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La diffusione del Comte de Gabalis in area italiana

Le prime due traduzioni in lingua italiana del Comte de Gabalis furono realizzate a settant’anni di distanza e risultano entrambe legate a contesti piuttosto particolari. La prima viene pubblicata all’interno di un volume, uscito a Ginevra nel 1681, dal titolo La chiave del gabinetto del cavaglier Gioseppe Francesco Borri, milanese: tra le varie lettere attribuite a Borri che l’opera raccoglie, Bayle già notava che le prime due riportavano, pur con qualche modifica, una traduzione del Comte de Gabalis.298 La seconda versione, invece, è pubblicata nel 1751 a Napoli

dal principe di Sansevero, insieme alla traduzione di Conti del Rape of the Lock di Pope.

Borri era una figura controversa, celebre in tutta l’Europa, sotto la sua firma circolavano moltissimi scritti, ma soltanto alcuni di questi sono realmente attribuibili a lui, dal momento che spesso il suo nome era sfruttato a fini polemici o editoriali. La Chiave del gabinetto del cav. Borri non fa eccezione; essa contiene, in sostanza, traduzioni di varie opere rimaneggiate in forma epistolare e il volume viene attribuito da Salvatore Rotta a Giovanni Gerolamo Arconati Lamberti, un personaggio – come subito vedremo – non meno problematico dello stesso Borri.299

Giuseppe Francesco Borri

Per qualcuno fu un esperto conoscitore dell’alchimia, quando questa rappresentava il fulcro della sperimentazione medica e della ricerca sulla materia, per altri fu un ciarlatano e un eretico, Giuseppe Francesco Borri, al quale vengono attribuite le lettere che traducono il Comte de Gabalis, era una sorta di mito vivente sul conto del quale circolavano le opinioni più disparate. Vissuto tra il 1627 e il 1695, rappresentò a tal punto un centro di interesse che Bayle, probabilmente mentre Borri era ancora in vita, tentò di mettere ordine tra le informazioni che lo riguardavano, raccogliendole e pubblicandole in una voce dedicata a questo personaggio già nella prima edizione del suo dizionario, uscita nel 1697, soltanto due anni dopo la morte di Borri. Borri sosteneva di aver ricevuto, nella sua giovinezza, alcune visioni in cui San Paolo e l’arcangelo Michele lo avrebbero investito del compito di riformare la Chiesa per ricondurre l’umanità, finalmente unita, al regno di Dio. A questo scopo, dunque, aveva dato vita ad una setta in cui vigevano alcuni nuovi dogmi fortemente in contrasto con la religione cattolica, come l’incarnazione dello spirito santo nella Vergine e l’attribuzione alla stessa di una natura divina.

298 “Les deux premières, datées de Copenhagen l’an 1666, ne sont autre chose en substance que Le Comte de Gabalis,

que M. l’abbé de Villars publia l’an 1670”, P.BAYLE, voce Borri, in Dictionnaire historique et critique, Nouvelle

Édition, Esoer, Parigi, 1820, pp. 583-92 : 589.

 

Bayle, nonostante l’avversione per le superstizioni, si mostra affascinato dall’ambigua figura di Borri, portatrice di una tensione religiosa sregolata al punto da sfociare in una sorta di autoillusione fanatica. Condannato a morte per eresia in contumacia dal Sant’Uffizio, Borri aveva sfruttato le sue conoscenze in campo medico e alchemico per ottenere una posizione di rilievo nelle corti protestanti in cui cercava riparo, tra cui quella della regina Cristina di Svezia e quella del re di Danimarca. Grazie alle sue doti di affabulatore, aveva costruito un personaggio caratterizzato dal doppio profilo di perseguitato dal Sant’Uffizio e abile guaritore in possesso di molti segreti alchemici. La sua fama ebbe una risonanza tale che, anche dopo la cattura da parte delle autorità ecclesiastiche e la reclusione a Castel Sant’Angelo, gli fu permesso di continuare a svolgere la propria attività di guaritore. 300

Una biografia di questo controverso personaggio era già stata inserita in calce alla Chiave del gabinetto del Cav. Borri, un volume che aveva lo scopo di mostrare che le truffe di Borri erano ben note nell’intera Europa. Anche se il curatore dell’opera afferma ironicamente che il suo proposito era, al contrario, quello di riabilitare il nome di Borri di fronte alle calunnie degli invidiosi, egli non tralascia di citare nessuna delle accuse che erano rivolte a Borri. La Breve relazione della vita del Cavagliere Gioseppe Francesco Borri milanese, quindi, non ha un tono più lusinghiero del resto del volume. Essa trae gran parte del proprio materiale dalla Vita, Processo e sentenza di Francesco Borri, milanese, posta in calce all’Ambasciata di Romolo a’ Romani, un’opera pubblicata a Ginevra nel 1671 e ascritta a Gregorio Leti, l’autore libertino al quale erano attribuite anche molte opere dello stesso Arconati.301

Giovanni Gerolamo Arconati Lamberti

Giovanni Gerolamo Arconati Lamberti è probabilmente il figlio illegittimo di un nobile Arconati ed una Lamberti, non si sa nulla di sicuro sulla sua nascita. L’unica testimonianza di cui disponiamo è dello stesso Arconati che dichiara di essere nato nella parrocchia di S. Bartolomeo di Porta Nuova a Milano.

Costretto a fuggire da Roma per un’accusa di tentato omicidio ai danni del patriarca di Alessandria, monsignor Iacopo Altoviti, inizia una serie di peregrinazioni per l’Europa che lo portano ad avvicinarsi al calvinismo e ad ottenere vari incarichi diplomatici in incognito. Lavora come agente segreto al servizio della Spagna per favorire la fuga degli ugonotti dopo l’editto di Nantes, senza che questo gli impedisca di vendere tutte le informazioni di cui viene in possesso

300 L.ROSCIONI, La carriera di un alchimista ed eretico del Seicento: Francesco Giuseppe Borri tra mito e nuovi

documenti, in “Dimensioni e problemi della ricerca storica”, 1, gennaio-giugno 2010, il Mulino, Bologna, pp. 149-86

: pp. 150-57. Vedi anche S.ROTTA, voce Borri, in Dizionario Biografico degli Italiani.

 

all’ambasciatore francese. La pubblicazione anticlericale del libello Amori del cardinale Portocarrero colla Principessa di Scialé, nel 1678, gli vale una condanna da parte dell’Inquisizione. Viene arrestato l’anno successivo, ma riesce ad evadere e a riparare nuovamente in Svizzera. Secondo la ricostruzione di Fassò, dopo aver soggiornato lì per qualche anno, si reca in Olanda nel 1685, dove riesce a riacquistare una certa dignità divenendo, nel 1691, segretario del conte di Portland. Dirige per breve tempo, nel 1702, un periodico intitolato Nouvelles des cours où l'on voit tout ce qui s'y passe de plus remarquable sur la politique et l'interêt des Princes, poi sospeso per i suoi attacchi alla Francia, mentre venivano pubblicati, sotto la sigla Mr. L.B.T., i Mémoires de la dernière Revolution d'Angleterre. Abbandonata la partecipazione attiva alla vita politica, nel 1718 Arconati si ritira in Svizzera, dove trascorre l’ultimo periodo della sua vita ricoprendo alte cariche per le repubbliche di Berna e Ginevra fino alla morte, avvenuta nel gennaio del 1733.302

Nel corso della sua vita turbolenta, Arconati ha pubblicato svariate opere satiriche attribuite ad altri, in particolare, come accennato, a Gregorio Leti. Tra queste ci sono L’Inquisizione processata,303 Il Divortio celeste,304 Il Governo del duca d’Ossuna305 e La vita del Presidente

Arese. 306 Nella prima opera, Borri mette in scena una sorta di processo allegorico, intentato dalla

Religione cristiana all’Inquisizione, accusata di vessare i fedeli con le sue angherie. Grazie alla protezione papale, tuttavia, l’Inquisizione viene assolta, mentre la Giustizia Divina, arrestata e bandita da Roma, è costretta a tornare in cielo. Tra i personaggi di quest’opera figura proprio Borri, il quale, interrogato dalla Giustizia a Castel Sant’Angelo, racconta la sua vita e i torti subiti dall’Inquisizione.307 Un accenno alla biografia di Borri è presente anche nella Vita del Presidente

Arese, dove è viene stilato un resoconto del suo progetto religioso, per poi descriverne il fallimento.308 Il Divortio celeste, di argomento simile all’Inquisizione processata, riprende la

prima parte di un’opera del 1643 attribuita a Pallavicino, la cui ristampa ampliata del 1679 viene attribuita a Gregorio Leti. Arconati sfrutta il nome di Pallavicino, di cui riusciva a imitare bene lo stile, per far circolare le idee dei Riformati. La struttura e l’argomento del testo sono molto simili a quella dell’opera del 1643: Cristo, sposo della Chiesa romana, è stanco delle sue dissolutezze e chiede il divorzio. La Divina Giustizia pretende un processo della cui istruttoria viene incaricato

302 L.FASSÒ, Avventurieri della penna del Seicento. Gregorio Leti, Giovanni Gerolamo Arconati Lamberti, Tomaso

Tomasi, Bernardo Guasconi, Le Monnier, Firenze, 1924, pp. 273-315; E. GENCARELLI, voce Arconati Lamberti,

Giovanni Gerolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 4, 1962.

303 G.LETI [G.ARCONATI LAMBERTI], L’Inquisizione processata: opera storica e curiosa divisa in due tomi, Paolo

della Tenaglia, Colonia, 1681.

304 ID., Il divortio celeste, cagionato dalle dissolutezze della Sposa Romana diviso in tre tomi, V. Cipetti, Regunea

(Ginevra), 1679.

305 ID., Il Governo del Duca d’Ossuna, dello Stato di Milano, Battista della Croce, Colonia, 1678.

306 ID., La vita del conte Bartolomeo Arese, Presidente del Senato di Milano, F. della Torre, Colonia, 1682. 307 ID., L’Inquisizione processata, t. 2, pp. 251-312.

 

San Paolo. A seguito dell’inchiesta che accerta i cattivi costumi del clero, il divorzio è decretato. A questo punto, fondatori di varie sette religiose, a partire da Calvino e Lutero, offrono la loro chiesa al Cristo che, però, stanco della malvagità umana, preferisce rimanere celibe.309

La chiave del gabinetto del cavaglier Gioseppe Francesco Borri, milanese

La chiave del gabinetto del cavaglier Gioseppe Francesco Borri310 fu pubblicata a Ginevra nel

1681 con la stessa falsa indicazione del luogo di stampa – “in Colonia, appo Pietro del Martello” – che era già stata utilizzata per le edizioni olandesi del Comte de Gabalis a partire dal 1671. Il curatore dell’opera apre il volume con una lettera indirizzata proprio a Borri, definito “vulgo il Cristo falso, l’alchimista truffiere, il coglionatore de’ curiosi”.311 Già dall’intestazione si può

inferire il tono ironico della lettera che, nel mentre si prodiga per rassicurare Borri sulla propria intenzione di riabilitare il nome dell’alchimista imprigionato a Castel Sant’Angelo, non perde occasione di riportare ogni sorta di maldicenza diffusa nei suoi confronti, compreso un sonetto canzonatorio che sarebbe stato composto dai prigionieri dell’Inquisizione.

A questa lettera segue una premessa ai lettori a cura dello stampatore. Egli afferma di aver ricevuto le lettere da un amico che “le aveva ragunate da’ vari gabinetti di Prencipi e persone di prima Classe a’ quali erano state scritte; e ciò con destrezza e spesa grandissima”.312 Le lettere di

Borri, in effetti, sono state a lungo ritenute autentiche, tanto che, in seguito al riconoscimento da parte di Bayle delle somiglianze tra il Comte de Gabalis e le prime due lettere della Chiave, poiché le lettere sono datate 1666,313 si era innescato un dibattito riguardo a un possibile plagio da

parte di Villars ai danni di Borri. Queste insinuazioni sulla paternità di Borri del nucleo essenziale del Comte de Gabalis si sono protratte fino a inizio Novecento.314 Ancora nel 1963, in un

paragrafo dell’introduzione alla propria edizione dell’opera di Villars, Laufer si sente obbligato ad esaminare dettagliatamente alcune ragioni per cui non è plausibile che il Comte de Gabalis sia una

309 L.FASSÒ, Avventurieri della penna del Seicento, pp. 273-315; E. GENCARELLI, Arconati Lamberti, Giovanni

Gerolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani.

310 [G.G.ARCONATI LAMBERTI], La chiave del gabinetto del cavaglier Gioseppe Francesco Borri milanese; col

favore della quale si vedono varie lettere Scientifiche, chimiche e curiosissime, con varie Istruzioni Politiche ed altre cose degne di curiosità e molti segreti bellissimi. Aggiuntavi una Relazione esatta della sua vita, Pietro Martello,

Colonia [Ginevra], 1681. Da qui in avanti si farà riferimento a questa edizione come Arconati, 1681.

311ID., Al Signor Cavagliere Gioseppe Francesco Borri, milanese, in Arconati, 1681 312 ID., Lo Stampatore al Lettore, in Arconati, 1681.

313 “16 maggio 1666”, Arconati, 1681, p. 60; “11 luglio 1666”, Arconati, 1681, p. 113.

314 Seeber, pur liquidando l’ipotesi come ingenua, fa riferimento ad alcuni autori, alcuni dei quali Novecenteschi, che

accettano l’ipotesi che il Comte de Gabalis sia frutto di una rielaborazione del testo di Borri: “This idea is accepted by Lenglet-Dufresnoy (op. cit. [Histoire de la philosophie hermetique, Paris, 1742]), the editor of Le Comte de G. Garnier's Voyages imaginaires, F. Jacotot in L'Intermediaire des chercheurs et curieux, 20 mai 1914), Viatte (op. cit. [Le Sources occultes du Romantisme. Illuminisme-Theosophie, 1770-1820 (Paris: H. Champion 1928, 2 vols.]) and Treske (op. cit. [Der Rosenkreuzerroman 'Le Comte de Gabalis' (Berlin: Ebering, 1933)])”, E.D.SEEBER, Sylphs and

 

traduzione del testo di Borri.315 L’appurata inautenticità delle lettere della Chiave, infine, mette a

tacere qualsiasi possibile supposizione di plagio.

Non è dato conoscere con certezza quali motivazioni abbiano spinto Arconati ad interessarsi tanto al personaggio di Borri. Indubbiamente la fama dell’alchimista eretico poteva giustificare una produzione poco ortodossa, ma è utile tenere in considerazione che la Chiave non è l’unico testo di Arconati in cui compare il personaggio di Borri. Sicuramente si trattava di una figura capace di esercitare un grande fascino sulla comunità scientifica del tempo, tanto che era riuscito a stabilire rapporti con il segretario della Royal Society e lo stesso Newton ne ammirava l’ingegno.316

All’interno della Chiave, la traduzione dell’opera di Villars si affianca ad altri testi di stampo paracelsiano – sette lettere che rivelano i segreti per le produzioni alchemiche più varie, dalla Pietra Filosofale alle ricette di bellezza – e alla traduzione di De l’âme de bêtes di Antoine Dilly, un trattato che sostiene la teoria cartesiana degli animali-macchina, che vede queste creature come corpi privi di anima mossi da un meccanismo predeterminato. 317 In ogni caso, data l’inclinazione

anticlericale e libertineggiante di Arconati, è possibile che egli abbia voluto sfruttare il nome di Borri per diffondere nuovi contenuti di carattere scientifico e para-scientifico, ostili a qualsiasi forma di superstizione, nonostante si premuri continuamente di blandire eventuali censori dell’opera, sottolineando più volte la propria devozione e l’incredulità rispetto agli assunti più controversi. Già nella premessa al lettore si evidenzia come lo scopo del testo sia quello di divertire e non scandalizzare il lettore, e la stessa lettera a Borri, con la sua ambiguità, consente all’autore di costruire un ritratto negativo del personaggio narrante, così da depotenziarne la credibilità, e permette contemporaneamente di non svilire il messaggio del testo ricordando al lettore che l’intento primario di chi ha redatto l’opera non è quello di infangare la reputazione di Borri.

L’utilizzo quasi impietoso di un’ironia dissacrante ai danni del personaggio dell’alchimista milanese mostra da parte di Arconati una totale mancanza di stima nei confronti di una figura che si nasconde dietro la filosofia per cercare un vantaggio economico. Tuttavia, l’impiego di un narratore così controverso gli permette di veicolare un doppio messaggio, capace di colpire contemporaneamente sia i cabalisti che i teologi. Infatti, se il Danese, in quanto calco del personaggio di Gabalis, è fatto oggetto di satira e pertanto risulta poco credibile, attraverso la

315 Laufer, 1963, pp. 20-24.

316 S.ROTTA, voce Borri, in Dizionario Biografico degli Italiani.

317 A.DILLY, De l'ame des betes, ou apres avoir demontre la spiritualite de l'ame de l'homme, l'on explique par la

seule machine, les actions les plus surprenantes des animaux, Anisson e Poysuel, Lione, 1676. L’identità tra questo

testo e la decima lettera della Chiave è affermata da Kahn in Kahn, 2010, p. 123 e da Rotta in S.ROTTA, voce Borri, in Dizionario Biografico degli Italiani. Per una dissertazione più approfondita sulla teoria degli animali-macchina si veda M.SPALLANZANI, Descartes e il “paradosso” degli animali-macchina, in “Bruniana & Campanelliana”, vol. 17, No. 1 (2011), F. Serra editore, Pisa, 2011, pp. 185-195.

 

propria caratterizzazione della figura del narratore, Arconati ridicolizza anche lo stesso Borri; dunque, il messaggio che rimane intatto è quello che riguarda l’assurdità delle superstizioni, tanto degli alchimisti quanto dei teologi.

Diffondere un simile pensiero richiedeva inevitabilmente delle precauzioni. Le lettere sono incastonate nella cornice di un dialogo fittizio tra due gentiluomini romani, Ulderico e Geminiano, che commentano di volta in volta il contenuto di ciascuna lettera. Nel piccolo dialogo introduttivo, prima che venga esposto il contenuto delle lettere, attraverso il personaggio di Geminiano, ci si preoccupa di presentare la narrazione come uno svago innocente agli occhi dell’Inquisizione.318 Il problema del Sant’Uffizio riemerge più volte nelle lettere, in parte in

relazione alla vicenda personale di Borri che ne era perseguitato,319 in parte perché ha la funzione

di mantenere un’apparenza di conformità alle dottrine cristiane ponendo una distanza tra il pensiero dell’autore e i contenuti eterodossi esposti nelle lettere. 320

Per quanto riguarda la traduzione del Comte de Gabalis, la retrodatazione delle lettere denuncia l’intenzione di non volerla rivelare come tale, e alla stessa strategia rispondono i numerosi adattamenti: svariate parti sono riassunte perché caratteristiche della struttura dialogica o del contesto francese; varie parti sono aggiunte e, all’opposto, si registrano alcune omissioni rilevanti. Tuttavia, nei luoghi in cui segue il testo, la traduzione è piuttosto accurata.

È inevitabile che un diverso contesto comporti delle differenze, alcune marginali (come i luoghi in cui si ambienta la narrazione: non più Parigi e Rueil ma Amsterdam e Copenhagen), altre sostanziali, a partire dall’identità dei personaggi. Il fatto che le lettere siano presentate come l’autentica corrispondenza di Borri comporta che il narratore non sia più l’inesperto personaggio di Villars, talvolta assimilato all’autore, ma a tratti coincida con Borri stesso, che, in quanto personaggio plasmato da Arconati, presenta le caratteristiche che il suo inventore gli attribuisce. Il Borri narratore delle lettere della Chiave è uno spregiudicato alchimista, avido ed esperto.321 Si

318 “Queste lettere saranno tutte piene di eresie. (Uld.) Nò nò; Non aver paura non sono che lettere curiose chimiche,

scientifiche e simili. […] (Gem.) Se ciò è, io mi arrendo, ma bada bene Ulderico che non sia altrimente. Al certo non saresti sicuro dalle mani dell’Inquisizione, e io sarei costretto per evitare qualche borasca di andare a denunciarti all’Inquisizione”, Arconati, 1681, p. 3.

319 “ In poche settimane il pù confidente dé più riguardevoli tra quegli, che trovavo nelle mie erranze, alle quali sono

costretto, come VE. sa per le persecuzioni dell'Inquisizione”, Arconati, 1681, p. 6.

320 “Non vorrei che l'Inquisizione mia persecutrice si formalizzasse di quanto scrivo in questa lettera che potrebbe

offendere in altro modo la scrittura Sagra, quanto la puol'offendere, mi dichiaro che il mio cuore è di abominarlo e detestarlo, facendo professione di esser suo Cristiano, col qual carattere prego Dio di farmi vivere e morire, congiuntamente con quello”, Arconati, 1681, p. 113.

321 “Avrei volentieri desiderato che quanto m'aveva detto fosse vero, perché volentieri avrei voluto aver comercio co'

Gnomi per aver da essi Tesori e segreti proprj per accumular danari per potermi astenere dalle fatiche continue alle quali m'ero dedicato per tracciare la Pietra Filsosfale”, Arconati, 1681, p. 59; “Ma se vi fossero i Gnomi sarebbero bene i miei diletti, se mi volessero dare tesori; perché così avrei tralasciato d'affaticarmi tanto in traccia della Pietra Filosofale”, Arconati, 1681, p. 19; “je ne comprenais rien de tout cela”, Kahn, 2010, p. 163 omesso Arconati, 1681, p. 13; “je n’avais garde de disputer contre un homme de qui je ne savais pas encore tous les principes”, Kahn, 2010, p.

 

tratta, dunque, di un personaggio totalmente diverso dal mite e casto narratore di Villars.322

Gabalis stesso viene trasformato in un illustre Danese, il quale, tuttavia, non gode della stessa autorevolezza del conte. Gabalis si pone come un mentore che si preoccupa di assicurare un glorioso futuro al proprio pupillo, il quale viene apostrofato come “mon fils”, a sottolineare il rapporto asimmetrico e paternalistico che egli instaura con il narratore. Il Danese, invece, si rivolge a Borri usando un titolo di riguardo, “Vostra Eccellenza”, ed il rapporto tra i due è estremamente ambivalente, dal momento che varia sensibilmente secondo che Arconati, nei vari luoghi di rimaneggiamento, segua o meno l’originale francese. Questo crea una serie di cortocircuiti all’interno della narrazione che vede agire i personaggi in modo spesso completamente incoerente.

Inizialmente, dopo lo scambio epistolare in cui il Danese manifesta a Borri l’intenzione di rendergli visita non appena arriverà ad Amsterdam,323 è Borri stesso a cercare il cabalista nel

momento in cui si reca a Copenhagen.324 Il suo interesse per gli insegnamenti del Danese, inoltre,

è presentato come più genuino rispetto a quello del narratore di Villars, tanto che vengono omessi

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