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LA GASSIFICAZIONE SU SCALA DI LABORATORIO

Per l’aggiornamento della letteratura su questo tema si sono usati, come in precedenza, i dati di letteratura scientifica e brevettuale reperibili in rete e sulle più comuni banche dati. In aggiunta, sono state reperite alcune tesi di laurea, condotte presso il ENEL CRTN (Centro di Ricerca Termica e Nucleare) di Pisa, relativamente a processi di combustione / pirolisi su scala di laboratorio di differenti materiali.

In una pregevole pubblicazione di taglio fortemente applicativo, gli autori (Zhuo et al., 2000) discutono un confronto tecnico ed economico su processi di gassificazione di biomasse effettuati confrontando i risultati ottenuti da esperimenti su scala pilota con quelli ottenuti con un pirolizzatore da banco.

Tali risultati, non completamente confrontabili, offrono un riferimento per la progettazione di uno scale-up del processo su scala industriale, evidenziando che le tecnologie che risultano più promettenti su scala di laboratorio, possono poi rivelare costi eccessivi su impianto full-scale. Questo articolo mette in evidenza la assoluta necessità di utilizzare un approccio estremamente cautelativo nella valutazione dei test di gassificazione condotti su scala ridotta.

Inoltre, in letteratura, sono presenti numerose pubblicazioni (Tognotti, 1989; Krammer, 1999; Coda, 2000; Biagini, 2005 e 2009), che riportano differenti tecniche sperimentali per la simulazione su scala di laboratorio dei processi di pirolisi che impiegano reattori “drop‐tube” ovvero “a singola particella”.

La ricerca di soluzioni sperimentali di questo tipo è dettata dall’esigenza di limitare il cosiddetto “effetto massa”, condizione indispensabile per la definizione degli aspetti modellistici della pirolisi-gassificazione, indipendentemente dal fatto che questa sia o meno seguita da combustione.

Dal punto di vista sperimentale, queste tecniche si collocano da una parte “opposta” rispetto all’ipotetica tecnica ottimale necessaria per lo scopo del presente lavoro; infatti, quello che andiamo cercando è un sistema in cui “l’effetto massa” non solo non sia trascurabile, ma “assomigli” – per quanto possibile – a quello che si realizza su un impianto reale che, ad oggi, è in fase di start-up. Inoltre occorre che il quantitativo di campione esaminato sia tale da fornire una quantità di syngas adeguata non solo per analizzarne la

composizione, ma anche per effettuarne una determinazione volumetrica accurata ed effettuare i necessari bilanci di materia.

Presso il Centro di Ricerca Termica e Nucleare di Pisa dell’ENEL di Pisa sono state svolte, negli anni 2001 – 2004, alcune tesi di laurea sperimentale ed una di esse, in particolare, ha riguardato la messa a punto e validazione di un reattore a letto fisso ed il suo impiego nello studio di processi termochimici su scala di laboratorio impiegando differenti combustibili (G. Massei, 2003).

In Figura 18, è riportato lo schema semplificato della combustione di una particella di carbone che ha dimensioni sufficientemente piccole ed è adeguatamente dispersa da poter essere considerata “isolata” all’interno di una fiamma. La descrizione dell’insieme di trasformazioni fisiche e chimiche che avvengono durante la combustione di una particella di carbone all’interno della caldaia, richiede la schematizzazione del processo come sequenza di passaggi successivi.

Figura 18. Schema semplificato della combustione del carbone.

Nella realtà i diversi processi sono in parte sovrapposti o prevalgono più o meno in diverse zone della caldaia; tuttavia, per descrivere il processo di combustione, è necessario costruire un modello semplificato in cui i singoli stadi sono considerati indipendenti.

Possiamo pertanto rappresentare la combustione come la successione di tre trasformazioni principali:

 il rilascio di sostanze volatili da parte del combustibile (devolatilizzazione);  l’ossidazione dei volatili in fase omogenea;

Le fasi iniziali del processo termico appartengono alla categoria dei fenomeni di pirolisi/gassificazione. La sostanziale differenza che possiamo individuare, in forma schematica, tra combustione e gassificazione è che, per la presenza di Ossigeno in difetto rispetto alle condizioni stechiometriche “locali”, nella gassificazione non si può realizzare la completa ossidazione delle sostanze volatili che si formano nei primi momenti del processo. Un ulteriore schema può essere quindi quello rappresentato in Figura 19.

Figura 19. Schema semplificato della gassificazione.

Un fattore che deve essere tenuto in debito conto è che la fenomenologia sopra descritta si sviluppa a livello locale, cioè dipende dalle condizioni di temperatura e composizione dei gas che sono presenti nelle immediate vicinanze della superficie del solido.

Quindi quando i prodotti volatili si innescano (combustione) producono un duplice effetto:  aumento locale della temperatura;

 impoverimento locale del contenuto di Ossigeno.

Entrambi questi fattori incrementano la velocità delle reazioni di degradazione (pirolisi). Dalla descrizione sopra riportata possiamo sviluppare alcune considerazioni che risultano interessanti, che sono frutto anche dell’attività sperimentale condotta presso ENEL-CRTN:

 in primo luogo possiamo ritenere che i “primi momenti” della combustione siano del tutto analoghi a quelli di una gassificazione, dato che il sistema “non si accorge” che c’è un difetto di Ossigeno;

 rispetto al processo che coinvolge il carbone, l’uso di una biomassa come combustibile produce un’ulteriore complicazione del quadro dei componenti prodotti, data la presenza di specie chimiche con una complessità molecolare eterogenea;

 gli aspetti fluidodinamici (ricambio dei gas sulla superficie della matrice solida) e fisici (dimensioni delle particelle) hanno un’importanza fondamentale nel processo che risulta massimamente governato da caratteristiche “localizzate”;

 si spiega abbastanza bene perché i meccanismi proposti in letteratura riguardino studi che partono dalla definizione di determinati assetti impiantistici (oltre che di specifici combustibili);

 riprodurre su scala di laboratorio esperimenti tendenti a simulare le singole “fasi” del processo è un’impresa ardua, per non dire impossibile.

Lo studio del meccanismo di reazione nei processi di trattamento termico dei combustibili è una delle sfide con cui da decenni si stanno confrontando le scienze chimiche, fisiche ed ingegneristiche con lo scopo di comprendere il ruolo delle variabili che determinano la resa energetica e la composizione dei prodotti.

Considerando che nello studio della combustione del metano è stato sviluppato un “modello” che prende in esame ben 160 reazioni competitive (CRTN ENEL Pisa - dati

riservati), si può ben capire quale sia la complessità del quadro nel caso di situazioni in cui

siano presenti combustibili a struttura e composizione ben più eterogenea, come le biomasse.

Un elemento ricorrente che si individua nell’esame della letteratura tecnica in questo settore è legato al fatto che ogni studio è legato ad una specifica modalità di gassificazione; in altri termini, le condizioni del processo sono fortemente influenti sul decorso del processo stesso.

La ragione di tutto questo è facilmente comprensibile se si tiene conto, in modo semplificato, che il processo di gassificazione può essere considerato un processo “intermedio” tra combustione propriamente detta (cioè reazione in presenza di Ossigeno) e pirolisi (degradazione puramente termica, in assenza di Ossigeno).

D’altra parte, gli studi sulla combustione del carbone hanno ampiamente dimostrato che durante la combustione stessa hanno luogo fenomeni di pirolisi, fenomeni fra l’altro molto importanti perché responsabili della formazione di microinquinanti di particolare tossicità - quali IPA, PCDD, ecc. - i quali presentano una elevata stabilità, cosicché sopravvivono anche in condizioni fortemente ossidanti.

Come conseguenza di quanto sopra enunciato, nei lavori sperimentali citati, è apparso più che ragionevole accontentarsi di un modello descrittivo piuttosto sommario, che ha permesso comunque, in prima battuta, di tenere di conto delle “fasi” che si producono durante un processo di gassificazione su impianto. Tale schema semplificato è quello riportato in Figura 20.

Figura 20. Schema semplificato dei prodotti di gassificazione.

Quando andiamo ad esaminare la situazione con maggiore dettaglio, troviamo che la gamma di composti che si possono ricavare in sede di gassificazione è decisamente più complessa.

Nelle esperienze condotte presso ENEL - CRTN, uno dei temi più delicati e critici da affrontare riguardava l’allestimento di un apparati sperimentali su scala di laboratorio capaci di riprodurre condizioni correlabili con quelle di un impianto industriale.

In commercio sono disponibili pirolizzatori commerciali; in particolare, nei laboratori di ENEL Produzione-Ricerca di Pisa, sono stati utilizzati i sistemi Pyroprobe 1000 e Pyroprobe 2000 che, opportunamente modellizzati, sono risultati capaci di fornire informazioni di rilievo sul processo pirolitico. Fase Gas (CO, H2, CO2, H2O, CH4, Altro) Fase Liquida (TAR) Fase Solida (CHAR) Gassificazione di una BIOMASSA

Infatti, i pirolizzatori commerciali di tipo Pyroprobe, ottengono il riscaldamento del carbone per effetto Joule tramite filamento conduttore avvolto direttamente sul campione; questi sono caratterizzati da velocità effettive di riscaldamento del campione molto elevate (centinaia di °C/s) e da rapido allontanamento dei prodotti volatili di pirolisi dalla zona di reazione.

Il limite principale di queste apparecchiature è dato dall’esigua quantità di combustibile che sono capaci di trattare, mai superiore a qualche decina di mg. Questo rende problematico, da una parte, lo studio di composti che si formano in tracce, dall’altra, l’impiego di combustibili fortemente eterogenei, come quelli derivati dai rifiuti (CDR e CSS), per i quali è difficile ottenere campioni rappresentativi su piccola scala.

Per ovviare a tale inconvenienti, è stato progettato e sviluppato un micro-reattore a letto fisso, di dimensioni sufficienti a processare varie centinaia di mg di carbone per ogni prova condotta (L. Tognotti, 1998). Questo reattore è stato messo a punto e caratterizzato con un lavoro peculiare, orientando lo studio verso l’ottenimento di specifiche risposte nell’ambito del processo di pirolisi del carbone.

Una volta modellizzato, con tecniche semiempiriche, lo scambio termico all’interno del reattore, ottenendo in questo modo una capacità predittiva della storia termica effettivamente risentita dal campione, l’influenza dei parametri di processo sulle risposte del sistema è stata presa in esame tramite studi in analisi univariata, prima, e multivariata, poi. L’analisi univariata dei parametri di processo, utile inizialmente per una prima valutazione degli andamenti delle risposte in funzione delle variabili manipolabili e dell’importanza relativa di queste ultime, comporta un onere temporale ed economico notevole, se effettuata in modo completo ed esaustivo.

Per ottimizzare l’informazione ottenuta nelle prove sperimentali, ottenendo una più accurata valutazione delle potenzialità del reattore, lo strumento di indagine più adatto risulta essere l’analisi multivariata. Utilizzando quest’ultima tecnica, infatti, con solo nove prove sperimentali è stato possibile completare la caratterizzazione del reattore, ottenendo risposte di grande utilità nella comprensione dei meccanismi del processo di pirolisi del carbone a elevate conversioni.

L’analisi statistica è stata in special modo orientata a predire l’effetto di alcuni parametri di processo sul trasferimento di materia e sulle condizioni di formazione/distruzione di alcune

classi di composti organici di particolare interesse ambientale (IPA ed altre specie idrocarburiche).

Dal punto di vista sperimentale, il reattore è fondamentalmente costituito da un tubo di reazione posto all’interno di un forno elettrico tubolare (Figura 21). Ad un’estremità del tubo viene movimentata una sonda destinata a portare il campione, mentre all’altra estremità è presente una sonda mobile per il suo raffreddamento; all’interno del tubo fluisce il carrier gas, che trasporta i prodotti di pirolisi alla sezione di condensazione.

Figura 21. Schema della linea sperimentale per le prove di pirolisi

La procedura operativa, con cui sono state effettuate le prove di pirolisi dei campioni di carbone, è stata standardizzata, in modo da rendere riproducibile l’utilizzo del reattore (Figura 22).

Operando come descritto in Figura 22, per ogni test di pirolisi vengono ottenuti dati sperimentali riguardanti la quantificazione dei composti volatili e dei TAR, nonché la valutazione della composizione chimica di specifiche classi di composti appartenenti ai TAR, ottenuti con tecniche gas-cromatografiche eventualmente accoppiate alla spettroscopia di massa: l’esecuzione dei test di pirolisi su scala di laboratorio è caratterizzata da una elevata complessità e criticità operativa dal momento che lo scopo è determinare analiti presenti a concentrazione molto basse.

Figura 22. Schema della procedura sperimentale.

La determinazione della distribuzione dei prodotti nelle varie fasi (volatili, TAR e residuo solido) in funzione dei parametri operativi di principale interesse (temperatura del forno, tempo di permanenza del carbone nel forno, flusso di elio che attraversa il reattore) è stata effettuata tramite un Disegno Sperimentale studiato ad hoc per ottenere risposte di tipo chimico su classi di composti di particolare interesse.

A questo primo livello di indagine, è stato sufficiente analizzare i TAR in un gas- cromatografo con rivelatore a ionizzazione di fiamma: in particolare, è stato seguito l’andamento della serie omologa dei n-alcani e dei n-alcheni in funzione dei parametri di processo. Valutando infatti la degradazione progressiva delle paraffine lineari a favore di olefine e composti aromatici, è possibile avere un indice dell’influenza delle variabili manipolabili sulla severità di processo.

Una volta ottenute le conoscenze necessarie e messo a punto il sistema, sia dal punto di vista della procedura operativa che di quella per il recupero e l’analisi dei TAR, è stato possibile effettuare un’analisi di tipo multivariato.

In questo tipo di analisi non si ha la necessità di variare un parametro mantenendo gli altri costanti, ma vengono variati tutti simultaneamente, permettendo di ridurre sensibilmente il numero di esperimenti necessari ad ottenere le risposte cercate; gli effetti di ogni singolo fattore e le sue interazioni possono essere valutate tramite un appropriato trattamento matematico.

Con un disegno sperimentale di sole nove prove, è stata definita l’influenza della temperatura del forno, del flusso di carrier gas e del tempo di permanenza del carbone nel forno sulla risposta chimica del sistema, ottenendo anche informazioni sul campo di utilizzo del reattore. A quest’ultimo proposito è stata indagata la possibilità di trovare condizioni operative tali da permettere lo studio del processo primario di pirolisi, senza interferenze da parte di reazioni di pirolisi secondaria.

Un fattore emerso in modo evidente dall’attività sperimentale consiste nella scarsa comparabilità dei risultati ottenuti con i dispositivi di tipo Pyroprobe (ad alta velocità di riscaldamento), rispetto al nuovo reattore dove, al contrario, la velocità di riscaldamento non supera i 5 °C/s ed i prodotti di pirolisi rimangono alcuni secondi all’interno della zona di reazione.

La precedente descrizione, oltre a fornire alcuni dettagli sull’esecuzione delle indagini analitiche di interesse per lo specifico campo di ricerca, mette in evidenza che:

 vi può essere una differenza di risposta, anche significativa, a seconda dell’apparato sperimentale impiegato per le prove;

 le tecniche di Experimental Design, che costituiscono strumenti che saranno ampiamente utilizzati anche nel presente progetto, offrono un notevole supporto all’indagine sperimentale.