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Oggettività e obiettività: cosa sono?

I termini oggettività e obiettività, in particolare nel contesto informativo, sono da distinguere. A causa dell’uso e dell’abuso di questi concetti, si è creata una distorsione riguardante la loro distinta accezione. “Un insieme di informazioni sono oggettive se sono pubblicamente controllabili in base a fatti e quindi passibili di smentita o conferma. In altri termini, una proposizione, una notizia o un’informazione è oggettiva se noi abbiamo i mezzi per poterla controllare. Questo è esattamente il significato epistemologico del termine oggettività”.6

Quando parliamo di obiettività ci riferiamo a una dote della persona, del giornalista: una dote di onestà non riferibile alla notizia, ma alle intenzioni di chi l’ha scritta. È una dote che si manifesta già nella scelta delle notizie da pubblicare, nel loro ordine di importanza, nello stesso modo di scrivere, di aggiungere dettagli o di ometterli consapevolmente. E, infine, l’obiettività di un giornalista sta nel seguire le regole del metodo scientifico, fornendo al pubblico un’informazione di qualità, parziale ma non faziosa, incompleta ma non manipolata.

L’obiettività dell’informazione è un concetto da sempre centrale nella professione giornalistica. È caratterizzante nel delineare il discrimine di ideale tra “buona” e “cattiva informazione”. L’idea di un giornalismo obiettivo riassume l’esigenza che il sistema dell’informazione sia libero di condizionamenti, non diventi uno strumento di manipolazione al servizio del potere o delle idee personali del singolo giornalista.

L’obiettività nel giornalismo ha lo scopo di aiutare il pubblico a decidere da solo su una storia, fornendo solo i fatti e lasciando che il pubblico li interpreti da sé. Per adempiere all’obiettività nel giornalismo, i giornalisti dovrebbero mostrare i fatti all'infuori dal fatto che siano d’accordo o meno con tali fatti. Il reporting oggettivo è pensato per ritrarre problemi ed eventi in modo neutrale e imparziale, indipendentemente dall’opinione degli scrittori o dalle convinzioni personali. Per rispettare il criterio dell’obiettività, è richiesto dalla deontologia del giornalista di non esprimere la propria opinione in merito ad un argomento.

Il giornalista deve riportare unicamente i fatti e non un pensiero personale nei confronti dei fatti. Ma non si tratta solo di un criterio per stabilire la qualità di un prodotto.

Philip Meyer, giornalista statunitense, paragona il lavoro del giornalista a quello dello scienziato sociale. «Il nuovo giornalismo di precisione è un giornalismo scientifico. Ciò significa trattare il giornalismo come fosse una scienza, adottando il metodo scientifico, l’oggettività scientifica e gli ideali scientifici per l’intero processo della comunicazione di massa».7Il filosofo Massimo Baldini osserva: «Ma, se il giornalista è sulla stessa barca dello scienziato e dello storico, del detective e del clinico, allora egli dovrebbe possedere

6 D. Antiseri, Leggere la realtà, cit., da M. Baldini, Obiettività e oggettività, due realtà distinte, in D. Antiseri, G. Santambrogio (a cura di), Giornali. L’informazione dov’è? Rubbettino, Soveria Mannelli 1999, p.54.

7 P. Meyer, Giornalismo e metodo scientifico ovvero il metodo di precisione, op. cit. p.7.

delle competenze epistemologiche, in quanto proprio dall’epistemologia è possibile trarre alcune riflessioni che sono particolarmente utili per la sua professione»8.

Il concetto di oggettività, confermiamo dunque, va distinto da quello dell’obiettività. Innanzi tutto, l’obiettività è un attributo predicabile di una persona onesta, perbene, non dedita all’inganno. Solo che essere onesti non equivale ad essere oggettivi: si può essere onesti e vivere nell’errore – errore che magari viene poi ampiamente accettato come verità proprio perché difeso da una persona perbene, credibile. L’oggettività è cosa diversa dall’obiettività. L’oggettività, infatti è un attributo predicabile di un asserto o di un insieme di proposizioni: oggettività equivale a pubblica controllabilità di una asserzione (descrittiva, esplicativa o previsiva). In altri termini, una notizia, una proposizione o un’informazione è oggettiva se è controllabile, pubblicamente controllabile. Da qui, la necessità nella ricerca scientifica.

L’oggettività del giornalismo sta, dunque, nel seguire le regole del metodo scientifico, fornendo al pubblico un’informazione parziale (cioè prospettica) ma non faziosa, falsificabile ma non ancora falsificata nonostante i controlli più severi.

1.1. Il caso italiano

La maggiore o minore centralità che si dà a questo ideale ha portato a distinguere due differenti modelli di fare informazione: semplificando, quello italiano e quello anglosassone. Quest’ultimo sarebbe il portatore della concezione più classica di informazione obiettiva: i fatti separati dal commento. Prima i fatti, poi le interpretazioni. Anche per gli scrittori Alessandro Mazzanti e Giovanni Bechelloni, la questione dell'obiettività può essere scelta come elemento discriminante ai fini della caratterizzazione dei modelli informativi sorti in diverse realtà nazionali9. E in Italia? Lungo la storia del giornalismo italiano «la questione dell’obiettività giornalistica – ha scritto Bechelloni – è una di quelle questioni che, considerata centrale nella nascita e nello sviluppo del giornalismo moderno, i giornalisti italiani amano riguardare con sufficienza. Quasi che fosse una questione non solo secondaria ma addirittura fuorviante»10. Nel giornalismo italiano, l’ideale dell’obiettività, diversamente dal giornalismo anglosassone, non è stato centrale. Alcune peculiarità del giornalismo italiano vengono assunte come giustificazioni per evitare, se non il dibattito, il confronto aperto con la tematica dell’obiettività. La dipendenza dalla politica, l’assenza di un’editoria “pura”, cioè senza interessi e proprietà principali al di fuori delle testate giornalistiche possedute, sono considerate “peccati originali” del nostro giornalismo, escludendo la possibilità di una definizione chiara del concetto di obiettività. Da un lato, la frequente affermazione del carattere velleitario e ideologico dell’obiettività da parte degli operatori istituzionali e professionali dell’informazione, per quanto si fondi su considerazioni corrette dal punto di vista epistemologico, nasconde talvolta la segreta intenzione di sentirsi liberi da vincoli e da verifiche.

8 Flaminia Festuccia, L’oggettività dell’informazione, op. cit. p 8.

9Mazzanti, Alessandro. “L'obiettività giornalistica: un ideale maltrattato.” Napoli, Liguori (1991).

10 Massimo Baldini, introduzione a Philip Meyer, Giornalismo e metodo scientifico. Ovvero il giornalismo di precisione (2002), armando, Roma 2006, p.7.

Dall’altro lato, il richiamo all’ideale dell’obiettività sembra costituire il risultato di un ritardo storico della professione giornalistica in Italia che trova quindi difficoltà ad assumere consapevolmente un funzionale ruolo di informazione al di fuori di condizionamenti. Il ritardo italiano, in questo senso, è anche frutto del periodo fascista: il duce, giornalista ancor prima che politico, ben capiva l’importanza dell’informazione, di tutta l’informazione. E quindi, mentre sul cinema i suoi interventi si limitavano a circoscrivere l’invadenza delle produzioni americane, la stampa era teleguidata tramite le sue celebri “veline”. A leggere i giornali di allora, emergeva il ritratto di un’Italia perfetta: criminalità azzerata – così come la disoccupazione – l’ordine regnava sovrano, il popolo era giovane, entusiasta e virile. I mezzi di comunicazione ricevevano precise disposizioni affinché facessero il più possibile da “cassa di risonanza” dell’ottimismo fascista.

Diversamente dal giornalismo italiano, quelli erano proprio gli anni in cui il giornalismo statunitense scendeva a patti con la realtà, elaborando una propria etica professionale incentrata sull’obiettività.

L’ultimo ventennio di storia nazionale è stato caratterizzato da un tratto specifico nell’offerta informativa dei media. Esso consiste nell’esistenza di un’agenda setting11 omogenea per la maggioranza di quotidiani, siti d’informazione, definibile come una coincidenza tanto delle notizie selezionate da ciascun medium, quanto della loro rilevanza gerarchica all’interno di ciascuna testata. Tale omogeneità si fonda su un modello di analisi della realtà e di ricerca della notiziabilità condiviso tra tutti gli operatori dell’informazione e in grado di alimentare una rincorsa emulativa che induce simultaneamente i giornali e gli altri media a un processo di omologazione circolare.12

Tale processo si giustifica tramite la cultura professionale dei giornalisti attraverso il valore condiviso della completezza, il quale finisce per spingere le singole redazioni verso un’agenda setting sempre più convenzionale e prevedibile. La completezza ha come sua smentita il “buco”, cioè la notizia che un giornale manca a vantaggio di un altro. Questa smentita è vissuta nelle redazioni dei media italiani come un trauma, come il sintomo di un errore professionale o di una disfunzione organizzativa. A sua volta il buco fortifica e attiva la gerarchia e funge da elemento di conservazione degli equilibri interni alla redazione, fornendo un pretesto per rivestire d’autorità responsabilità organizzative altrimenti deboli. La mitologia del buco poggia su due diffuse ma discutibili credenze.

La prima è riferita alla possibile esistenza nella realtà di situazioni configurabili come notizie alle quali tutti i potenziali fruitori siano interessati, dimenticando che la scelta o la selezione del giornalista sia un elemento costitutivo della notizia e che, per quanto completo, un giornale e un notiziario riescono a offrire una porzione infinitesimale di ciò che è raccontabile13.

La seconda credenza si riferisce alla scala di valori su cui si valutano le informazioni, mutuando inconsapevolmente scale valutative proprie delle fonti da cui le informazioni provengono, sia la stessa scala di valori con cui il lettore attribuisce preferenza a questa o a quella notizia. Dunque, con quanto fin qui detto

11 Secondo la teoria dell’agenda setting, i media compongono e organizzano un ordine del giorno, cioè un elenco di questioni e di notizie da prendere in considerazione, focalizzando i temi, nonché la loro gerarchia di importanza, intorno a cui pensare e discutere.

12 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012, p.142.

13 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012, p.144.

intendiamo sottolineare come la completezza nelle redazioni dei media italiani sia una sorta di valore autoreferenziale. Essa non può essere rapportata alla totalità di accadimenti naturali e umani che ogni giorno cadono sotto l’osservazione dei giornalisti e che sono certamente di più di quanti un quotidiano generalista o lo spazio di un tg possa contenerne. Essa appare piuttosto il frutto di una selezione che viene svolta tenendo conto dei valori professionali propri delle élites giornalistiche. Ciò avviene tramite un processo di omologazione che segue quattro tappe-criteri.

L’intuizione: i giornalisti adeguano le proprie opzioni tematiche e la gerarchia delle singole a quella che si presume possa essere la scelta compiuta da uno o più media concorrenti, o rivali. Si crea una rete di controllo preventivo tra le singole testate, attraverso un sistema che si definisce di prevedibilità condivisa delle scelte dominanti.14

La sorveglianza: vige un controllo mutuo tra giornalisti, in ogni sede in cui viene svolta la loro attività.

I cronisti spiano tramite un contatto con alcune fonti confidenziali il lavoro dei colleghi. Addetti stampa, avvocati, magistrati, funzionari delle forze dell’ordine e altre fonti investigative e di intelligence, che coabitano nella cosiddetta vigilia delle notizie, vengono intervistati non solo per avere qualche ‘dritta’, ma per sapere maggiormente su quale argomento stia lavorando il collega rivale. Inoltre, si aggiungono i tradizionali cartelli di collaborazione tra più cronisti, veri e propri patti di non belligeranza, i quali vincolano gli aderenti alla cessione reciproca delle notizie. Sia pure in misura minore rispetto al passato, questi accordi sono ancora presenti.15 Infine, scambi di informazioni circa i titoli di prima pagina sono all’ordine del giorno: essi esprimono la preoccupazione comune di restare «coperti» rispetto alle mosse di altri media considerati più propriamente rivali.

L’adeguamento a siti web e telegiornali: l’informazione on line ha in gran parte surrogato quel potere di indirizzo che i telegiornali hanno svolto per tutti gli anni Novanta e per i primi anni del nuovo secolo rispetto all’informazione della carta stampata. È sufficiente confrontare le prime pagine dei quotidiani nazionali italiani con quelle dei siti aggiornati alle ore 21-22 per constatare una tendenza all’omologazione dei primi ai secondi, con riferimento sia alla gerarchia delle notizie sia al lessico e al segno della titolazione.

Il controllo a posteriori: la cosiddetta verifica del giorno dopo, cioè la valutazione che si fa nella riunione del mattino, finisce talvolta per essere l’ultimo e forse il più pregnante elemento di omologazione, almeno tutte le volte in cui il giudizio sulla qualità della propria offerta informativa non è riferito alla domanda di informazione dei lettori, ma piuttosto è desunto dal rapporto tra i propri titoli e quelli dei media concorrenti che, nell’immaginario dei giornalisti, svolgono un ruolo leader.

Il processo di omologazione ha coinvolto in Italia principalmente la stampa cartacea tra il 1990 e il primo decennio del nuovo secolo, in concomitanza alle trasformazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato le imprese editoriali e al diffondersi della comunicazione via internet. Almeno in una prima fase, l’impiego della rete nei processi di formazione della notizia, non sembra aver prodotto un’esaltazione delle differenze

14 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012, p.144.

15 Ibid.

tra le singole testate, ma piuttosto un appiattimento verso un modello unico, battezzato con l’etichetta dei cosiddetti «giornali fotocopia»16. La ricaduta diffusionale è risultata negativa, soprattutto per quei quotidiani che nella percezione del pubblico apparivano come duplicati di serie B. Non stupisce perciò che siano state le testate intermedie, regionali e interregionali ad essere le più penalizzate. Questi giornali hanno pagato la crisi del regionalismo, che in una società e in un’economia pre-globale era stato l’orizzonte di chi viveva in una delle tante periferie geosociali del paese.

La modernizzazione tecnologica ha spezzato l’isolamento del territorio, dando la consapevolezza che fosse consentito a chiunque l’accesso a un sistema di relazioni nazionali, europee, mondiali. Il regionalismo si è ridotto ad essere una mera rappresentazione dei ritardi della politica e della burocrazia nel procedere a un reale decentramento di poteri17. La conseguente interdipendenza con la politica e con la burocrazia è costata cara ai giornali, soprattutto nel momento in cui hanno letto in maniera acritica questo processo di decadenza istituzionale, continuando a rappresentare per anni una sequela di appuntamenti mancati come le tappe di un graduale avanzamento verso la modernità. Il collante culturale è venuto meno gradualmente. E le élites giornalistiche, orfane dei riferimenti tradizionali, hanno risposto alla crisi cercando un accesso nella globalizzazione, poiché fuori da essa la percezione dell’esclusione si faceva più netta. Questo tentativo di emulare le grandi testate nazionali ha contribuito ad incrementare l’omologazione, rivelandosi un boomerang commerciale: trascurando le proprie radici identitarie, i giornali medi sono risultati i più esposti alla concorrenza dal basso dei giornali locali, che invece hanno usato la tecnologia per esaltare le differenza, e a quella dei grandi media, che hanno messo in piedi edizioni regionali e metropolitane in modo da estendere la loro penetrazione in aree geografiche da cui erano esclusi. Questo processo di omologazione può riassumersi in una percezione diffusa della fungibilità dei giornali, cioè nella convinzione crescente tra i lettori che i quotidiani italiani siano un unico prodotto indifferenziato, in cui si ritrovano, sia pure approfonditi, gli stessi temi e notizie già trattate dalla televisione.

Il fenomeno dell’omologazione si riflette anche con quella che si definisce prevalenza del politico, ovvero una sproporzione tra l’offerta di informazione politica e la domanda di informazione richiesta dal lettore; si crea così una sopravvalutazione della dimensione politica.18

Di questo modo, i titoli di testata in prima pagina riguardanti la politica nazionale vantano nei giornali italiani una frequenza non riscontrabile in nessun altro paese europeo. L’ipertrofia di rappresentazioni politiche spesso non è collegabile a fatti rilevanti, ma è il risultato di un effetto di trascinamento: così accade, per esempio, che nei giorni in cui nessun’altra notizia s’imponga nell’agenda di redazione, la politica finisca per essere un cerotto buono per tutti gli usi, con cui caratterizzare l’offerta informativa, altrimenti percepita come debole.

Per spiegare le cause di questo atteggiamento storico del giornalismo italiano si ricorre al rapporto di interdipendenza esistente tra l’universo delle proprietà editoriali, quello politico e la categoria dei giornalisti,

16 Ivi, p.145.

17 Ibid.

18 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012, p.146.

cioè al fatto che l’offerta informativa in Italia risponde solo in parte alle regole del mercato, e per un’altra parte svolge un ruolo regolativo di conflitto tra le classi dirigenti del paese.

La mancanza segnalazione di un editore puro fornisce una determinante ma non esaustiva conferma a questa spiegazione: l’interesse a trarre dai giornali un vantaggio nelle relazioni con il potere centrale ha concorso a difendere e promuovere anche in periferia un modello di informazione che appariva più adatto a facilitare una mediazione o una transazione tra poteri. Questo ricorso sussidiario alla politica svela anche una specificità culturale interna alla cosiddetta cassetta degli attrezzi del mestiere: oltre ad essere la principale dimensione di regolazione sociale, la politica svolge un ruolo di supplenza culturale come categoria di interpretazione della realtà.

La lettura dei fatti è tendenzialmente politica perché la speciale valenza della politica italiana si sposa con la speciale caratterizzazione simbolica della cultura civile del paese. Le ragioni di questa consonanza le possiamo individuare in alcuni tratti comuni ai sistemi che hanno segnato la storia del Novecento italiano:

l’opera di nazionalizzazione delle masse dello Stato fascista e quella di risocializzazione istituzionale repubblicana messa in atto dopo la Liberazione, nella loro indiscussa diversità di valori e di obiettivi, hanno tuttavia in comune elementi di continuità culturale. Ad esempio, il ricorso a una pedagogia del linguaggio fortemente simbolica.

Il simbolo è intuitivamente rapido, capace di una reattività emotiva e di attrarre consenso, non richiede approfondimenti e giustificazione razionale, non stimola la dialettica e rende difficile qualsiasi indagine critica.

Il ricorso all’eccessiva simbolizzazione si traduce in categorie concettuali e interpretative stereotipate all’interno della cultura professionale che governa le redazioni19. Quest’atteggiamento culturalmente difensivo risulta accentuato di fronte ai cambiamenti sociali e alle transizioni in grado di mettere a dura prova il senso dell’identità collettiva di una nazione.

L’ultimo ventennio di storia nazionale, con le sue profonde trasformazioni, ha confermato la tendenza a politicizzare la lettura del sociale e ad accentuale le forme simboliche delle rappresentazioni giornalistiche.

La Seconda Repubblica segna il passaggio tra due codici diversi della comunicazione politica in Italia: il primo è quello dell’istituzionalità routinaria, tipico della Prima Repubblica, per cui la politica è rappresentata come esibizione pubblica di formalità, atti ufficiali, dibattiti, eventi cerimoniali, in cui prevale una ritualità scontata e ripetitiva; il secondo codice è quello della personalizzazione: esso opera una sostanziale riduzione dei processi politici all’azione di attori individuali. Quest’ultimo codice concorre a determinare una stagione di scontro permanente che ha segnato tutta la storia nazionale di quello che ormai viene battezzato «Ventennio berlusconiano».

Tutto ciò avviene, paradossalmente, in un momento in cui i contorni storici tra Destra e Sinistra sono molto più sfumati, o addirittura confusi, che nel passato. Ciò dipende dal fatto che nelle società moderna la politica è cambiata nella sua stessa natura e nel suo ruolo sociale. È diventata residuale, nel senso che non media e non risponde alla totalità dei processi e dei progetti sociali, ma solo a una parte di questi. Non è più

19 Barbano, Alessandro. Manuale di giornalismo. Gius. Laterza & Figli Spa, 2012, p.148.

in grado di fornire risposte ideologicamente distinte dai problemi che deve affrontare, ma solo strategie marginalmente diverse, diminuendo i suoi spazi di azione e di manovra. Ne consegue la dipendenza della democrazia dalla garanzia dell’alternanza tra forze che, nella dialettica politica, si contrapporranno assai più aspramente di quanto non faranno nelle opzioni concrete di governo. Da questo paradosso si spiega l’incompiutezza del sistema bipolare italiano, dovuto alla riduzione dei margini d’azione politica: è di prassi che due forze candidate al governo del paese tendano ad accentuare le loro differenze per essere identificati dagli elettori. Ciò comporta che gli elettori saranno sempre delusi quando si renderanno conto che l’azione politica dei loro eletti non si differenzia in modo concreto da chi li ha preceduti al governo, sentendosi di questo modo traditi delle promesse elettorali.

Di fronte a questo fenomeno il giornalismo può fare la differenza: può cioè fare ricorso alla sua indipendenza e autonomia intellettuale in modo da filtrare e disinnescare la conflittualità evitando che essa si

Di fronte a questo fenomeno il giornalismo può fare la differenza: può cioè fare ricorso alla sua indipendenza e autonomia intellettuale in modo da filtrare e disinnescare la conflittualità evitando che essa si

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