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La città come dispositivo: spazi comuni, quotidiani, prossim

Scheda 1 Lavoro di cura = lavoro delle donne? Gender studies

2.2. Planning & Caring

2.2.3. La città come dispositivo: spazi comuni, quotidiani, prossim

Il recente ritorno nell’ambito della ricerca urbana e le pratiche progettuali dei temi riguardanti lo spazio pubblico, composto dai suoi materiali più comuni possiede dei punti di contatto con le questioni della ricerca di un maggior confort e di una migliore abitabilità dei contesti urbani. Tali questioni si intrecciano strettamente con le tematiche relative alla cura in quanto la riflessione attorno agli spazi più prossimi ed accessibili delle città contemporanee consentono di andare ad intervenire proprio su quelle componenti minime degli spazi pubblici che maggiormente incidono sulla facilità delle quotidiani e routinarie azioni, tra cui quelle di cura.

Il punto di partenza di questa riflessione è la diffusa percezione di una cattiva abitabilità degli spazi urbani, inadatti nelle loro caratteristiche ad ospitare attività stanziali, così come gli spostamenti tra diversi luoghi. Tale inadeguatezza va ricercata non solo nel loro disegno e conformazione da un punto di vista del disegno architettonico, ma anche nella loro manutenzione, nella localizzazione ed accessibilità. Tali caratteristiche, percepite come rilevanti dalla popolazione, limitano fortemente l’uso quotidiano e minuto che potrebbe essere fatto di tali spazi. Solo di recente, all’interno del dibattito scientifico urbanistico, è emersa la necessità di occuparsi di questi spazi e delle loro relazioni con la percezione di benessere degli abitanti delle città. “In linea con tale atteggiamento la città, il territorio ed il paesaggio, e più nello specifico lo spazio aperto, i parchi, i giardini, le piste ciclabili, i percorsi pedonali e i campi da gioco in alcune esperienze virtuose ritornano ad essere visti e progettati come spazi per sviluppare la vita sociale” (Tosi, 2011)

“(…) le città sono sono contenitori e oggetto di una consistente azione di ‘manutenzione sociale’ di spazi, beni e servizi pubblici che viene ‘dal basso’: una sorta di ‘infrastruttura sociale’ composta dalla rete dei luoghi, dei processi e dai soggetti che sostengono la qualità, la vivibilità e la socialità urban, capace di creare veri e propri (e spesso inediti) servizi e beni comuni” (Bellaviti, 2008) Facendo qualche passo indietro, l’urbanistica, sin dalle sue origini si è occupata della relazione tra spazio e benessere (Bellaviti, 2008). Sempre in Bellaviti (2008) si legge “Nel consolidarsi dell’urbanistica lungo il Ventesimo secolo, va poi ricordata la lunga sperimentazione sul tema abitativo, affrontato sia nella sua dimensione fisica ed economica per il soddisfacimento di un bisogno primario (attraverso le “sempre più meticolose stime dei fabbisogni edilizi”), sia con riferimento alla “dimensione del quotidiano e la conseguente ricerca di un confort. (Un) concetto meno ampio di quello di welfare anche se con questo interferisce in modo evidente. Mentre il welfare riguarda il lavoro, la salute, l’istruzione, la casa, le vacanze, la pensione, nonché la sicurezza di poter disporre di tutto ciò nel tempo, il concetto di confort riguarda il rapporto tra il corpo e l’ambiente fisico circostante; non si limita al solo spazio dell’abitazione e della privacy, ma riguarda anche gli spazi esterni, cioè tutto lo spazio abitato” (Secchi, 2005, pp. 114-115). Alla ricerca sulla casa, si affianca quella sulle attrezzature collettive, “la (cui) lista si fa più lunga e articolata come più articolate si fanno le pratiche che investono gli spazi e gli edifici che vi corrispondono” Appare quindi importante il ruolo dell’urbanistica, nel suo passato recente, non solo per aver dotato le città di spazi per i servizi, attribuendo grande attenzione alle dimensioni fisiche del benessere, e ponendo quindi le basi per le politiche di welfare degli Stati occidentali (Secchi, 2005)

Tale attenzione verso il benessere delle popolazioni in ambito urbano è quindi strettamente connessa con lo spazio pubblico, in quanto è in questa dimensione che trovano, o meno, soddisfazione le numerose dimensioni connesse con lo stare bene, individuale e collettivo. Ed è nello spazio pubblico che è diretto gran parte delle azioni sulle dimensioni fisiche del benessere: parchi, giardini, servizi per la cura, per sport, …

“(…)Una responsabilità fondamentale dell’urbanistica, cioè un “impegno ad organizzare le città, anche in senso specificatamente urbanistico, che non trascuri nel presente il bisogno degli uomini di prendersi cura di se stessi attraverso le forme dell’ambiente costruito (Belli, 2004, pp. 126-127)” (Bellaviti, 2008)

In nota segue, sempre in Bellaviti (2008): “L’illuminante passo di Belli (2004) sulla responsabilità morale dell’urbanistica è il seguente: “La responsabilità si configura come tema che taglia trasversalmente i caratteri complessivi della tecnica moderna e permea tutta la pratica urbanistica. Si mette in moto un’attenzione, una cura per la vita, una più netta obbligazione morale, una preoccupazione per il futuro, un senso di responsabilità come subordinazione di ogni azione alla priorità del diritto alla vita (…).”

“Rispetto al tema della sicurezza dei luoghi sembra utile provare a leggere il fenomeno come fortemente connesso all’indebolirsi o venir meno dell’urbanità, riabilitando il ruolo di progetti e politiche che hanno fatto dell’urbanità, della mixitè e della continuità il proprio punto di forza, cercando di allontanarsi dal fin troppo frequente accostamento di spazi preclusi, piccole fortezze separate, in cui «i membri dell’élite globale extraterritoriale possano prendersi cura della propria indipendenza fisica e del proprio isolamento spirituale, coltivarli e goderne. Nel paesaggio urbano, gli spazi preclusi diventano pietre miliari, che segnano la disintegrazione della vita comunitaria, che proprio li venne fondata e condivisa»(Bauman 2005). È oggi quasi trendy occuparsi dei temi della sicurezza e, per converso, della paura, del proliferare di enclaves e recinti: numerosi libri, tesi di dottorato e seminari vi sono dedicati. L’impressione però è che ormai, proprio per il loro proliferare, queste ricerche, indagando varie forme di insicurezza-paura, finiscano involontariamente per dipingere una situazione drammatica, a tinte fosche e senza uscita. È anche per questo che pensiamo sia più utile e fertile osservare il tema da una prospettiva diversa: senza enfatizzare paure e insicurezze, ma domandandoci cosa si è fatto e cosa si può fare per costruire uno spazio civile confortevole e sano, luogo di incontro e scambio, di compresenza e di interazione sociale e per questa via “sicuro”. (Tosi, 2009)

3. Decostruire la cura, il