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La comunicazione menzognera (vv 835-958).

Dalla battuta pronunciata dalla nutrice al termine dell’atto secondo (cfr vv. 719-735) risulta evidente che è proprio lei a prendere la decisione di accusare Ippolito di stupro, mentre Fedra, che non le ha dato alcun ordine, addirittura non commenta la decisione dell’altra, la quale passa immediatamente dall’elaborazione del piano alla sua messa in atto.

E’ quindi il coro a darci un’idea degli atteggiamenti della donna e a descriverci i gesti successivi di lei:

quid sinat inausum feminae praeceps furor? nefanda iuveni crimina insonti apparat. en scelera! quaerit crine lacerato fidem, decus omne turbat capitis, umectat genas:

instruitur omni fraude feminea dolus (vv. 824-828);

ella si strappa i capelli, sconvolge del tutto la bellezza del capo, bagna di lacrime le guance, evidentemente, secondo il punto di vista del coro, per rendere più verosimile l’inganno.

Molte possono essere le ragioni per cui Fedra passa dall’ardente confessione d’amore all’inganno dell’uomo amato, ma il testo non fornisce alcuna indicazione sulle motivazioni che spingono la donna ad agire e non produce inoltre, significativamente, alcuna battuta di commento da parte di lei sulle macchinazioni della nutrice. Ella sembra dunque ancora una volta essere un personaggio in balia di eventi che non determina, un personaggio che agisce in prima persona, ma su una strada la cui direzione è stata indicata da altri.

Il comportamento apparentemente contraddittorio di Fedra può a mio parere trovare una spiegazione in due fondamentali ragioni: la prima consiste nel suo essere ormai pienamente, come ho descritto nel paragrafo precedente,

un’amans/amens, la seconda nello statuto elegiaco che abbiamo visto essere caratteristico dell’eroina senecana, e che tale rimane evidentemente anche in questa parte del dramma. La profonda contraddizione mostrata dalla donna in preda alla passione amorosa può trovare quindi una soluzione, a mio parere, nel ricordo di un altro innamorato, il Catullo del carme 85101, che con queste parole

rappresenta la sua contraddittoria, quasi paradossale esperienza d’amore:

odi et amo. quare id faciam, fortasse requiris. nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Fedra, dunque, sta rovinosamente e del tutto irrazionalmente precipitando verso la soluzione dell’inganno.

Ed è proprio a questo punto che, tornato dagli inferi, entra in scena Teseo. La caratterizzazione che Seneca dà del personaggio fin dalla battuta d’esordio è molto particolare e degna di attenzione. Egli appare come un uomo stanco e affaticato, che ha sofferto fin troppo nel corso della sua ultima, lunga fatica, la risalita dal regno delle ombre e che ora, tornato fra i vivi, sopporta a stento la luce del giorno:

tandem profugi noctis aeternae plagam vastoque manes carcere umbrantem polum, et vix cupitum sufferunt oculi diem (vv. 835-837).

Anche sul modo in cui Seneca definisce la fatica appena conclusa, dopo quattro anni di cui, tramite la perifrasi adoperata per menzionarli, riesce a far percepire allo spettatore/lettore tutto il peso, è a mio parere doveroso soffermarsi ; essa è definita infatti un ambiguus labor:

iam quarta Eleusin dona Triptolemi secat paremque totiens libra composuit diem, ambiguus ut me sortis ignotae labor

101 Secondo Traina 1982, questa «coppia ossimorica» serve a Catullo per «chiarire a se stesso il suo contraddittorio vissuto» e rappresenta «il drammatico sbocco di una vicenda d’amore unica nel mondo antico».

detinuit inter mortis et vitae mala (vv. 838-841).

L’aggettivo ambiguus, già ricorso nel dramma a connotare realtà miste, incerte, come i frutti di unioni insolite e ancora, più in particolare, il comportamento comunicativo di Fedra nel corso della confessione d’amore (cfr v. 639), ricompare a questo punto del dramma in riferimento al secondo protagonista maschile, Teseo, il sovrano, arrivato con estrema difficoltà al termine di un’impresa costantemente sospesa tra la vita e la morte e dall’esito quanto mai incerto. Questo dato, che per ora accenno solamente, sarà fondamentale per l’interpretazione del carattere assunto dai personaggi maschili nel dramma oggetto di studio.

Fine dei mali di questo oscuro destino fu Ercole; insolitamente difficile è stata tuttavia la risalita al fianco dell’Alcide per un eroe ormai stanco e privo dell’antico vigore:

pars una vitae mansit extincto mihi, sensus malorum; finis Alcides fuit,

qui cum revulsum Tartaro abstraheret canem, me quoque supernas pariter ad sedes tulit. sed fessa virtus robore antiquo caret

trepidantque gressus. heu, labor quantus fuit Phlegethonte ab imo petere longinquum aethera

pariterque mortem fugere et Alciden sequi (vv. 842-849).

Gli ultimi versi della sua battuta d’esordio rendono infine evidente lo stato d’animo del personaggio, già ben delineato nella prima parte del discorso :

quis fremitus aures flebilis pepulit meas? expromat aliquis. luctus et lacrimae et dolor, in limine ipso maesta lamentatio ?

hospitia digna prorsus inferno hospite (vv. 850-853).

Egli, uditi sulla soglia del palazzo flebili suoni di dolore e lutto, si appella immediatamente con un congiuntivo esortativo a chiunque possa dargliene una

spiegazione, già vagamente consapevole, in quanto ospite appena riapparso dagli inferi, di non potersi aspettare altro che un’accoglienza di quel tipo.

Si tratta, dunque, di un re ormai debole e vecchio il quale, tornato direttamente dal regno delle ombre, dove ha tentato un’impresa inaudita, avverte egli stesso come legittima l’amara accoglienza resagli dai suoi sudditi; è insomma un sovrano che, essendo stato agli inferi, percepisce come legittima un’ospitalità fosca e luttuosa, come se il suo viaggio nell’oltretomba fosse per lui la causa naturale dello scatenarsi dell’inferno sulla terra.

La prima a rivolgergli la parola è la nutrice, che lo mette subito al corrente della volontà di Fedra di darsi la morte. Alla domanda del re, sul perché Fedra desideri suicidarsi proprio ora che il marito è tornato, la nutrice risponde con una frase ambigua, dando ad intendere che è proprio l’arrivo del coniuge ad aver reso matura nella moglie la decisione di morire –haec ipsa letum causa maturum attulit (v. 857)-. Teseo, immediatamente spaventato da quell’ambiguità, percependo che le parole oscure e intricate della donna nascondono qualcosa di grave, le ordina, proprio come aveva fatto il figlio di fronte all’obliquità comunicativa della matrigna (cfr vv. 639-640), di parlare apertamente:

perplexa magnum verba nescioquid tegunt.

effare aperte, quis gravet mentem dolor (vv. 858-859).

Vorrei mettere a confronto diretto le due battute e le due situazioni comunicative, perché il fatto che si ripetano praticamente identiche, a poca distanza, avendo per protagonisti personaggi diversi, ma in fin dei conti simili, può essere portatore di un significato che guidi ad una più profonda comprensione del dramma. Come abbiamo visto dunque Ippolito, nel corso della confessione d’amore fattagli, con modalità oblique, da Fedra, contro l’ambiguità delle parole della donna invoca chiarezza con questa battuta:

ambigua voce verba perplexa iacis: effare aperte (vv. 639-640).

Egli definisce ambigua le parole della matrigna, che percepisce pronunciate voce perplexa, “con voce intricata”, “oscura” e ordina al contrario assoluta

schiettezza; lo stesso aggettivo perplexa è quello usato dal padre, il quale vi definisce le parole della nutrice, intimando a sua volta chiarezza contro l’oscurità. Siamo dunque in entrambi i casi di fronte a due analoghi personaggi maschili, padre e figlio, i quali, avendo a che fare con una comunicazione femminile contorta e intricata, invocano chiarezza contro l’ambiguità. Entrambi sono incapaci di comprendere le ragioni dell’obliquità comunicativa, di cui percepiscono però con agitazione il carattere negativo e pericoloso, entrambi danno alle interlocutrici un ordine che non può essere obbedito, quello di parlare apertamente, entrambi verranno in qualche modo rovinati dalla perversa comunicazione femminile, il figlio dalla finale sincerità di una matrigna incestuosa, il padre dalla menzogna di una moglie colpevole. Tra il comportamento comunicativo dei due personaggi sussiste tuttavia una differenza: mentre Ippolito si sottopone ad una lunga serie di messaggi obliqui da parte di Fedra prima di chiederle di fare chiarezza, Teseo al primo messaggio contorto ricevuto dalla nutrice ordina immediatamente di sciogliere l’ambiguità e di rivelare con chiarezza la natura del dolore che opprime la mente della regina. All’inadeguatezza e alla scarsa capacità ricettiva del figlio nell’ambito dell’interazione corrisponde dunque, nel padre, una modalità di comunicazione molto più immediata, perentoria, più caratteristica del tiranno abituato a imporre all’altro la propria volontà.

Nonostante ciò, la nutrice non rivela la natura del dolore che opprime l’animo di Fedra e intima semplicemente a Teseo di far presto, in quanto l’esecuzione della ostinata volontà di morte è ormai imminente. Cade dunque di nuovo interamente sulla protagonista la responsabilità di agire, pur nell’ambito di eventi determinati da altri.

Teseo ordina a questo punto che vengano spalancate le porte del palazzo reale le quali, una volta aperte, lasciano in primo piano, sul palcoscenico di un teatro come nell’immaginazione di un ipotetico lettore, la figura di Fedra.

Teseo, rivolgendosi alla moglie con un’allocuzione piuttosto solenne, le chiede il perché di quel desiderio di morte, tanto più impellente ora che lui è tornato:

o socia thalami, sicine adventum viri et expetiti coniugis vultum excipis?

restituis et te quidquid e vita fugat expromis ? (vv. 864-868).

La risposta di Fedra alla domanda del marito costituisce la battuta d’inizio della grande scena di menzogna102 che segue:

eheu, per tui sceptrum imperi,

magnanime Theseu, perque natorum indolem tuosque reditus perque iam cineres meos, permitte mortem (vv. 868-871).

Come emerso dalle parole precedentemente pronunciate dal sovrano, Fedra si è presentata davanti a lui recando nella mano destra la spada, strumento dell’inganno (cfr v. 866) e tale particolare rende evidente allo spettatore/lettore che la donna si è resa consapevole della necessità di mentire; ella chiede nondimeno al marito di lasciarla morire, con una apparente contraddizione tra il discorso fatto e l’atteggiamento esteriore assunto che potrebbe indicare la non completa convinzione di cercare salvezza nella menzogna. Il carattere indubitabilmente menzognero della battuta è tuttavia reso evidente, a mio parere, dalla modalità e dalle parole stesse con cui la donna si rivolge al marito, pregandolo di permetterle il suicidio prima di tutto per lo scettro simbolo del potere, in secondo luogo per i loro figli, quindi per il ritorno di lui, in ultimo per se stessa, per quelle che ormai sono le sue ceneri. Valore di menzogna assume la battuta perché, come abbiamo ricavato nel corso del dramma, Fedra non attribuisce alcun potere particolare allo scettro, che offre a Ippolito in cambio di un amore incestuoso (cfr v. 617); ella inoltre, nelle scene precedenti, non ha

102 Studi specifici sulla menzogna nella Medea e nella Fedra di Seneca sono quelli di Wesolowska 1992 e 2000. Wesolowska 2000, in particolare, non ha alcun dubbio che nella scena oggetto d’analisi Fedra stia costruendo intenzionalmente la menzogna ai danni del figliastro e stia dunque consapevolmente mentendo dalla prima all’ultima battuta rivolta al marito. La studiosa quindi, in un saggio dall’impostazione piuttosto interessante, si sofferma sulle ragioni e modalità del funzionamento di tale menzogna. Risulta trascurato l’aspetto relazionale, che è invece specifico oggetto d’indagine del presente lavoro, insieme alla più approfondita caratterizzazione dei personaggi che risulta dal loro rapporto con la menzogna e all’analisi delle conseguenze che essa produce sul sistema delle relazioni all’interno del dramma.

mostrato alcuna preoccupazione per il destino dei suoi figli e ha sempre prospettato come impossibile il ritorno del marito, augurandosi che non sarebbe mai avvenuto. Anche l’altisonante appellativo con cui Fedra si rivolge a Teseo è indicativo del fatto che ella in questo momento sta fingendo affezioni e sentimenti che in realtà non ha; stridente è infatti il contrasto tra l’aggettivo magnanime e le espressioni normalmente –e più sinceramente- adoperate dalla donna nel corso del dramma per definire, in maniera sempre più sprezzante, il marito lontano. Fedra dunque solo in un contesto negativo e menzognero può far riferimento ad un importante simbolo del potere come lo scettro e solo mentendo può definire “nobile” il marito103.

Ella dimostra comunque ancora una certa reticenza, e alla domanda di Teseo che insiste per conoscere la causa di quel desiderio di morte risponde con una evasiva, astratta sentenza:

si causa leti dicitur, fructus perit (v. 872).

Teseo quindi, nella sua battuta successiva, invoca la fiducia e la confidenza che dovrebbero sussistere tra marito e moglie, facendo presente a Fedra che nessun altro, a parte lui, udirà ciò che verrà detto:

nemo istud alius, me quidem excepto, audiet (v. 873).

A questo punto Fedra, continuando la sua menzogna, suggerisce al marito un’immagine di sé stessa come donna pudica, timorosa solo del giudizio che il coniuge può dare di lei:

aures pudica coniugis solas timet (v. 874);

ella, dunque, si dichiara a parole nuovamente fedele ad un modello femminile tradizionale, che è stato però radicalmente stravolto nei fatti.

103 Anolli 2002, a p. 287, spiega che «le proprietà essenziali (prototipiche) della comunicazione ingannevole sono tre: a) la falsità del contenuto di quanto è detto; b) la consapevolezza di tale falsità; c) l’intenzione di ingannare il destinatario»; tali proprietà sono a mio parere tutte presenti nella battuta analizzata.

Teseo invita di nuovo la moglie a parlare, ancora una volta prospettando il rapporto di fiducia reciproca che dovrebbe esserci tra loro:

effare: fido pectore arcana occulam (v. 875);

Fedra, tuttavia, continua a rispondere evasivamente, pronunciando un’altra astratta sententia:

alium silere quod voles, primus sile (v. 876).

E’ quindi ancora con una sentenza che la donna ribatte alle parole con cui il marito le fa presente che nessuna possibilità di compiere il suicidio le verrà data:

TH. leti facultas nulla continget tibi

PH. mori volenti desse mors numquam potest (vv. 877-878).

Teseo insiste per conoscere quale sia il delitto da espiare con la morte, ma a questo nuovo ordine Fedra risponde in maniera ancora una volta inadeguata e ambigua:

TH. quod sit luendum morte delictum indica PH. quod vivo (vv. 879-880)104.

104 Il comportamento comunicativo di Fedra in questa parte del dramma sembra aderire ad alcune strategie messe in luce da una delle principali teorie sulla comunicazione menzognera esposte da Anolli 2002, l’IDT (Interpersonal Deception Theory), in particolare nella parte relativa alla comunicazione strategica. Anolli 2002, a p. 289, spiega che la comunicazione strategica nell’interazione ingannevole «è attuata consapevolmente dal mentitore con lo scopo di presentarsi in maniera credibile e sincera e di fornire un’impressione onesta di sé mentre sta dicendo il falso. Le principali strategie comunicative impiegate in questa direzione sono: a) incertezza […]; b) reticenza […]; c) dissociazione […]; d) protezione dell’immagine e della relazione […]». Come possiamo notare, l’incertezza (o vaghezza) è presente nell’impiego di messaggi volutamente ambigui, la reticenza nell’uso di risposte brevi, la protezione dell’immagine e della relazione nel presentare l’altro (magnanime) e se stessa (pudica) in maniera positiva; l’uso di sentenze astratte, con ricorso alla terza persona singolare, potrebbe essere indicativo della presenza anche della strategia della dissociazione. Tutto ciò, a mio parere, va a ulteriore conferma del carattere menzognero dei messaggi rivolti da Fedra al marito nel corso di questa scena.

Dopo aver lanciato a Fedra una serie di messaggi il cui contenuto è la relazione e che, per indurre la donna a parlare, suggeriscono il rapporto di intimità e fiducia reciproca che dovrebbe sussistere tra marito e moglie, Teseo le rivolge un nuovo messaggio, in cui il carattere relazionale appare più esplicito, in quanto ha per oggetto le lacrime, forma di gestualità che come tale veicola solitamente il livello di relazione. Tale livello, inoltre, è talmente enfatizzato da invadere i canali tipici del livello di contenuto: le lacrime, così, sono sul volto e nelle parole di Teseo105:

lacrimae nonne te nostrae movent? (v. 880).

Sconcertante è l’assoluta mancanza di “feedback” emozionale alle patetiche e sollecite parole del marito da parte di Fedra; ad esse infatti, ben diversamente rispetto a quanto aveva fatto nel corso del primo colloquio con la nutrice, in cui era bastato l’esplicito appello alla relazione di vicinanza e affettuosità lanciatole dall’anziana donna a far scattare una risposta aperta e sincera (cfr vv. 246-254), ella ribatte con un’altra astratta sententia:

mors optima est perire lacrimandum suis (v. 881).

A proposito delle sententiae, modalità comunicativa ricorrente del teatro senecano, vorrei far notare che esse sono caratterizzate, oltre che da un contenuto moralistico e sentenzioso appunto, da una scarsissima se non nulla presenza del livello di relazione: le sententiae consentono di fuggire il richiamo alla relazione, mantenendo il discorso su un piano puramente astratto e intellettuale106. Ad esse

105 Per il concetto della gestualità (delle lacrime) che veicola prevalentemente il livello di relazione invito a confrontare Ricottilli 2000, pp. 166-169 in particolare.

106 Del valore stilistico delle sententiae in Seneca si è occupato, oltre all’imprescindibile Traina 1974, Casamento 1999 e 1999a, con specifico riferimento alla produzione tragica. In Casamento 1999 si legge in particolare, a p. 127: «la sentenza è […] mezzo che concorre alla messa in evidenza dei concetti fondamentali»; e ancora, a p. 131: «[…] le sententiae […] fanno costantemente da sostegno all’azione. I concetti fondamentali […] le linee cioè entro le quali si sviluppa il testo e si snoda l’azione, sono tutti espressi da sentenze […] All’interno delle singole scene le sententiae si fanno vero centro d’irradiazione drammatica, convogliando in sé il senso dell’episodio in cui si trovano». A mio parere, Seneca nella sua produzione drammatica sottopone le sentenze a svariati usi, non tutti individuati dalla critica; così, all’aspetto stilistico-retorico vediamo sostituirsi talvolta, ad esempio nella scena oggetto della presente analisi, quello

Fedra fa significativamente ricorso nell’ambito del colloquio con il marito, in cui l’appello alla fiducia e sincerità che dovrebbero caratterizzare il legame matrimoniale rischia di far crollare il già poco sicuro castello di menzogna che sta faticosamente cercando di costruire. In questo contesto è evidente che la lealtà coniugale viene del tutto tradita e infangata dalla donna.

A questo punto Teseo, dopo aver sottolineato l’ostinato silenzio della moglie, abbandona il modello di marito affettuoso e sollecito fino a quel momento rivestito e passa repentinamente alle minacce, le quali sono rivolte non alla moglie, bensì alla nutrice, nella certezza che l’anziana donna conosce il segreto di Fedra e lo rivelerà sotto tortura:

silere pergit. –verbere ac vinclis anus altrixque prodet quidquid haec fari abnuit. Vincite ferro. verberum vis extrahat

secreta mentis (vv. 882-885).

Ancora una volta è solo il riferimento alla relazione intercorrente tra lei e la nutrice che può vincere Fedra : ella infatti solo a questo punto si rivela decisa a parlare:

ipsa iam fabor, mane (v. 885).

Si deve comunque a mio parere sottolineare il carattere di debole attenuante attribuito al comportamento di Fedra dalla parte dell’interazione col marito che immediatamente precede il vero e proprio dispiegarsi della menzogna: ella infatti, convinta della necessità di mentire –non dobbiamo dimenticare che si presenta davanti a Teseo già con la spada di Ippolito nella mano destra-, dimostra una reticenza che sembra andare di pari passo con l’ipocrisia –soprattutto nel momento in cui la attribuisce al suo essere donna pudica e timorosa delle orecchie del coniuge- e si risolve a mentire piuttosto in fretta, anche se dopo una breve

relazionale: in questo caso la sentenza, nucleo dello stile senecano, non ha la funzione di perno semantico dell’azione tragica, bensì indica un distacco relazionale, una volontà di disimpegno e astrazione dall’interazione in atto. Tra le opere più recenti sulla lingua e lo stile senecano invito a confrontare infine anche Setaioli 2000.

resistenza, forse in parte dovuta al dubbio morale che sembra una caratteristica costante dell’animo del personaggio. Repentinamente menzognera è infatti la gestualità adottata da Fedra, come ricaviamo dalla battuta successiva di Teseo:

quidnam ora maesta avertis et lacrimas genis

subito coortas veste praetenta optegis? (vv. 886-887);

quelle lacrime che non ha saputo versare in risposta al messaggio relazionale del marito ora Fedra le spande per ingannare il coniuge e rovinare il figliastro, facendole sorgere improvvisamente –subito coortas-, non spontaneamente, sulle sue guance. Quella che sarebbe dovuta essere una risposta emozionale alle parole del marito diviene dunque ipocrita e menzognero strumento d’inganno.

Alla fallace gestualità si accompagnano quindi le altrettanto ingannevoli parole della donna la quale, dopo aver tentato di sovvertire l’ordine cosmico, elevando ad