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La filosofia italiana

Nel documento La filosofia da Kant ai nostri giorni (pagine 49-57)

La filosofia italiana

La cultura italiana degli ultimi decenni del sec-XIX è dominata dal positivismo, arrivato dalla Francia attorno al 1870, e dal pensiero di Roberto Ardigò (1828-1920); ma tale dominio non è incontrastato:

oltre alle permanenti tracce della precedente tradizione spiritualistica, nella quale va ricordato l’idealismo di origine hegeliana di Bertrando Spaventa (1817-1883), si vanno affermando nuovi indirizzi: il marxismo di Antonio Labriola (1843-1904), che del materialismo storico tende ad attenuare il materialismo, ed il pragmatismo di Giovanni Vailati (1863-1909), per il quale il significato di ogni proposizione è connesso

intimamente con l’impiego che se ne intende fare. Allievo del

matematico Peano, Vailati auspica una stretta collaborazione tra logica e pragmatismo.

Benedetto Croce

(1866-1952)- La sua ricerca filosofica si colloca nell’intreccio di questi differenti orientamenti. Croce si dedica fin dalla prima giovinezza a studi ci carattere letterario e storico; non trovano in lui interesse né le scienze né i dibattiti del positivismo imperante.

Manifesta piuttosto una propensione per l’idealismo (forse attraverso Spaventa) ed una decisa avversione per l’empirismo, il positivismo, l’evoluzionismo, cioè per tutto ciò che contrasta la fede nella priorità dello spirito. Attorno al 1895, attraverso Labriola, si avvicina agli studi

sul marxismo. Frutto di tale studio è il suo volume Materialismo storico ed economia marxista (1900) in cui Croce attribuisce al marxismo valore di un possibile canone d’interpretazione storica, ma gli nega il carattere di una vera filosofia della storia, mancandogli il riferimento ad un

principio generale ed assoluto. Dallo studio di Marx Croce trae tuttavia la convinzione che la storia è fatta da noi stessi, tenendo conto delle condizioni generali oggettive in cui ci troviamo. Dalla riflessione sugli aspetti economici del marxismo, egli trae inoltre alcune conclusioni che già prefigurano aspetti della sua filosofia dello spirito: che il fatto

economico (utile) sia attività spirituale di natura pratica, momento autonomo della vita dello spirito, indifferente ai valori morali, da tenere quindi distinto dall’attività pratica che si configura come fatto morale. Se la riflessione sul marxismo serve per determinare la categoria dell’utile economico, la riflessione su De Sanctis e Vico consente a Croce di giungere alla determinazione della categoria dell’arte, espressa, nel 1902, in Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. (Sull’argomento Croce tornerà più volte, con correzioni e perfezionamenti, in vari saggi e nel Breviario di estetica del 1912).

Croce definisce la propria concezione come filosofia dello spirito:

l’attività dello spirito altro non è che la nostra coscienza; proprio la testimonianza della coscienza ci dice che ciò che la realtà ha di

universale è lo spirito, ossia l’attività spirituale umana. Ora, essendo la filosofia volta all’univerale, essa non può che essere scienza dello spirito nella sua universalità (cioè non le coscienze individuali di Tizio o di

Caio). Lo spirito, in quanto attività, è sintesi di soggetto e oggetto.Ciò significa che i materiali dell’esperienza acquistano valore solo in virtù di tale attività: essere attivi è realizzare un valore.

La prima distinzione da introdurre nell’attività dello spirito è quella fra

“teoretica” e “pratica”, cioè fra conoscere e fare. Il rapporto tra le due forme sta nel fatto che l’attività pratica presuppone sempre l’attività teoretica, mentre non vale l’inverso: il conoscere è autonomo,

indipendente dalla volontà, ma la volontà richiede una conoscenza che è sia espressione (attività estetica) sia pensiero (logica). Espressione e pensiero non vanno però identificati, sono due forme dell’attività

teoretica. Anche l’attività pratica ha due gradi: l’attività utile (fatto economico) e l’attività morale. Riassumendo: attività

teoretica, conoscitiva: estetica (arte, espressione, bello)

e logica (concetto, pensiero, vero); attività pratica: economia (utile) e morale (bene). La filosofia è comprensione dell’intera vita dello spirito.

L’estetica fa perno sull’intuizione come conoscenza dell’individuale ed è

indipendente dal concetto (logica). L’arte può consistere di soli atti intuitivi. L’intuizione fa tutt’uno con l’espressione, poiché lo spirito non intuisce se non esprimendo: il fatto estetico è perciò soltanto forma, elaborazione espressiva di impressioni. Croce insiste nel distinguere l’estetica da ogni confusione con la pratica. Il fatto estetico si esaurisce tutto nell’espressione, ma questa va intesa come “parola interna” dello spirito; l’opera d’arte è sempre interna; sono solo le materializzazioni esterne (suonare, dipingere, scrivere,ecc.) ad essere pratiche: infatti, possiamo volere o non volere estrinsecare l’espressione estetica; ma non si può volere o non volere una visione estetica: questa

semplicemente si dà! Perciò l’arte è una forma della conoscenza ed è indipendente dalla volontà e dalla morale. L’espressione estetica

avviene però sempre nel linguaggio, poiché l’espressione è linguaggio;

perciò estetica e linguistica (intesa nella sua parte generale, filosofica) si identificano. Finora Croce non ha chiarito i rapporti tra spirito e materia (o natura). Nel procedere, egli tende a affermare sempre più

decisamente il carattere creativo dello spirito, finché perverrà a negare l’esistenza della materia ed a spiegare ogni opposizione tra spirito e natura come opposizione tra due forme diverse di spiritualità. Eliminata la materia come punto di inizio dell’attività dello spirito, questa si

configura come processo circolare, che ha inizio nello spirito stesso.

Esso passa da fantasia ad intelletto, da intuizione a pensiero e poi da conoscenza ad azione, nelle sue due distinte forme, in un circolo continuo e chiuso in se stesso. Lo studio diretto di Hegel lo porta a scivere il saggio, del 1906, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, nel quale Croce mostra di apprezzare di Hegel soprattutto la dialettica come principio capace di spiegare il divenire dello spirito. Lo spirito ora gli appare come sintesi di opposti e

l’opposizione come l’anima del reale. Ma, a differenza di Hegel, Croce intende mantenere ferma l’autonomia e la distinzione delle varie forme dello spirito (arte e logica, economia e morale), per cui ognuna si svolge dialetticamente soltanto al suo interno (es. brutto/bello; vero/falso;

bene/male). La dialettica si configura per Croce, allora, come unità di opposizione e distinzione, e lo spirito, quale sintesi a priori, è divenire di concrete determinazioni: di volta in volta lo spirito si esprime tutto nella determinazione presente, nell’opera d’arte, o in un concetto, ma non si chiude mai in nessuna concreta determinazione. Le forme costituiscono i termini concreti dell’unico movimento dialettico che è l’attività dello

spirito. Nel 1909 escono due opere di Croce, la Logica come scienza del concetto puro e la Filosofia della pratica: economia ed etica. Si trova in esse la sistemazione dell filosofia dello spirito. L’importanza

della Logica sta nella determinazione delle varie forme del conoscere.

Scienza del concetto puro è la filosofia; ma poiché il concetto puro può presentarsi in forma di definizione o in forma di giudizio, corrispondono alla conoscenza del concetto puro sia la filosofia in senso stretto che la storia. La filosofia è comprensione unitaria ed universale della vita dello spirito; la storia è l’unione del concetto con la visione del fatto accaduto, cioè è giudizio sul passato in cui l’accadimento è valutato dal punto di vista della realtà totale dello spirito. Perciò non vi è storia senza

l’elemento filosofico; ma anche la filosofia è sempre storicamente

determinata, determinata cioè dalle condizioni del momento storico della vita del filosofo. Perciò abbiamo un completo storicismo: storia e

filosofia si identificano. Le scienze empiriche e la matematica invece hanno a che fare solo con pseudoconcetti che non giungono mai ad universalità e quindi non rientrano, se non nella forma dell’utilità, nell’attività dello spirito. Nella Filosofia della pratica è confermata la

determinazione dell’attività economica come rivolta a fini particolari, privi di valore morale, e quella dell’attività morale come rivolta all’universale.

Mentre l’attività teoretica è sempre vera, è anzi la verità nel suo svolgersi, l’errore risale soltanto alla pratica, allorquando l’azione

conoscitiva è sospesa e si obbedisce solo a motivi pratici : in tal modo l’errore è spiegato senza il rinvio ad una realtà esterna allo spirito. Croce chiarisce inoltre che la volizione è un atto di libertà, mentre la non-libertà è deficienza interiore di volontà, così come il bene è realtà del volere.

All’attività economica (utile) è ricondotto il diritto , che costruisce nella legge modi di comportamento utili per mantenere l’ordine sociale e la convivenza civile. L’attività dello Stato non è subordinabile a categorie morali: lo Stato non è etico. Dando segno di realismo politico, Croce ritiene che sia vano ribellarsi all’autorità dello stato e, dando segno di conservatorismo, si schiera a favore di una politica di mantenimento dell’ordine e dell’autorità (posizione liberal-giolittiana). In questa

prospettiva sostiene la subordinazione degli individui, dei partiti e delle classi all’interesse generale rappresentato dal partito dei benpensanti di cui si sente parte. In quest’ottica egli accetta la prima guerra mondiale con un misto di fatalità, patriottismo ed idealità morale. Nel 1916 Croce pubblica il volume Teoria e storia della storiografia in cui è teorizzata la sua concezione della storia come sviluppo vivente dello spirito, inteso come attività e divenire. Dopo la prima guerra mondiale egli continua la sua vita di studioso scrivendo assiduamente sulla rivista Critica.

Pubblica ancora vari volumi tra i quali ricordiamo La storia come

pensiero e come azione (1938), che segna il distacco dal fascismo ed il passaggio ad una prospettiva anche pratica della storia. La storia di cui egli ha finora trattato è infatti la storia come opera dello storico, come rielaborazione storiografica; ora egli introduce anche una prospettiva della storia che consenta all’individuo di appellarsi ai valori morali della propria coscienza contro la storia che gli si vuole imporre con la

violenza. Accanto alla razionalità della storia, da cui derivava una accettazione passiva ed un senso di fatalismo, Croce prospetta ora anche l’idea di una razionalità dell’ideale morale. La storia perciò non è più soltanto “pensiero”, ossia giustificazione di tutto ciò che accade ed è accaduto, ma è anche “azione”, ossia iniziativa pratica guidata dalla responsabile scelta morale dell’individuo. In questa apertura della storia si giustifica l’attività antifascista e la resistenza alla tirannia.

Giovanni Gentile,

(1875-1944). Compie i suoi studi universitari presso la Normale di Pisa, dove viene a contatto con il pensiero di Spaventa e quindi con l’idealismo hegeliano. Insegna nell’università di Palermo, poi in quella di Pisa ed infine, dal 1917, in quella di Roma. Il suo primo lavoro (1898) è dedicato a Rosmini e Gioberti, opera in cui egli intende rivendicare alla recente filosofia italiana l’inserimento entro il generale pensiero europeo. Si dedica poi allo studio di Marx

pervenendo ad una conclusione affine a quella di Croce: la concezione marxista non può dirsi propriamente filosofica, sebbene vi sia in essa anche una intuizione filosofica là dove sostiene che la realtà è una produzione dell’uomo; ma contraddittorio è nel marxismo sostenere ad un tempo processo dinamico e materialismo, poiché dinamico è solo lo spirito. Gentile elaborerà la sua dottrina attualistica negli anni che vanno dal 1912 al 1917. Pertanto il suo pensiero è già completamente

sviluppato ben prima dell’avvento del fascismo.Tra le sue opere : L’atto del pensiero come atto puro (1912); La riforma della dialettica

hegeliana (1913); Teoria generale dello spirito come atto

puro (1916); Sistema di logica come teoria del conoscere (I° volume 1917; II° 1921). Per Gentile la vita dello spirito si presenta come attività, il cui vero principio è l’atto del pensare puro e semplice. Tale attività, anteriore a tutti i contenuti di pensiero, non può mai essere ridotta a dato, essere oggettivata, poiché ogni oggettivazione sarebbe di nuovo prodotto di un atto pemsante. In conclusione, l’attività che pensa è sempre distinta ed anteriore ad ogni “pensato” e non può mai essere

ridotta a questo. Hegel aveva chiarito che la realtà è processo, divenire, e quindi attività; ma aveva poi concretato il pensare nel pensato ed esteso il processo dialettico anche al di fuori del pensiero, e così anche alla natura. L’unico divenire invece, per Gentile, è l’atto stesso della mente con cui essa pensa tanto l’essere quanto il non-essere. Perciò la riforma gentiliana della dialettica di Hegel consiste nell’attribuire soltanto al pensiero il movimento dialettico. Con ciò, tutto il reale è sempre e solo ricondotto all’atto pensante che pone, al suo interno, sia la natura che la storia. Mentre Croce ha una visione più statica dello spirito,

Gentile sfocia nell’attualismo, cioè alla filosofia per cui la realtà è tutta e sola nell’atto con cui viene posta. In ambedue i filosofi, tuttavia, lo spirito non è riscontrato nella complessità dell’universo naturale ed umano, come nella filosofia hegeliana, ma contratto nel suo atto creativo. Il principio fondamentale dell’attualismo è dunque la distinzione tra pensiero pensante e pensiero pensato. Tutto quello che si pensa è pensato in un pensiero attuale che lo definisce ed in cui trovano posto tutti i pensati e tutte le determinazioni. Il pensiero pensato, o astratto, è molteplicità, il pensiero pensante, o concreto, è unità che si svolge e che pone tutto il molteplice. Il pensiero pensante è l’universale che

abbraccia tutto e che è anche il pensiero mio, tuo, di chiunque: tutti i pensieri pensati dai singoli individui sono infatti membri organici

dell’unità immanente dell’unico ed assoluto pensiero pensante (si

ricordi che per Hegel lo spirito universale è operante in ogni individuo!).

La natura è il pensiero fissato nel suo contenuto, quando non si tiene conto dell’atto che lo ha pensato. Gentile rifiuta la natura come qualcosa di autonomo ed esistente al di fuori dello spirito, proprio perché la stessa indipendenza ed esteriorità della natura sono poste dallo spirito. Alla base di tutto sta sempre il rilievo che la coscienza in quanto oggetto di coscienza non è più coscienza; non più soggetto ma oggetto; non più io ma non-io. Il punto di vista trascendentale è, per Gentile, quello che si coglie nella realtà del nostro pensiero, quando lo si consideri non come atto compiuto, ma come atto in atto. L’atto pensante riduce a suo

oggetto tutto, anche la storia ed il passato; vera storia, anzi, è l’attività del pensare che non si trova nel tempo, ma che dà origine al tempo collocandovi tutti i dati del pensiero pensato; tutto il tempo si risolve quindi nella contemporaneità dell’atto pensante.

Gentile ha anche prospettato distinti aspetti dell’atto del pensare, anche se tali aspetti non hanno realtà alcuna fuori dell’atto pensante stesso:

tali aspetti sono la soggettività dell’arte (in essa si ha esaltazione del soggetto e della sua libera creatività), l’oggettività della religione (in essa

il soggetto è negato fino a farne creazione dell’atto da parte di un altro, cioè Dio), l’assolutezza della filosofia (consapevolezza che l’atto non si può isolare né in una dimensione soggettiva né in una dimensione oggettiva). La filosofia attualistica di Gentile non si presenta come una teoria dell’atto che si risolva nella contemplazione del medesimo, ma essa postula il suo farsi, cioè la necessità consapevole dell’atto del suo doversi fare, una volta che si tenga conto che l’atto è il principio creativo assoluto: questo è ciò che Gentile considera come religiosità della vita.

Egli elimina ogni trascendenza religiosa e non ammette altra

trascendenza che quella dell’atto rispetto a tutti i dati. Gentile ha anche dedicato degli scritti al problema religioso, a quello estetico, a quello pedagogico. In quest’ultimo campo egli sostiene una forma di

autoeducazione, insistendo sulla secondarietà di ogni azione esercitata dall’esterno sulla formazione dell’educando.

Nella dialettica dell’atto trovano anche giustificazione il diritto e la politica, nel senso che diritto e stato comportano un limite alla volontà del soggetto; ma l’unico limite reale all’atto pensante, che è libertà e moralità insieme, non può nascere che dall’interno dell’atto stesso:

pertanto nel diritto e nello stato non si ha che l’oggettivazione esterna dei limiti che l’atto stesso si pone. Di conseguenza, l’unica riforma dello stato si ottiene lottando contro contro la propria passività, di cui leggi e stato possono essere l’esteriore espressione, e conseguendo un

accrescimento della vita interiore del pensiero. In sostanza, Gentile non conosce altro imperativo che «sii atto» e ritiene di poter risolvere con esso tutti i problemi concreti della vita.

Non bisogna dimenticare tuttavia che l’atto cui Gentile si riferisce non è quello dei singoli individui concreti, ma l’atto pensante universale, di cui egli ritiene che gli individui siano espressione, nello stesso modo in cui i particolari esemplificano il concetto universale! Di tale universalità è concretizzazione ed espressione lo Stato, che è l’individuo stesso nella sua universalità, e che ha il compito di contemperare nelle leggi i principi della libertà e dell’autorità con criteri storici di opportunità. Lo Stato è quindi uno Stato etico che ha in sé una legge universale, un imperativo categorico che non può essere altro che la moralità. Su questi

presupposti, Gentile veniva riaffermando il principio, già hegeliano, per cui lo Stato è tutto e l’individuo nulla; tutto è nello Stato e nulla è fuori di esso (principio che il fascismo fece suo!). Nel saggio scritto negli anni della guerra civile in Italia, Genesi e struttura della società (1943), Gentile si dà ancora a criticare la concezione individualistica del

liberalismo in cui i singoli sono ciascuno a sé stante ed il potere ha solo il compito di coordinare le libere attività dei singoli. Proprio a causa dell’estrema generalità con cui la dialettica dell’atto si configura nei

confronti del diritto e dello stato, Gentile non fu mai in grado di avvertire i problemi relativi al rapporto fra individuo e stato e fra individuo e società, restando completamente senza difesa efficace nei confronti del

fascismo, al quale, forse per un senso morale di coerenza, egli ritenne anche all’ultimo di dover riconfermare il consenso.

OSSERVAZIONI su Croce e Gentile (note per una discussione)

Croce - Il quotidiano cade, per Croce, nell’ambito dell’intuizione e lì rimane; non è oggetto di concettualizzazione. Il quotidiano, del resto, ha a che fare con i particolari, come l’arte e l’economia. Con l’attività

intellettuale si passa invece all’universale. La chiave di lettura

particolari/universale percorre tutto il pensiero crociano. Tanto l’attività teoretica quanto quella pratica hanno un ambito di attività in cui domina l’intuizione del particolare ed un ambito in cui domina l’universale

(filosofia, morale).La vita concreta è dunque affidata all’attività intuitiva, dove si rivela anche l’intimo ed il privato. Nella attività teoretica si passa all’universale mediante i concetti logici e l’attività dello spirito universale, cioè il conceto puro e la storia. Nell’attività pratica, l’utile domina la sfera dei fini limitati, dell’organizzazione sociale; la morale è l’ambito di

tensione all’universale. Si ha dunque netta separazione tra teoria e prassi, ma in ambedue opera la dialettica dello Spirito. La visione di Croce è quella dell’uomo di studio, dello storico che riannoda

dialetticamente i fili di una storia che altri hanno fatto (gli uomini del passato d esempio). Un intellettuale di altri tempi, imbevuto di spirito romantico-idealistico, inserito in un clima di tipo risorgimentale dove il processo storico può ancora essere visto come progressiva

affermazione dellalibertà dello spirito, uno spirito universale di cui gli individui sono partecipi ma quasi posseduti. Si tratta di un clima in cui ancora l’intellettuale liberale poteva credere che lo Stato rappresentasse lo spirito universale del popolo e che quindi la storia, fatta dagli Stati, fosse una storia fatta da tutti gli uomini, la realizzazione di una libera volontà comune dialetticamente raggiunta. La realtà del fascismo e del nazismo lo indurrà a modificare il suo punto di vista, contemplando, accanto alla storiografia, la concreta prassi che richiede decisioni e scelte.

Gentile - L’attualismo è unione di teoria e prassi poiché il pensiero è attività, movimento che trascina l’azione e che è già, di per sé, azione.

Tuttavia, l’atto pensante è l’atto puro, universale nella sua attualità di atto, ma tale, nella sua purezza, da poter contenere e giustificare tutti i contenuti. La storia è pertanto creazione dell’atto, pensiero pensato, come sono pensieri pensati la scienza, la natura, l’umanità, l’universo.

Tuttavia, l’atto pensante è l’atto puro, universale nella sua attualità di atto, ma tale, nella sua purezza, da poter contenere e giustificare tutti i contenuti. La storia è pertanto creazione dell’atto, pensiero pensato, come sono pensieri pensati la scienza, la natura, l’umanità, l’universo.

Nel documento La filosofia da Kant ai nostri giorni (pagine 49-57)

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