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La filosofia da Kant ai nostri giorni

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(2015-2016)

La filosofia da Kant ai nostri giorni

Periodo. Seconda metà del XVIII- XIX sec.

Rivoluzione francese : iniziata con la proclamazione degli Stati

Generali del 1789, toccò il culmine della violenza negli anni 1792-93, in cui si affermarono il Terrore giacobino e la dittatura di Robespierre, che videro la fine il 27 luglio del 1794 (9 termidoro). Vi successe il periodo del Direttorio (1795) con una nuova Costituzione. Nel frattempo la Francia combatteva contro la I° Coalizione degli stati europei che vedevano nella Rivoluzione francese un pericolo per la loro stessa

stabilità. Nell’ambito di tali guerre (vi saranno ben sette coalizioni contro la Francia nel periodo 1793-1815!) si afferma il genio militare

di Napoleone ed inizia la sua rapida ascesa: I° Console nel 1799;

imperatore nel 1804. Gli anni 1800-1815 sono segnati dalle campagne napoleoniche e delle sue rapide conquiste, fino alla devastante

campagna di Russia (1812-13) ed alla sconfitta di Waterloo (1815). Al governo di Napoleone Bonaparte ed alla sua dittatura militare si giunse dietro la spinta della borghesia, che, contraria a nuove esperienze giacobine, era disposta, per conservare i propri privilegi, a fare causa comune con l’aristocrazia, decisa però ad impedire a quest’ultima una eccessiva affermazione. L’ordinamento napoleonico conserva e diffonde tuttavia anche alcuni principi della rivoluzione. Alla caduta di Napoleone succede un periodo di Restaurazione (Congresso di Vienna 1815) che riconduce l’Europa nel clima dell’assolutismo e della reazione ispirato alla Santa Alleanza. Con la Restaurazione ed il ritorno alle antiche dinastie, si rivendicano il diritto divino dei re e l’esercizio del potere

assoluto, mentre il generale risveglio religioso offre alla conservazione il sostegno dell’altare, sia pure in un clima di reciproca diffidenza. Tale indirizzo conservatore favorì il richiamo alla tradizione e lo sviluppo di spiriti nazionalistici, che si concretizzarono ben presto (dal 1830 e specialmente nel 1848) in rivolte e colpi di stato (moti e guerre di

indipendenza). La prima metà del secolo vede rinnovati periodi di moti insurrezionale e di reazione alla Restaurazione. In Francia, dove erano tornati i Borboni, la reazione porta alla rivoluzione del 1830, quando salì

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al trono Luigi Filippo d’Orleans. Un nuovo slancio rivoluzionario solleva la quasi totalità dei popoli europei nel 1848, anno in cui giunge a

compimento la fase storica nella quale l’iniziativa popolare ha il sopravvento sul conservatorismo della borghesia e della nobiltà.

La Francia instaura, nel 1848, un regime repubblicano, che cerca

tuttavia di mantenere un moderato controllo sul movimento democratico, temendone gli eccessi. Ad esso seguirà (1852) l’impero di Napoleone III fino alla sua disfatta a Sedan nel 1870.

L’Inghilterra promuove una vasta attività di riforme e giunge

all’abolizione della schiavitù, alla legge sul lavoro nelle fabbriche ed a quella sui poveri.

La Germania evolve dalle agitazioni liberali del 1830 alla proclamazione dell’unità nazionale.

Per l’Italia è il periodo del Risorgimento, dell’attività mazziniana della Giovane Italia, e del movimento neo-guelfo del Gioberti. Si giunge poi al biennio delle riforme ed alle guerre di Indipendenza; la seconda metà del secolo XIX vedrà la progressiva realizzazione di uno Stato unitario.

La spinta romantica europea, iniziata al principio del secolo, giunge verso la metà di esso al suo apogeo ed al suo esaurimento. Grazie ad essa tuttavia si affermano i movimenti di ispirazione nazionale volti a rivendicare maggiore libertà ed autonomia. Compie progressi l’idea liberale-democratica ed infine acquista consistenza il movimento

proletario-socialista. I più rilevanti risultati si hanno nei paesi a maggior sviluppo industriale, come l’Inghilterra e la Francia; ma ormai anche Belgio e Germania avanzano nella stessa direzione. Si estende l’industrializzazione e l’organizzazione capitalistica della produzione, mentre si accentuano le condizioni di oppressione del proletariato, il quale inizia ad organizzarsi incontrandosi con le idee socialiste. In Inghilterra opera il movimento operaio cartista; in Francia si allarga il socialismo utopistico e il sansimonismo; infine, nel 1848, si giunge al Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels ed alla definizione del socialismo scientifico. Il periodo che corre dal 1848 è caratterizzato da grandi impegni costruttivi, quali l’unificazione dello Stato italiano, la creazione del Reich tedesco sotto la guida della Prussia (unificazione animata da principi reazionari e nazionalistici), il secondo impero

francese e la sua successiva cadutra, gli ampi colonialismi, gli sviluppi liberali ed imperiali durante i governi di Gladstone e di Disraeli in

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Inghilterra (regina Vittoria / 1837-1901). Si aggiungano le trasformazioni interne della Russia zarista, l’ascesa degli Stati Uniti d’America dopo la guerra di secessione ed il trionfo del dispotismo illuminato in Giappone.

L’industrializzazione procede a ritmo vertiginoso; è il periodo delle ferrovie, della meccanizzazione nell’agricoltura, del rafforzamento dei mercati. Dopo il 1873 si delineerà invece un periodo di depressione economica con gravi conseguenze per le classi più deboli. Nel 1864 a Londra si avrà la fondazione della Prima Internazionale ispirata al marxismo.

Grande sono lo sviluppo ed il progresso scientifico. In filosofia è il periodo dell’affermazione del positivismo, sebbene ovunque sia presente la resistenza dell’indirizzo spiritualistico romantico..

Cultura - In tutta Europa la guerra contro la Francia e Napoleone assunse l’aspetto di lotta generale contro la ragione e la filosofia.

In Francia le giornate del termidoro capovolsero in breve tempo l’atmosfera del paese, mutando profondamente l’atteggiamento verso il patrimonio ideologico della rivoluzione. Tale mutamento si fa particolarmente sensibile con la soppressione dell’Accademia delle scienze morali e politiche e con il divieto di scritti filosofici. Alla fiducia nella ragione subentra l’ossequio ai valori tradizionali ed al potere.

Viceversa, le scienze poterono sopravvivere e prosperare, mantenendo una rigorosa neutralità ideologica. In Inghilterra si ha una analoga reazione alle idee illuministiche. Si diffonde tra i ceti dirigenti il movimento antigiacobino che combatte la tolleranza verso la libertà di pensiero. L’indifferentismo religioso tende ad essere considerato sedizioso ed antipatriottico. Di conseguenza, dalla fine del’700 la filosofia si sposta in Germania, dove la congiuntura è molto favorevole.

Qui la rivolta contro l’illuminismo francese e inglese era iniziata già da decenni e perciò non vi sono particolari motivi di diffidenza verso la filosofia; vi si afferma una nuova ideologia capace di esprimere le aspirazioni germaniche, e che ispirerà le guerre antinapoleoniche del 1813-1815. In particolare, si afferma in Germania, inserendosi nell’ultima fase dell’illuminismo tedesco, il movimento romantico che provoca una frattura rispetto alle concezioni empiristico-razionalistiche degli illuministi francesi ed inglesi, ed anche rispetto al kantismo, ed un ritorno alla speculazione metafisica.

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Romanticismo. Come l’illuminismo ed il cosmopolitismo avevano fornito il retroterra ideologico della rivoluzione francese e della cultura antidogmatica e laica, il romanticismo ed il nazionalismo costituiscono ora il quadro culturale della restaurazione, sia pure con molte interne contraddizioni, essendo esso, ad un tempo, reazione, modificazione e continuazione dell’illuminismo. Il romanticismo si caratterizza per l’esaltazione della fantasia e del sentimento, capaci di suscitare entusiasmi e passioni, di contro alla ragione. Laddove l’illuminismo era soprattutto critica dei valori tradizionali in ogni campo, filosofico, politico, etico e religioso, facendo valere il giudizio libero della ragione e vedendo nel passato un insieme di errori e di pregiudizi, il romanticismo si ricollega al passato vedendovi l’esplicarsi di una direzione di progresso, cosa che, nell’ambito degli studi, si traduce nella valorizzazione di ogni ricerca storica (particolarmente studiata l’epoca medioevale proprio per gli aspetti mistici ed irrazionali della sua cultura). In tali studi tende a prevalere una chiara coscienza dell’evoluzione della storia e della società, nella quale vive ancora il fermento positivo dell’illuminismo. Il romanticismo, che interessa la produzione artistica, letteraria, storica e filosofica, attraversò diverse fasi: da quella dello Sturm und drang esaltatrice dell’arte al di là di ogni freno morale, a quella più marcatamente sentimentale-religiosa, e a quella, infine, razionalistico-filosofica che trova la sua massima espressione in Hegel. In campo filosofico, lo spirito romantico si afferma con l’idealismo, il quale, nato come superamento della dottrina di Kant, ha appunto in Germania la sua principale affermazione. I temi fondamentali del romanticismo possono essere così riassunti:

1) tema della libertà nazionale, che in Germania sorge contro la minaccia dell’occupazione napoleonica. Tale tema si trasforma rapidamente nella difesa generale di tutto quanto possa apparire patrimonio tradizionale di un popolo (costumi locali, culti, poesia nazionale, miti e leggende popolari, ecc.), aprendo la via anche ad esasperate esaltazioni e chiusure nazionalistiche sulle quali si innesterà in Germania il germe nazista.

2) antirazionalismo, che ebbe due caratteri: uno di aperta ribellione contro la ragione; l’altro di anelito verso l’infinito e l’eterno, che sarà soddisfatto o con la fede, o con il sentimento, o con la fantasia o con l’intuito: di qui l’identificazione della filosofia ora con la religiosità, ora con l’amore, ora con l’arte; di qui anche la valorizzazione di ciò che vi è di più immediato e istintivo nell’uomo.

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3 divinizzazione della natura, con cui la concezione romantica si inserisce nella tradizione del panteismo filosofico-religioso: i fenomeni sensibili sono intesi come simboli del sovrasensibile, e le forze fisiche come rivelazione dell’unica forza spirituale che pervade l’universo.

Spinoza, Bruno e Rousseau sono gli autori preferiti per la loro intuizione dell’infinito nel finito.

4) polemica contro le scienze, la meccanica in specie, cioè un motivo anti-illuministico. Si tenta addirittura di elaborare una scienza alternativa, dove la natura è esaltata come divenire perpetuo, di creatività senza limiti, ed è negato alla ragione il potere di coglierne i processi, sui quali solo l’intuizione può muoversi.

Si ricordano tra i romantici tedeschi, Goethe, Schiller, i fratelli Schlegel, Novalis, Hölderlin, ed il filosofo Schleirmacher. Fra i romantici francesi, M.me de Staël e Chateaubriand; tra gli inglesi, Coleridge e Carlyle; tutti per lo più letterati e poeti in cui il misticismo della natura si connette con un atteggiamento sostanzialmente antiscientifico.

Idealismo - L’università di Jena fu il primo centro di diffusione e di approfondimanto della filosofia kantiana, e soprattutto nel suo ambito si formarono, accanto ai prosecutori, critici e riformatori della scuola kantiana, come Reinhold, Schulze, Maimon, e Humboldt, i principali rappresentanti dell’idealismo, Fichte, Schelling e Hegel. In breve tempo, Jena divenne, da principale centro del kantismo, il maggiore centro del romanticismo tedesco. La discussione, pro e contro, sulla filosofia kantiana si accentrò, quasi paradossalmente, proprio su quel concetto che Kant aveva posto come limite invalicabile della conoscenza, cioè il noumeno, la cosa “in sé”. La reazione a tale idea rappresenta sostanzialmente un radicale capovolgimento del kantismo ed un ritorno alla metafisica, oppure, come nel caso isolato di Schulze, un ritorno ad Hume. Tema basilare di tutto l’idealismo è il rapporto molteplicità/unità.

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Giovanni Amedeo Fichte

( 1762-1814) – Compiuti i suoi studi a Jena ed a Lipsia, fu per vari anni precettore privato. Nel 1791 sottopose a Kant un suo primo saggio, Ricerca di una critica di ogni rivelazione, che Kant apprezzò e che, pubblicato anonimo, fu creduto per vario tempo scritto da Kant. Nel 1794 divenne docente di filosofia presso l’università di Jena. Nello stesso anno il re di Prussia esprimeva la censura contro Kant per la pubblicazione della seconda parte de La religione entro i limiti della semplice ragione, e Fichte prese apertamente la difesa di Kant. Schierandosi contro il regime reazionario prussiano, scrisse alcune coraggiose pubblicazioni volte a correggere i giudizi dei compatrioti sugli avvenimenti rivoluzionari della Francia. Ma egli stesso fu vittima della reazione: nel 1799 fu accusato di ateismo e dovette abbandonare la cattedra. Trascorse alcuni anni a Berlino, dove entrò in stretti rapporti con il circolo romantico della rivista Athenaeum.

Nel 1805 fu nominato professore a Erlangen. Durante l’invasione napoleonica, Fichte si ritirò a Königsberg, ma tornò di nuovo a Berlino (1807-8) per pronunciarvi i famosi Discorsi alla nazione tedesca, nei quali, di fronte alla completa disfatta tedesca, egli proclamava essere ancora possibile, mediante l’educazione, creare una nuova generazione capace di risollevare le sorti della nazione e realizzare il primato dello spirito tedesco. Nel 1810 l’università di Berlino, appena fondata, assegnò a Fichte una cattedra; poco dopo egli ne divenne rettore. Morì nel gennaio del 1814. La sua opera più importante reca il titolo di Fondamenti della dottrina della scienza ed è stata più volte rielaborata dal 1794 in poi. Sviluppo di tale opera sono sia i Fondamenti del diritto naturale (1796), sia il Sistema della dottrina morale (1798).

Il punto di partenza della concezione di Fichte può essere cercato nella sua critica del kantismo, la quale tuttavia intende rimanere entro i limiti della filosofia trascendentale. Non si tratta quindi per lui del problema della cosa in sé, di fronte alla quale lo scettico avrebbe sempre partita vinta, quanto della questione del nostro sapere e delle leggi che lo regolano. Si tratta cioè di sviluppare, muovendo dalla coscienza delle forme a priori, quell’analisi critica che dà appunto luogo alla dottrina della scienza. Kant avrebbe infatti lasciati aperti dei problemi che riguardano il nostro sapere, ad esempio il problema del modo in cui l’intelletto possa applicare forme universali e necessarie ad oggetti particolari e contingenti, lasciando così una frattura tra materia e forma che non si vede come possa essere colmata mediante lo sviluppo dell’azione conoscitiva con la quale le forme apriori sono applicate ai dati dell’esperienza: questi ultimi infatti, come Kant aveva sottolineato,

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non vengono mai esauriti e non si ottiene mai una coincidenza completa di “dato” e “pensato”. L’esperienza, cioè, sfugge sempre all’azione generalizzatrice dell’intelletto. D’altra parte, rinunciare all’azione unificatrice del pensiero significherebbe abbandonare l’io come libertà e creatività, che Kant aveva posto al centro della sua dottrina morale, e che costituisce il fondamento dell’idealismo pratico di Fichte. Idealismo è, in sostanza, la filosofia che subordina il materiale alla pura legge formale e che non è disposta a riconoscere la supremazia del dato:

ognuno avverte immediatamente la propria indipendenza da tutti i contenuti di esperienza ed è in questa eperienza interna della propria libertà che Fichte pone la giustificazione dello stesso processo conoscitivo. Ma l’idealismo può essere dogmatico laddove si ritenga che tale subordinazione sia effettivamente conseguita; si tratta invece di idealismo pratico laddove si ritenga che la subordinazione non possa mai essere oggetto di conoscenza, ma debba sempre essere di nuovo realizzata, in campo pratico, come espressione di libertà. Contrapposta all’idealismo è infine ogni filosofia dogmatica che, come il realismo, subordina il formale al materiale e intende la coscienza come rispecchiamento del dato.

Onde evitare la staticità del dogmatismo, l’indagine filosofica dovrà quindi configurarsi come continuo e ininterrotto processo; non più come anatomia delle forme dello spirito, ma come lo studio della sua libera e originaria attività, lo studio dei gradi attraverso cui lo spirito, cioè l’Io, produce l’essere quale momento del pensiero. Per far ciò occorre cogliere l’Io nella sua forma pura e originaria, cioè come sarebbe senza alcuna esperienza. L’Io cui Fichte si riferisce non è l’io empirico, individuale, ma l’Io puro, infinito, assoluto, cioè la soggettività in genere.

Tale Io puro vuol essere un approfondimento dell’Io penso di Kant, rispetto al quale presenta una sostanziale innovazione: mentre per Kant le categorie avevano la funzione di unificare il molteplice dell’esperienza, per Fichte esse hanno il compito di moltiplicare l’Io, cioe di passare dall’Io assoluto ai molteplici io empirici: “esse sono i modi secondo i quali l’Io si divide in un molteplice pur rimanendo uno”. Fichte ritiene di poter cogliere la forma pura e originaria dell’Io nella legge del dovere, che troviamo in noi “come dato di fatto”, ma che non può assolutamente essere derivata da alcuna esperienza, essendo di natura del tutto diversa. In tal modo Fichte ricorre al principio della libertà per risolvere il problema dell’unità del sapere, applicando il primato della ragion pratica su tutto il sapere. Se, nell’ambito della conoscenza, non si trova alcuna ragione che giustifichi il rinnovato tentativo di unire materia

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e forma, legge a priori e dato empirico, tale giustificazione si può trovare, per Fichte, nella coscienza della libertà, che vuole che l’indipendenza della coscienza sia affermata come compito che non ammette soluzione; necessariamente la libertà deve esplicarsi come tale, contrapponendo la propria inziativa a tutti i contenuti passivi della coscienza.

La dottrina della scienza. Per Fichte la filosofia deve costituire la scienza di tutte le scienze, e, come ogni scienza deve avere carattere sistematico e dei principi fondamentali dai quali sia possibile ricavare tutti i principi e tutte le leggi della scienza.

Il principio supremo di tutto il sapere non può essere, per Fichte, che il principio di identità: “Io sono Io”, ovvero l’Io pone se stesso. A tale principio Fichte ne fa seguire altri due: il secondo principio è costituito dalla posizione del non-Io da parte dell’Io nell’io stesso: “l’Io pone il non- Io nell’Io”. L’Io puro compie una azione riflessiva dalla quale si genera la coscienza dell’oggetto esterno come avvertimento di un limite della propria soggettività. Il terzo principio suona: “l’Io oppone, nell’Io, all’Io divisibile un non-Io divisibile”. Il non-Io costituisce un limite dell’Io, ma l’Io così limitato non può più identificarsi con l’Io assoluto, bensì con l’Io divisibile e finito, cioè il soggetto empirico. In altri termini, l’Io assoluto, nel porre il non-Io, deve porre se stesso come finito. Tale Io finito ed il non-Io, che esistono soltanto nell’Io assoluto, vengono opposti fra loro come limiti reciproci. Dal frazionamento dell’Io e del non-Io ha origine la molteplicità delle coscienze e delle esistenze particolari. Fichte ritiene che non sia possibile spiegare la coscienza delle nature finite se non si ammette una forza indipendente da essa, il non-Io, dalla quale tali nature dipendono per quanto riguarda la loro esistenza empirica. Ma tale forza e tali nature esistono unicamente in quanto poste dall’Io assoluto. Fichte ha a che fare con gli stessi termini kantiani, ma la preoccupazione di Fichte è quella di dedurre quei termini da un unico principio: con il primo principio (tesi) è indicata la deduzione della categoria kantiana della realtà, mentre con l’antitesi è indicata quella della negazione; con la sintesi viene giustificato l’io trascendentale come principio finito delle rappresentazioni. Qui si trova giustificata anche la categoria della causalità. Tesi e antitesi designano momenti opposti della storia dello spirito; solo con la sintesi si stabilirà tra loro un collegamento che riporterà continuità là dove vi era opposizione. I tre principi ora enunciati costituiscono il nucleo del metodo di indagine filosofica di Fichte, chiamato “metodo antitetico”. Sulla sua base egli

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ritiene di poter dedurre il principio dell’autocoscienza e dimostrare che l’intero sistema dell’esperienza è necessitato dall’autocoscienza. Fichte ricava quindi, per successive applicazioni del suo metodo antitetico, i vari gradi dello spirito: sensazione, intuizione, immaginazione, intelletto, giudizio, ragione; una intera metafisica, non dell’essere, ma della mente.

Idealismo pratico. L’Io puro è dunque spinto alla sua attività da un impulso pratico; il senso del dover agire è esigenza pratica, non oggetto conoscitivo: “ tutto ciò che è può venire inteso solo in virtù di ciò che deve essere”. L’esigenza pratica è il dovere assoluto di riaffermare all’infinito la libertà. Se così la conoscenza si spiega come esigenza di libertà, la libertà non ha bisogno di nessuna giustificazione. L’assoluta evidenza del dovere è dunque il punto oltre il quale non si può andare.

L’azione dell’Io puro consiste nel superamento progressivo dei limiti che egli stesso si è posto con il non-Io. L’azione determinata è naturalmente sempre azione dell’io empirico, ma questo trova in sé due generi di impulsi: l’impulso puro, che è assoluta libertà, e l’impulso sensibile che dipende dal mondo naturale. Ma i due impulsi non sono indipendenti e trovano la loro unificazione nell’impulso morale, che consiste nella subordinazione del sensibile all’impulso puro. Il dovere morale è tensione verso il raggiungimento della libertà assoluta. Naturalmente questo fine non può essere effettivamente raggiunto e l’io empirico non potrà che avvicinarsi incessantemente ad esso; tuttavia le azioni saranno considerate tanto più morali quanto più tenderanno a realizzare il fine della libertà. Rispetto a Kant, l’etica di Fichte non si presenta fondata su un imperativo categorico puramente formale. Qui il contenuto è l’attività stessa ed il dovere consiste nell’esplicare la massima attività per superare la propria finitezza, per tendere alla libertà assoluta. Di conseguenza, il male consisterà nell’accidia, nell’inerzia, nell’incapacità di sollevarsi al di sopra del “dato”.

Politica. Anche l’esistenza di diversi io empirici è giustificata da un’esigenza di carattere etico: il singolo non può affrontare da solo la lotta per superare i limiti della propria finitezza, ma necessita di cooperazione da parte di altri; perciò è uomo soltanto chi vive tra altri uomini. Ciò induce Fichte ad aggiungere una dottrina politica alla sua etica. Il diritto nasce come esigenza di garanzia della libertà di ogni singolo e lo Stato come autorità in grado di far rispettare il diritto. La dottrina del diritto e dello Stato è però completamente distinta dal’etica.

La concezione politica di Fichte è palesemente orientata verso un socialismo di Stato. Fichte passa poi ad attribuire ai popoli una effettiva

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realtà spirituale , da cui si origina la distinzione tra Patria e Stato. Patria è essenzialmente una realtà spirituale che si fonda sulla storia spirituale dei popoli; perciò il suo confine può non coincidere con quello dello Stato, perché è basato sulla tradizione e sulla fede del popolo.

Esiti mistici del pensiero di Fichte. Nelle opere successive al 1800 appare chiaramente un progressivo orientamento mistico-teologico, che ha carattere spiccatamente romantico. La funzione attribuita precedentemente all’Io puro passa ora all’essere divino. In particolare, la storia del mondo è presentata come progressiva rivelazione della divinità. Sotto questo impulso mistico, si ha negazione completa del valore del mondo e perfino del sapere e la coscienza è ridotta a strumento della rivelazione divina. Fichte fonde ora il suo misticismo con la polemica contro l’illuminismo, che egli accusa di essere incapace di cogliere il senso spirituale dell’universo. Anche l’etica assume carattere religioso e l’azione morale è considerata una rivelazione diretta di Dio.

Federico Guglielmo Schelling,

(1775-1854) - Studia teologia, matematica e scienze naturali a Tubinga, dove si stringe in amicizia con Hegel. Tra i filosofi predilige Kant, Fichte e Spinoza. Dopo un periodo a Lipsia, come precettore privato, insegna dal 1798 al 1803 all’Università di Jena, dove si accosta ai circoli romantici. Questi furono gli anni più fecondi della sua produzione filosofica.

Negli anni del suo insegnamento a Würzburg (1803-1806) si volge ai problemi religiosi studiando i mistici. Dal 1806 al 1841 vive a Monaco come segretario dell’Accademia della Scienze, e successivamente come professore. Dal 1809 egli cessa quasi del tutto la sua attività di scrittore; anche i suoi legami di amicizia, sia con Fichte che con Hegel, erano terminati da vari anni. Segue un lungo periodo di isolamento, durante il quale impera in Germania la dottrina di Hegel. Nel 1841 è chiamato ad assumere presso l’università di Berlino la cattedra già tenuta da Hegel (morto nel 1831). Schelling cessa le sue lezioni universitarie, che avevano avuto totale insuccesso, nel 1847 e muore nel 1854, dopo aver capitanato, nell’Università di Berlino, la generale reazione alla filosofia hegeliana. Tra le sue opere ricordiamo: Filosofia della natura (1797), con varie successive rielaborazioni; L’anima del mondo (1798); Il sistema dell’idealismo trascendentale (1800). Con

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Schelling si torna ad una metafisica dell’essere, dopo la metafisica della mente di Fichte.

La concezione fichtiana della filosofia come ricostruzione della storia dello spirito è sostanzialmente accettata da Schelling; ma egli rivolge a Fichte due critiche. La prima riguarda il posto della natura: nella dottrina di Fichte, infatti, la natura non ha un posto autonomo, in quanto vi trova posto soltanto come non-Io, limite che consente alla libertà dell’io di esplicarsi. La natura non è perciò, nel sistema di Fichte, che uno strumento dell’attività dell’Io. Pur concordando che il concetto di libertà sia il principio di ogni filosofia e che il passaggio da una considerazione empirica a quella filosofica delle cose sia dato dalla capacità di rendere l’io indipendente dal dato empirico e di intendere che il riconoscimento del dato ha il suo fondamento nell’attività originaria, Schelling non può ammettere che la radice originaria dell’unità tra soggetto e oggetto sia l’Io assoluto, che gli appare, anzi, un concetto arbitrariamente costruito dal filosofo e non un concetto ricavato dalla realtà. Per produrre una filosofia veramente oggettiva, gli sembra necessario astrarre non solo dal contenuto dell’intuizione, ma anche dall’intuente, cosa che Fichte non fa. La seconda critica riguarda la pretesa di Fichte di ricavare il finito (l’io ed il non-io divisibili) dall’Io puro. Questa operazione sembra a Schelling artificiosa e fittizia, riducendosi in definitiva alla negazione del finito stesso: che consistenza può infatti avere tale finito se esiste soltanto nell’Io puro che lo pone?

Filosofia dell’Identità e filosofia della natura. La novità della posizione di Schelling rispetto a quella di Fichte sta nel rifiuto categorico a questa nullificazione della natura e sorge proprio come affermazione della realtà sostanziale ed assoluta del processo naturale. Questo processo è antecedente alla riflessione dell’Io, ma è esso stesso spirito, ancora inconscio, ma in moto verso la coscienza. L’omogeneità tra natura e coscienza spiega la possibilità, per lo spirito cosciente, di penetrare la natura oggettiva: la spiegazione ultima del problema della natura risiede, per Schelling, nella identità assoluta tra natura e spirito.

L’errore fondamentale dell’idealismo trascendentale consiste per Schelling nell’identificazione della natura con la riflessione del soggetto sulla natura, e nella conseguente pretesa di spiegare la natura mediante le condizioni cui tale riflessione sarebbe subordinata. Si torna invece, con Schelling, dalla dottrina (trascendentale) della conoscenza ad una metafisica ontologica. La filosofia ha dunque il compito di ricostruire, non più soltanto la storia dello spirito, ma la storia di tutte le tappe

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percorse dalla realtà. La filosofia si scinderà perciò in due fasi fondamentali: 1) la filosofia della natura, ossia lo studio delle tappe con cui l’assoluto si realizza nella natura; 2) la filosofia dello spirito, ossia lo studio delle tappe attraverso cui lo spirito ritrova se stesso. Alla filosofia della natura Schelling attribuisce il compito di studiare, non solo gli accadimenti naturali, ma anche l’attività assoluta che sta alla base di tali accadimenti. Il principio originario della natura è “azione” e questa è connessa ad una generale finalità insita nella natura. Ne deriva un atteggiamento critico nei confronti delle scienze della natura, da Galilei a Newton, e l’esigenza di instaurare una fisica nuova, “speculativa”, basata su rapporti di forze: ogni fenomeno sarebbe pertanto la sintesi di due tendenze opposte. Nella sua filosofia della natura Schelling esprime la sua profonda adesione allo spirito romantico.

Lo sviluppo dell’assoluto. Il carattere più profondo dell’assoluto è, per Schelling come per Fichte, l’autocoscienza. Ma per Schelling tale autocoscienza contiene una antitesi tra due attività entrambe essenziali:

una attività reale, oggettiva, ed una attività ideale, soggettiva.

Riflettendo solo sulla prima si ha il realismo; riflettendo solo sulla seconda si ha l’idealismo. La vera filosofia è invece realismo-idealismo, cioè unità di finito ed infinito. Questa unità è il principio da cui inizia l’evoluzione dell’assoluto nel mondo dello spirito. Questo mondo risulta costituito da tre momenti fondamentali, corrispondenti alle tre attività caratteristiche della vita cosciente: conoscenza, azione, arte. Ciascuna di esse implica un particolare rapporto tra soggetto e oggetto. L’attività del conoscere tende a costruire nel soggetto delle rappresentazioni in accordo col mondo oggettivo; l’azione tende a tradurre nel mondo oggettivo le libere rappresentazioni del soggetto; l’arte, la più importante, tende a cogliere l’unità dello spirito con la natura, annullando l’antitesi tra teoria e pratica.

Esiti mistici del pensiero di Schelling. Dal 1804 Schelling mette al centro della sua riflessione filosofica il problema religioso. In questa fase tutto il sistema precedentemente ideato viene ad assumere un nuovo carattere che dipende dalla sempre più marcata identificazione dell’assoluto con il Dio delle religioni positive. Sorge allora il difficile problema di poter pensare l’assoluto in accordo con tali religioni, ed, in particolare, quello di ricavare il finito dall’assoluto; problema, che Schelling pensa di risolvere ammettendo in Dio una polarità, cioè ammettendo l’esistenza, in Dio, di un principio irrazionale accanto alla pura razionalità. Da questo principio trarrebbe origine il male e, con

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questo, il mondo degli esseri finiti. La storia del mondo diverrebbe pertanto la storia del ritorno degli esseri finiti all’infinito. Lo svolgimento della coscienza religiosa, dalle antiche origini al cristianesimo, non sarebbe altro che la lenta rivelazione della natura divina.

Giorgio Guglielmo Federico Hegel

– (1770-1831). Nato a Stuttgart da famiglia luterana di origine austriaca, studiò teologia a Tubinga, dove ebbe compagno di sudi Schelling. Si accende di entusiasmo per la rivoluzione francese e per la filosofia di Kant. Studia il mondo greco e le opere di Locke, Hume, Fichte. A Tubinga fa parte del gruppo dei “giovani kantiani” che vedono in Kant e nella rivoluzione francese i sostenitori della lotta della libertà e della ragione contro il dogmatismo.

Dal 1793 al ’96 è a Berna e dal ’97 al 1800 a Francoforte, come precettore privato. I suoi interessi vertono sulla religione e sul mondo greco, nel quale egli vede la realizzazione di una religione “popolare”

che unisce gli individui e fiorisce attraverso i costumi, le tradizioni e le idee della collettività. L’entusiasmo del giovane Hegel si indirizza così verso quell’unità spirituale che si incarna in un intero popolo come sintesi di ragione e di sensibilità. Anche Hegel, come gli altri idealisti, tende ad una comprensione unitaria del mondo, ossia alla comprensione della concreta vita spirituale dell’umanità nella totalità delle sue manifestazioni. Su questa strada gli si presenta l’idea del divino come assoluto che oltrepassa ogni divisione e opposizione, e lo sviluppo della realtà come richiamo alla processione teologica con cui Dio padre si esplica nel figlio e ritorna a sé nello spirito, o a quella mistica con cui la fede si esplica nel culto per tornare all’interiorità del soggetto. Ma quel che conta, per Hegel, è che la totalità possa esser colta in un sistema razionale. Nel 1799 la morte del padre gli permise, grazie ad una piccola eredità, di dedicarsi unicamente agli studi. Dal 1801 al 1807 Hegel passa come docente a Jena, dove insegna anche Schelling. In questo periodo egli concentra i suoi interessi sul problema dell’assoluto. Gli pare che siano da evitare al riguardo tanto la soluzione di Fichte, che oppone senza unificare, tanto l’unificazione intuitivo- romantica di Schelling. Nel 1801 pubblica Differenze della filosofia di Fichte e di Schelling, dove mostra di preferire il realismo del secondo al soggettivismo del primo. Nel 1807 esce la Fenomenologia dello Spirito, una delle sue opere principali, volta ad esporre la successione di gradi

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attraverso cui la coscienza si eleva fino alla coscienza filosofica perfetta, in cui comprende la propria identità con l’assoluto. Dal 1808 al 1816 Hegel è professore di filosofia al Liceo di Norimberga, per passare subito dopo all’Università di Heidelberg. In questi anni pubblica: La grande logica, in due volumi (1812-16) e l’Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817), di cui pubblicherà altre due edizioni (1827-30) con notevoli aggiunte e varianti. Nel 1818 Hegel si trasferisce definitivamente all’Università di Berlino, chiamatovi dal ministro della pubblica istruzione convinto che la filosofia hegeliana potesse offrire un solido appoggio alla politica del governo prussiano. Nel 1821 Hegel fonda la rivista Annali di critica scientifica, di grande prestigio ed efficacia per la formazione filosofica dei giovani tedeschi, e pubblica La filosofia del diritto, il suo ultimo capolavoro. Muore nel 1831, vittima di un’epidemia di colera.

Nei primi anni del periodo jenese, Hegel subì l’influenza di Schelling del quale egli condivideva l’affermazione della realtà della natura e l’identità di natura-spirito. Tuttavia già è possibile intravedere che la differenza tra la sua filosofia e quelle di Schelling e di Fichte riguarderà il rapporto tra unità, intesa come assoluto, e molteplice, inteso come complesso dei momenti empirici. Infatti, mentre per Fichte e per Schelling resterà

sempre una antitesi tra unità e molteplicità (ne è conferma l’esito mistico-religioso dei loro sistemi), per Hegel ogni dualismo

scompare; l’assoluto è l’unità concreta che si rivela nelle differenze, conciliandole senza annullarle. Per questa via, l’assoluto di Schelling, come unità indifferenziata di soggettivo ed oggettivo, finirà per apparirgli come “la notte in cui tutte le vacche sono nere”. D’altra parte, è presente l’influenza di Fichte nell’idea che la filosofia sia ricostruzione della storia dello spirito; per Hegel però la filosofia si configura come ricostruzione dello sviluppo dello spirito, inteso non soggetto puro, ma come ragione assoluta: la determinazione del sistema dei principi e delle leggi, che essa genera sia nel mondo della natura che in quello dello spirito, rivelerà la struttura unitaria e razionale dell’universo.

Fenomenologia dello spirito (1807) – Richiamandosi al Parmenide di Platone, Hegel ribadisce che “il vero è l’intero” e che “l’intero è solo l’essenza che si completa mediante il suo sviluppo”, per cui l’assoluto è

“essenzialmente risultato” di tale sviluppo. L’assoluto non si trova in nessun concetto o essenza determinati e isolati: “l’elemento della

filosofia è il processo che si crea e percorre i suoi momenti”; “la verità è il movimento della verità in se stessa”. Vero assoluto è il processo

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dialettico con cui il concetto-idea perviene alla autocoscienza. Se

l’assoluto hegeliano è spirito, e se lo spirito è un processo che perviene alla coscienza di sé (lo spirito come autocoscienza è propriamente solo il risultato ed il fine del processo), è importante determinare attraverso quali momenti si compia tale processo. La Fenomenologia intende appunto esporre, nella concatenazione necessaria delle sue

manifestazioni provvisorie, il processo dello spirito. Naturalmente, non si tratta di seguire lo sviluppo storico dell’umanità nel tempo, ma di

cogliere i momenti “ideali” dello sviluppo dello spirito attraverso le

vicende storiche. Hegel traccia quindi il processo della formazione dello spirito a partire dalla coscienza naturale, cioè dal livello percettivo più basso, quando la coscienza si trova separata dallo spirito e perciò in opposizione con esso. In tale separazione la coscienza naturale è

“infelice”, e la strada che percorre è quella del dubbio e della

disperazione, ed in tale disperazione essa si volge verso dio. Le età che vanno alla ricerca dell’universale in un essere trascendente sono le età decadenti, orientate verso il misticismo, come il Medio Evo. Per

superare questa infelicità occorre viceversa cercare l’universale nel concreto, nel reale. Ed ecco che al misticismo medievale subentrano il naturalismo del Rinascimento e lo spirito empiristico dell’età moderna: la ragione cerca se stessa nelle cose che descrive e che studia, attraverso la scienza. Ma un più pieno possesso di sé la ragione esplica nelle

istituzioni sociali, nel diritto e nello Stato: qui la ragione si riconosce

nelle forme storiche concrete che disciplinano la vita degli individui, cioè nell’eticità, in cui si compie la liberazione dalla individualità e la

formazione dello spirito oggettivo.

La dialettica – Su quale base Hegel può sostenere che l’unità assoluta si realizza nel molteplice dell’esperienza? La via che conduce a questa affermazione è costituita dalla dialettica, che, per Hegel, non riguarda solo il discorso umano, ma l’intera realtà: è cioè una logica ontologica che, come quella di Aristotele, pretende di riprodurre nei discorsi l’intima razionalità del reale. La nostra ragione è infatti una scintilla di tale

razionalità, e la riflette spontaneamente. Il criticismo kantiano volto a discutere i limiti della ragione è perciò del tutto privo di fondamento. La fede nella potenza dello spirito è la prima condizione della filosofia. I processi più intimi della realtà possono essere colti mediante la

dialettica, nella quale i principi aristotelici di non-contraddizione e di identità sono sostituiti dal principio di contraddizione. Nel processo dialettico hegeliano, l’affermazione di ciascuno dei concetti via via presi in esame costituisce la tesi; il suo contraddittorio l’antitesi. Da esse

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scaturirà la sintesi che accoglie tesi e antitesi in una unità superiore.

L’esempio più tipico di tale processo si ha nella triade di essere, non- essere, divenire. Appare chiaro che la mera affermazione di due concetti contraddittori non basta a generare un rapporto dialettico;

occorre a tal fine che i due concetti siano mediati fra loro, cioè che la stessa analisi della tesi conduca all’antitesi ed alla sintesi. Mediare due concetti significa collegarli, scoprirne la profonda unità. Poiché il compito della filosofia consiste in tale mediazione, il suo strumento

fondamentale non potrà essere che dialettico: se ne conclude che la filosofia sarà la forma dialettica dell’esperienza. Hegel pone alla base del suo sistema l’ipotesi idealistica per cui la sostanza assoluta che si attua dialetticamente nell’universo, sarebbe una sostanza spirituale. In conformità a tale ipotesi, viene attribuito carattere nettamente spirituale al grande ciclo dialettico dell’assoluto: tale ciclo avrebbe inizio con un momento in cui la sostanza si presenta come idea assoluta (tesi),

preesistente alla materia ed allo spirito (antitesi), e si concluderebbe con una sintesi in cui l’idea ritrova la sua più alta e concreta espressione. In corrispondenza ai tre momenti dello sviluppo dell’assoluto, Hegel

distingue il proprio sistema in tre parti: logica, filosofia della natura, filosofia dello spirito.

Logica – la logica, dove risulta chiara l’influenza di Kant, si propone di fornire la deduzione dialettica delle categorie, ontologicamente intese. Il carattere relae delle categorie si connette con l’assunto che l’assoluto si presenta, nella prima fase del suo sviluppo, come pensiero. Anche la logica è suddivisa in tre parti: logica dell’essere, dell’essenza,

del concetto. Nella prima, le categorie dell’intuizione sensibile (qualità, quantità, misura); nella seconda, le categorie dell’intelletto ( forma e materia, cose e proprietà, causa ed effetto,ecc); nella terza le varie specie di concetti, giudizi, sillogismi, nonché i concetti di finalità, vita, verità, bene, ecc. Nell’intento di Hegel, le categorie dell’essere sono quelle del realismo ingenuo; quelle dell’essenza le categorie della

scienza, quelle del concetto le categorie della concezione idealistica, in base alle quali la vera realtà risulta l’unità che si manifesta nelle

relazioni. L’idea direttrice di tutta questa laboriosa deduzione è quella di provare che le determinazioni dell’universo sono ricavabili dalla scienza generale dell’essere, che confermerebbe la razionalità di tutto il reale.

Questa razionalità è espressa nella frase “ ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale”.

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Filosofia della natura – Nello sviluppo del ciclo dialettico della sostanza assoluta, il secondo momento (antitesi) è quello in cui la sostanza si dispiega in natura inserita nello spazio e nel tempo.

Attraverso artificiose deduzioni, il mondo della natura si snoda

attraverso tre gradi fondamentali: la meccanica, la fisica, l’organica.

L’intento di Hegel è di provare che la natura si eleva di per se stessa dalla pura esteriorità fino alla soglia dell’interiorità. Ciò gli permetterà di concludere che la sostanza, dopo essersi esteriorizzata nella natura, ritorna liberamente a sé e che pertanto lo spirito costituisce sia l’inizio che il fine supremo della natura. Con la filosofia della natura, Hegel mira a cogliere i momenti dialettici immanenti alla natura, provando che essi sono un semplice momento di trapasso verso la vita dello spirito, in cui l’assoluto si rivelerà compiutamente. Questa parte della filosofia

hegeliana, la più debole di tutto il sistema hegeliano, ha però una funzione ineliminabile. Come fase di trapasso dalla logica alla filosofia dello spirito, essa ha il compito di provare la razionalità della natura e, nel contempo, che i processi naturali portano dialetticamente a qualcosa che supera dialetticamente la natura. Hegel si rende conto che una

filosofia razionalistica, come vuole essere la sua, deve saper spiegare non solo il mondo umano, ma anche quello naturale, convinto che un fallimento di fronte a tale compito rappresenterebbe uno scacco di tutto il sistema. Perciò egli si cimenta arditamente con i problemi della

matematica, della fisica, della biologia, deciso a provare che i principi della sua filosofia sono effettivamente capaci di svelare il nucleo costitutivo dei più difficili concetti di tali scienze.

La filosofia dello spirito – Costituisce la terza ed ultima parte dello sviluppo della sostanza assoluta, quella in cui essa acquista coscienza della propria natura razionale e prende possesso della propria libertà.

Essa si attua con il ritorno all’interiorità, ma in modo nuovo, perché la natura, che è preesistita allo spirto, ha rivelato in esso la propria finalità, dissolvendosi come natura per farsi soggettività e libertà. Questa

rivelazione della sostanza nella forma dello spirito avviene secondo tre gradi, legati da un rapporto dialettico:

spirito soggettivo, oggettivo, assoluto. Nel primo grado si ha il nascere della coscienza individuale e il suo progressivo elevarsi verso le forme più alte della volontà e del pensiero. Questa elevazione dà luogo ad una nuova triade: anima, coscienza, ragione. Questa manifesta la propria universalità nel conoscere teoretico, nell’agire pratico e nel volere libero.

Nel secondo grado lo spirito si attua come spirito oggettivo, che si

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esplica nelle istituzioni storiche che tendono a realizzare l’unità del volere universale con quello individuale. Anche qui si ha una

triade: diritto, moralità, eticità. Il terzo grado, o spirito assoluto, costituisce la totalità della vita spirituale. Anche lo spirito assoluto si attua in una triade: arte, religione, filosofia. Questi tre momenti, nella loro totalità, costituiscono l’autocoscienza vivente dello spirito del

mondo. L’arte è l’espressione di questo spirito in forme sensibili; la religione ne è in forme rappresentative e fantastiche; la filosofia è l’autocoscienza assoluta dello spirito. Come tale, la filosofia riesce a comprendere il senso della sua stessa storia, cioè dello sviluppo delle varie concezioni filosofiche, ed a vederne la connessione dialettica. In particolare, Hegel scopre i legami tra storia della filosofia e storia universale, traendone la conclusione della relatività spaziale e

temporale, insomma storica, di ogni concezione filosofica: “in un dato popolo non può fiorire che una determinata filosofia”. Hegel è

fermamente convinto che la propria filosofia rappresenti lo spirito del suo tempo; da questa convinzione egli si sente incoerentemente spinto ad attribuire alla propria filosofia il compito di dimostrare, con la propria superiorità, che la società da cui scaturisce (ossia la realtà storica dello Stato prussiano) costituisce il punto più alto dello sviluppo di tutte le civiltà precedenti.

Morale e diritto – Abbiamo visto che lo spirito oggettivo si esplica nella triade diritto, moralità ed eticità. Il diritto è per Hegel il sistema di leggi e precetti atto ad attuare un equilibrio di egoismi. Esso sorge come

garanzia dei diritti individuali, erigendosi come una volontà generale capace di imporsi alle volontà particolari. La volontà sorta attraverso il diritto è però sentita dalle singole coscienze come qualcosa di imposto con la forza dall’esterno. Ciò spinge le singole coscienze a cercare in se medesime una volontà ideale che oltrepassi il proprio egoismo. Così si attua il passaggio alla sfera della moralità, nella quale i singoli vivono la propria libertà interiore. Nel terzo momento, di sintesi, il diritto si fa

cosciente della propria natura morale e la moralità si traduce in un ordine obiettivo: l’idea della libertà si concretizza nell’unità di coscienza individuale e sostanza morale e sociale del popolo. Moralità e diritto sono ora entrambi subordinati all’eticità, ossia alla morale sociale che si esplica attraverso le istituzioni storiche dello Stato. Qualunque forma di soggettivismo morale e politico è quindi fermamente condannato come erroneo. Lo Stato ha, nella concezione hegeliana, la funzione di

realizzare la volontà universale: lo Stato è “lo spirito morale come rivelato, chiaro a se stesso, sostanziale, che si pensa e si sa ed

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eseguisce ciò che sa in quanto lo sa”. Noi dobbiamo venerarlo come

“Dio reale” e considerare, non un dovere, ma un nostro diritto quello di sacrificarci interamente per esso. Con queste conclusioni, il sistema di Hegel si inseriva nel movimento reazionario dell’Europa del Congresso di Vienna e diventava la filosofia ufficiale dello Stato prussiano.

Le reazioni all’idealismo

Giovanni Federico Herbart (1776-1841). Nel 1794 segue ad Jena le lezioni di Fichte, con cui entra in relazioni cordiali, ma prende subito posizione contro il suo idealismo. Subisce anche l’influenza dei

romantici, specialmente di Jacobi e di Schiller. Va come precettore in Svizzera, dove studia matematica e psicologia, e dove conosce il pedagogista Enrico Pestalozzi (1746-1827).

Dal 1802 inizia la sua carriera universitaria: insegna a Gottinga e poi a Koenigsberg, sulla cattedra che era stata di Kant. Fra i suoi

scritti: Filosofia pratica universale (1813); Psicologia come

scienza (1824-25); Metafisica generale (1828-29). Herbart torna verso una filosofia sostanzialmente illuministica, sebbene di marcato carattere metafisico. Egli inizia in nome del realismo la reazione contro l’idealismo romantico di cui egli giunge a realizzare la precisa antitesi. Infatti, se per l’idealismo la realtà è posta dall’io, per Herbart ogni realtà è una

posizione assoluta, cioè assolutamente indipendente dall’io che la conosce. Herbart definisce la filosofia come elaborazione dei concetti, con il preciso compito di sceverare, ordinare e chiarire e distinguere i concetti: e ciò in tutti i campi della realtà e del sapere. Per questo compito è necessaria la logica ed Herbart fa sua la logica aristotelica tradizionale. Il punto di partenza di ogni elaborazione concettuale è l’esperienza; ma l’esperienza appare piena di contraddizioni: essa è apparenza di un ente che la filosofia ha il compito di determinare: la filosofia deve quindi risalire alla realtà attraverso i vari aspetti

dell’apparenza fenomenica. Ora, l’apparenza fenomenica è

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contraddittoria: lo spazio, il tempo, la cosa, la causalità, l’io manifestano la stessa contraddizione fondamentale, cioè che l’uno sia molteplice. La contraddizione si elimina soltanto ammettendo che esistono molti enti, o reali, ognuno dei quali semplice, indipendente, immateriale ed

immutabile, che può tuttavia entrare in rapporti casuali ed estrinseci con gli altri reali. In tali incontri casuali, ogni reale reagisce con un atto

di autoconservazione. Tali atti si manifestano come le forze che noi vediamo agire negli oggetti materiali. La conoscenza di questa forze è dunque una veduta accidentale e non implica la molteplicità interna dei reali. Nell’anima gli atti di autoconservazione sono le rappresentazioni, cioè gli atti psichici. Dalla metafisica si passa così direttamente

alla psicologia che è una fisica delle rappresentazioni, che Herbart cerca di sviluppare scientificamente mediante il calcolo matematico. Da

questo concetto di psicologia segue la negazione delle facoltà dell’anima (intelletto, sentimento, volontà), essendo una facoltà nient’altro che una classe di rappresentazioni. Herbart ha anche

sviluppato una estetica, come studio razionale dei giudizi di valore sul bello e sul bene.

Arturo Schopenhauer (1788-1860) – Nato a Danzica, seguì le lezioni di Fichte a Berlino e si laureò a Jena nel 1813. Nel 1818 pubblicò la sua opera fondamentale, Il mondo come volontà e rappresentazione, cui seguirà una seconda edizione ampliata nel 1844. Fu libero docente a Berlino, ma non ebbe successo finché durò la moda dell’hegelismo.

Morì a Francoforte sul Meno nel 1860.

Avversario dell’idealismo, ne condivide tuttavia lo spirito romantico e l’aspirazione all’infinito. La sua filosofia è il rovesciamento di quella di Hegel, con la quale perciò conserva uno stretto rapporto. Per Hegel, la realtà è ragione, per Schopenhauer è forza irrazionale. Hegel giunge ad un ottimismo che giustifica tutto ciò che è; Schopenhauer giunge ad un pessimismo che intende negare e sopprimere la realtà. Ambedue sono dominati dall’aspirazione all’infinito ed hanno la stessa noncuranza per il finito, l’individualità, che è mera apparenza. Se da Hegel la libertà viene identificata con la necessità della ragione dialettica, da Schopenhauer viene negata perché contraria al determinismo causale. «Il mondo è una mia rappresentazione»; con questa affermazione inizia l’opera principale di Schopenhauer. Ciò implica la separazione tra soggetto conoscente ed oggetto del conoscere. L’oggetto è condizionato dalle

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forme a priori dello spazio e del tempo che ne producono la molteplicità.

Il soggetto è ciò che conosce e non è oggetto di conoscenza. Non può esistere né soggetto senza oggetto (idealismo), né oggetto senza soggetto (materialismo). Un solo soggetto è in grado di rappresentare l’intero mondo così pienamente quanto milioni di soggetti; ma se anche quell’unico soggetto svanisse, il mondo cesserebbe di esistere.

L’oggetto è la materia, che è tale solo in quanto agisce mediante la causalità. Attraverso varie forme la causalità domina il mondo della rappresentazione e ne costituisce la realtà. L’uomo si trova in una situazione paradossale perché, come soggetto conoscente, è fuori del mondo della rappresentazione, ma come corpo vi è dentro ed è

sottoposto alla sua azione causale. Questo contrasto porta Schopenhauer ad ammettere che il mondo non è soltanto

rappresentazione, ma che dietro la rappresentazione vi è una realtà più profonda che egli identifica con la volontà. La volontà è dunque la cosa in sé, la realtà interna, il noumeno di cui la rappresentazione è il

fenomeno. Come tale, la volontà non è sottoposta alle forme proprie del fenomeno, cioè tempo, spazio e causalità, le quali costituiscono

il principio di individuazione della molteplicità degli esseri naturali.

La volontà è invece una sola per tutti gli esseri, dalla natura inorganica fino all’uomo. Essa agisce in modo assolutamente libero, ed è

irrazionale e cieca. L’oggettivazione della volontà nella

rappresentazione ha gradi diversi ed ogni grado è un’idea in senso platonico, cioè un modello che viene individuato e moltiplicato nel

mondo della rappresentazione ad opera dello spazio, del tempo e della causalità. Al livello naturale più basso, essa è impulso cieco; negli

animali è intuito; nell’uomo ragione. La ragione è però schiava della volontà, che è volontà di vivere, e da ciò deriva che la vita sia un continuo oscillare tra dolore e noia, mentre il piacere non è altro che momentanea cessazione del dolore.

Schopenhauer indica due modi per liberarsi dalla volontà di vivere. Il primo modo, che rappresenta più una consolazione che una effettiva liberazione, è quello dell’arte, cioè della contemplazione delle idee, che costituiscono la pura oggettività della volontà. Tra le arti, la musica ha un posto privilegiato perché è l’immediata rivelazione della volontà; essa è quindi l’arte più universale e profonda. Il secondo modo è quello della liberazione assoluta, cioè della soppressione della stessa volontà di vivere. Il suicidio, pur eliminando l’individuo, non distrugge né

diminuisce la volontà; perciò la sola via che conduce ad una liberazione assoluta è l’ascesi, cioè l’assoluta indifferenza per tutto, compresi i

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bisogni del proprio corpo. Castità, rassegnazione, povertà, sacrificio, tutte le manifestazioni dell’ascetismo tendono allo stesso scopo:

annullare la volontà di vivere.

Schopenhauer cerca la conferma di questa tesi nella filosofia indiana, nel buddismo e nei mistici cristiani e vede nella soppressione della

volontà di vivere l’unico vero atto di libertà possibile per l’uomo, che egli si limita ad indicare, ma che non mette in pratica.

Sören Kierkegaard (1813 – 1855). Nato a Copenhagen, studia filosofia e teologia. Nell’ambiente familiare egli assorbe una religiosità pietistica, ispirata al pessimismo ed al senso del peccato. L’inquitudine che ne trae lo rende incapace di prendere decisioni impegnative, e così rinuncia sia al sacerdozio sia al matrimonio. Le sue opere principali: Aut- Aut (1843); Timore e tremore (1843); Il concetto dell’angoscia (1844); La malattia mortale (1849).

L’esperienza del dubbio lo allontana dagli interessi scientifici e lo porta verso il dramma della vita interiore e verso la religione. Kierkegaard nega l’assunto hegeliano che tutta la realtà sia razionale e, quindi, necessaria; per lui la realtà non è un processo razionale, ma un complesso di possibilità diverse ed opposte, del tutto inconciliabili.

Tuttavia in uno scritto del 1841, Sul concetto di ironia, il suo hegelismo si rivela ancora nell’affermazione che lo Stato ha un significato etico e che la vera virtù può manifestarsi solo in esso. Ma già in Aut-

Aut la scelta radicale che si impone tra le diverse direzioni di vita ha una chiara impronta anti-hegeliana, perché la dialettica fa risolvere l’uno nell’altro i diversi momenti dell’esperienza umana, mentre per

Kierkegaard non vi è conciliazione possibile. Il distacco da Hegel si profila progressivamente, ma anche rapidamente e nettamente, e può dirsi concluso nell’arco di un paio di anni. Tre sono le alternative

fondamentali di vita prospettate da Kierkegaard: la vita estetica, la vita etica e la vita religiosa. La vita estetica, simbolizzata dal seduttore Don Giovanni, è quella di chi vive l’attimo fuggente e si preoccupa soltanto della ricerca del piacere. La vita etica, simbolizzata dallo stato

matrimoniale, è caratterizzata dalla fedeltà ad un compito determinato e dal lavoro. In entrambi questi stati vi è però una insufficienza, che si manifesta nella noia che accompagna la ricerca del piacere e

nel pentimento che si accompagna alla vita morale. Tra questi due stati

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non vi è possibilità di continuità né di sviluppo: sono alternative che si escludono. Abisso e salto vi è anche tra esse e la vita religiosa, che egli illustra richiamandosi ad Abramo cui Dio ordina di uccidere il figlio

Isacco. Il principio religioso sospende qui l’azione del principio morale e tra i due principi non c’è possibilità di conciliazione, ma salto ed

opposizione. Tuttavia, dubbio ed angoscia accompagnano anche la religione perché ogni condizione della vita umana è caratterizzata da uno stato di incertezza e di instabilità, e quindi dall’angoscia e dalla disperazione. L’angoscia è il puro sentimento del possibile, è il senso di ciò che può accadere. Al cristianesimo, sentito come “paradosso e scandalo” non riducibile ad oggetto di speculazione, si giunge

attraverso l’esperienza dell’angoscia, per mezzo di un “salto decisivo”

che è negazione di ogni “metodo”. Negli ultimi scritti è enfatizzata la visione mistica ed anti-umana del cristianesimo (che è “una specie di follia e di supremo terrore”). Ne deriva una contrapposizione netta tra ordine cristiano e ordine mondano e la condanna della chiesa danese che lascia inserire il cristianesimo nelle strutture mondane.

Oggetto di particolare polemica da parte di Kierkegaard è la concezione hegeliana della storia e la sua trascendenza rispetto agli individui.

Kierkegaard è anche polemico nei confronti dei movimenti liberali e democratici (il 1848 è per lui l’anno della più grande catastrofe

europea!), mentre gli appare piena di pericolosità la ribellione popolare (in sostanza la possibilità del nuovo gli fa paura!). Di pari passo procede la polemica contro la sessualità ed il matrimonio perché il cristianesimo è contro tutti gli istinti, mentre la donna è l’incarnazione della “brama di vivere” e “l’egoismo personificato”. L’individuo deve assumersi il

compito di essere “unico”, nel senso che soltanto nella coscienza individuale si trova la radice del significato della vita, dell’angoscia e della disperazione che la contrassegnano, nonché della salvezza per mezzo della fede. In breve, “il cristianesimo è in lotta aperta con il mondo”. Nei suoi ultimi giorni scrive nel suo Diario che, da un punto di vista cristiano, lo scopo è di essere portati “al più alto grado di noia della vita” per essere indotti a credere soltanto in Dio.

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Lo sviluppo delle scienze tra XVIII e XIX secolo.

A cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo, si assiste ad uno straordinario sviluppo di tutte le scienze, ed alla nascita di scienze specialistiche.

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Basterà ricordare tra tutte l’elettromagnetismo e la termodinamice e la nascita delle geometrie non euclidee per capire la qualità e l’importanza degli sviluppi scientifici raggiunti.

In Francia, dove il potenziamento degli studi scientifici era già iniziato sotto la Rivoluzione con l’istituzione della famosa école polytechnique, il progresso scientifico fu particolarmente intenso. D’altronde, lo stretto legame intercorrente tra le conquiste della scienza e della tecnica ed il processo di industrializzazione faceva sì che la nuova classe dirigente francese, se ben decisa da un lato ad abbandonare le ideologie

illuministiche, non fosse disposta dall’altro a rinunciare ai benefici della modernizzazione dei processi produttivi ed all’impulso fornito

all’economia dalle scoperte scientifiche. Si assiste pertanto ad alcuni rinnovamenti di grande importanza: l’abbinamento dell’interesse per la ricerca pura con quello per le applicazioni tecniche; una nuova struttura delle scuole superiori sulla base di criteri di rigorosa serietà e severità, che porta allo studio delle discipline scientifiche giovani

scrupolosamente selezionati attraverso difficili concorsi; la creazione di nuovi laboratori meglio organizzati mediante lo stanziamento di nuovi fondi. La rinomata scuola francese attrae così i più eminenti scienziati dell’epoca e giovani studiosi da tutti i paesi europei.

In Germania, l’hegelismo ed il romanticismo hanno comportato il ritardo degli studi scientifici, che cominceranno a risorgere solo dopo la metà del sec. XIX.

In Inghilterra, invece, mentre si assiste ad un progressivo accentuarsi dell’interesse per i fenomeni economici, lo spirito conservatore delle università di Oxford e di Cambridge, nonché delle autorità

ecclesiastiche, da un lato, ed un gretto spirito nazionalistico sfociante in un vero e proprio isolamento culturale, dall’altro, favoriscono una

situazione di stallo della ricerca scientifica. La situazione muterà solo verso il 1850 quando saranno fondate nuove università e le vecchie saranno riformate nella loro struttura giuridica.

In generale, la ricerca scientifica dell’epoca si caratterizza per la tendenza ad una sempre più profonda specializzazione, che contribuisce al progressivo distacco delle scienze dalla filosofia;

distacco che, iniziato ad opera dei romantici e dell’idealismo, durerà e si approfondirà per tutto il sec. XIX. Accenniamo brevemente ai campi di maggior sviluppo scientifico del periodo:

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Matematica - analisi infinitesimale; equazioni differenziali; algebra;

teoria dei gruppi. G.F. Gauss (1777-1855); G. Fourier (1768-1830);

A.L.Cauchy (1789-1857); E.Galois (1811-1832); P.Ruffini (1765-1822).

Fisica – fenomeni elettromagnetici; ottica; termodinamica. A.M.Ampère (1775-1836); A.Fresnel (1788-1827); S.Carnot (1796-1832);

G.C.Oersted (1777-1851); M.Faraday (1791-1867).

Chimica – fenomeni elettrochimici; scoperta di nuovi elementi semplici;

teoria atomica e studio degli atomi degli elementi. H. Davy (1778-1829);

M. Faraday (1791-1867); G. Dalton (1766-1844); G.L. Gay-Lussac (1778-1850); A.Avogadro (1776-1856); A.Petit (1791-1820).

Scienze naturali – prime teorie evoluzionistiche; ereditarietà. G. B. de Lamarck (1744-1829).

Astronomia – 1846: scoperta del pianeta Nettuno a seguito delle osservate perturbazioni dell’orbita di Urano.

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La filosofia in Francia.

Tradizionalismo- In Francia il passaggio dall’età illuministica all’età napoleonica e quindi al clima della restaurazione dà luogo ad una vasta reazione alla mentalità illuministica che si esprime con un ritorno alla tradizione politica, religiosa e culturale pre-rivoluzionaria, cui si dà il nome di tradizionalismo. In esso confluiscono alcuni aspetti del

romanticismo ed in particolare l’esigenza di una migliore comprensione del passato; da questo interesse storico scaturisce un atteggiamento di netta reazione contro i mutamenti recati dalla rivoluzione: si sviluppa la polemica contro la ragione e la religione viene considerata unico

fondamento della società. Suprema aspirazione è quella della stabilità delle leggi e delle istituzioni, fondata sul principio di autorità sia religiosa che politica. Ė respinto il concetto di uguaglianza tra gli uomini e rifiutato il principio della libertà individuale.

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Ideologia- Uno sviluppo più fedele allo spirito illuministico è invece rappresentato, nel primo trentennio dell’Ottocento, dalla corrente

dell’ideologia, così chiamata perché si rifà all’analisi ed alla unificazione delle idee come compito principale dell’indagine filosofica. Gli ideologi sono per la maggior parte volteriani, nemici della chiesa e del fanatismo, e si richiamano al materialismo del secolo precedente. Si tratta di

giuristi, amministratori, politici, medici e fisiologi che coltivano la filosofia, intesa soprattutto come studio dell’uomo, per allargare gli orizzonti

culturali delle discipline tecniche. Ricordiamo il medico Giorgio Cabanis (1757-1808), che sviluppa una nuova psicologia strettamente legata alla fisiologia, secondo la tradizione cartesiana (parallelismo psico-fisico).

Francesco Maine de Biran (1766-1824) parte dall’ideologia per giungere invece ad una concezione spiritualistica, fondando la sua filosofia sulla testimonianza della sua esperienza interiore. Con l’analisi introspettiva egli si ricollega a quel procedimento autobiografico che è caratteristico della filosofia francese da Montaigne in poi. Biran eserciterà una forte influenza sullo spiritualismo francese del periodo successivo.

Saintsimonismo - L’idea della stretta connessione tra la cultura

tecnico-scientifica e l’organizzazione sociale domina quella corrente di pensiero che è chiamata filosofia sociale, il cui primo rappresentante è Claudio Enrico Saint Simon (1760-1825), secondo il quale la società potrà riacquistare la sua unità e la sua organizzazione migliore solo sul fondamento della nuova cultura scientifica, fondata non su metafisiche, ma su fatti positivi. Il sansimonismo ebbe in Francia una notevole

diffusione e contribuì a formare la coscienza dell’importanza sociale e spirituale delle conquiste della scienza e della tecnica. Questa

coscienza determinò da un lato uno sviluppo dell’attività industriale, mentre dall’altro determinò correnti socialiste miranti ad una

organizzazione più giusta della vita sociale.

Positivismo –

Augusto Comte

(1798-1857). Nato a Montpellier, studia al Politecnico di Parigi e diventa insegnante di matematica. Amico e collaboratore di Saint Simon, assume una

posizione indipendente nel 1822 nello scritto Piano dei lavori scientifici necessari per organizzare la società. Tuttavia, l’influenza del socialismo di Saint Simon resterà sempre presente. Attraversa poi un periodo

infelice a causa di una malattia mentale per la quale è internato in

manicomio. La sua opera principale è il Corso di filosofia positiva, in sei volumi, pubblicata negli anni 1830-42, il periodo più fecondo della sua

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