale e servizi sociali»195. La formula ebbe fin da subito un’ampia e eccezionale

fortuna196, riflettendo, da un lato, una rinnovata percezione dei rischi sociali affermatasi con la

Grande depressione e la generale pauperizzazione di larghi strati della società, e dall’altro il nesso con la garanzia delle libertà democratiche per tutti i cittadini indipendentemente dai redditi. Le due parole d’ordine newdealiste della sicurezza sociale e della libertà dal bisogno, che avevano inevitabili riflessi sul ruolo dell’assistenza, si diffusero in Europa grazie alle organizzazioni internazionali. L’adozione dei due lemmi da parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) e dell’Unrra, a partire dal 1943, rappresenta una spia del loro ruolo di catalizzatori dell’espansione delle politiche sociali. La recente storiografia dedicata alle organizzazioni internazionali, mossa dall’intenzione programmatica di «denazionalizzare le politiche sociali»197,

ha sottolineato il loro ruolo come laboratori socio-culturali, tanto come luogo di dibattito su problemi comuni quanto come promotori di reti transnazionali di «tecnici» culturalmente sempre più omogenee («comunità epistemiche», secondo una fortunata definizione)198. Concentrarsi sulle

organizzazioni internazionali come produttrici di competenze più che sulla loro diretta capacità di influenza politica e di global governance risulta essenziale per comprendere i processi di internazionalizzazione all’opera nel campo della protezione sociale e il loro impatto sulle scelte nazionali di politica sociale. La necessità di adattare rapidamente le politiche nazionali alle nuove esigenze belliche metteva in valore queste caratteristiche delle organizzazioni internazionali, che

191 Lengwiler, «Cultural Meanings of Social Security in Postwar Europe».

192 Franz-Xaver Kaufmann, European foundations of the welfare state, trad. John Veit-Wilson (New York: Berghahn Books, 2012), 133–36.

193 La prima occorrenza del termine social security risale a Churchill, nel 1908, che lo intendeva tuttavia come la sicurezza che offre la società, in virtù della tendenza sempieterna degli uomini a raggrupparsi per garantirsi mutui vantaggi; per estensione, andava a indicare un minimo da garantire a tutti gli uomini in virtù della vita in comunità. Per una genealogia del concetto, cfr. Franz-Xaver Kaufmann, «Sicherheit: Das Leitbild Beherrschbarer Komplexität», in Wohlfahrtsstaatliche Grundbegriffe. Historische Und Aktuelle

Diskurse (Bielefeld, 2003), 73–104.

194 Cfr. Julia Moses e Eve Rosenhaft, «Introduction: Moving Targets Risk, Security, and the Social in Twentieth-Century Europe», Social Science History 39, n. 01 (2015): 25–37.

195 Lengwiler, «Cultural Meanings of Social Security in Postwar Europe», 88.

196 Friedrich A. von Hayek, The Road to Serfdom (Chicago: The University of Chicago press, 1944), 89–90. 197 Saunier, «Les régimes circulatoires du domaine social 1800-1940 : projets et ingénierie de la convergence et

de la différence».

198 Haas, «Introduction»; Lorenzo Mechi, «Tendenze recenti della storiografia sulle organizzazioni internazionali», Contemporanea, n. 4 (2013): 649.

fornirono risorse umane e saperi tecnici ai governi nazionali e costituirono una piattaforma di scambio culturale per l’elaborazione dei progetti di ricostruzione199.

In questa seconda sezione del capitolo, analizzerò le circolazioni internazionali di modelli e idee nel campo dell’assistenza negli anni del secondo conflitto mondiale. In un primo momento, mostrerò l’impatto sul settore assistenziale delle due grandi riforme che furono considerate le pietre miliari del nuovo moderno democratico Welfare state, espressione anch’essa diffusasi nella medesima congiuntura in opposizione al «warfare state» dei paesi dell’Asse: il Social Security Act (1935) e le sue successive modifiche in tempo di guerra, negli Stati Uniti, e il piano Beveridge, in Gran Bretagna (1942). All’interno della coalizione alleata si sviluppò in effetti un’intensa interazione e mutua osservazione delle politiche da promettere ai cittadini per il dopoguerra, in un sistema complesso di interdipendenze. Gli anni del conflitto diedero origine a un’espansione delle capacità dello stato che cambiarono in forma permanente l’equilibrio tra stato e società200.

Per analizzare il contributo specifico alla trasformazione dell’assistenza dei due modelli di riforma del sistema di protezione sociale che scaturirono dalle riflessioni degli Alleati sulle modalità per raggiungere la «libertà dal bisogno» e realizzare «la sicurezza sociale», approfondirò le critiche rivolte all’assistenza pubblica tradizionale, i compiti attribuiti alle provvidenze assistenziali nell’ambito del costituendo sistema di sicurezza sociale e le caratteristiche dei nuovi dispositivi assistenziali in termini di entitlements, di tipologia dei trattamenti e di rapporto con le prestazioni assicurative e familiari. Sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna, la guerra contro il nazismo non costituì meramente il propellente ideologico della spinta verso l’universalismo, ma soprattutto il suo contesto materiale: «un periodo rivoluzionario nella storia del mondo – scriveva Beveridge – è il momento più opportuno per fare cambiamenti radicali invece di semplici rattoppi»201. Al

termine di questa analisi, mi concentrerò invece sulle organizzazioni internazionali, in particolare sull’Oil e sull’Unrra, per mostrare come adottarono, adattarono e diffusero i principi assistenziali elaborati negli Stati Uniti e in Inghilterra negli anni precedenti.

Beveridge o Roosevelt?

Il rapporto Social Insurance and Allied Services, presentato alla Camera dei Comuni da William Beveridge nel novembre del 1942, è il documento che sulla scia della Carta Atlantica assurse quasi immediatamente a simbolo del futuro assetto che avrebbero dovuto avere gli Stati democratici nel dopoguerra. Il rapporto formulava una proposta capace di favorire l’aggregazione delle forze democratiche intorno ai diritti socio-economici, integrando numerosi elementi della riflessione liberale prebellica sulle assicurazioni sociali202 in un nuovo discorso imperniato sulla

parola d’ordine della libertà dal bisogno:

«the purpose of victory is to live into a better world than the old world; that each individual citizen is more likely to concentrate upon his war effort if he feels that his Government will be ready in time with plans for that better world; that, if these plans are to be ready in time, they must be made now»203.

199 Kott, «Internationalism in Wartime. Introduction», 318.

200 Jytte Klausen, War and Welfare: Europe and the United States, 1945 to the Present (New York: St. Martin’s Press, 1998), 11–13.

201 William Henry Beveridge, Social Insurance and Allied Services: Presented to Parliament by Command of His

Majesty, November 1942 (London: His majesty’s stationery office, 1942), 6.

202 José Harris, «Political Thought and the Welfare State 1870-1940: An Intellectual Framework for British Social Policy», in Before Beveridge: Welfare Before the Welfare State, a cura di David Gladstone (IEA Health and Welfare Unit, 1999), 44–63.

203 William Henry Beveridge, Social Insurance and Allied Services: Presented to Parliament by Command of His

Se l’impatto del Rapporto Beveridge sul sistema inglese di protezione sociale postbellico fu molto più limitato di quanto generalmente considerato204, l’eco che la sua pubblicazione ebbe a livello

internazionale ne fece un punto di riferimento – benché non l’unico205 – per tutto il dibattito sulla

riforma dei sistemi di assicurazione sociale nell’Europa del dopoguerra. Il primo veicolo della sua diffusione fu infatti lo sforzo bellico alleato: un opuscolo riassuntivo venne distribuito alle truppe inglesi in Egitto, per rafforzarne il morale dopo la battaglia di El Alamein206 e successivamente

tradotto per essere paracadutato in milioni di copie nei paesi occupati dalla Germania nazista207.

Più che il rapporto nella sua integralità, nei paesi continentali circolò tuttavia la sua sintesi, che si soffermava più sui principi di base e le aspirazioni del nuovo sistema che sulle sue concrete modalità attuative: solo in tempi assai recenti, infatti, il rapporto è stato finalmente tradotto in francese e – in forma parziale – in italiano. A differenza dei paesi scandinavi e dell’Olanda208,

l’impatto sui sistemi di protezione sociale francese e italiano fu molto più ridotto di quanto generalmente assunto. Il piano Beveridge non fu d’altra parte né il solo né il più importante modello di rinnovamento delle politiche sociali che venne fatto circolare dagli alleati durante il conflitto mondiale. La partecipazione bellica degli Stati Uniti agevolò l’internazionalizzazione dei principi del New Deal di cui era possibile vantare il successo durante gli anni trenta sconvolti dalla Depressione. A livello delle policies, l’impatto delle politiche newdealiste propagandate con gli slogan della libertà dal bisogno e della sicurezza sociale, come si vedrà, risultò più importante del piano Beveridge. Erano stati infatti i newdealers a allargare «il concetto di sicurezza al di là del campo economico e della legislazione di emergenza»209, spezzando le radicate resistenze alla

costruzione di un welfare di base negli Stati Uniti, che fino agli anni venti avevano avuto una legislazione sociale arretrata e frammentaria non solo da stato a stato ma spesso da contea a contea210. L’amministrazione federale, che precedentemente si era preoccupata soltanto di

provvedimenti riguardanti lo stato sanitario della popolazione, in funzione degli obiettivi economici e militari del paese211, si adeguò agli standard definiti dall’Oil in termini di orari di

lavoro, disoccupazione, maternità, lavoro notturno di donne e bambini, tutela della vecchiaia, recuperando il ritardo con l’Europa, l’Australia e la Nuova Zelanda allora all’avanguardia della protezione sociale. Le misure di welfare rispondevano all’interesse pubblico in quanto contribuivano alla stabilità dell’industria: insieme ai minimi salariali istituiti durante il New Deal, garantivano la sussistenza della popolazione estromessa dalla forza lavoro dalla crisi del 1929, impedendo che, specialmente in alcuni stati del paese, fosse costretta ad accettare salari da fame che avrebbero costituito un caso di concorrenza sleale e inibito la più generale ripresa 204 Noel Whiteside, «The Beveridge Report and Its Implementation: a Revolutionary Project?»,

Histoire@Politique 24, n. 3 (2014): 2.

205 Eric Jabbari, Pierre Laroque and the Welfare State in Post-War France (Oxford: Oxford University Press, 2012), 117–18.

206 William Henry Beveridge, La libertà solidale: scritti 1942-1945 (Roma, 2010)., XVII.

207 Kenneth Owen Morgan, The People’s peace: British history 1945-90 (Oxford: Oxford University Press, 1990), 37.

208 Moses e Daunton, «Editorial – Border Crossings», 185; Smith, «Renegotiating the Social Contract», 556– 57.

209 Patel, The New Deal, 201.

210 Frances Fox Piven e Richard A. Cloward, Regulating the Poor: The Functions of Public Welfare (New York: Vintage, 1993), 46–47.

211 Le pensioni agli ex-combattenti, espressione di un approccio «paternalista» in quanto focalizzate sul «male breadwinner» e concepite come l’espressione della riconoscenza della nazione ai soldati dell’Unione, avrebbero potuto rappresentare una proto-forma di welfare per l’intera popolazione, ma la loro estensione a tutti gli anziani fu frustrata dalle crescenti accuse di corruzione e dagli abusi clientelari nella loro assegnazione: Theda Skocpol, Protecting Soldiers and Mothers: The Political Origins of Social Policy in the

economica212. Nell’analizzare quale fu il ruolo attribuito al settore assistenziale nell’insieme delle

politiche sociali newdealiste, possono essere evidenziati tre momenti fondamentali: la reazione emergenziale alla depressione, il varo del Social Security Act nel 1935 e i progetti di un’assistenza sociale universalista elaborati durante il secondo conflitto mondiale.

In un primo momento, l’ampiezza della crisi economica, evidente a partire dal 1931, evidenziò la necessità di abbandonare le tradizionali forme di beneficenza ai poveri. Solo 8 stati avevano un programma di assistenza per i poveri213. Un maggiore intervento federale fu possibile solo con

l’elezione di Roosevelt, nel maggio 1933, quando il nuovo presidente traslò sul piano federale una soluzione già sperimentata da governatore dello Stato di New York214, creando la Federal

Emergency Relief Administration (Fera)215 con il compito di concedere liquidità ai singoli stati per

distribuire sussidi e alleviare la povertà creata dalla crisi. Contro Hoover, che aveva sostenuto che solo i fondi statali, locali e privati sarebbero dovuti intervenire per rimediare ai disastrosi effetti della Grande Depressione, Roosevelt si appoggiò, per evitare l’opposizione della Corte suprema, sul processo secolare di sviluppo di una politica di soccorsi federali in caso di disastri naturali, promuovendo una narrativa politica centrata sull’idea che i beneficiari fossero stati colpiti da un evento imprevisto, imprevedibile e incontrollabile, per cui non erano moralmente responsabili di inoperosità né di scarsa previdenza216. Una volta dimostrato che la definizione di disastro poteva

comprendere le vittime innocenti della «catastrofe economica» della nuova economia industrializzata, perfino l’assistenza poteva presentarsi come del tutto compatibile con la tradizione storica americana. Il criterio del bisogno, da solo, restava infatti un entitlement non sufficiente per beneficiarne, e l’intervento federale non costituiva un atto di generosità federale, ma una politica di promozione del benessere generale perfettamente in linea con la costituzione217.

L’ordine morale doveva tuttavia tradursi in modalità che riaffermassero la centralità dell’impegno e della responsabilità individuale, ribadendo il ruolo del lavoro come antidoto alla povertà. Per questo, l’intervento della Fera, inizialmente centrato sui sussidi in denaro alle famiglie ridotte in miseria, fu gradualmente riorientato alla creazione di posti di lavoro, con l’obiettivo psicologico e morale di attenuare la degradazione, la stigmatizzazione sociale e il senso di fallimento dei beneficiari. In piena consonanza con la cultura americana che enfatizzava il senso di iniziativa e di responsabilità dei beneficiari218, i lavori pubblici finanziati dalla Fera attraverso la Civil Work

Administration (Cwa), creata nel novembre 1933, divennero uno dei tratti più conosciuti della ricetta new-dealista di risposta alla depressione. La novità di questi programmi, di cui beneficiò circa il 16% della popolazione americana, stava nel riconoscimento della responsabilità degli stati della creazione di posti di lavoro nel caso di una massiccia disoccupazione involontaria più che nella sovversione dei parametri culturali e giuridici di riferimento. Le implicazioni delle misure 212 Alessandro Somma, «Stato del benessere o benessere dello stato? Giustizia sociale, politiche demografiche e ordine economico nell’esperienza statunitense», Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico, n. 1 (2017): 442.

213 Karen M. Tani, «Welfare and Rights Before the Movement: Rights as a Language of the State», The Yale

Law Journal 122, n. 2 (2012): 325.

214 Emma Octavia Lundberg, «The New York State Temporary Emergency Relief Administration», Social

Service Review 6, n. 4 (1932): 545–66.

215 Eva Bertram, The Workfare State: Public Assistance Politics from the New Deal to the New Democrats, American Governance : Politics, Policy, and Public Law (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2015), 17.

216 Michele Landis Dauber, The Sympathetic State: Disaster Relief and the Origins of the American Welfare

State (Chicago: University Of Chicago Press, 2012), 3–5.

217 Dauber, 9–10.

218 William W. Bremer, «Along the “American Way”: The New Deal’s Work Relief Programs for the Unemployed», The Journal of American History 62, n. 3 (1975): 637–39.

risultavano tuttavia più vaste: da un lato, l’intervento federale faceva dei singoli governi statali, e non più delle amministrazioni locali, il centro propulsore delle attività assistenziali; dall’altro, l’assistenza pubblica diventava qualcosa di guadagnato attraverso il lavoro e fuoriusciva dal campo semantico della carità. Le vittime della Grande Depressione erano normali americani, lavoratori autosufficienti in tempi normali, non depravati fannulloni o disadattati. I comportamenti virtuosi di questa popolazione produttiva non dovevano quindi essere piegati alle logiche dei sussidi, che rendevano l’assistenza un motivo di ulteriore degradazione morale e civile. Al contrario, dovevano essere liberi dagli umilianti controlli dei mezzi, dovevano ricevere prestazioni in denaro e spenderle come desideravano, nonché godere della condizione e dei diritti di qualsiasi altro salariato219.

Quando nel gennaio 1935, Roosevelt decise di sopprimere i sussidi federali della Fera, erogati senza contropartita lavorativa, accusandoli di generare la dipendenza degli assistiti e minare il loro senso di autonomia e indipendenza220, l’assistenza generica ricadde interamente sugli stati221,

con la conseguenza di un netto peggioramento dei servizi offerti222 e di un aumento del

clientelismo223. In previsione della soppressione della Fera, Roosevelt volse la sua attenzione alla

creazione di una forma permanente di protezione sociale che scongiurasse il rischio di nuove emergenze assistenziali e offrisse agli americani «la sicurezza contro i più importanti rischi e vicissitudini della vita»224 che una società in via di trasformazione e la complessità dello sviluppo

economico urbano non permettevano di garantire altrimenti. Nel giugno 1934, riprendendo studi svolti specialmente nello stato di New York e nel Wisconsin, Roosevelt e la sottosegretaria al lavoro Francis Perkins istituirono un Committee on Economic Security con l’incarico di studiare la legislazione straniera e di avanzare una proposta di riforma al Congresso. La legislazione che ne derivò, il Social Security Act dell’agosto 1935, non rappresentò meramente una risposta alla crisi degli anni trenta, ma anche e soprattutto l’esito di un dibattito decennale nutrito dai riferimenti a altre esperienze nazionali225. Il cuore del provvedimento consisteva in un sistema federale

pensionistico di tipo contributivo e in un’assicurazione sulla disoccupazione gestita dagli stati che definiva le prestazioni in termini di entitlement, cioè di diritto, a differenza dei programmi

Documenti correlati