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L’obiettività giornalistica guardiana della democrazia

3.1. L’etica del giornalismo

Il giornalismo è storicamente un costruttore di democrazie, nella sua capacità di formare un’opinione pubblica consapevole e dotata di senso critico. È l’etica ad esprimere il cuore del rapporto tra il giornalismo e la democrazia. La democrazia ha sfidato inizialmente gli assoluti dell’ancien régime, poi i totalitarismi del Novecento.

Viene naturale chiedersi come mai il giornalismo abbia questa grande importanza nella costruzione della democrazia, non pochi pensatori ritengono che esso oggi rappresenti più di una semplice Costituzione formale, che tutela le fondamentali libertà dell’individuo, una condizione sine qua non perché si possa parlare di democrazia. Il giornalismo è il sale della democrazia in una sfera pubblica aperta nella quale si apre un dibattito sulle questioni chiave di una comunità.

Il giornalismo è caratterizzato da un policentrismo di poteri, ha la funzione di manutenzione civile.

“Una sorta di energia vivificatrice, che scorre tra le condotte della comunicazione globale, sradica ed elimina le contraddizioni incontrate per strada, e rispristina una fisiologia naturale delle relazioni tra i diversi poteri e, tra i poteri e il cittadino”51.

L’esercizio del giornalismo è in grado di esercitare degli effetti nella sfera dei destinatari, una sorta di diritto potestativo che si riflette, ad esempio, nella politica e negli altri poteri. Offre le chiavi di accesso per comprendere e scavare nella complessa società moderna. Potere e sapere agiscono insieme, definiscono aspettative e decisioni politiche, programmi economici, elaborazioni di valori morali ed estetici. Il loro operare è performativo: attivano processi di inclusione sociale, di orientamento nei comportamenti collettivi, di definizione nelle forme della società.

L’etica, inoltre, si interroga anche sui mali del giornalismo. Viviamo in una società caratterizzata da una perdita di fiducia, dovuta da un accanimento mediatico, “un’emorragia delle credenze”, come ha affermato il filosofo Remo Bodei. Il paradosso è che questa condizione di malessere è dovuta alla volontà di rafforzare e diversificare gli apparati di persuasione. È il rumore di fondo a cui ci condanna per esempio, la prevalenza del politico che caratterizza il giornalismo italiano e che, come effetto, nasconde le reali opzioni della politica.

È l’effetto di un’ipertrofia della comunicazione, che offre uno stesso diritto d’accesso a tutte le opinioni possibili, trattando queste ultime come merci fungibili, la cui scelta è affidata alla sovranità di un consumatore privato della sua capacità critica.

L’appiattimento della qualità sulla quantità, del vero sul falso, sono gli effetti di questa overdose cognitiva. La sfida dell’etica per il giornalismo coincide con la sfida della qualità sulla quantità, attraversando tutti i suoi ambiti: dal modo in cui i fatti e i fenomeni assumono il requisito della notiziabilità, alla tecnica tramite cui le informazioni diventano notizie, all’organizzazione del lavoro da cui si sviluppa una dialettica

51 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012.

interna alla professione, fino ai formati della comunicazione e ai suoi generi, da cui il messaggio giornalistico può tramutarsi in un fattore di disvelamento o, piuttosto, in un fattore di confusione e disorientamento.52

Tra diritti e democrazia e tra giornalismo e società, c’è una correlazione. I diritti sono il carburante della democrazia, sono stati un mezzo per contrastare i dogmi autoritari e, una volta raggiunto il traguardo, si trasformano da mezzo in fine. Il diritto-fine, privato dal limite dell’autorità, da pilastro della democrazia diventa una forza disgregatrice. Si produce così uno slittamento da una dimensione che fino a prima era etica, ad una estetica, non ancorata ad un ideale di giustizia ma piuttosto, a un’aspettativa diffusa di felicità, intesa come piacere e benessere. L’effetto di questo squilibrio si coglie nel mondo in cui le società contemporanee recepiscono la libertà. Essa tende a coincidere con un allargamento dei diritti individuali, svincolato da un processo di responsabilizzazione sociale.

Il rovesciamento tra mezzi e fini si riflette anche nel rapporto tra società e comunicazione. Da mezzo per affermare una società trasparente in cui, moltiplicando il numero delle opinioni e delle voci, permette agli esclusi di prendere parola e di rompere il monopolio di chi l’ha sempre avuta, la comunicazione rischia d’imporsi come fine di una società mediatizzata, in cui un flusso continuo quanto seducente di verità fungibili l’una con l’altra, appiattisce ogni differenza in una orizzontalità indistinta. Un’industria dell’irrealtà, in cui appare reale solo ciò che viene comunicato dai media.

Le ragioni del pluralismo, di cui il giornalismo è uno storico presupposto, sono oggi in discussione.

Nell’era del villaggio globale esso si è inverato senza garantire tutte le condizioni di libertà e di giustizia sociale. A volte accade il contrario, ovvero l’assenza di un rapporto tra pluralismo e diseguaglianza. In numerose democrazie avanzate accade che crescano entrambi e che il primo non abbia influenza rispetto alle seconde.53 L’effetto è che società plurali si rivelino oltremodo ingiuste. Viene in automatico chiedersi se il pluralismo debba ancora considerarsi una garanza d’accesso e di espressione per i soggetti deboli. Siamo nell’era dell’interconnessione, dove tutti hanno accesso a tutto, questa chance di espressione e di visibilità però, nel circuito dei media, rischia di rappresentare piuttosto uno strumento di selezione nel flusso indifferenziato dei messaggi di cui tanto gli utenti e i giornalisti sono destinatari. Ci si chiede cioè se il pluralismo non debba essere considerato come simbolo di democrazia, che sfida il conformismo tramite le differenze che reinventa e una nuova gerarchia, fondata sulla qualità e non sulla quantità.

Ai tempi di internet la realtà virtuale, che viene corrisposta alla comunicazione, viene percepita come un mondo parallelo in cui si inserisce la nostra stessa esperienza quotidiana.

Il paradosso tra comunicazione e società è proprio la tendenza a semplificare e a ridurre la complessità nel conformismo o in una dialettica binaria, dove tutto è o bianco o nero.

Possiamo affermare che l’egemonia delle tecnologie d’informazione ha un effetto bifronte: da un lato viene favorita l’evoluzione della democrazia, lo spostamento del potere verso il basso e il graduale sviluppo di una società dedita alla conversazione; dall’altro lato si può tendere alla radicalizzazione delle convinzioni

52 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012, p.281.

53 Ivi, p. 283.

dei consumatori di notizie, evidenziando a livello globale, la crescita dell’antipolitica e l’esaltazione della società civile contro lo Stato.54

C’è da chiedersi se l’utopia di una società caratterizzata da soli legami orizzontali che nuotano nelle condotte dei new media non finirebbe per consumare, assieme alle vecchie gerarchie verticali dello Stato moderno, anche i principi e le forme della civiltà democratica.

3.2. Informazione libera e responsabile nella rivoluzione digitale

Il giornalismo digitale non è nato dal nulla. Si è sviluppato con l’utilizzo degli strumenti tecnologici e, in breve tempo, ha decisamente cambiato il volto del giornalismo, in particolare in Nord America, Europa e Australia.

A livello globale, il giornalismo tradizionale tiene ancora il sopravvento, e per questo motivo il giornalismo digitale deve essere visto in concomitanza al giornalismo tradizionale piuttosto che in modo isolato. Il giornalismo digitale presenta una sua propria relazione con la democrazia, in un modo un po' diverso rispetto a quello del giornalismo tradizionale.

Gli sviluppi tecnologici hanno aperto canali a tutti coloro che sono in grado e, desiderano partecipare attivamente alla creazione e alla distribuzione delle notizie: un ruolo che prima era confinato ai soli giornalisti e alle case dei media, democratizzando così i processi giornalistici.

Questo capitolo spiega le varie visioni del giornalismo e della democrazia, e si propone di esplorare come le nuove possibilità di partecipazione influenzino i giornalisti.

Si propone di dare una visione d'insieme del giornalismo e della democrazia, con le varie tendenze insite nel giornalismo, il divario digitale e la diffusione ineguale della democrazia.

Gli inizi del giornalismo e della democrazia, così come gli attuali cambiamenti accelerati nel giornalismo si sono concentrati nel mondo occidentale, ma non bisogna prendere in considerazione solo questo, infatti ciò porterebbe ad un'immagine riduttiva del giornalismo e del suo rapporto con la democrazia.

La nozione che il giornalismo sia una parte vitale della democrazia è stata formulata più esplicitamente nel ventesimo secolo. Ma gli inizi di un legame tra una stampa dotata di criterio e gli sforzi verso un assetto democratico, risalgono al diciassettesimo secolo, quando le lotte ideologiche furono giocate per la prima volta sulla stampa.

Per liberare la stampa dalle catene dell'autorità statale e religiosa, il poeta John Milton chiese nel 1644, la “Libertà di stampa senza licenza”. Il suo discorso al Parlamento, pubblicato con il titolo Areopagitica, rimane ancora oggi un testo fondamentale nella lotta per la libertà di espressione. Milton, da parte sua, era convinto che se tutti “i venti della dottrina fossero stati lasciati liberi sulla terra, la verità avrebbe vinto”.

Mentre la classe borghese cresceva durante la rivoluzione industriale e il numero di lettori alfabetizzati cresceva, la stampa aveva fornito un forum per contestare le richieste politiche. Facilitare uno scambio di opinioni è stato fino ad oggi uno dei compiti più influenti del giornalismo. Ha fornito la base per la visione del giornalismo come una fonte di informazione in una democrazia deliberativa.

54 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012, p. 283.

Circa trecento anni dopo, la Commissione Hutchins (fondata per indagare sul corretto funzionamento dei media in una democrazia moderna) e il suo rapporto, intitolato “A Free and Responsible Press” (1947), favorirono un'interpretazione elitaria del giornalismo e della democrazia. La commissione, che si riunì negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale e che pubblicò il suo rapporto subito dopo, si proponeva di chiarire degli aspetti fondamentali, aspetti della libertà di stampa e della democrazia55. La commissione fissava i requisiti per una stampa libera e responsabile56:

1. Un resoconto fedele, comprensibile e intelligente degli avvenimenti del giorno in un contesto che gli dia significato;

2. Un forum per scambio di commenti e critiche;

3. Informazione su opinioni, attitudini e condizioni dei gruppi che compongono il corpo sociale;

4. Una vigorosa linea che presenti e chiarifichi gli obiettivi e i valori della società;

5. Pieno accesso alle informazioni d’attualità.

Alcune delle opinioni della commissione erano guidate dalle recenti esperienze con il totalitarismo in Europa, che aveva seminato un profondo sospetto nei confronti del governo popolare e del comune cittadino, visto come poco informato, emotivo e suscettibile alle persuasioni dei demagoghi e della propaganda.

In questo ambiente ideologico era facile per la stampa di qualità e per i suoi giornalisti proporsi come portavoce del pubblico. Come tali, avrebbero mediato il punto di vista del pubblico verso i funzionari eletti e viceversa. I media si presentavano come vettori affidabili di informazioni e nella loro funzione informativa e di controllo come essenziali per il funzionamento della democrazia. I media dovevano fornire un resoconto veritiero, completo e intelligente degli eventi del giorno in un contesto che dia loro significato. I giornalisti sono stati incoraggiati a riconoscersi come specialisti e professionisti, anche se la stampa populista, meno apprezzata, declamò questa mossa come antidemocratica per il suo elitismo.

Gran parte della successiva critica accademica fu dedicata alle pratiche e alle scelte fatte da giornalisti e editori nei loro ruoli appropriati. Sotto l'impatto del giornalismo digitale, la contesa tra coloro che difendono la voce mediata di ampi settori della società attraverso i giornalisti professionisti e coloro che preferiscono

“comprensioni del processo democratico centrate sull'individuo” è tornata alla ribalta.

La centralità della democrazia sta svanendo. Una meta-analisi delle teorie del giornalismo nell'era digitale mostra che “democrazia”, come parola chiave è scesa dal quarto posto nel periodo 2000/2006, al nono posto nel periodo 2007-1357. A prendere il suo posto sono i termini sfera pubblica e citizen journalism, cioè quella forma di giornalismo che vede la partecipazione attiva del lettore grazie all’interattività offerta dai nuovi media e alla natura collaborativa della rete.

La storia del legame tra giornalismo e democrazia tende ad essere raccontata in modo teleologico, non con “democrazia” ma con la libertà di espressione come linea narrativa.

55“Nieman reports”, https://niemanreports.org/articles/1947-a-free-and-responsible-press/

56Papuzzi, Alberto. Professione giornalista: le tecniche, i media, le regole. Donzelli editore, 2010.

57Steensen, Steen, and Laura Ahva. “Theories of journalism in a digital age: An exploration and introduction.” (2015): 1-18.

Il paradigma del giornalismo e della democrazia, come concepito negli Stati Uniti dove la stampa finanziata dal mercato doveva essere indipendente dal governo, si adatta stranamente a molte democrazie del mondo.

Anche negli USA, la validità del paradigma è esistita per pochi decenni nel migliore dei casi. Solo negli anni '50 e '60, un periodo etichettato come "alto modernismo" da Daniel Hallin58, in cui i media detenevano il monopolio dei servizi di informazione e potevano essere visti in una posizione di potere che rafforzava la loro pretesa di essere il “Quarto potere”. Questo modello egemonico poggiava su un clima commerciale favorevole, come un aumento della pubblicità e un abbassamento dei costi dei materiali e del trasporto. Nelle parole di Hallin, l'alto modernismo nel giornalismo americano fu un'epoca in cui sembrava possibile per il giornalista essere potente e prospero e allo stesso tempo indipendente, disinteressato, di spirito pubblico, e fidato e amato da tutti, dai corridoi del potere in tutto il mondo al cittadino comune e al consumatore. Questo mondo apparentemente idilliaco era basato sul consenso politico e sulla sicurezza economica.

Hallin ha determinato il deterioramento del consenso politico come la fine dell'alto modernismo, quando l'impatto della tecnologia digitale ha causato il deterioramento della sua base economica e l’autorità dei giornalisti di scegliere, presentare e interpretare le notizie, era finita.

L'attenzione narrativa si è ora spostata dalla libertà di espressione della stampa alla libertà di informazione su internet.

Il paradigma del giornalismo tradizionale dà molta importanza al pensiero ragionato, la razionalità ha un valore centrale. L'obiettività e la neutralità rimangono ancora una componente importante dell'ethos giornalistico, sebbene storicamente non lo siano state sempre, né lo sono in tutte le culture.

L'accesso aperto di Internet non filtra più i sentimenti che si cercavano di tenere a bada con la visione elitaria della democrazia e della stampa: pregiudizi, stereotipi ed emotività. La rimozione degli stretti processi di gatekeeping online59 ha permesso a questi di rientrare nel discorso.

Nessuna impresa giornalistica è mai riuscita separare ragione ed emozione, informazione e intrattenimento, il reale e l'immaginario, i fatti e la storia. I tabloid60, distinti dai giornali di qualità, non sono mai stati timidi nel giocare con i pregiudizi, nel sensazionalizzare o essere divertenti per attirare l'attenzione dei lettori. I lettori mostravano il loro apprezzamento comprando tabloid a milioni, indicando implicitamente che i giornali di qualità erano per una élite e che la loro forma di giornalismo escludeva l'uomo comune.

Mentre l'inclusività della partecipazione online è ancora oggetto di dibattito, è chiaro che molte delle tendenze prefigurate nel giornalismo dei tabloid sono entrate nel giornalismo digitale, specialmente quando originano dai social media. I messaggi o i tweet, spesso carichi di emozioni, sono coinvolgenti e si può rispondere direttamente. Uno sguardo a un sito online come “BuzzFeed” rivela una grande parentela con il mondo dei tabloid. Le notizie non sono che una parte del pacchetto complessivo di risultati di lifestyle,

58 Hallin, Daniel C., and Paolo Mancini, eds. Comparing media systems beyond the Western world. Cambridge University Press, 2011.

59Il termine gatekeeping è stato usato per descrivere il meccanismo con cui avvengono le scelte nel lavoro mediale, specie le decisioni circa il lasciar filtrare o meno una particolare notizia tramite i “gate” ovvero i “cancelli” di un mezzo di informazione.

60 Giornale di formato ridotto (circa la metà del formato dei quotidiani, ma con un numero di pagine notevolmente superiore), riccamente illustrato e con numerose rubriche. Def. Da Oxford Languages.

intrattenimento e sport. Mentre questi siti non offrono la copertura approfondita o il numero sempre crescente di articoli contestuali che si trovano nella stampa tradizionale, possono essere difesi su basi simili al giornalismo tabloid.

Attirano e includono un pubblico molto più ampio, i testi sono più accessibili a un pubblico più ampio e il loro coinvolgimento emotivo può riversarsi nella sfera pubblica.61

La natura soggettiva della pervasiva comunicazione personale dei social media era destinata ad avere un impatto sull’ideale (americano) di obiettività. Si pensa che l'obiettività sembra essere percepita da sempre più partecipanti al lavoro di informazione come un mito. Essi sostengono che i rituali di trasparenza sostituiscono i rituali dell'obiettività, anche se questo non rende conto di tutto il giornalismo attivista che si trova sul web.

“Assumendo che l'attivismo non promuova o generi indirettamente violenza”, scrive Dahlgren, “non dovrebbe essere visto come qualcosa di negativo che segnala un “fallimento” della democrazia deliberativa nelle varie sfere pubbliche”. Eppure, cittadini e lettori hanno aspettative normative riguardo alla credibilità dell'informazione e, i giornalisti, nel tentativo di sottolineare le loro competenze professionali, evidenziano il loro impegno per l'accuratezza e l'equilibrio.

3.3. Il giornalista, guardiano del “diritto di sapere”

Non c'è un’unica concezione su cosa sia il giornalismo. I punti di vista vanno dalla forma testuale del giornalismo vista dal giornalista John Harley come la “creazione primaria di senso della modernità” e da Wahl-Jorgenson e Thomas Hanitzsch come una delle più importanti istituzioni sociali, culturali e politiche, alla visione del professore John Nerone, specializzato in comunicazione dell’Università dell’Illinois, del giornalismo come disciplina della notizia62. Per John Nerone è “il sistema di credenze che definisce le pratiche e i valori appropriati di professionisti dell'informazione, dei media e dei sistemi di informazione”. Michael Schudson, professore di giornalismo della Columbia University, preferisce allo stesso modo, restringere la definizione alle notizie: “Il giornalismo è l'attività o la pratica di produrre e diffondere informazioni su affari contemporanei di interesse e importanza pubblica generale”. Il giornalismo digitale sarà inevitabilmente misurato rispetto a queste visioni sia dal pubblico partecipante che dagli studiosi, e dal grado in cui soddisfa le richieste poste al giornalismo fino ad oggi.

La funzione meno contestata del giornalismo a livello mondiale è la fornitura di informazioni e notizie accurate, affidabili e rilevanti. Le pratiche con cui le notizie sono raccolte e distribuite sono diventate infinitamente più complesse nel giornalismo digitale. In questo momento, il giornalismo digitale è stato descritto come un “momento di sconvolgente incertezza nell'evoluzione del giornalismo”, sembra un compito arduo tracciare tutte le possibili strade secondarie delle pratiche che oggi, costituiscono il giornalismo. In

61 Jönsson, Anna Maria, and Henrik Örnebring. “User-generated content and the news: Empowerment of citizens or interactive illusion?” Journalism Practice 5.2 (2011): 127-144.

62 Witschge, T., Anderson, C. W., Domingo, D., & Hermida, A. (Eds.). (2016). The SAGE handbook of digital journalism and democracy, Sage.

questa situazione dinamica, ciò che rimane come norma è l'aspettativa del pubblico di accuratezza e credibilità, e il compito del giornalista come custode del “diritto di sapere” del pubblico.

Nella loro lotta per la libertà di parola, i media si sono spesso posizionati come guardiani del

diritto di sapere. Questa libertà è espressamente usata per scoprire fatti che i governi, i funzionari e le imprese preferirebbero far passare inosservati o nascosti: la celebre immagine americana del watchdog, che abbaia al potere nell’interesse pubblico. È lo specchio di un giornalismo che rappresenta allo stesso tempo un contropotere e un potere di controllo, in una società dove i padri fondatori, sin dall’inizio, si pongono questioni decisive per la salute della democrazia: come impedire a chi ha il potere di abusarne.63 Il ruolo di cane da guardia, anche se più strettamente collegato alle democrazie che permettono la libertà di espressione, è comunque riconosciuto a livello globale. Questo ruolo è più strettamente associato al giornalismo investigativo, giornalismo che fa luce su processi decisionali, sulla presunta corruzione o sulle attività illegali.

In molti paesi, come misurato dai premi che ottiene, il giornalismo investigativo è visto come la categoria più venerata di giornalismo, di solito portato avanti da giornalisti esperti. Così, se l’Inghilterra viene considerata la patria del giornalismo, gli Stati Uniti sono certamente i precursori del giornalismo investigativo.

Rivendicare questo ruolo di baluardo per i giornalisti professionisti e i media tradizionali è diventato

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