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Valorizzazione energetica dei rifiuti industriali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

 

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali 

 

 

 

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN: 

CHIMICA INDUSTRIALE 

 

VALORIZZAZIONE ENERGETICA

DEI RIFIUTI INDUSTRIALI

  Relatore interno      Controrelatore  Prof. Giorgio Valentini        Prof.ssa Anna Maria Raspolli Galletti            Relatore esterno  Dott.ssa Braca Francesca    Candidato  Alessandro Mattarocci      Anno Accademico: 2013 – 2014   

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RINGRAZIAMENTI

Desidero esprimere la mia gratitudine alle persone che mi hanno aiutato ed accompagnato nella realizzazione di questa tesi. Ringrazio in particolar modo il Prof. Giorgio Valentini per avermi dato l’opportunità di affrontare il tirocinio presso i Laboratori Archa S.r.l. Un sentito ringraziamento va alla Dott.ssa Francesca Braca per avermi guidato e sostenuto in questo lungo e tortuoso percorso e, ovviamente, a tutte le persone dei Laboratori Archa per la grande disponibilità che mi hanno sempre mostrato.

Inoltre voglio ringraziare tutti i miei amici che a “loro modo” mi hanno incoraggiato per raggiungere la meta.

Infine un sentito ringraziamento va a tutta la mia famiglia e alla mia ragazza che mi hanno supportato e sopportato in questo mio cammino universitario.

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SOMMARIO

RIASSUNTO ... 7

1. SCOPO DELLA TESI ... 10

2. LA GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI ... 12

2.1 Classificazione dei rifiuti ... 13

2.2 Produzione e gestione dei rifiuti speciali ... 15

2.2.1 Rifiuti speciali non pericolosi per recupero energetico ... 15

3. I COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI ... 18

3.1 Aspetti normativi dei CSS ... 19

3.1.1 La classificazione dei CSS ... 19

3.1.2 Cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste)... 21

3.1.3 Produzione e utilizzo dei CSS ... 22

3.2 Impianto di produzione dei CSS ... 25

3.2.1 Triturazione e macinazione ... 25

3.2.2 Vagliatura e separazione ... 27

4. LA GASSIFICAZIONE ... 32

4.1 Parametri operativi e prestazionali di processo ... 35

4.1.1 Rapporto di equivalenza (ER) ... 36

4.1.2 Temperatura del reattore ... 38

4.1.3 Tempo di residenza dei gas e dei rifiuti all'interno del reattore... 38

4.1.4 Composizione e proprietà fisiche del rifiuto ... 39

4.1.5 Composizione e temperatura di ingresso del mezzo di gassificazione ... 40

4.1.6 Parametri per la valutazione delle prestazioni energetiche ... 40

4.2 Reattori di gassificazione ... 43

4.3 Sistemi di pulizia del syngas ... 47

4.4 Sistemi di recupero dell’energia ... 49

5. LA GASSIFICAZIONE SU SCALA DI LABORATORIO ... 52

6. L’ANALISI STATISTICA DEI DATI ... 61

6.1 Il Disegno Sperimentale ... 63

6.1.1 La costruzione di un disegno sperimentale ... 64

6.1.2 Quando utilizzare un disegno sperimentale ... 65

6.1.3 Interpretazione delle risposte ... 66

6.2 Analisi dei Componenti Principali (PCA) ... 67

(5)

6.2.2 Esplorazione dei dati ... 68

6.2.3 Applicazioni della PCA ... 70

7. INTRODUZIONE ALL’ATTIVITÀ SPERIMENTALE ... 72

7.1 Metodologie di interpretazione dei risultati sperimentali ... 75

7.1.1 Studio dei dati di composizione del syngas (tal quali) ... 76

7.1.2 Normalizzazione dei dati di composizione ... 76

7.1.3 Valutazione degli indici di prestazione energetica e degli effetti sinergici ... 76

7.1.4 Elaborazioni chemiometriche ... 77

8. MATERIALI E METODI ... 78

8.1 Il campionamento dei rifiuti ... 78

8.2 Analisi Merceologica ... 79

8.3 Contenuto di umidità totale ... 80

8.4 Contenuto di ceneri a 600°C e 900°C ... 80

8.5 Determinazione del Potere Calorifico Inferiore ... 81

8.6 Costruzione dell’apparecchiatura per la piro-gassificazione ... 82

8.7 Progettazione dei test di piro-gassificazione ... 88

8.8 Strumentazione impiegata ... 89

8.8.1 Il Calorimetro ... 89

8.8.2 Forno a muffola ... 89

8.8.3 Reattore di piro-gassificazione di laboratorio ... 90

8.8.4 Buretta gas-volumetrica ... 90 8.8.5 Gas Cromatografo TCD ... 92 8.8.6 Cella termostatica ... 93 8.8.7 Setaccio ... 93 8.8.8 Bilancia analitica ... 93 8.8.9 Pressa idraulica ... 94

9. LA CARATTERIZZAZIONE DEI RIFIUTI: RISULTATI E DISCUSSIONI ... 95

9.1 Tipologie di rifiuti ... 97

9.2 La separazione merceologica ... 100

9.3 Caratterizzazione chimica e chimico-fisica dei singoli CER ... 104

9.4 Caratterizzazione chimica e chimico-fisica delle miscele ... 109

10. LA PIRO-GASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI: RISULTATI E DISCUSSIONE ... 116

10.1 Prove in bianco per il flussaggio dell’azoto ... 116

10.2 Ottimizzazione dei parametri operativi ... 119

10.3 Verifica della ripetibilità delle prove di piro-gassificazione ... 123

(6)

10.3.2 Prove sulla matrice segatura di legno... 126

10.3.3 Prove sulla frazione merceologica “plastica” ... 128

10.3.4 Prove sulla frazione merceologica “legno” ... 130

10.3.5 Prove sulla frazione merceologica “carta” ... 131

10.3.6 Prove sulla frazione merceologica “ tessuti” ... 133

10.3.7 Prove sulla frazione merceologica “sottovaglio” ... 134

10.4 Commenti sulle prove di ripetibilità ... 135

10.5 Prove di piro-gassificazione su miscele di rifiuti ... 136

10.5.1 Plastica/carta (miscela “MIX1”) ... 138

10.5.2 Plastica/tessuti (Miscela “MIX2”) ... 140

10.5.3 Carta/tessuti (miscela “MIX3”) ... 141

10.5.4 Plastica/sottovaglio (miscela “MIX4”) ... 143

10.5.5 Sottovaglio/carta (miscela “MIX5”) ... 145

10.5.6 Sottovaglio/tessuti (miscela “MIX6”) ... 146

10.5.7 Sottovaglio/tessuti/carta (miscela “MIX7”) ... 148

10.5.8 Plastica/tessuti/carta (miscela “MIX8”) ... 150

10.5.9 Plastica/sottovaglio/carta (miscela “MIX9”)... 151

10.5.10 Plastica/tessuti/sottovaglio (miscela “MIX10”) ... 153

10.6 Considerazioni sulle prove di piro-gassificazione delle miscele ... 155

10.7 Indici di prestazione energetica ... 155

10.8 Analisi chemiometrica sulla piro-gassificazione delle singole frazioni merceologiche ... 159

10.9 Analisi chemiometrica delle miscele a due componenti ... 162

10.10 Analisi PCA per le miscele a tre componenti ... 168

11. CONCLUSIONI ... 173

BIBLIOGRAFIA ... 175

APPENDICE 1 ... 177

(7)

RIASSUNTO

Il presente lavoro affronta la complessa tematica riguardante il riutilizzo di rifiuti in processi di termovalorizzazione, in particolare per quanto concerne la trasformazione di combustibili solidi secondari in energia. Più precisamente è stato studiato l’impiego di rifiuti speciali non pericolosi di origine industriale da inviare ad un processo di piro-gassificazione per la produzione di gas energetici quali H2, CO e CH4.

Al fine di perseguire tali obiettivi è stata messa a punto, su scala di laboratorio, una metodica capace di simulare un processo di piro-gassificazione in modo da focalizzare l’attenzione, quantitativamente e qualitativamente, sulla miscela di gas prodotta dai rifiuti in esame.

Tuttavia, precedentemente alla realizzazione di tale metodica, è stata necessaria una lunga e intensa analisi di caratterizzazione chimica e chimico-fisica dei rifiuti oggetto di studio. In particolare, sono stati considerati diverse tipologie di rifiuti caratterizzati da differenti Codici CER e, per ognuno di essi, è stata eseguita una puntuale ed accurata analisi per la determinazione delle differenti frazioni merceologiche presenti. Inoltre, per ciascuna classe merceologica presente nei diversi rifiuti sono state eseguite le caratterizzazioni chimiche di maggior interesse per gli scopi dello studio (contenuto di umidità e di ceneri a differenti temperature, Potere Calorifico Inferiore).

Sulla scorta dei risultati emersi nella prima fase conoscitiva dei rifiuti, sono state preparate miscele degli stessi al fine di sottoporle successivamente ad un processo di pirogassificazione su scala di laboratorio: anche in questo caso le miscele sono state sottoposte ad una accurata analisi.

In seguito, l’attenzione è stata rivolta alla messa a punto dell’apparecchiatura necessaria ad eseguire le prove di piro-gassificazione su scala di laboratorio. A tale scopo è stato necessario, in primo luogo, valutare le differenti condizioni operative che potevano influenzare i risultati sperimentali ottenuti quali: il flussaggio di azoto, la temperatura e la quantità di campione da analizzare, oltre alla messa a punto di un metodo

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gas-cromatografico utile alla determinazione qualitativa e quantitativa dei gas (energetici e non) presenti nella miscela gassosa prodotta dalla piro-gassificazione dei rifiuti.

Il processo di piro-gassificazione è stato studiato mediante la sperimentazione condotta su scala di laboratorio, in modo tale da individuare il ruolo di alcune variabili, sia relativamente alle materie prime che alle condizioni sperimentali adottate per la conduzione delle prove, sulla resa del processo di piro-gassificazione stesso, in termini di produzione di miscele di CO/H2.

In questo modo è stato possibile mettere a punto un metodo che ha permesso di studiare su scala di laboratorio questo complesso tipo di processo.

A tal fine sono state usate, in un primo set di prove, matrici a composizione nota quali il Polietilene (PE) e la segatura di legno, in modo da verificare la ripetibilità delle misure sulla base delle specifiche condizioni operative individuate.

Successivamente, sono stati effettuati test di piro-gassificazione sulle singole frazioni merceologiche combustibili presenti nei rifiuti e, secondariamente, su miscele di tali frazioni merceologiche al fine di simulare il rifiuto medio reale.

Dai risultati ottenuti relativamente alla composizione dei gas prodotti dalla piro-gassificazione, sono stati calcolati differenti indici di prestazione energetica per ciascuna miscela testata. Mediante tali indici è stato possibile valutare la presenza o meno di fenomeni additivi di tipo sinergico o anti-sinergico che caratterizzano le risposte delle miscele Per fare ciò, i valori degli indici calcolati per ciascuna miscela sono stati confrontati con i valori teorici ottenuti a partire dalle singole componenti presenti nella miscela stessa ed è stato misurato il discostamento percentuale del valore sperimentale con il corrispettivo valore teorico.

L’ipotesi di lavoro è rappresentata dalla considerazione che, anche in condizioni operative non completamente rappresentative delle effettive condizioni operanti in un gassificatore, le frazioni merceologiche presenti nei differenti rifiuti danno luogo a risposte specifiche e a comportamenti caratteristici per ciascuna classe merceologica, ma tali comportamenti possono modificarsi in miscela.

Più in dettaglio quello che è stato interessante da valutare è il verificarsi di fenomeni sinergici per cui l’impiego di miscele combustibili o, più in dettaglio, di miscele di rifiuti

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particolarmente complesse e caratterizzate da una composizione merceologica assai variabile, hanno dato luogo a risposte additive, con sinergia positiva o negativa.

La verifica dell’esistenza di tale fenomenologia costituisce un fattore di notevole interesse dal punto di vista applicativo, sia per gli aspetti energetici che ambientali, in modo particolare nel campo dei rifiuti da inviare a recupero energetico, dove uno dei fattori più incerti, è dato proprio dalla variabilità della composizione “macroscopica” e, in particolare, merceologica, di tali combustibili solidi secondari.

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1. SCOPO DELLA TESI

La tematica affrontata in questo lavoro di tesi riguarda la trasformazione di combustibili solidi secondari (CSS) in energia a seguito di un processo di piro-gassificazione.

Lo scopo prefissato presuppone la messa a punto di un sistema di piro-gassificazione su scala di laboratorio in modo tale da individuare il ruolo di alcune variabili, sia relativamente alle materie prime che alle condizioni sperimentali adottate per la conduzione delle prove, in termini di produzione di syngas.

Partendo da precedenti esperienze sullo studio dei processi di pirolisi su carbone, in cui si è dimostrato che anche con l’uso di apparecchiature di laboratorio particolarmente sofisticate non è possibile simulare in maniera affidabile il decorso del processo termico che le particelle combustibili subiscono in un bruciatore reale, si è ricercata una condizione di compromesso tra le esigenze di rappresentatività e le capacità analitiche di determinazione del syngas. Per questo motivo lo studio si è indirizzato alla definitiva messa a punto di un metodo di prova semplificato in parte già sperimentato in un precedente lavoro di tesi. L’ipotesi di lavoro consiste nel ritenere che, anche in condizioni operative non completamente rappresentative delle effettive condizioni operanti in un gassificatore, si possano ottenere risposte sperimentali che siano informative sui comportamenti caratteristici.

Più in dettaglio, quello che interessa è la possibilità di verificare se, come osservato in processi di pirolisi di CDR ed in alcuni processi di digestione anaerobica di biomasse, siano operativi fenomeni sinergici per cui l’impiego di miscele combustibili o, più precisamente, di miscele di rifiuti particolarmente complesse e caratterizzate da una composizione merceologica assai variabile, dia luogo a risposte additive o meno.

La verifica dell’esistenza di tale fenomenologia costituisce un fattore di notevole interesse dal punto di vista applicativo, sia per gli aspetti energetici che ambientali, in modo particolare nel campo dei rifiuti per termovalorizzazione, dove uno dei fattori più incerti, è dato dalla variabilità della composizione “macroscopica” ed, in particolare, merceologica, di

(11)

tali combustibili solidi secondari e dove, di conseguenza, è difficile pensare di poter avere una alimentazione agli impianti avente caratteristiche costanti dal punto di vista qualitativo.

(12)

2. LA GESTIONE INTEGRATA DEI RIFIUTI

Per gestione dei rifiuti si intende l'insieme delle politiche, procedure o metodologie volte a gestire l'intero processo dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro destinazione finale. La gestione integrata dei rifiuti è stata introdotta in Italia grazie al D. Lgs. 22/1997 (Decreto Ronchi) emanato in seguito alle direttive della comunità europea1; ad oggi la gestione dei rifiuti segue la Normativa riportata nella parte IV del D. Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale) e successive integrazioni e modificazioni.

L’interesse principale di tale gestione, come riportato dall’art.189 del suddetto decreto, è rivolto al recupero e allo smaltimento dei rifiuti, tramite l’uso di procedimenti che non rechino danni alla salute dell’uomo e all’ambiente e, in particolare:

 senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora,

 senza causare inconvenienti da rumori e odori,

 senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente.

Il problema rifiuti non può comunque essere risolto solo attraverso tecnologie di recupero e smaltimento, ma deve essere affrontato in maniera più ampia ed articolata, intervenendo con iniziative mirate di tipo gestionale in ogni sua fase. Quella dei rifiuti è, infatti, una filiera che si origina dalla loro produzione (industriale o civile) passando attraverso la loro raccolta, l’eventuale separazione o pretrattamento, il loro recupero o riciclaggio, terminando infine con il loro smaltimento (M. Zanatta, 2011).

In Figura 1 è presentato un quadro relativo alla gestione integrata dei rifiuti urbani.

1

Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio.

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Figura 1: Ciclo integrato di gestione dei rifiuti

2.1 Classificazione dei rifiuti

La normativa vigente definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'Allegato A (Parte IV, D. Lgs. 152/06) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi”. La classificazione dei rifiuti è regolamentata dall’Art.184, Comma 1, del D. Lgs. 152/2006; essi sono suddivisi in:

 rifiuti urbani e rifiuti speciali, in base alla loro origine

 rifiuti pericolosi e non pericolosi, in base alle loro caratteristiche di pericolosità.

Vengono classificati come rifiuti urbani (Art.184, Comma 2 del D. Lsg. 152/2006):

 i rifiuti domestici, anche ingombranti provenienti da locali e luoghi adibiti a civile abitazione,

(14)

 i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per quantità e qualità, ai sensi

dell’Art.198, Comma 2, lettera g)2

 i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade,

 i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua,

 i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali,  i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti

provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), e) ed e),

Vengono invece classificati come rifiuti speciali (Art.184, Comma 3 del D. Lgs. 152/2006):  i rifiuti da attività agricole e agro-industriali

 i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attività di scavo, fermo restando quanto disposto dall'articolo 186  i rifiuti da lavorazioni industriali

 i rifiuti da lavorazioni artigianali  i rifiuti da attività commerciali  i rifiuti da attività di servizio

 i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque, dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi

 i rifiuti derivanti da attività sanitarie

 i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti

2

In base a tale articolo, i comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che stabiliscono in particolare l'assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all'art. 195, comma 2, lett. e); quest'ultimo come a sua volta prevede che sono di competenza dello Stato la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani, con la precisazione che però non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico e, allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all'art. 4, comma 1, lettera d) del Decreto Legislativo n. 114 del 1998, ossia con superficie superiore a 450 m2 nei comuni con meno di 10.000 abitanti ed a 750 m2 negli altri comuni.

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 i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti  il combustibile derivato da rifiuti

I rifiuti pericolosi sono elencati nell’Allegato D della Parte IV del D. Lgs. 152/2006. Nella parte introduttiva di tale allegato viene specificato che una “sostanza pericolosa” viene considerata come una qualsiasi sostanza che è o sarà classificata pericolosa ai sensi della Direttiva 67/548/CEE e successive modifiche.

Si precisa inoltre che i rifiuti contrassegnati nell'elenco con un asterisco "*" sono rifiuti pericolosi ai sensi della Direttiva 91/689/CEE relativa ai rifiuti pericolosi e ad essi si applicano le disposizioni della medesima direttiva, a condizione che non trovi applicazione l'Art.1, paragrafo 5.

2.2 Produzione e gestione dei rifiuti speciali

I dati più aggiornati sulla produzione e la gestione dei rifiuti speciali che verranno qui di seguito descritti, sono tratti dal Rapporto Rifiuti Speciali redatto da ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale) riferiti all’anno 2010.

Secondo tale rapporto, la produzione nazionale dei rifiuti speciali si è attestata ad un totale di 137,9 milioni di tonnellate facendo registrare un aumento del 2,4% rispetto all’anno precedente, corrispondente a 3,2 milioni di tonnellate.

La produzione dei rifiuti speciali non pericolosi ammontava ad un totale di 128,2 milioni di tonnellate, mentre il quantitativo di rifiuti speciali pericolosi si è attestato a oltre 9,6 milioni di tonnellate.

2.2.1 Rifiuti speciali non pericolosi per recupero energetico

Per quanto riguarda il recupero energetico in impianti produttivi, in sostituzione dei combustibili tradizionali, si riscontra un valore pari solo all’1,6% del totale, mentre all’incenerimento viene destinato meno dell’1% del totale.

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Figura 2: Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti speciali, anno 2010. Fonte: ISPRA.

Il quantitativo totale dei rifiuti speciali oggetto di recupero energetico ammonta a circa 2,3 milioni di cui circa 2 milioni di tonnellate (circa il 94%) è costituito da rifiuti non pericolosi; rispetto all’anno precedente essi mostrano un aumento del 9% circa.

Sul territorio nazionale sono presenti 500 impianti che utilizzano i rifiuti speciali come fonte di energia: di questi 365 utilizzano una quantità superiore alle 100 t/anno mentre i restanti utilizzano piccoli quantitativi al solo scopo del recupero di energia termica funzionale al proprio ciclo produttivo.

Si registra comunque, rispetto all’anno precedente, un aumento di circa il 9% degli impianti utilizzanti i rifiuti speciali al di sopra delle 100 t/anno.

Per quanto riguarda le tipologie di rifiuti speciali non pericolosi utilizzati come fonte di energia (Tabella 1), le più rappresentative sono:

 i rifiuti della lavorazione del legno, carta ed affini con un quantitativo di 890 mila tonnellate (39,2%)

 il biogas con un quantitativo di circa 737 mila tonnellate (32,4%)  il combustibile da rifiuti con oltre 154 mila tonnellate (6,8%)  i rifiuti dell'attività agroalimentare con 146 mila tonnellate (6,5%)  gli oli esausti e di scarto con 86 mila tonnellate (3,8%)

 i rifiuti prodotti da trattamento chimico-fisico di rifiuti industriali e delle acque reflue con 78 mila tonnellate (3,4%)

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Tabella 1. Tipologie di rifiuti speciali impiegati in Italia per il recupero energetico. Fonte: ISPRA

In riferimento alle attività produttive maggiormente interessate al recupero energetico di rifiuti speciali non pericolosi, si osserva (Tabella 2): la quantità più rilevante è trattata dal settore della produzione di energia con 876 mila tonnellate (39%), seguito dall’industria del legno carta ed affini con oltre 545 mila tonnellate (24%), dal settore della raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti con circa 307 mila tonnellate (14%), dai cementifici con 218 mila tonnellate (10%), dal settore della fabbricazione di ceramiche, laterizi e altri materiali per l'edilizia con più di 121 mila tonnellate (5%) e dal settore della produzione di calce con 66 mila tonnellate (3%).

(18)

3. I COMBUSTIBILI SOLIDI SECONDARI

Il crescente prezzo del petrolio e di altri combustibili primari (ad esempio, coke di petrolio e carbone fossile) è sintomo di una crescente diminuzione di tali risorse che rende necessaria, e anche urgente, la ricerca verso fonti energetiche alternative.

In questo scenario è quindi necessario promuovere non soltanto lo sviluppo delle fonti rinnovabili, ma anche l’utilizzo di combustibili alternativi, con particolare riguardo a quelli prodotti da rifiuti, in particolare ai combustibili solidi secondari (CSS), la cui valorizzazione in determinati comparti industriali (cementifici, centrali termoelettriche) consente di trasformare un problema in una risorsa.

L’Italia, come altri Stati membri dell’UE, ha da anni intrapreso la strada relativa all’utilizzo dei combustibili solidi secondari (CSS) per fini energetici.

Ad oggi, le tecnologie industriali esistenti, consentono la produzione di un CSS con caratteristiche e parametri qualitativi simili, se non a volte addirittura migliori, rispetto ai combustibili tradizionali.

E’ quindi chiaro, sotto il profilo energetico, come l’utilizzo dei CSS comporti una serie di benefici. In particolare il loro impiego determina sia una riduzione del consumo di risorse naturali in parziale sostituzione dei combustibili fossili, sia la riduzione, per esempio in paesi come l’Italia3, dell’importazione da paesi terzi.

Ai benefici energetici si uniscono anche quelli ambientali. Infatti, ai fini della produzione dei CSS, è necessaria una sinergia con la raccolta differenziata in quanto sia i requisiti merceologici del CSS sia le tecnologie adottate per la sua produzione, rendono necessario, a monte, l’effettuazione di quest’ultima; di conseguenza si ha un minor ricorso dello smaltimento nelle discariche (ormai in via di esaurimento), in linea con gli obiettivi previsti dalla Direttiva Europea 1999/31/CE.

Infine, prendendo come esempio il caso italiano, lo sviluppo di un industria volta al recupero del rifiuto comporta la riduzione dei costi di trasporto di quest’ultimo verso l’estero oltre alla promozione di un mercato interno capace di competere con quelli esteri.

3

L’Italia è uno dei Paesi industrializzati maggiormente dipendente da importazioni dall’estero di fonti di energia.

(19)

3.1 Aspetti normativi dei CSS

Per Combustibili Solidi Secondari (CSS) si intendono “i combustibili solidi prodotti da rifiuti

non pericolosi, sia di origine urbana che speciale (compresi i rifiuti industriali), che rispettano le caratteristiche individuate delle Norme tecniche UNI CEN/TS 15359:20114 e successive modifiche ed integrazioni”. Fatta salva l’applicazione dell’Art. 184-ter, il combustibile solido

secondario è classificato come rifiuto speciale.

Tale definizione, con l’ultimo intervento normativo risalente al dicembre 20105, ha superato

la distinzione tra Combustibile Derivato da Rifiuti di qualità normale (CDR) e di Qualità elevata (CDR-Q). Pertanto, la nuova definizione di CSS, che riguarda il complesso di rifiuti non pericolosi da destinare a recupero energetico, comprende e amplia le precedenti definizioni di CDR e CDR-Q, che riguardavano combustibili derivati da rifiuti urbani (Norme tecniche della serie UNI 9903). Il CSS può infatti derivare dal trattamento di frazioni omogenee e opportunamente selezionate di “rifiuti urbani, rifiuti industriali, rifiuti

commerciali, rifiuti da costruzione e demolizione, fanghi da depurazione delle acque reflue civili e industriali, ecc.”.

3.1.1 La classificazione dei CSS

I CSS, essendo a tutti gli effetti combustibili al pari di quelli fossili, possono essere utilizzati per produrre energia negli impianti di termovalorizzazione. L’utilizzo è comunque consentito solo in particolari condizioni stabilite dalla Commissione Europea tramite specifiche norme tecniche e giuridiche.

Più precisamente, la normativa di riferimento è la UNI EN 15359:2011: essa impone i requisiti necessari che un rifiuto non pericoloso deve rispettare affinché possa essere considerato come CSS.

4

Norma tecnica europea sulla classificazione e sulla specificazione del CSS.

5 Il D. Lgs. 205/2010 modifica il D. Lgs. 152/2006 al fine di recepire la nuova direttiva quadro sui rifiuti (direttiva

2008/98/CE), inserendo , all’articolo 183, comma 1, lettera cc) la definizione di combustibile solido secondario (CSS).

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Sulla base di tale normativa i CSS sono classificati secondo i seguenti parametri:

 il potere calorifico inferiore (PCI), indice del valore energetico e quindi economico  il contenuto di cloro, indice del grado di aggressività sugli impianti

 il contenuto di mercurio, indice della rilevanza dell’impatto ambientale.

Inoltre ciascun CSS è classificato da una terna di numeri corrispondenti alle classi in cui cadono:

 valore medio del PCI

 valore medio del contenuto di cloro

 valore più restrittivo tra la mediana e l’80° percentile del contenuto di mercurio.

Tali specifiche portano, a seconda della combinazione dei tre parametri e delle classi, alla classificazione di ben 125 diverse tipologie di CSS (Tabella 3).

Tabella 3: Classificazione dei CSS secondo la UNI EN 15359:2011.

La sola classificazione non è comunque sufficiente per l’utilizzatore. La UNI EN 15359:2011 impone infatti l’obbligo di fornire una descrizione più dettagliata del combustibile attraverso la determinazione analitica di diversi parametri fisico-chimici (parametri da fornire obbligatoriamente).

In caso di particolari esigenze, l’utilizzatore di CSS ha comunque la facoltà di richiedere ulteriori specifiche che possono essere quindi fornite volontariamente. In ambito europeo, i

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valori limite sono frutto di un accordo tra il produttore e l’utilizzatore del CSS e pertanto la UNI EN 15359:2011 non fissa dei valori limite sui singoli parametri.

3.1.2 Cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste)

L’Articolo 184-ter, Comma 1, del D. Lgs. 152/2006 stabilisce che un rifiuto cessa di essere tale (End of Waste) quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, inclusi il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

 la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;  esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

 la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

 l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto materiale non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

In assenza di criteri comunitari riguardanti l’End of Waste dei Combustibili Solidi Secondari, in Italia è stato emanato il D.M. 14 Febbraio 2013, n. 22 “Regolamento recante disciplina

della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell’Art. 184-ter, Comma 1, del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni” , con l’intento di agevolarne la produzione e l’utilizzo nel

rispetto di standard di tutela dell’ambiente e della salute umana.

Di fatto, la procedura “End of Waste” consente di attuare la gerarchia dei rifiuti6 (Figura 3), così come descritta dalla Direttiva 2008/98/CE, promuovendo il riciclaggio e il recupero di rifiuti e assegnando loro lo status di prodotto e quindi non più di rifiuto (Merlini M.).

6

Con l’articolo 4, la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti definisce la gerarchia delle possibili opzioni di gestione dei rifiuti: prevenzione, preparazione per il riutilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo, smaltimento.

(22)

Figura 3: Gerarchia nella gestione dei rifiuti.

3.1.3 Produzione e utilizzo dei CSS

Il CSS è prodotto esclusivamente in impianti autorizzati in procedura ordinaria in conformità alle disposizioni della Parte Quarta del D. Lgs. 152/2006, oppure, ai sensi del Titolo III -bis della Parte Seconda del Decreto Legislativo medesimo, e comunque dotati di certificazione di qualità ambientale secondo la norma UNI EN 15358:2011 (Art. 5 DM 22/2013).

Per la produzione del CSS sono utilizzabili solamente i rifiuti urbani e i rifiuti speciali, purché non pericolosi. Salvo quanto diversamente disposto nell’Allegato 2, per la produzione del

CSS non sono ammessi i rifiuti non pericolosi elencati nell’Allegato 27 (Art. 6, Comma 1, D.M.

22/2013).

La produzione del CSS avviene secondo processi e tecniche di produzione elencate, in modo esemplificativo, nell’Allegato 3 (Art. 7, Comma 1, D.M. 22/2013) per il quale la produzione del CSS combustibile può avvenire secondo i processi e le tecniche elencate nell’Allegato B della Norma tecnica UNI EN 15359:2011.

7

Vengono riportati tutti i codici CER dei rifiuti non pericolosi non ammessi per la produzione di CSS-Combustibile.

(23)

Sulla base di tale normativa (Tabella 4), si classifica CSS solo il materiale avente PCI e contenuto di Cl come definito dalle classi 1, 2, 3 e relative combinazioni e, per quanto riguarda il mercurio, come definito dalle classi 1 e 2 (Bertagna S., Migliavacca G.).

Tabella 4: Classificazione dei CSS.

L’utilizzo del CSS, è consentito esclusivamente negli impianti di cui all’Articolo 3, Comma 1, lettere b) e c) ai fini della produzione, rispettivamente, di energia termica o di energia elettrica (Art. 7, Comma 1, DM 22/2013).

Gli impianti elencati all’Art.3 sono:

 Cementificio: un impianto di produzione di cemento avente capacità di produzione superiore a 500 ton/g di clinker e soggetto al regime di cui al Titolo III –bis della Parte Seconda del D. Lgs. 152/2006, in possesso di Autorizzazione Integrata Ambientale purché dotato di certificazione di qualità ambientale secondo la Norma UNI EN ISO 14001 oppure, in alternativa, di registrazione ai sensi della vigente disciplina comunitaria sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS);

 Centrale termoelettrica: impianto di combustione con potenza termica di combustione di oltre 50 MW di cui al punto 2, 1.1, dell’Allegato VIII alla Parte Seconda del D. Lgs. 152/2006, in possesso di Autorizzazione Integrata Ambientale e dotato di certificazione di qualità ambientale secondo la norma UNI EN ISO 14001 oppure, in alternativa, di registrazione ai sensi della vigente disciplina comunitaria sull’adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS).

(24)

La normativa UNI EN 15359:2011 impone che, nel periodo di produzione del CSS della durata di 12 mesi, venga applicato un sistema di gestione per la qualità in accordo alla UNI EN 15358:2011.

In Italia, tale sistema è regolamentato dall’Art. 9, Comma 2 del DM 22/2013. Il sistema di gestione per la qualità è certificato da un organismo terzo accreditato. L’accertamento della conformità del sistema di gestione per la qualità alle norme UNI EN ISO 9001 e UNI EN ISO 14001 è effettuato con verifiche periodiche annuali di mantenimento e triennali di rinnovo della certificazione (Art.9, Comma 3, DM 22/2013).

Infine, sempre sulla base della normativa tecnica UNI EN 15359:2011, l’Art.8 del DM 22/2013 dispone che il produttore del CSS fornisca una dichiarazione di conformità per ogni sottolotto8 di CSS, che deve essere disponibile in caso di ispezione.

Si riporta qui di seguito (Tabella 5) un confronto tra le specifiche richieste per il CSS sulla base del DM 22/2013 e le caratteristiche del CDR e CDR-Q richieste dalla precedente normativa (UNI 9903-1) (Bertagna S., Migliavacca G., 2013).

Tabella 5: Confronto tra le caratteristiche del CSS e le caratteristiche del CDR e CDR-Q.

8

Si definisce sottolotto la quantità di combustibile solido secondario prodotta, su base giornaliera, in conformità alle norme elencate al Titolo II del DM 22/2013.

(25)

3.2 Impianto di produzione dei CSS

Non è possibile predefinire un’unica sequenza o insieme di fasi per il trattamento dei rifiuti che sia in grado di descrivere un qualunque impianto di produzione del CSS. Tale aspetto è influenzato, in particolar modo, dalla provenienza del rifiuto oltre che dalle dirette conoscenze del produttore.

E’ comunque possibile individuare una gamma di processi atti alla lavorazione dei rifiuti che permettono di ottenere CSS con le caratteristiche desiderate.

Qui di seguito vengono descritte le varie fasi che caratterizzano il processo di produzione del CSS, cioè la riduzione delle dimensioni del rifiuto (triturazione e macinazione), separazione del rifiuto (vagliatura, separazione gravimetrica, separazione meccanica) e compattazione del rifiuto.

3.2.1 Triturazione e macinazione

Le operazioni di regolazioni delle dimensioni del rifiuto (triturazione, macinazione) vengono effettuate con lo scopo di ridurre la pezzatura di quest’ultimo entro determinati limiti, al fine di agevolare le operazioni di trattamento a valle. Tale operazione viene effettuata con l’ausilio di opportune apparecchiature meccaniche chiamate “trituratori”. Tali mezzi agiscono sul rifiuto utilizzando appositi utensili che permettono la macinazione e il taglio del rifiuto stesso rendendo così possibile la riduzione delle dimensioni del rifiuto fino a due ordini di grandezza rispetto all’alimentazione madre. Le tipologie più comuni sono i mulini a martelli e i trituratori a coltelli o cesoie.

I primi sono costituiti da una serie di “martelli” fissati ad un albero rotante che, colpendo ripetutamente il rifiuto, ne determinano la frantumazione in parti sempre più ridotte. I mulini ad asse verticale hanno lo spazio adibito al contenimento del materiale a forma di imbuto, cosicché i pezzi di dimensioni maggiori sono in grado di scendere per gravità nella sezione via via più stretta, solo dopo progressiva frantumazione. Le parti dure non frantumabili, vengono colpite dai martelli e assumono forza centrifuga sufficiente per l’espulsione “balistica” attraverso un’apposita apertura posta sulla sommità della “camera di frantumazione”.

(26)

Figura 4: Esempio di trituratore lacerasacchi.

I mulini ad asse orizzontale hanno una griglia semicilindrica forata nella parte sottostante. Il materiale, alimentato tramite tramoggia dall’alto, viene frantumato dai martelli e, se sufficientemente ridotto di pezzatura, passa attraverso la griglia e cade nella parte inferiore dove viene raccolto, altrimenti viene colpito nuovamente e riportato nella parte superiore del mulino.

I trituratori a coltelli o cesoie sono dotati di utensili affilati (coltelli), montati attorno a uno o più alberi orizzontali rotanti, che lacerano e tagliano il materiale che viene loro in contatto per caduta, dal sistema di alimentazione posto nella parte alta della macchina. L’aggiunta di una griglia forata, sottostante agli assi rotanti, permette una maggiore uniformità dimensionale del materiale trattato. In caso di alimentazione di materiali non triturabili o inerti (metalli, vetri, pezzi di cemento, ecc..), il sistema potrebbe bloccarsi o subire danneggiamenti e quindi tali apparecchiature sono previste di sistemi automatici anti-inceppamento. Tali sistemi prevedono, nel caso di arresto degli assi, un’inversione automatica del senso di rotazione degli assi stessi per alcuni giri, in modo da liberare il sistema automaticamente. Nel caso di ripetizione del problema al riavvio, si ha l’interruzione e l’intervento manuale dell’operatore. Si tratta di macchine sottoposte a forte usura degli utensili, quindi richiedono numerosi pezzi di ricambio e operazioni frequenti di manutenzione.

(27)

Figura 5: Particolare di un trituratore a coltelli.

3.2.2 Vagliatura e separazione

A seguito della riduzione dimensionale, i materiali presenti nel rifiuto vengono tra loro separati sfruttando le loro diverse proprietà fisiche come le dimensioni, la densità e il magnetismo. In questa fase il rifiuto viene sottoposto a tre tipi di operazione: vagliatura, separazione gravimetrica, separazione magnetica.

La vagliatura consente, in base alle differenti dimensioni dei materiali presenti nel rifiuto da trattare, una separazione di quest’ultimi in classi di pezzatura. Tale operazione avviene grazie all’ausilio di apparecchiature meccaniche, dette appunto vagli, il cui organo essenziale è costituito da una o più superfici munite di aperture calibrate (per esempio griglie, reti, lamiere forate), di dimensioni progressivamente decrescenti da una superficie all'altra, attraverso cui passano gli elementi via via più piccoli del materiale da selezionare o classificare. Esistono tre tipologie di vagli: a tamburo, a disco e vibrovagli.

Nei primi, che sono quelli maggiormente impiegati vista la loro versatilità (esistono diversi modelli e taglie, a seconda della lunghezza, del diametro del tamburo, dell’inclinazione dell’asse, della velocità di rotazione e dell’apertura delle maglie), il rifiuto viene immesso

all’estremità più alta del cilindro (o tamburo) e, per effetto della rotazione e dell’inclinazione, rivoltato più volte. In questo modo il rifiuto viene più volte in contatto con la maglia del vaglio consentendo così alle particelle più piccole di attraversare la parete del vaglio. Queste vengono poi raccolte all’interno di una tramoggia sottostante, mentre il materiale più grossolano, rimanendo all’interno del vaglio, raggiunge l’altra estremità del tamburo.

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Figura 6: Esempio di vagliatore a tamburo.

I vagli a disco sono formati da più assi rotanti paralleli disposti orizzontalmente su uno stesso piano su cui sono montati dischi di varia forma che vanno a costituire una sorta di griglia. Il fattore determinante la vagliatura è lo spazio lasciato tra i dischi: materiali di maggiori dimensioni vengono sospinti dalla rotazione dei dischi lungo il piano di vagliatura verso l’uscita della macchina, mentre quelli più fini passano attraverso il setaccio cadendo in un apposito vano di raccolta.

(29)

I vibrovagli sono invece costituiti da una intelaiatura fissa di sostegno e una cassa oscillante dotata di una griglia forata posta alla base. Al di sotto di questa sono poste una o più piastre forate, disposte sullo stesso piano oppure su piani sfalsati, con relative tramogge di raccolta del materiale, e dotate di fori con diametro crescente da monte verso valle, rispetto alla direzione data dall’inclinazione del piano di vaglio. La granulometria del prodotto separato dipende dall’ampiezza e dalla frequenza delle oscillazioni, dall’inclinazione del piano di vaglio e dalla dimensione dei suoi fori.

La separazione gravimetrica consente di ottenere un’ulteriore separazione del rifiuto proveniente dalla vagliatura per mezzo di classificatori ad aria (o separatori aeraulici) o di separatori balistici. Dei primi ne esistono due tipologie: classificatori a colonna verticale e classificatori ad aria pulsante; entrambe sfruttano una corrente d’aria e consentono una separazione dei materiali contenenti nel rifiuto sulla base delle loro caratteristiche gravimetriche.

Quelli a colonna verticale sono caratterizzati da un condotto a sezione costante e il flusso di aria viene introdotto dalla parte inferiore in controcorrente rispetto al flusso del rifiuto. La corrente di aria trascina così verso l’alto i materiali più leggeri verso l’alto mentre quelli più pesanti cadono sul fondo della colonna. L’efficienza di separazione è legata alla velocità del flusso dell’aria, alla dimensione della sezione del condotto ed alla portata di rifiuto in ingresso.

Un separatore balistico invece sfrutta le differenze di densità dei materiali presenti nel rifiuto; quest’ultimo viene caricato in un’apposita tramoggia e quindi prelevato in piccole quantità da un dispositivo rotante che ne impone una forte accelerazione proiettandolo al di sopra delle bocche di diverse tramogge poste alla base di una camera chiusa. La classificazione delle componenti avviene in base alla distanza raggiunta da ciascuna di esse a seguito del lancio: i materiali più leggeri percorrono una distanza minore, mentre quelli più pesanti seguono traiettorie più lunghe.

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Figura 8: Esempio di separatore balistico.

La separazione magnetica serve per separare il materiale ferroso dal flusso di rifiuti. Tale fase può essere applicata in ogni punto dell’impianto ma il posizionamento influenza fortemente i rendimento di quest’ultima. La posizione usuale è dopo le operazioni di riduzione e separazione del rifiuto, in quanto le particelle con dimensioni più piccole sono meglio gestite dal separatore magnetico. Esistono due tipologie si separatori magnetici: a nastro e a tamburo.

Nella prima tipologia il materiale da trattare viene movimentato da un nastro trasportatore posto orizzontalmente. Un po’ più in alto rispetto all’estremità di scarico del materiale è opportunamente disposto un secondo nastro trasportatore, palettato, avente un magnete tra i due rulli di traino. Il materiale ferroso presente è attratto dal magnete e viene poi trasportato in una zona di raccolta; il materiale non ferroso invece cade subito all’uscita dal primo nastro. Il separatore a nastro è soggetto a maggiore usura rispetto a quelli a tamburo, ma costituisce il dispositivo di estrazione dei materiali ferrosi più efficace.

In un separatore magnetico a tamburo il magnete non è inserito nella zona “interna” del nastro (cioè tra i rulli di traino), ma direttamente dentro un tamburo rotante di traino del nastro. È configurato come un nastro trasportatore palettato, inclinato, che porta il materiale da separare verso l’estremità a quota più elevata. Il rullo di traino posto nella sezione di scarico del materiale contiene al proprio interno il magnete. Il materiale ferroso presente viene quindi attratto da quest’ultimo rimanendovi così attaccato per un tratto più lungo rispetto al materiale non ferroso. I due flussi, nella caduta, seguono traiettorie

(31)

differenti, e quindi raccolti separatamente, grazie ad un deviatore opportunamente disposto nella parte sottostante la zona di caduta del materiale.

È possibile eseguire un ulteriore passaggio per la pulizia del materiale ferroso, nel caso siano presenti eventuali componenti mischiati, quali carta, pezzetti di plastica, ecc.. Nel caso si intenda eseguire una separazione più spinta, esistono separatori a doppio tamburo. In questo caso il materiale ferroso viene scaricato in un secondo tamburo magnetico palettato che provvede a sollevare la sola parte ferrosa, evitando trascinamenti di materiale indesiderato.

Oltre alla separazione dei metalli ferrosi dal rifiuto, è possibile recuperare i metalli non ferrosi, (alluminio, rame, acciaio inox puro, ottone, ecc.). Il separatore per metalli non ferrosi è detto “a correnti indotte” (ECS, Eddy Current System) e il suo funzionamento si basa sul seguente principio fisico: i componenti metallici, esposti a un campo magnetico ad alte frequenze, sono percorsi da correnti di Foucault che creano un campo magnetico che si oppone alla causa che l’ha generato. Risulta quindi una forza di repulsione che tende ad allontanarli dalla sorgente del campo magnetico. Le componenti metalliche non ferrose presenti nel rifiuto vengono così allontanante dal materiale rimanente e quindi recuperate tramite appositi deviatori.

Ultima fase della produzione del CSS è la compattazione. Questa consiste nella pressatura dei rifiuti trattati in varie forme, in modo da agevolare i successivi trattamenti o il trasporto. A tale scopo vengono utilizzate delle presse imballatrici che riducono il rifiuto, inizialmente in forma sciolta, in balle a forma di parallelepipedo, oppure vengono utilizzate bricchettatrici o pellettizzatrici riducendo così il rifiuto in forma di bricchette o di pellets.

(32)

4. LA GASSIFICAZIONE

La gassificazione può essere definita come una parziale ossidazione di un combustibile in presenza di una quantità di agente ossidante più bassa di quella stechiometrica richiesta per una completa combustione. Più precisamente la gassificazione è un processo chimico che permette l’ossidazione incompleta di materiale organico in una miscela gassosa denominata

syngas.

Tale miscela può a sua volta essere impiegata per differenti applicazioni:  come gas combustibile

 per la produzione di calore e/o energia

 per la produzione di prodotti chimici (Arena U., 2011).

I componenti principali del syngas, derivanti dalla conversione della matrice organica, sono CO e H2 con la presenza in quantità variabile anche di CO2 e CH4. Oltre a questi composti sono presenti impurità quali composti azotati e solforati, composti alcalini, particolato (ceneri ed incombusti).

A seconda della natura dell’agente ossidante si determinano due tipi di processi qui di seguito descritti (Della Rocca C., 2001):

 gassificazione diretta: avviene in presenza di aria o ossigeno puro; in questo caso le reazioni di gassificazione forniscono l’energia necessaria per mantenere la temperatura di processo

 gassificazione indiretta: come agente ossidante viene utilizzato vapore e deve essere fornita energia dall’esterno per mantenere la temperatura di processo.

Il pregio principale della gassificazione indiretta con vapore, comune anche a quella diretta con ossigeno puro, è l’assenza di azoto atmosferico nel gas prodotto. Ciò comporta una minore diluizione del gas e quindi valori più alti del potere calorifico del gas prodotto.

Un altro pregio della gassificazione indiretta è la facile disponibilità di vapore che a sua volta comporta un incremento della frazione di idrogeno nel gas. Invece, nella gassificazione diretta, si stima che la produzione di ossigeno puro ricopra più del 20 % dei costi di investimento (Della Rocca C., 2001).

(33)

La chimica della gassificazione è costituita da una complessa serie di reazioni a causa dell’eterogenea composizione dei residui idrocarburici nel combustibile, ma è comunque possibile semplificare il processo nelle seguenti fasi:

 essiccamento  pirolisi

 riduzione e ossidazione del char  deposito e rimozione delle ceneri

Figura 9: Rappresentazione schematica dei processi di pirolisi, gassificazione e combustione.

Il processo di essiccamento consiste nell’allontanamento dell’umidità mediante la fornitura di calore. L’umidità si può presentare in diverse forme: umidità superficiale, umidità contenuta nei pori e umidità legata chimicamente dove le molecole di acqua si legano attraverso legami ad idrogeno a macromolecole. Inizialmente si ha l’allontanamento dell’umidità presente sulla superficie del combustibile solido; dopodiché, una volta essiccata la superficie del solido, inizia ad evaporare l’acqua presente nei pori. Al termine di quest’ultima fase l’umidità residua è rappresentata dall’acqua legata chimicamente, eliminabile solo con incrementi più consistenti di temperatura.

(34)

La fase di pirolisi è caratterizzata da un processo di decomposizione termochimica ottenuto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di un agente ossidante. Le sostanze che si ottengono sono:

 gas: idrocarburi a basso peso molecolare (metano, etano, ecc.)

 TAR (Topping Atmospheric Residue): composti idrocarburici ad alto peso molecolare che si trovano in fase gassosa alla temperatura di processo e che tendono a condensare e quindi passare in fase liquida alla temperatura dell’ambiente circostante

 Char: é la matrice solida residua che si ottiene al termine della de volatilizzazione e presenta un contenuto elevato di carbonio e una struttura morfologica simile al carbone, nonché un’alta porosità.

Il tar e il gas subiscono poi un processo di gassificazione che porta alla formazione di CH4, H2 e CO oltre alla formazione di calore necessario ad avviare le reazioni di devolatilizzazione. Durante la fase di riduzione e ossidazione del char, che è caratterizzato da una elevata porosità, si ha la diffusione dell’ossigeno all’interno di esso, dando così luogo ad una serie di reazioni eterogenee di gassificazione. La quantità di char consumato e la composizione del gas ottenuto dipendono dalla temperatura, dalla quantità di ossigeno e dalla dimensioni delle particelle.

Tra le reazioni di riduzione troviamo:

Water gas

Boudoudard

Idrogassificazione

Tra le reazioni di ossidazione troviamo:

Ossidazione totale

Ossidazione parziale

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Alle reazioni sopra elencate se ne aggiungono altre in fase gas, i cui equilibri influenzano in modo rilevante la composizione dei gas in uscita dal reattore.

Tali reazioni sono le seguenti:

Ossidazione CO

Riduzione CO

Water gas shift

Reforming con vapore

Infine, si ha il deposito e rimozione delle ceneri. Quest’ultime costituiscono i materiali di origine minerale che si ottengono come residuo all’uscita del gassificatore. La loro quantità e la temperatura possono influenzare il processo di gassificazione. Ad alte temperature, le ceneri tendono ad aggregarsi e a formare strutture vetrose, creando così un ostacolo al passaggio di solido e gas all’interno del reattore e una limitazione al trasferimento di calore; invece a temperature più basse tendono a rimanere separate.

4.1 Parametri operativi e prestazionali di processo

Per l’aggiornamento della letteratura su questo tema si sono usati, come in precedenza, i dati di letteratura scientifica e brevettuale reperibili in rete e sulle più comuni banche dati. Tra questi, la pubblicazione a fine 2012 di una review riguardante la gassificazione dei rifiuti solidi urbani (U. Arena, 2012) è risultata molto interessante in quanto consente di “fare il punto” sul possibile verificarsi di azioni sinergiche che si hanno in sede di piro-gassificazione tra i differenti e numerosi componenti del sistema.

In particolare, è importante segnalare che il tema della gassificazione di una matrice quali i rifiuti urbani, è molto vicino alla tipologia di rifiuti indagati nel presente lavoro di tesi.

(36)

Tra i parametri di processo, vi sono alcuni parametri operativi che svolgono sempre un ruolo fondamentale nel processo di gassificazione dei rifiuti, indipendentemente da quella che sia la specifica tecnologia dei reattori impiegati.

Di seguito se ne riporta una breve descrizione, al fine di comprenderne l’importanza nel processo di piro-gassificazione studiato.

4.1.1 Rapporto di equivalenza (ER)

Il rapporto di equivalenza (ER) è il rapporto tra il contenuto di ossigeno nella alimentazione ossidante e quello richiesto per la combustione stechiometrica completa. E' probabilmente il parametro operativo più importante nella a gassificazione finalizzata alla trasformazione di rifiuti in energia, in quanto influenza fortemente la composizione del gas (compreso il contenuto di tar) e la sua energia chimica.

Valori prossimi zero di tale parametro corrispondono a condizioni di pirolisi, mentre valori uguali o superiori a 1 indicano condizioni di combustione.

Come è mostrato nella Figura 10, i valori intorno a 0,25-0,35 sembrano massimizzare la conversione del char e quindi sono quelli tipicamente utilizzati negli impianti commerciali su larga scala, come riportato nella Tabella 6, anche se possono essere utilizzati valori fino a 0,5, in particolare in gassificatori con griglia mobile (A.J. Grimshaw , 2010) e gassificatori a letto fluido funzionare con combustibili umidi (V. Hankalin, 2011).

Valori più bassi di ER lasciano char non convertito ed un contenuto di tar superiore, mentre valori più elevati di ER determinano l’ossidazione di parte del syngas e la conseguente riduzione del potere calorifico del syngas: ciò potrebbe causare combustione incompleta nella camera di combustione che di solito è a valle del gassificatore (L. Devi, 2003; X.T Li, 2004; U. Arena, 2010).

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Figura 10: Composizione del syngas all'equilibrio chimico in funzione del rapporto di equivalenza, per la gassificazione del legno ad 1 atm (U. Arena 2012).

Tabella 6. Intervalli tipici di variazione di alcuni parametri operativi e di prestazione nella gassificazione di rifiuti solidi urbani in aria o in aria arricchita con ossigeno (U. Arena, 2012)

Gli elementi indicati sono di estrema importanza per il presente lavoro di tesi in quanto dimostrano come, data una certa alimentazione, le condizioni di conduzione della fase di piro-gassificazione determinano in modo significativo il potere calorifico del syngas.

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Queste indicazioni sono di estremo interesse dal punto di vista della progettazione degli esperimenti su scala di laboratorio, in quanto indicano la necessità di “esplorare” una campo abbastanza definito di valori di ER.

4.1.2 Temperatura del reattore

Il profilo di temperatura lungo le diverse sezioni del reattore è un altro importante parametro operativo sia per i gassificatori allo-termici (a riscaldamento indiretto), dove il calore fornito al gassificatore dall’esterno può essere adeguatamente regolato, sia per gassificatori auto-termici (a riscaldamento diretto), dove il profilo di temperatura del reattore è una variabile di stato del processo, cioè il sistema di risposta a diversi parametri, come il rapporto di equivalenza, il tempo di residenza, l’energia chimica del rifiuto, la composizione e la temperatura di entrata dell’alimentazione al gassificatore, la qualità di isolamento reattore, ecc.

Il profilo di temperatura lungo il reattore può anche determinare la stato di ceneri pesanti (cioè la possibilità di ottenere una scoria vetrificata ) e, in una certa misura, il contenuto di tar nel gas di sintesi.

Gli elementi indicati sono di estrema importanza in quanto identificano la temperatura di fondo per la fusione delle scorie (ceneri pesanti): tale fenomeno, infatti, dovrebbe avvenire in modo completo solo nella camera di combustione ma è proprio in questo primo stadio del processo che si ricava una parte consistente del loro contenuto entalpico. D’altro canto, la temperatura del reattore è anche estremamente importante per definire quale possa essere la conversione del char all’interno della fase di gassificazione; si può supporre che si desideri una elevata conversione per non rischiare di avere ceneri con elevate concentrazioni di incombusti, che potrebbero interferire con la fusione delle stesse.

4.1.3 Tempo di residenza dei gas e dei rifiuti all'interno del reattore

che è largamente definito dal tipo di reattore e progetto dello stesso, e per un dato gassificatore può essere variata in misura limitata: ad esempio, in un reattore a letto

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fluidizzato, variando la velocità superficiale del gas e, in un reattore a griglia mobile, aumentando la velocità degli elementi della griglia (U. Arena, 2005; A. Suzuki, 2011).

Questa variabile del sistema dipende ovviamente dalle condizioni di alimentazione (portata del rifiuto) e flusso di aria alimentato dall’esterno.

4.1.4 Composizione e proprietà fisiche del rifiuto

Le prestazioni di un processo di gassificazione a base di Waste-to-Energy sono necessariamente influenzate dalle proprietà specifiche dei rifiuti solidi impiegati. Le proprietà più importanti per la gassificazione sono (M. Zevenhoven-Onderwater, 2001; C. Heermann 2001; C. Tech, 2010):

 composizione elementare,  potere calorifico inferiore (PCI),  contenuto di ceneri (e composizione),  contenuto di umidità,

 contenuto di sostanze volatili,

 altri contaminanti (come N, S, Cl, alcali, metalli pesanti, ecc ),  densità e dimensione del materiale.

Alcune di queste proprietà sono così cruciali che la maggior parte delle attuali tecnologie di gassificazione, generalmente, utilizzano rifiuti pre-trattati o combustibile da rifiuti (CDR) anziché i rifiuti tal quali. Il pre-trattamento è prevalentemente orientato a limitare adeguatamente la natura fortemente eterogenea del rifiuto e ridurre le sue dimensioni e la sua cenere e contenuto di umidità.

Inoltre, la composizione dei rifiuti (in particolare il suo potere calorifico) e quella della sua cenere (che in alcuni casi potrebbe fornire una azione catalitica) potrebbe suggerire di indagare la possibilità di utilizzare un processo di co-gassificazione, ovvero di alimentare nel gassificatore una miscela di combustibili diversi, poiché la possibile sinergia tra i loro prodotti e intermedi potrebbe portare a massimizzare le prestazioni del processo, per ridurre le perdite di carbonio (sia in particelle e delle frazioni di catrame ) e per aumentare il contenuto energetico del syngas.

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Il tema delle sinergie, è riferito anche da altri autori (U. Arena, 2010), ma interpretato solo come ruolo catalitico che può svolgere la natura del “letto” in un gassificatore “a letto fisso” dove, peraltro, si osservano anche fenomeni di inibizione dell’atteso ruolo catalitico del Ferro.

4.1.5 Composizione e temperatura di ingresso del mezzo di gassificazione

Queste variabili influenzano necessariamente i bilanci di massa e di energia del reattore. Per un ossidante fisso, la temperatura di ingresso è collegata sia al profilo di temperatura che deve essere stabilito lungo il gassificatore sia alla possibilità / necessità di recupero di calore dai gas di sintesi caldo, per esempio, per soddisfare le esigenze di un motore a combustione interna o un altro specifico dispositivo di uso finale.

4.1.6 Parametri per la valutazione delle prestazioni energetiche

In definitiva, quindi, l'elevato numero di questi parametri riflette la maggiore complessità del processo di gassificazione rispetto alla combustione diretta convenzionale. Esso suggerisce inoltre la possibilità di definire combinazioni adeguate di condizioni di funzionamento per ottenere un efficace trattamento di diversi tipi di rifiuti. Analogamente, le prestazioni del processo non sono indicate da un solo parametro come nel processo di combustione, dove il rendimento di combustione (definito come la quantità di calore disponibile nei rifiuti che viene rilasciato e utilizzato) dà un'indicazione sostanzialmente completo della qualità del trattamento termico dei rifiuti.

Efficienza termica apparente o efficienza dei gas freddi (CGE): è indice della qualità

energetica del gas prodotto e si calcola facendo il rapporto tra l’energia chimica del gas prodotto (calcolata come portata di syngas prodotto per il suo potere calorifico inferiore) e l’energia chimica del combustibile alimentato (calcolata come portata di combustibile per il suo potere calorifico inferiore):

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Si chiama efficienza ''a freddo'' in quanto non tiene conto del calore sensibile del gas, ma solo della sua energia potenziale chimica, cioè quella relativa ai poteri calorifici del syngas ottenuti e dei rifiuti alimentati.

Efficienza termica o efficienza dei gas caldi (HGE): è il rapporto tra la somma dell’energia

chimica e del calore sensibile del gas prodotto (Hout) e la somma dell’energia chimica e del calore sensibile del combustibile alimentato (Hin)

Efficienza di conversione del carbonio (CCE): è il rapporto tra la portata di carbonio

trasformata in prodotti gassosi e la portata di carbonio alimentata con il combustibile

dove Ccarbon_wasteè la frazione di carbonio nei rifiuti e Ccarbon_syngas è quella di carbonio nel componente gassosa del syngas (cioè escluso tar e char).

Questo parametro dà indicazioni riguardo la quantità di materiale non convertito che deve essere trattato con altre tecniche o mandato a smaltimento e fornisce una misura dell’efficienza chimica del processo chimico.

Rispetto a questo parametro, che risulta di non facile calcolo visto che non sono disponibili le analisi puntuali del Carbonio sulle alimentazioni, abbiamo ritenuto utile prendere lo spunto per calcolarci un parametro utile per i confronti delle nostre prove, mediante l’impiego di un altro parametro, chiamato ECR (Energetic Carbon Ratio) che, riferito ad 1 kg di rifiuto, è definito come segue:

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Il fattore di ponderazione pari a 5 per il Metano è dato dal fatto che il suo PCI è 5 volte quello del CO.

Contenuto e composizione del Tar: Questo è un parametro fondamentale per il processo di

gassificazione, poiché il Tar (miscela complessa di idrocarburi condensabili, che comprende composti aromatici a singolo anello fino a 5 anelli insieme ad altri idrocarburi ossigenati e idrocarburi poliaromatici) provoca problemi nelle apparecchiature di processo, nonché nei dispositivi da usare per l’utilizzo del syngas. La presenza di tali composti aumenta la probabilità che si verifichino fenomeni di sporcamento in caldaie e su altre superfici metalliche e refrattari, può rovinare catalizzatori di reforming o di abbattimento dello zolfo, filtri in ceramica; può inoltre causare intasamenti e corrosione e ridurre anche l'efficienza complessiva del processo. Inoltre, se il contenuto di tar del syngas viene ridotto per mezzo di un metodo fisico a umido, i tar sono trasferiti nelle acque di scarico, con il conseguente duplice inconveniente di perdere la loro energia chimica e generare reflui pericolosi. Pertanto, il contenuto di tar e la sua composizione indicano il dispositivo di conversione di energia che può essere ragionevolmente utilizzato, tenendo conto delle prestazioni tecniche ed economiche delle tecniche di trattamento che possono essere applicate all'interno del reattore (misure primarie) e/o a valle di esso (misure secondarie).

Altri parametri: come il potere calorifico del syngas (kJ/Nm3), portata specifica del syngas (Nm3/kgwaste ), produzione di energia specifica (cioè l'energia chimica del syngas ottenuta per unità di massa di rifiuti solidi alimentati al gassificatore , kJ/kgwaste).

In generale, comunque, i parametri sopra riportati non necessariamente forniscono una valutazione esauriente della qualità del syngas ottenuto, dal momento che esso può avere diverse possibilità di utilizzazione. Per esempio, un gas di sintesi che abbia una CGE elevata

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