Capitolo 5: La residenzialità leggera
5.4. I volti della residenzialità leggera
5.4.2. L’organizzazione delle attività di supporto degli operatori nelle
Come accennato in precedenza, gli operatori che accedono ai gruppi appartamento fanno parte dell’organico dei Centri di salute mentale o delle cooperative che si occupano della gestione delle strutture riabilitative residenziali e dei Centri Diurni. I progetti di residenzialità leggera comunque richiedono e prevedono una costante collaborazione tra le parti e quindi tra i Dipartimenti, il privato sociale e il Comune dove l’esperienza ha sede. Le attività di assistenza fornite dagli operatori sono meramente interventi di supporto, monitoraggio e aiuto. Gli utenti devono mettere alla prova e sviluppare la propria autonomia, perciò devono responsabilizzarsi nella gestione dell’abitazione, dei pasti, delle spese e nel rispetto delle regole. Vengono seguiti dagli operatori in maniera ravvicinata ma elastica e flessibile, gli accessi si adattano alle specifiche necessità del gruppo e possono dunque essere più o meno numerosi. Durante la fase iniziale del progetto le attività di supporto sono più frequenti e i professionisti dell’équipe si turnano durante la settimana a seconda del particolare tipo di bisogno. Uno dei professionisti intervistati mi ha riferito che “in un paio di situazioni in particolare, è stato condiviso
con gli utenti all’interno del progetto CSM, la necessità di un intervento di educatore nella fase iniziale per cui gli ospiti di quell’appartamento hanno sottoscritto un contratto con una cooperativa per l’intervento necessario e ne hanno sostenuto la spesa. Si tratta di intervento educativo/riabilitativo su aspetti concreti della quotidianità, problem solving, gestione delle spese come vitto, bollette...” (Assistente Sociale presso CSM, intervista n. 10) 96. Inoltre, se viene valutato che gli utenti necessitino di interventi più
importanti può essere opportuno attivare alcuni servizi di assistenza domiciliare da parte del Comune.
Dopo la fase iniziale, che può essere più problematica, la presenza degli operatori nei gruppi appartamento si riduce a visite domiciliari settimanali programmate, accompagnate da incontri organizzati presso il CSM. In uno dei progetti che ho conosciuto, questi ultimi consistono in incontri multifamiliari, che coinvolgono gli utenti e i loro familiari indicativamente ogni quindici giorni, e gruppi di auto aiuto tra tutti gli utenti inseriti negli appartamenti, organizzati una volta ogni mese, in modo tale che le
109
persone possano condividere problemi e soluzioni dell’abitare autonomo. In molti casi però gli utenti frequentano il Centro Diurno e questo permette di monitorarli anche al di fuori delle mura dell’abitazione.
Gli operatori hanno ruoli e compiti diversi che vengono stabiliti dal progetto iniziale. Per la maggior parte delle progettualità analizzate è stato individuato un professionista referente Assistente Sociale, affiancato da infermieri professionali che hanno compiti di verifica, educatori e OSS. Questi ultimi lavorano a progetto, come mi ha spiegato la psicologa responsabile delle residenzialità, ovvero si occupano specificamente di un’attività piuttosto che di un’altra, possono ad esempio fornire aiuto per le spese alimentari o per la pulizia della casa, oppure sono incaricati di supportare un determinato utente.
La DGR 84 del 2007 che delinea le caratteristiche dei gruppi appartamento non è chiara sulla definizione delle ore di presenza e di supporto da parte degli operatori. Questo giustifica le diverse soluzioni organizzative adottate che ho potuto riscontrare nel limitato campione della mia ricerca sociale.
Dalle interviste che ho somministrato è risultato che gli ambiti che richiedono maggiore attenzione da parte degli operatori riguardano la sfera della pulizia della casa, la gestione del denaro, l’organizzazione delle spese e, non meno importante, le limitazioni afferenti all’uso e l’abuso di alcol e di tabacco. Come racconta uno dei professionisti intervistati: “Sono stati aiutati tramite attività di supporto nell’organizzazione delle commissioni,
stabilire i prodotti necessari da acquistare, scegliere il cibo, limitarsi nel consumo di alcolici e tabacco. Quest’ultimo punto ha richiesto molto impegno da parte degli operatori, ma con un adeguato intervento ora la situazione ha raggiunto un equilibrio.” Referente cooperativa sociale (intervista n. 5)97
Per quanto riguarda invece la gestione delle crisi, queste vengono affrontate durante gli incontri di gruppo con l’équipe, se riguardano contrasti o conflitti tra gli utenti, mentre sono trattate dallo psichiatra di riferimento se interessano la sfera clinica individuale di un paziente. Il medico curante può ritenere necessario un ricovero in SPDC oppure una variazione della terapia. Gli utenti, come detto, possono contattare telefonicamente il
110
CSM, il SPDC, gli operatori delle cooperative dai quali sono seguiti, o rivolgersi al Pronto Soccorso. Un dato interessante che però è emerso dalle interviste è che durante le esperienze di residenzialità leggera le crisi riescono ad essere gestite ed evitate. Rispettando ed evolvendosi in un’ottica di recovery questi progetti fanno in modo che l’utente impari a conoscere i sintomi della propria malattia e ad affrontarli in maniera adeguata. Inoltre, le sensazioni positive di autonomia, di sicurezza e di autostima che possono nascere da tali esperienze rendono le condizioni degli utenti più stabili e serene. “Nella mia zona è attivo un gruppo appartamento in cui è stata inserita una ragazza da
sempre in carico presso il CSM, per lei avevano provato di tutto, ma è rinata una volta inserita in questo progetto. Si è stabilizzata, i suoi ricoveri in SPDC sono stati sempre più rari. Ha trovato il suo equilibrio.” Assistente Sociale presso Ente Locale (intervista n. 4)98