Religione - Anche la religione va commisurata alla nostra esperienza della vita e del mondo; le spiegazioni scientifiche dei fenomeni naturali portano ad escludere il principio della creazione divina. Inoltre, l’ordine della natura, che non è mai perfetto, lascia spazio solo ad un Dio
ordinatore del mondo, ma finito. Un Dio finito e impegnato alla prosperità dell’universo non trova difficoltà insuperabili nella nostra esperienza; anzi, l’uomo può ritenersi un collaboratore di Dio in questa operazione e trovarvi motivo di incoraggiamento. Insomma, la funzione della religione è quella di staccare la mente umana dall’immediato per rivolgersi verso l’ideale. La fede prospetta così una speranza che oltrepassa l’ambito ed i confini della ragione e dell’esperienza.
La sinistra hegeliana
Ludovico Feuerbach (1804-1872). Dopo aver studiato teologia a Heidelberg, studia filosofia a Berlino dove ascolta le lezioni di Hegel. A causa delle sue idee in tema di religione gli è negata la carriera
universitaria; tiene tuttavia un corso di lezioni all'università di Heidelberg su invito di un gruppo di studenti progressisti, durante il moto
rivoluzionario del 1848/49. Egli dà alla dottrina della sinistra hegeliana un carattere apertamente ateo, prendendo posizione contro il partito teologico (destra hegeliana), che difende la concordanza di hegelismo e cristianesimo, soprattutto per quanto riguarda la
personalità di Dio e l'immortalità dell'anima. Le sue opere principali sono: Pensieri sulla morte e l'immortalità (1830); Critica della filosofia hegeliana (1839); Essenza
del cristianesimo (1842); Tesi provvisorie per la riforma della filosofia (1843); Principi dellafilosofia dell'avvenire (1844); Lezioni sull'essenza della
religione (1851); Teogonia (1857); Spiritualismo e materialismo (1866). Prendendo le mosse dall'esame del problema religioso, già nel suo primo scritto Feuerbach si vale della filosofia hegeliana per negare l'immortalità personale, ammettendo solo l'immortalità del genere umano nel suo sviluppo storico unitario. Egli ritiene che il fenomeno della religiosità possa essere spiegato, antropologicamente, nell'uomo stesso: i principi religiosi non sono altro, infatti, che una alienazione dell'umano, cioè costruzioni fantastiche nelle quali l'uomo proietta le proprie esigenze più profonde ed immagina realizzati i propri sogni. Dio non è perciò che una espressione di noi fuori di noi, un oggetto in cui si rivela, oggettivata, la nostra stessa natura. Da questo pericoloso sdoppiamento scaturiscono i difetti tradizionali di tutte le religioni: servilismo, fanatismo e pretesa di limitare la ragione con la fede. Inoltre, questa fittizia elaborazione offre all'uomo una comoda via per evadere dal compito concreto di affrontare i problemi effettivi e concreti della sua vita. Soltanto liberandosi da questa alienazione l'uomo può riconquistare la propria piena umanità e comprendere il reale significato della religione, che è da ricercare non nella teologia ma nell'antropologia. Feuerbach attribuisce alla filosofia il compito di sviluppare nell'uomo una coscienza diretta di se stesso. Per adempiere a questo compito, la filosofia dovrà, una volta chiarita la vera essenza della religione, affrontare le filosofie metafisiche dimostrando che anch'esse non sono altro che religioni ridotte a concetti. La critica di Feuerbach alla filosofia hegeliana muove appunto dal rilievo che essa, come filosofia che risolve la realtà nel mondo del pensiero, è strettamente legata alla teologia. Vero è che l'essere divino di Hegel, come quello di Spinoza, non è posto trascendente rispetto al mondo, ma
immanente a questo. Tuttavia, resta pur sempre che per Hegel la realtà suprema è quella del pensiero, dell'idea, la quale si trova nei confronti dell'uomo concreto nello stesso rapporto in cui il Dio della religione si trova nei confronti della natura umana.
L'essere della teologia è l'essere trascendente; l'essere della logica hegeliana è il pensiero trascendente, « il pensiero dell'uomo posto al di fuori dell'uorno»: «lo spirito assoluto di Hegel non è altro che lo spirito finito, astratto, estraniato a se stesso, così come l'essere infinito della teologia non è altro che l'essere finito». Così, il rovesciamento che si opera per la teologia deve essere fatto anche per la filosofia hegeliana nella quale il concreto soggetto umano è visto come predicato dell'idea e questa è proclamata vero ed assoluto soggetto. Il cammino che ha percorso la filosofia speculativa, dall'ideale al reale, è
un cammino alla rovescia; una via per la quale non si giunge mai alla realtà vera e oggettiva, ma sempre e soltanto alla realizzazione delle proprie astrazioni e quindi mai alla vera libertà dello spirito. L'umanismo di Feuerbach sta nel porre al centro della realtà l'uomo concreto e naturale, l'uomo come essere sensibile, al quale va riportato tutto lo sviluppo della realtà. Così lo sviluppo della filosofia si delinea come netto superamento della trascendenza, nel mostrare come l'uomo e la natura umana siano la radice e la fonte di ogni pensiero. Anche l'origine dell'etica deve venire ricercata esclusivamente nella realtà umana. L'individuo non vive isolato, ma a contatto con gli altri individui, stretto da un vincolo di profonda solidarietà. Questa solidarietà tra gli uomini è appunto la sorgente della moralità. Da essa nasce il senso del dovere ed anche l'istinto politico che si realizza nella costruzione di istituti sovraindividuali. Feuerbach, pur non ricavando dall'esistenza di tale vincolo umano una vera e proria filosofia sociale, apre la strada all'umanismo sociale di Marx.
Karl Marx
(1818-1883)- Nato a Treviri, studia a Bonn e poi a Berlino abbracciando la filosofia di Hegel. Si laurea nel 1841 con una tesi su Epicuro, nella quale egli mostra di apprezzare in tale filosofo l'affermazione dell'autocoscienza individuale come centro della realtà e la lotta aperta contro la religione e contro gli dei che tendono a porre l'uomo in schiavitù. Con ciò, Marx prende già posizione contro la destra hegeliana e condivide con gli altri giovani della sinistra hegeliana la critica delle istituzioni ed il proposito di fare della filosofia lo strumento di un mutamento radicale. Egli si accorge tuttavia che tale atteggiamento critico, il solo che gli sembra possa produrre qualche progresso,corrisponde al momento soggettivo dello sviluppo dello spirito postulato da Hegel e che quindi anche la sinistra hegeliana, pur critica verso il sistema hegeliano, non fa che attuarne i momenti senza superarlo. Nel 1842-43 Marx collabora alla Gazzetta renana, di ispirazione liberale e democratica, fino alla soppressione del giornale. Da ciò egli ricava la convinzione che la lotta contro la conservazione debba svolgersi non solo sul terreno filosofico ma anche su quello politico. Ciò lo spinge, dopo la lettura delle Tesi di Feuerbach, a scrivere la Critica della filosofia hegeliana dello stato (rimasta incompiuta ed inedita fino al 1927), dove contrappone alla visione hegeliana dello stato, come principio etico di unità del popolo, la difesa di una democrazia radicale popolare e muove alla filosofia hegeliana una critica di chiara ispirazione feuerbachiana. In sostanza, contro Hegel e in sintonia con Feuerbach, egli afferma che il vero soggetto è l'uomo concreto con i suoi bisogni e che sono l'uomo ed il popolo a fare la società e lo stato e non viceversa.
Inoltre, egli osserva che Hegel, mentre ignora la realtà concreta
dell'uomo, tenta di dare giustificazione di razionalità assoluta a forme istutuzionali che sono solo storiche, provvisorie, e che vanno modificate.
Nel 1844 Marx si stabilisce a Parigi, dove entra in contatto con le prime organizzazioni comuniste ed inizia la sua profonda amicizia e
collaborazione con Federico Engels (1820-1895). Egli inizia in questo periodo anche i suoi studi di economia e si viene persuadendo dell'utilità della dialettica hegeliana, una volta che essa sia rivolta, non alle idee astratte, ma al processo con cui si svolge il reale rapporto dell'uomo con gli altri uomini e con la natura. Nello stesso anno scrive i Manoscritti economico-filosofici (incompiuti e pubblicati solo nel 1932), nei quali egli arriva a concludere che le leggi della produzione, indicate dall'economia politica come eterne ed immodificabili, non sono che le leggi cui la
produzione soggiace nella società borghese. Ma l'applicazione
dell'analisi dialettica a questa società mostra come in essa si annidi una contraddizione destinata ad esplodere. Tale contraddizione si riassume
nelle condizioni del lavoro alienato , cioè nello sfruttamento del
proletariato, costretto ad annullarsi nella fatica ed a morire di fame, per produrre capitale e proprietà privata: avviene insomma nel lavoro ciò che avviene nella religione, e cioè che l'oggetto prodotto dall'uomo rende schiavo l'uomo stesso. Riprendendo Feuerbach, Marx riconosce l'importanza della lotta all'alienazione religiosa, ma ritiene che occorra spingersi più in profondità per spiegare la stessa alienazione religiosa.
Ci si accorgerà allora che l'uomo che sente il bisogno dell'illusione religiosa è un individuo che appartiene ad una determinata forma
sociale, cioè un uomo economicamente alienato, costretto a rinunciare alla propria umanità, schiavo, sul piano pratico, del denaro e del
capitale, i quali impongono le proprie esigenze a tutta la società. Tutte le alienazioni dipendono dunque per Marx da questa fondamentale
alienazione economica e sociale e solo la rimozione di essa permetterà la vittoria anche sull'alienazione religiosa e consentirà all'uomo di
raggiungere un'effettiva autocoscienza intorno a tutte le questioni religiose e politiche. Ecco allora che la dialettica hegeliana ci insegna che le contraddizioni vanno risolte e che l'alienazione dell'uomo è solo un momento dello sviluppo della sua essenza. A questa alienazione segue necessariamente l'emancipazione dell’uomo, la riappropriazione della propria essenza. Se dunque la dialettica hegeliana va respinta in quanto rivolta ad una astratta idea, essa può invece essere accolta come idonea a spiegare l'effettivo movimento della storia, che tende ad andare da una società borghese, alienata, verso l'emancipazione totale, verso il socialismo: se la società borghese nega l’uomo, tale negazione chiama necessariamente la negazione della negazione, cioè la liberazione.
Materialismo storico. A questo punto Marx decide di riesaminare, alla luce delle nuove prospettive, le dottrine e le posizioni della sinistra
hegeliana. Dedica a questo scopo due opere, alle quali collabora anche Engels, che lo segue a Bruxelles dove Marx si reca dopo la sua
espulsione da Parigi: La Sacra Famiglia (1845) e L'ideologia tedesca (rimasta incompiuta e pubblicata solo nel 1932). Qui Marx si trova a combattere la convinzione, condivisa anche dai socialisti utopici, che le le vere catene degli uomini siano le costruzioni concettuali assunte dalla coscienza e che basti sostituire le idee con altre idee per liberarsi da esse. Avvicinatosi al movimento ed alle lotte del proletariato, Marx si è andato invece persuadendo che ciò che guida la storia sia la praxis umana, cioè la concreta azione con cui gli uomini trasformano certe determinate condizioni di partenza: «la prima azione storica dell'uomo – egli dice- è la produzione dei mezzi per il soddisfacimento dei propri
bisogni, la produzione della vita materiale». I filosofi hanno soltanto variamente interpretato il mondo, ma quello che importa è modificarlo, e ciò che modifica è appunto l'attività degli uomini, la prassi; perciò la base della storia si trova negli individui reali, nella loro azione, nelle loro
condizioni materiali di vita e nel modo in cui essi estrinsecano la loro vita materiale. Allo sviluppo della praxis Marx ritiene quindi affidate le sorti dell'emancipazione umana; a suo parere il rovesciamento della società borghese e del capitalismo attraverso la rivoluzione comunista non può essere prospettato che come tappa conclusiva di uno sviluppo
della praxis, di quella forza che porta l'uomo a formare e trasformare il mondo in cui vive. Il nucleo centrale del materialismo storico consiste quindi nel riconoscimento che la storia dell’umanità è essenzialmente storia delle lotte tra una classe e l'altra intorno alla produzione ed alla distribuzione delle ricchezze. Il suo compito si esplica appunto nella lotta per dare all'uomo la propria autentica e completa libertà.
Nel 1847 Marx pubblica a Bruxelles La miseria della filosofia, dove ribadisce che la prassi, e non l’idea, sta alla base degli sviluppi reali e che solo l'analisi storica della situazione economica mette in evidenza il necessario crollo progressivo del capitalismo. Da tutta questa elaborazione storico-critica nasce, nel 1848, il Manifesto del partito comunista che propone l'unione dei proletari di tutti i paesi con lo scopo di abbattere l'ordinamento sociale esistente, attraverso una rivoluzione in cui «i proletari non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene» ed hanno, per contro, «un mondo da guadagnare».
Materialismo dialettico. Dal 1849 alla morte, la vita di Marx si svolge a Londra ed è dedicata allo studio dell’economia politica ed alla partecipazione all’organizzazione del movimento operaio. Gli scritti più rilevanti di questo periodo sono: Critica dell'economia politica (1859) e Il Capitale , in tre volumi (1° volo. 1867; 2° e 3° postumi, 1885 e 1895 a cura di Engels). Nell'analisi della struttura economica della società, cui portano le
conclusioni degli studi precedenti, Marx utilizza il metodo dialettico hegeliano. Proprio per l'uso di questo strumento la visione dello sviluppo della realtà economico-sociale tracciata ne Il Capitale è chiamata materialismo dialettico ad integrazione del materialismo storico precedentemente formulato. Marx sostiene che le forze produttive danno luogo a dei rapporti sociali che, dopo aver consentito la massima utilizzazione delle forze produttive stesse, diventano inadeguati al loro sviluppo; di qui la necessità di sostituirli con altri più adeguati
all'avanzamento delle forze produttive. 1 rapporti di produzione sono quindi modificati necessariamente dallo stesso processo della
produzione e ciò spiega le varie strutture economiche che si sono succedute nella storia, fino al capitalismo. Quest'ultimo non è però un ordinamento definitivo, perché i rapporti che lo caratterizzano sono transitori; infatti il capitalismo racchiude in sé una contraddizione
fondamentale che si traduce nell'antagonismo tra capitalisti e proletari, i
cui interessi sono inconciliabili. Tale contraddizione reale pone
necessariamente le premesse della trasformazione, cioè del passaggio alla negazione del capitalismo. L'adozione del metodo dialettico
comporta insomma che ogni relazione generica poggi su reali rapporti storico-sociali. L'analisi economica di Marx è portata avanti in funzione di uno sviluppo storico di carattere dialettico. A tale criterio rispondono le princiali teorie economiche svolte ne Il Capitale, e cioè la teoria del valore-lavoro, quella del plus-valore, la teoria della concorrenza capitalistica e quella dello sviluppo economico.
Teoria marxiana del valore- Il sistema economico si basa
sullo scambio di merci di egual valore. La moneta funge da merce neutra di scambio. Ogni merce ha un valore d'uso ed un valore
di scambio, ovvero il suo prezzo. Le merci scambiabili hanno un unico fattore in comune e cioè il lavoro. Per Marx il valore di scambio è dato dalla quantità di lavoro “necessario”. Il prezzo del prodotto è
commisurato sulla quantità di lavoro, cioè sui costi di produzione e questi dovrebbero essere uguali ai salari dei lavoratori. La produzione consta di tre elementi: la forza-lavoro; il materiale grezzo; i macchinari e l'insieme dell'impianto manufatturiero. I due ultimi elementi
rappresentano la parte fissa del capitale e sono soggetti ad usura ripagata da parte del prodotto (in realtà anche il materiale è soggetto a variazione di prezzo!). I salari rappresentano invece la parte variabile, poiché essi possono essere abbassati o aumentati secondo le
circostanze. Marx sostiene che il salario, cioè il prezzo della
forza-lavoro, è calcolato sulle necessità minime di vita dell'operaio e della sua famiglia; è perciò indipendente dalle ore lavorate. Mentre il prezzo del prodotto è calcolato sulla quantità di lavoro effettivamente necessaria, il lavoratore produce molto più di quanto riceve. Il lavoratore, cioè, produce un plusvalore che va ad arricchire il capitalista. E questo plusvalore può essere aumentato a dismisura allungando le ore della giornata lavorativa (in mancanza di leggi sul lavoro). Il plusvalore corrisponde a quanto resta dopo aver pagato i salari.
La tesi di Marx è che i piccoli produttori, che sono ancora proprietari dei mezzi di produzione e del prodotto, sono destinati alla rovina; infatti lo sviluppo economico della società capitalistica porta, per necessità naturale, alla distruzione delle piccole industrie (artigiani, etc.) ed alla formazione di pochi grossi capitalisti, ma successivamente porta di necessità alla distruzione della stessa società capitalistica ed al potere del proletariato. Il comunismo è così giustificato da Marx come
sviluppo necessario della società capitalistica. Marx fa uso solo della
ragione, e si basa sull'analisi lucida della situazione a lui
contemporanea e sulla storia passata; ma non fa appello né a sentimenti né al senso morale di giustizia.
Una accentuazione del materialismo dialettico in senso naturalistico, cioè di uno sviluppo dialettico della natura, si ha nell'opera di Engels. Anche in Marx la natura entra nell'ambito dialettico in quanto l'uomo è
condizionato dalla società e dalla natura, che sono il risultato dell'azione delle precedenti generazioni. Engels, però, insiste su una dialettica reale ed oggettiva della natura, alla quale egli è spinto anche dall'influenza dell'evoluzionismo contemporaneo. La dialettica, egli afferma, ha
veramente luogo sia nel regno vegetale che in quello animale, così come nella storia. La dialettica è dunque una legge generale della natura, della storia e del pensiero. Egli pretende di cogliere le leggi della dialettica direttamente dalla natura e dalla storia, laddove Hegel le
elargiva dall'alto come leggi del pensiero. Le tre leggi della dialettica formulate da Engels sono: la legge della conversione della quantità in qualità e viceversa; la legge della relazione reciproca degli elementi di una totalità; la legge della negazione della negazione.
Il grande sviluppo delle scienze nel secolo XIX.
La fecondità della specializzazione delle ricerche scientifiche,
verificatasi in Francia sotto lo stimolo delle trasformazioni sociali attuate dalla Rivoluzione, e la diffusione dello spirito scientifico, favorita dal processo di rapida industrializzazione di tutti i paesi europei, hanno prodotto un impetuoso sviluppo di tutte le scienze e delle loro
applicazioni tecniche, tale da raggiungere ed influenzare anche la
mentalità dell’uomo comune. Ricorderemo soltanto alcuni dei risultati più clamorosi.
Fisica e chimica: sulla scia degli studi elettrochimici di Faraday, si hanno importanti sviluppi nello studio dei fenomeni dielettrici da parte del fisico inglese James Clerk Maxwell (1831-1879). Ancora nel campo
dell’elettricità vanno ricordate le ricerche di Th.Johann Seebeck (1770-1831) e quelle di G.Simon Ohm (1781-1854).
Nel campo dell’ottica ricordiamo Leone Foucault (1819-1868) sullo studio dello spettro della luce prodotta da un arco voltaico e del confronto di esso con lo spettro solare. A lui si deve anche la determinazione della minore velocità della luce nell’acqua rispetto all’aria, il che è in accordo con la teoria ondulatoria e contro quella corpuscolare.
Le ricerche spettroscopiche suggeriscono l’uso degli spettri come mezzi di indagine per l’individuazione di determinati elementi chimici; a tale proposito si ricorda R.W. Bunsen (1811-1899). In ambito strettamente chimico, ricordiamo la tavola composta da Dimitrij
Ivanovic Mendelejev (1834-1907).
Il più importante principio fisico scoperto nell’Ottocento è senza dubbio quello dell’equivalenza tra calore e lavoro (1° della termodinamica) La sua determinazione è dovuta all’opera di vari scienziati, tra i quali Giulio Roberto Mayer (1814-1878), Ermanno Helmholtz (1821-1894) e James Prescott Joule (1818-1889). Ad Helmholtz si deve la formulazione
generale del principio di conservazione dell’energia, sulla cui base fu possibile interpretare il calore come un tipo di moto, abbandonando la teoria del calorico che lo interpretava come un fluido. Questa nuova concezione permise di comprenedere appieno il significato del 2°
principio della termodinamica scoperto qualche tempo prima da Carnot, e che fu riesposto in forma moderna da Rodolfo Clausius (1822-1888) e dall’inglese William Thomson (1824-1907), noto come Lord Kelvin.
La trasformazione del lavoro in calore fu il primo e più tipico esempio di processo irreversibile studiato dalla fisica. La considerazione dei
fenomeni irreversibili in fisica significò l’introduzione del fattore “tempo”
nel mondo naturale inorganico. Questo risultato fu il punto di partenza di un complesso di considerazioni sulla degradazione naturale dell’energia cosmica in calore (entropia crescente) e sulla morte prevedibile del
mondo a causa dell’estinguersi del calore solare.
Biologia . L’interesse generale fu attratto soprattutto dalle ricerche biologiche. Nel campo delle ricerche batteriologiche tocca a
Luigi Pasteur (1822-1895) il merito di aver confutato la vecchia
concezione della generazione spontanea e di aver dimostrato che la