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a Preludio: la scena della follia.

Il secondo atto della Fedra si apre con un quadretto (vv. 360-405), distinto da tutto il resto, che serve a rendere l’idea del clima di follia estrema in cui si svolge l’atto stesso e in base al quale sono da interpretare tutti gli avvenimenti che vi avranno luogo.

Dai primi versi pronunciati dalla nutrice al suo rientro sulla scena, risulta chiaro che non c’è più alcuna speranza di lenire il furore, ormai arrivato al parossismo:

spes nulla tantum posse leniri malum,

finisque flammis nullus insanis erit (vv. 360-361).

Ella spiega come il furor, risultato vincente sulla ragione al termine dell’atto primo e impossessatosi completamente di Fedra, agisce ora sulla donna a livello fisico e fa una accurata descrizione della sintomatologia della follia: il furor si presenta come un fuoco che brucia silenziosamente, sta racchiuso, nascosto, ma si manifesta chiaramente prima di tutto sul volto –torretur aestu tacito et inclusus quoque,/ quamvis tegatur, proditur vultu furor (vv. 362-363)-; esso ha effetti anche sugli arti, che scuote in diverse direzioni in movimenti esagitati –artusque varie iactat incertus dolor (v. 366)-. Anche l’incedere della donna è fortemente variato dalla follia: ella procede con passo vacillante, a stento riesce a sostenere la testa sul collo che cede e, quando desidera riposare, dimentica il sonno e passa la notte tra i lamenti; in generale ella vuole e disvuole e, insofferente di se stessa, cambia continuamente atteggiamento –[…] semper impatiens sui/ mutatur habitus […] (vv. 372-373)-. Non si cura più del cibo né della salute e, altra fondamentale conseguenza della follia, sembra aver perso tutta la splendente bellezza di prima: le forze l’hanno abbandonata, i passi sono tremanti, i movimenti agitati, privi di grazia e le guance sono irrigate da un pianto assiduo, continuo, che scioglie la loro morbida bellezza come neve colpita da tiepida pioggia.

Dopo aver descritto gli effetti devastanti del furor, la nutrice annuncia l’aprirsi delle porte del palazzo, che permette allo spettatore/lettore di vedere direttamente Fedra, assistendo così in atto al dispiegarsi della scena della follia:

sed en, patescunt regiae fastigia: reclinis ipsa sedis auratae toro

solitos amictus mente non sana abnuit (vv. 384-386).

La parola passa quindi a Fedra la quale, dall’interno della reggia, esprime nel suo discorso l’intensità del furor che l’ha invasa, prima e –ancora una volta- fondamentale manifestazione del quale è la volontà di smettere le vesti tradizionali per adottare abiti semplici, leggeri, inconsueti:

removete, famulae, purpura atque auro inlitas vestes, procul sit muricis Tyrii rubor,

quae fila ramis ultimi Seres legunt: brevis expeditos zona constringat sinus, cervix monili vacua, nec niveus lapis deducat auris, Indici donum maris;

odore crinis sparsus Assyrio vacet (vv. 387-393).

Ella desidera inoltre che le sue chiome siano sparse alla rinfusa sul collo e le spalle e lasciate libere di fluire in rapidi movimenti44:

sic temere iactae colla perfundant comae umerosque summos, cursibus motae citis ventos sequantur […] (vv. 394-396). Prenderà tra le mani la faretra e l’asta tessalica

44 A proposito del motivo dei capelli e della frequente opposizione capelli sciolti/acconciatura Petrone 1984 scrive, a p. 69: «Seneca ha individuato nel motivo dei capelli un buon operatore del conflitto caccia/amore, vita selvaggia/vita civile, per questo Fedra, che vorrebbe penetrare nella sfera a lei estranea della solitudine silvestre è presentata nell’instabilità […] sciogliere i capelli equivale a trasformarsi in Amazzone, raccoglierli a rammentarsi della dignità».

[…] laeva se pharetrae dabit,

hastile vibret dextra Thessalicum manus (vv. 396-397) e diverrà, in conclusione, tale e quale all’amazzone, la madre di Ippolito45:

[talis severi mater Hippolyti fuit] qualis relictis frigidi Ponti plagis egit catervas Atticum pulsans solum Tanaitis aut Maeotis et nodo comas coegit emisitque, lunata latus

protecta pelta, talis in silvas ferar (vv. 398-403).

L’identificazione con l’amazzone permette evidentemente a Fedra, nella sua immaginazione, di realizzare un primo avvicinamento a Ippolito, in quanto Antiope è l’unica donna che sia mai stata da lui amata, ma soprattutto in quanto le consente di adottare il medesimo stile di vita dell’uomo desiderato. Ella quindi, proprio come l’amazzone, si porterà nei boschi. Da notare è che l’espressione usata da Fedra per esprimere questo concetto –[…] talis in silvas ferar (v. 403)- è strettamente aderente alla frase pronunciata da Ippolito al termine della monodia – […] vocor in silvas (v. 82)-, con la quale il giovane si sentiva dal latrato dei cani richiamato nei boschi. La congiuntura del medesimo concetto spaziale vede anche però, allo stesso tempo, la sovrapposizione di due sistemi di valori e immagini radicalmente diversi e questo produce una sfasatura che rende evidente quanto impossibile sia il contatto nei boschi tra questi due mondi, sorta di universi paralleli che tali dovrebbero rimanere e che certamente non possono incontrarsi nei luoghi della natura.

Ma c’è anche un’altra ragione, più vicina ad uno dei temi oggetto del presente studio, per cui Fedra fa uno specifico, dettagliato riferimento alla figura di Antiope: l’identificazione con l’amazzone, abitante di regioni remote, che muove guerra all’Attica alla testa di una schiera di donne guerriere, è a mio parere funzionale al tentativo di aderire ad un modello di femminilità alternativo, che

45 Il v. 398, che rende esplicita l’identificazione, è stato espunto da Heinsius; lo segue Zwierlein 1986, non espunge, al contrario, Chaumartin 1996. Che il v. 398 sia o no genuino, l’identificazione con Antiope è comunque chiara e ampiamente presente nei vv. 399-403.

possa consentire maggior libertà in materia di comportamenti anche sessuali. Il riferimento all’amazzone rende evidente come il vagheggiamento di Fedra di una vita diversa, libera, a contatto con i boschi e dedita alla caccia, non derivi soltanto dal desiderio di entrare nella sfera esistenziale dell’uomo amato, ma sia introdotto nel dramma senecano in funzione della proposta e difesa, da parte della protagonista, di un modello di femminilità opposto a quello “vicino”, tradizionale e al contrario aderente a comportamenti femminili ritenuti “lontani”, pericolosi in quanto destabilizzanti dell’ordine costituito46.