• Non ci sono risultati.

DAUNLAVOROOCCASIONALEAVERILABORATORIDICARTOGRAFIA

Per il periodo medievale le notizie relative al lavoro cartografico risultano scarse o fram- mentarie; diversamente, diventano più numerose e dettagliate per quanto riguarda i secoli più tardi come il XVI e il XVII. In modo indiretto, attraverso lo studio delle opere stesse, è possi- bile tuttavia ricostruire l'ambiente di lavoro dei primi cartografi vissuti nel periodo preceden- te, quando l'arte della cartografia non si era ancora costituita come forma autonoma.

Per l'epoca più antica è verosimile ipotizzare che un singolo maestro lavorasse da solo; non si trattava di veri professionisti, ma, come si vedrà più oltre, di persone che a vario titolo met- tevano in pratica una conoscenza acquisita grazie all'osservazione sul campo o attraverso la familiarità e la vicinanza con l'ambiente della navigazione. Nel corso del Trecento, quando la domanda di carte e atlanti divenne maggiore, è invece più probabile che il cartografo fosse coadiuvato da uno o più membri della propria famiglia o da apprendisti interessati a cimentar- si nel nuovo mestiere; rientrano in questa categoria, ad esempio, i casi veneziani di Petrus e

Perinus Vesconte, forse padre e figlio, e dei fratelli Domenico e Francesco Pizzigano.

Da questi primi laboratori a conduzione familiare si arrivò nel Quattrocento alla nascita di vere e proprie botteghe, con più assistenti qualificati in una mansione particolare. Stabilendosi una domanda sempre più esigente da parte del mercato, non è inverosimile immaginare un la- voro di équipe, similare a quello per la produzione dei manoscritti di studio universitari, dove diverse persone con qualifiche specifiche dimezzavano i tempi di copiatura di un modello conservato nella bottega, realizzando contemporaneamente più esemplari della stessa opera; già in quella di Vesconte vennero prodotti quattro atlanti, tre firmati da Pietro (schede 2, 3, 4) e da Perrino (scheda 5), del tutto simili per omogeneità di formato, esecuzione dei disegni car- tografici e decorazioni miniate, mostrando di derivare da un modello comune e da un procedi- mento in serie.

Nella maggior parte dei manufatti analizzati la nota che contiene la firma non risulta scritta dalla stessa mano che si è occupata dei nomi di luogo, avvalorando l'ipotesi che per la trascri- zione dei toponimi fossero coinvolti più collaboratori. Ulteriore particolarità da mettere in evi - denza è che all'interno di uno stesso atlante, le varie carte riportano spesso una medesima lo- calità scritta con delle piccole varianti. L'impressione maturata dallo studio dei vari casi è che i copisti lavorassero sotto dettatura e riportassero il toponimo secondo le loro abitudini lingui- stiche.

propria figura professionale; il mestiere del cartografo era infatti svolto da vari membri della società come, ad esempio, religiosi, marinai, mercanti, medici che avevano appreso, ognuno in diverso modo, l'arte della cartografia. Va naturalmente valutato con la dovuta cautela l'atto che segnalerebbe a Venezia nel 1327 un Petrus Visconti de Ianua chirurgo di professione, ma non è da escludere, come è stato proposto, possa trattarsi dello stesso Pietro Vesconte genove- se che operò nella città lagunare in qualità di cartografo nel secondo e terzo decennio del Tre- cento296. I documenti veneziani testimoniano infatti l'effettivo imbarco sulle flotte di galee del -

la Serenissima di medici e chirurghi, i quali erano esposti in prima linea all'apprendimento e allo studio del mondo della navigazione297.

Albertin di Virga, autore del perduto planisfero compiuto a Venezia tra il 1410 e il 1419 (scheda 11), fu certamente un uomo dedito alla navigazione poiché nel 1399 si definì patro-

nus navis, cioè possessore di una imbarcazione, e cercò a più riprese di unirsi ai convogli di

pubbliche galere in qualità di admiratus298. Il veneziano Giacomo Ziroldi, autore dell'atlante

del 1426 (scheda 14), era anch'egli un uomo di mare, patronus navis et homo consilii galea-

rum299. Secondo un'attestazione documentaria il cartografo Andrea Bianco, noto per aver ese-

guito l'atlante marciano del 1436 (scheda 15), sembra invece essere stato un semplice comitus

galearum300. Le notizie edite mostrano tre casi di autori il cui primo mestiere era la navigazio-

ne e in seconda istanza, nei momenti di attesa tra un imbarco e l'altro, la cartografia. Nel 1448 lo stesso Andrea Bianco sottoscrisse di aver eseguito la carta nautica conservata a Milano (Bi- blioteca Ambrosiana, F. 260) nella città di Londra, probabilmente a seguito di una lunga per- manenza a terra301.

Il religioso fra' Mauro è invece universalmente conosciuto per il celebre mappamondo oggi a Venezia (scheda 19) e per una carta nautico-corografica conservata nella Biblioteca Aposto- lica Vaticana (Ms. Borgiano V)302, a lui attribuita per confronto con il planisfero marciano;

296Un documento veneziano dell'anno 1326-1327 nomina un certo Petrus Visconti genovese, di professione chi- rurgo. Il testo del documento in latino è trascritto integralmente da: G. Piersantelli, L'Atlante Luxoro, in Mi-

scellanea di geografia storica e di storia della geografia nel primo centenario della nascita di Paolo Revelli ,

Genova 1971, pp. 115-141: 135-138 nt 364. Cfr: Campbell, Portolan Charts..., 1987, p. 434 nt 439; P. Fal- chetta, Marinai, mercanti..., 1995, pp. 29-33 nt 19.

297Sono note alcune notizie riguardanti un magister Petrus medicus nella domus comunis di Rialto nel periodo in cui Vesconte operava a Venezia. Riguardo ai medici ingaggiati nelle navi veneziane un documento del 1322 testimonia l'imbarco di un medicus phisice e di un medicus cirurgie sulle flotte della Serenissima. I ca-

pitolari delle arti veneziane sottoposte alla Giustizia e poi alla Giustizia vecchia dalle origini al 1330, vol. I,

a cura di G. Monticolo, Roma 1896, pp. 144-145, 347, nt. 152. 298P. Falchetta, Marinai, mercanti..., 1995, pp. 40-45.

299Ibidem, pp. 45-46. 300Ibidem, pp. 49-52. 301Ibidem, p. 51.

302La pergamena contrassegnata con il numero V nel Catalogo delle carte nautiche del Museo Borgiano fu se- gnalata dal religioso Placido Zurla e inserita in nota alla sua opera Dei vantaggi dalla cattolica religione de-

verso la fine degli anni Quaranta fra' Mauro si stabilì definitivamente nel monastero camaldo- lese di San Michele di Murano dove produsse numerose opere cartografiche oggi perdute, tan- to da meritarsi la fama di cosmographus incomparabilis303.

Quello che emerge dai documenti è che tra l'inizio del Trecento e la prima metà del Quattro- cento non sembra essere esistita una vera e propria corporazione di settore ed è quindi condi- visibile l'ipotesi che, almeno all'inizio, l'attività cartografica non fosse un lavoro dotato di una propria ufficiale autonomia. Una maggiore produzione e una più ricca documentazione per- mettono una migliore conoscenza sulla situazione operativa per i secoli XVI e XVII. All'epo- ca dell'espansione marittima europea verso il nuovo mondo, la produzione di carte e atlanti nautici nel Mediterraneo continuò, per la maggior parte, senza varianti sostanziali. La doman- da rimase forte e abbondante in un raggio di produzione che comprendeva i porti mediterranei più importanti304. I carteggi sulla famiglia Maggiolo hanno permesso di seguire le vicissitudini

della vita dei suoi membri nella gestione dell'atelier, attivo a Genova dal 1518. La loro botte- ga, a conduzione familiare, aveva una posizione di monopolio e poteva addirittura approfittare di sovvenzioni pubbliche; ad esempio Jacopo Maggiolo, che era magister cartarum pro navi-

gando, aveva il riconoscimento ufficiale della Repubblica. Sempre nel XVI secolo si possono

nominare, come centri di produzione professionale, quelli di Pietro e Jacopo Russo, padre e fi- glio, attivi tra il 1508 e il 1588 nel porto di Messina, quello di Giovanni Battista e Pietro Ca- vallini, sempre padre e figlio, operanti a Livorno dal 1635 al 1688. A quest'epoca le officine specializzate non producevano solo carte, ma anche bussole e clessidre e provvedevano alla riparazione di questi strumenti, come mostrano i documenti d'archivio305.

Oltre alle botteghe di cui si hanno notizie, continuarono ad operare anche i cosiddetti carto- grafi “occasionali”, uomini di mare come il greco Antonio Millo e l'ammiraglio veneziano Marco Fassoi. Per quest'ultimo la fabbricazione di carte restò un'attività secondaria, esercitata na, di diversa grandezza, incollati insieme. Contiene i toponimi costieri del bacino mediterraneo e delle coste Atlantiche africane ed europee, con il reticolo della rosa dei venti secondo la prassi delle carte nautiche; inol- tre, l'interno delle terre è stato dipinto con elementi fisici come monti, laghi e fiumi e disseminato di castelli, città dipinte a volo d'uccello e monumenti. Viene indicata anche la rete stradale. Completano la descrizione dei luoghi dettagliate iscrizioni e legende. Almagià ha sottolineato il carattere di incompletezza della carta e ha colto un'aggiunta postuma nella parte di sinistra, dove non sono state tracciate le linee dei venti. R. Alma - già, Monumenta cartographica vaticana, vol. I, Planisferi, carte nautiche e affini dal secolo XIV al XVII esi-

stenti nella Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1944, pp. 32-40.

303P. Falchetta, Marinai, mercanti..., 1995, pp. 52-54.

304Come afferma Astengo le carte marine vennero prodotte per cinque secoli, ma la maggior parte di quelle oggi conservate risalgono ad un periodo compreso tra il 1525 e il 1700. C. Astengo, Les cartographes de la Médi-

terranée aux XVIe et XVIIe siècles, in L’âge d’or des cartes marines. Quand l’Europe découvrait le monde, a cura di C. Hofmann, H. Richard, E. Vagnon, catalogo della mostra (Paris, Bibliothèque Nationale de France, 23 ottobre 2012 - 27 gennaio 2013), Paris 2012, pp. 72-81: p. 78.

305C. Astengo, Les cartographes de la Méditerranée aux XVIe et XVIIe siècles, in L’âge d’or des cartes

senza scopo di guadagno. Giovan Francesco Monno, di Monaco, nella sua opera più rappre- sentativa L'Arte della vera navigazione, si dichiarò un chirurgo. Nicolò Guidalotti era invece un religioso amante del mare che impiegò ben cinque mesi per terminare un suo personale atlante del 1646, frutto di uno studio approfondito306.

L'INTERVENTODELCARTOGRAFO

Le incertezze sulla tecnica lavorativa dei primi cartografi, dovute alla mancanza di docu- mentazione e alla scarsità delle testimonianze superstiti, come si è visto, possono trovare aiuto in ciò che si conosce dell'epoca moderna. Ad esempio i metodi più noti nel mondo artistico per riportare sulla tela modelli già esistenti erano utilizzati anche nell'ambiente cartografico. Bartolomeo Crescenzio spiega, con le seguenti parole, il sistema maggiore di copiatura di car- te nautiche tra i secoli XVI e XVII:

«[...] però, perché elle hoggidì non si fanno salvo da huomini idioti, basta avvertire che egli si fanno rigando con aghi sottili damaschini le coste; poi mettendo questa sceda pertusata sopra la carta pecorina in che vogliamo fare un'altra nuova, spolvizeranno sopra con indico ben macinato (sola questa polvere è atta a fare questo effetto). Doppo con penna sotile si tirano le coste sopra lo spolverizo; o veramente mettendo la sceda sopra un tellareto della grandeza della stesa carta, per il quale passino alcune corde di leuto o citara dall'uno all'altro lato bene attesate, a modo di quadretto che mostra la figura sopra d'Ibernia, e sopra la scheda mettendo la pecorina sopra che si ha da fare la nuova carta, e immobili l'una e l'altra incontro alla sphera del sole, restando il modelo assai trasparente, si disegneranno con sottilissimo lapis le coste, e doppo si tiraranno con inchiostro e penna sottile»307.

Nel primo caso si foravano le linee di costa del modello e si tamponavano con della polvere di carbone in modo che sulla carta sottostante si delineassero i contorni da rifinire nella fase successiva; nel secondo caso si sfruttava una pergamena oliata e resa semitrasparente in com- binazione con un foglio affumicato simile alla carta carbone o si tendeva il modello e la “veli- na” insieme su un telaio con una fonte di luce alle spalle, quindi si eseguiva una copia a mano libera308. Questi metodi erano ottimali, all'interno della bottega, per velocizzare il lavoro di

produzione di carte ad uso dei marinai, cioè con un contenuto geografico standard privo di ab- bellimenti decorativi.

In realtà sulle opere analizzate non sono state ritrovate tracce di questi meto di. Sono state al- 306 C. Astengo, Les cartographes de la Méditerranée aux XVIe et XVIIe siècles, in L’âge d’or des cartes

marines...2012, p. 81.

307B. Crescenzio, Nautica mediterranea, Roma, 1601, pp. 189-190. Il seguente passaggio è pubblicato in: A.E. Nordenskiold, Periplus..., 1897, p. 18 e R. J. Pujades i Bataller, Les cartes portolanes..., 2007, p. 213. 308T. Campbell, Portolan Charts..., in The History of Cartography..., 1987, p. 391. La prima descrizione di un

processo di copia per le carte è stata fornita da Martin Cortés nel suo Breve compendio de la esfera y del arte

de navegar del 1551. Per il testo in spagnolo e un riassunto in inglese si veda: R. J. Pujades i Bataller, Les cartes portolanes..., 2007, pp. 471-472; Idem, La carta de Gabriel de Vallseca..., 2009, p. 154.

tresì rilevate, nel caso dei lavori di Vesconte, piccole variazioni del contorno costiero compre- so tra i vari promontori. Nella mancanza di dati oggettivi non si può affermare con sicurezza se anche nel Trecento e nel Quattrocento venissero impiegati i procedimenti documentati più tardi. Si può invece osservare come l'opinione espressa da Crescenzio, quella che vede ai suoi tempi l'esecuzione di carte fatte da huomini idioti, non nasconda una certa disistima verso un'abilità che evidentemente era andata perduta, con il progressivo avanzare delle scoperte oceaniche e con la conseguente diminuzione di importanza, nella navigazione, delle mappe con il reticolo dei venti.

Per le opere più antiche alcuni studiosi ipotizzano che le linee dei venti tracciate per prime possano essere servite da griglia di riporto per il disegno delle coste309. Dall'analisi delle opere

è in realtà emerso come certi reticoli sormontino i profili di costa e nel caso dell'atlante Ms. 179 di Lione (scheda 12) anche i toponimi stessi; inoltre, prendendo a confronto negli atlanti Vesconte carte di uno stesso territorio, tutte vicine cronologicamente, si è riscontrata la man- canza di adesione del marteloio, collocato nella pagina in maniera differente. Più probabil- mente, a mio parere, a servire da guida non era la rosa dei venti a trentadue direzioni, ma la quadrettatura di fondo che si intravede fievolmente sotto i segni più marcati del disegno carto- grafico.

Non si sono conservati modelli di bottega e nessuna carta superstite è mai stata riconosciuta come tale. Si può immaginarli comunque essenziali, in prima istanza perché nessun cartografo avrebbe mai potuto riportare a memoria tutti i dettagli relativi alle coste. Per avere prove della loro esistenza basta osservare, come è già stato fatto, gli errori di trascrizione dei toponimi di alcune carte; in una dell'Archivio di Stato di Torino, l'indicazione parmi III (palmi tre) è stata ricopiata parminì poiché il copista fraintese il numero romano credendolo una sillaba310. Un

modello poteva avere anche lunga vita se, ad esempio, alcuni nomi insoliti presenti nel lavoro di Guillem Soler, a partire dal 1380 circa, ricorrono nella carta del nipote Rafel mezzo secolo più tardi311.

PREZIOSERIFINITURE

Tre atlanti tra quelli presi in esame si accompagnano all'uso di preziose coperte con intarsi 309Già Campbell affermava di aver tratto questa conclusione dall'analisi di quattro carte diverse conservate nella British Library. T. Campbell, Portolan Charts from the Late Thirteenth Century to 1500, in The History of Cartography..., 1987, p. 390. Secondo Falchetta l'isolamento di due reticoli privi delle linee di costa, uno sulla coperta dell'atlante di Vienna e uno ad apertura dell'atlante di Lione, sarebbero un modo per dare visibilità ad un elemento essenziale, sia per calcolare la rotta e sia per l'esecuzione stessa dell'esemplare cartografico. P. Falchetta, Marinai, mercanti..., 1995, p. 72.

310Notizia riportata in Enciclopedia Treccani (1937) alla voce “carte nautiche”. 311Ibidem.

certosini (schede 2, 4, 13). Le decorazioni geometriche in osso o avorio mescolate ad inserti in pietra dura o legno policromo furono comuni in ambito veneziano per tutto il corso del XIV secolo. Lo testimonia, ad esempio, un piccolo gioco da tavolo prodotto nella città lagunare in- torno al 1380 e oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. KK 168, cat. 31)312; di forma quadrata, mostra da un lato il campo a scacchi bicolori usato per l'omonimo

gioco o per la dama e dall'altro una tavola reale, conosciuta anche con il nome di tric-trac o backgammon. La faccia riservata agli scacchi si compone di sessantaquattro riquadri in avorio con un fiore ad intarsio per il campo bianco e in diaspro rosso, alternati a rilievi in argilla smaltati e ricoperti di cristallo di rocca, per il campo più scuro. Intorno alla scacchiera corre una cornice formata da minuscoli tasselli ad intarsio certosino, in calcedonio e agata, riprodu- centi forme geometriche, come triangoli e rombi, e diversi motivi floreali.

Il lavoro è confrontabile con le coperte degli atlanti del Vesconte del 1318 (scheda 2) e del 1321 circa (scheda 4), e con quello del più tardo esemplare di Oxford (scheda 13) e testimonia la lunga durata a Venezia dell'arte dell'intarsio, esercitata fin dal principio del secolo. La stessa tipologia decorativa contraddistingue, infatti, anche il gioco da tavolo di Aschaffenburg, an- ch'esso destinato agli scacchi e al backgammon, ricondotto dalla critica ad una bottega lagu- nare operante all'inizio del secolo XIV313. Allo stesso modo, come è stato messo in luce, ulte-

riori esemplari simili a quelli descritti erano ampiamente prodotti in ambiente lagunare per es- sere destinati all'esportazione314.

Se pur è attestata a Venezia una prima produzione ad intarsio che contestualizza le coperte più antiche del Vesconte, bisogna sottolineare come i motivi geometrici a stella e ad esagoni, con frammenti in legno policromo azzurro e verde, rimandino ad una pratica che guarda all'ar- te islamica e moresca. Il confronto più prossimo, a mio parere, è con gli inserti in legno e avo- rio/osso di una scacchiera trecentesca oggi conservata nel Museo de La Alhambra di Granada. 312Il gioco è stato a lungo nella Wunderkammer dell'arciduca Ferdinando II (1529-1545) a Innsbruck nella resi- denza di Ambras. Un inventario della collezione risalente al 30 maggio 1596 riporta infatti: «ain gar alts oblangts pretspil, mit diäspis und weiz helfenbein eingelegt, die pret seind von calcedoni». Nel 1806 fu poi trasferito a Vienna, dal 1814 collocato presso il Belvedere inferiore e dal 1890/91 conservato presso il diparti- mento di arti decorative del Kunsthistorisches Museum. Cfr. J. Von Schlosser, Album aus gewählter Gegen-

stände der Kunstindustriellen Sammlung des Allerhöchsten Kaiserhauses, Vienna 1901, p. 2; T.H. Colding, Aspects of miniature painting, Copenhagen 1953, p. 45; M. Leithe-Jasper, R. Distelberg, Kunsthistorisches Museum Wien. Schatzkammer und Sammlung für Plastik und Kunstgewerbe, Monaco 1982, p. 51; H.R.

Hahnloser, S. Brugger-Koch, Corpus der Hartsteinschliffe..., 1985, p. 95; R. Degen, Venezianische Zimelien

mit Miniaturen unter Bergkristall des 13 und 14, Münster 2003, pp. 575-592: 576 n. 33; S. Spiandore, Per una storia della miniatura sotto cristallo..., 2013-2014, p. 124.

313Si veda con relativa bibliografia: F. Kircheweger, in Omaggio a San Marco. Tesori dall’Europa, catalogo della Mostra (Venezia, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, 8 ottobre 1994 - 28 febbraio 1995), a cura di H. Fillitz, Milano 1994, p. 197 n. 80

314M. Tomasi, Produzione e commercio nelle arti suntuarie a Venezia, 1250-1400, in Fatto in Italia, a cura di A. Guerrini, B. Brondi, M. Rainò, Cinisello Balsamo 2016, pp. 41-53.

É assai probabile che i motivi decorativi siano stati introdotti in Occidente proprio attraverso la Spagna musulmana, trovando poi ampia diffusione nel nord Italia e in particolare a Venezia. Ulteriore prodotto veneziano ascrivibile al Trecento è una scatola da gioco conservata a New York (Metropolitan Museum, 2010.109.5) con motivi del tutto analoghi a quelli di Granada e delle coperte intarsiate dei tre atlanti. Tutti questi esemplari testimoniano un uso della tecnica che anticipa di molto gli esiti più evoluti e maturi del noto atelier veneziano degli Embriachi.

Gli atlanti, dopo essere stati completati dal cartografo, erano quindi affidati ad artigiani spe- cializzati nel lavoro ad intarsio per la decorazione delle coperte; essi intervennero direttamen- te sulle facce esterne della prima e dell'ultima tavoletta, scavando la cornice che corre tutto in- torno ai piatti e le figure geometriche centrali, e applicando successivamente le tessere in osso e legno.

La maggior parte delle carte e degli atlanti erano forniti di custodie protettive; quelle atte a contenere le mappe su singola pelle erano di forma cilindrica con un'anima in legno rivestita di cuoio lavorato, come dimostrerebbe un esemplare superstite della Biblioteca Nazionale di Roma, risalente al XVII secolo. Per quanto riguarda le custodie degli atlanti il presente studio ha potuto considerare un bellissimo astuccio del 1318 (scheda 5) servito a contenere un lavoro di Vesconte e un altro utilizzato per proteggere l'esemplare di Oxford (scheda 13); la forma ri- prende quella dei contenitori portatili rivestiti di cuoio molto comuni in Germania, Francia e