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6.1 – L’INTERPRETAZIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 52-55)

La Corte di Giustizia, diversamente dalla dottrina italiana, ha coerentemente seguito l’impostazione “market oriented” anche per interpretare questa norma, richiedendo ai giudici nazionali di indagare, in concreto, sull’uso da parte del presunto imitatore e dichiararne l’illiceità solamente qualora tale uso interferisca realmente con una delle funzioni del marchio. Secondo gli insegnamenti della Corte stessa, ancora una volta permane come punto centrale dell’analisi la percezione del marchio da parte del pubblico e, dunque, soprattutto ciò che il marchio stesso comunica.

Come abbiamo già richiamato al capitolo 2, tale modo di procedere è confermato dalla Corte di Giustizia in una sentenza, ove precisa che l’uso di un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici è vietato “solo se pregiudica o è idoneo a pregiudicare le funzioni del detto marchio e in particolare la sua funzione essenziale, che è di garantire ai consumatori l’origine dei prodotti o dei servizi”94, confermando che oltre alla funzione di indicatore d’origine, il marchio ha ulteriori componenti suggestive legate al messaggio che comunica e di conseguenza ulteriori funzioni95.

Uno dei primi e significativi casi di applicazione della norma in esame fu nella pronuncia “Arsenal”, relativa proprio alla squadra di calcio del nord est di Londra, della quale un signore rivendeva, in un chiosco davanti allo stadio “Highbury”, magliette, sciarpe e una serie di prodotti per la tifoseria dei c.d. “Gunners”, specificando altresì, con un cartello ben visibile, che tali

93 Vedi VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, sesta ed., 2009, 230, per i quali solitamente in tali ipotesi sussiste la confondibilità, altrimenti l’agganciamento parassitario. Vedi anche RICOLFI in Auteri, Floridia, Mangini, Olivieri, Ricolfi, Spada, Diritto Industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, terza ed., 2009, 118.

94 Corte Giust., 11 settembre 2007, C-17/06, Céline, punto 26; Corte Giust., 16 novembre 2004, C-245/02, Anheuser-Busch, punto 59.

95 Vedi anche Corte Giust., 14 settembre 1999, C-375/97 General Motors e Corte Giust., 4 novembre 1997, C-337/95, Dior.

prodotti non provenivano dall’Arsenal Football Club, cioè non erano del merchandising ufficiale del club calcistico, ma utilizzavano i segni distintivi a solo scopo decorativo o descrittivo. La Corte stabilì che: “Nel caso in cui un terzo faccia uso, nel commercio, di un segno identico a un marchio d’impresa validamente registrato su prodotti identici a quelli per i quali è stato registrato, il titolare del marchio può opporsi a tale uso conformemente all’art. 5 n. 1 lett. a), della direttiva e non vale a giustificazione il fatto che nel contesto di tale uso, il segno venga percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio. L’uso che un terzo faccia, nel commercio, di un segno identico a marchio d’impresa validamente registrato, su prodotti identici a quelli per i quali è stato registrato…non può essere considerato uso effettuato a fini puramente descrittivi. Tale uso mette a repentaglio la garanzia di provenienza che costituisce la funzione essenziale del marchio in tal caso quindi, legittimamente il titolare del marchio può opporsi all’uso del segno, conformemente all’art. 5 n. 1 lett. a della direttiva”96.

La Corte di Giustizia ha dunque scartato, in questo caso, la possibilità che l’uso del marchio altrui fosse di natura descrittiva e ha affermato che veniva compromessa la funzione di indicazione d’origine imprenditoriale del marchio, legata alla confondibilità di cui all’art. 5.1 lettera b) della Direttiva.

Sulla stessa scorta, la Corte di Giustizia, con la sentenza “Opel”, ha aggiunto un altro tassello alla completa interpretazione della norma in esame. Nello specifico si trattava dell’apposizione del rinomato marchio

“Opel”, registrato anche per giocattoli, su un modellino radiocomandato della vettura “Opel Astra V8”, senza il consenso della casa madre. Anche in questo caso, la Corte ha notato che si trattava di fattispecie riconducibile all’art. 5 n. 1 lett. a) della Direttiva 89/104/CE e che potevano essere pregiudicate le funzioni, al plurale, del marchio. Per la Corte si rivela, dunque, sempre necessaria un’indagine dei giudici nazionali sulle modalità concrete di utilizzo del marchio e sul come esso venga percepito dal pubblico: nello specifico, infatti, si doveva valutare se l’apposizione del

96 Corte Giust., 12 novembre 2002, C-206/01, Arsenal.

marchio della casa automobilistica sul modellino fosse o meno un elemento sostanziale, fondamentale, per una perfetta riproduzione del modellino stesso, e quindi in sostanza, il giudice doveva valutare se questo uso poteva essere o meno considerato lecito, facendolo rientrare nelle “scriminanti”

dell’art. 6 della Direttiva stessa. La Corte, nella sentenza, come vedremo meglio al capitolo 9.3 di questo lavoro, ha stabilito che non si applica, al caso in questione, l’art. 6.1 della Direttiva. Tuttavia, per quel che ora ci interessa, la sentenza fornisce un’informazione ulteriore rispetto alle precedenti sul tema, ossia che la Corte induce il giudice nazionale ad indagare, in particolare, anche riguardo alla funzione di strumento di comunicazione del marchio, vale a dire sul messaggio che esso reca con sé, rispetto al quale, anche un uso non distintivo del segno imitante può produrre un effetto di richiamo o di agganciamento al marchio originale oppure causarne detrimento. La Corte ha infatti sancito che, mentre l’apposizione del marchio sui modellini è da ritenersi preclusa, ai sensi dell’art. 5, n. 1 lett. a) della direttiva, ove possa arrecare pregiudizio alle funzioni del marchio ed in particolare alla funzione di indicatore di provenienza, invece ai sensi dell’art. 5, n. 2 della medesima, essa

“costituisce un uso che il titolare del marchio ha diritto di vietare qualora consenta di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, in quanto marchio registrato per autoveicoli, ovvero arrechi pregiudizio a tali caratteristiche del marchio”97 a prescindere dal fatto che l’uso sia distintivo oppure non distintivo. Come, a mio parere, correttamente ha interpretato parte della dottrina, questa differenziazione della Corte di Giustizia, nell’interpretazione dell’art. 5.1 lett. a) della direttiva, con l’art. 5.2, “sembra dunque suggerire l’idea che i casi siano due. E cioè che o il marchio è un puro e semplice segno, percepito come tale ma privo di un significato e di un messaggio ulteriore: ed allora lo stesso è protetto dall’ordinamento solo nella sua essenza appunto di segno, e quindi esclusivamente contro l’uso di un altro segno che pregiudica (come l’uso del medesimo nome per persone diverse) la funzione identificatrice dei prodotti

97 Corte Giust., 25 gennaio 2007, C-48/05, Opel, punto 34.

contrassegnati propria del marchio imitato; ovvero il marchio ha acquisito rinomanza sul mercato, ed è dunque divenuta attiva la sua potenzialità di vero, completo e sintetico strumento di comunicazione: e allora tale funzione acquisita deve essere tutelata a tutto campo, contro ogni comportamento che possa pregiudicarla, interferendo con la stessa, e segnatamente contro ogni forma di agganciamento parassitario che consenta ad un terzo di appropriarsi del valore di cui il marchio è stato caricato dal titolare”98.

Riassumendo, si può dire che l’art. 20, comma 1, lett. a) del CPI, rappresenti una fattispecie di presunzione di contraffazione, che va però nel concreto riscontrata, potendo negarsi qualora l’uso del segno identico venga effettuato con modalità tali da escludere che ricorra una delle ipotesi di cui alle lett. b) (confondibilità) o c) (pregiudizio/indebito vantaggio) dell’art. 20 CPI.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 52-55)