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La gestione per Ambiti Territoriali Ottimali

Tra le disposizioni sopravvissute all’intervento abrogativo della Corte Costituzionale merita di essere segnalata e analizzata l’art.3-bis del D.L. n. 138/2011 (introdotto, tuttavia, dal successivo D.L. n. 1/2012, convertito in Legge n. 27/2012).

In particolare, tra le varie disposizioni contenute nel citato art. 3-bis spicca quella di cui al comma 1, tramite la quale viene codificato il principio della gestione su base d’ambito dei servizi pubblici locali “a rete”. Pare opportuno richiamare testualmente il dato normativo, al fine di analizzarne la portata innovativa e precettiva: «A tutela della concorrenza e dell’ambiente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica in ambiti o bacini territoriali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio, entro il termine del 30 giugno 2012. La dimensione degli ambiti o bacini territoriali ottimali di norma deve essere non inferiore almeno a quella del territorio provinciale».

La disposizione prosegue con l’indicazione delle specifiche modalità di costituzione degli ambiti, prevedendo, in particolare, il potere sostitutivo del Consiglio dei Ministri in caso di mancato rispetto del termine da parte degli enti locali.

In analogia con quanto previsto per alcuni settori dalla relativa specifica disciplina – ci si riferisce, ad esempio, alla gestione del servizio idrico integrato (D.Lgs. n. 152/2006 e s.m.i.) o a quella del servizio di distribuzione del gas naturale (D.Lgs. n. 164/2000 e s.m.i.) – il Legislatore ha inteso introdurre, con riferimento a tutti i SPL “a rete”, il principio della gestione per ambiti o bacini territoriali ottimali.

Si tratta, in sostanza, di pervenire ad una gestione unitaria del servizio da parte di più enti locali, ai quali viene imposto di unirsi in un “ambito” o “bacino” le cui dimensioni (sia in termini di territorio, che di impiantistica che di utenza) risultino quelle maggiormente idonee (ottimali) a garantire qualità, efficienza ed economicità del servizio medesimo.

In via generale, è noto, l’organizzazione e lo svolgimento di un SPL per una popolazione e per un territorio di dimensioni sovra-comunali consente di

ridurre i costi di erogazione e di agevolare le procedure di affidamento e controllo.

In astratto, infatti, l’allargamento del perimetro del servizio dovrebbe portare, in virtù delle economie di scala connaturate alla maggior estensione del perimetro di gestione, alla diminuzione generalizzata dei costi a carico degli operatori e, quindi, dei prezzi all’utenza.

Senza volere entrare nel merito dell’idoneità di tali soluzioni organizzative a realizzare in concreto gli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità che astrattamente mirano a perseguire, appare importante sottolineare che l’obbligatorietà della gestione d’ambito riguarda – a norma del richiamato art.3-bis – per i servizi pubblici locali c.d “a rete”.

Tuttavia, la citata disposizione non ha provveduto ad individuare esplicitamente quali siano i SPL “a rete” né ha definito cosa debba intendersi per servizio “a rete”.

Si tratta, dunque, di comprendere l’applicabilità della richiamata disposizione anche al settore della pubblica illuminazione: la questione – lungi dall’avere rilievo squisitamente sul piano teorico – riveste una significativa importanza sul piano pratico dal momento che, in tale caso, sarebbe preclusa la possibilità per i singoli Comuni di procedere (forse anche in via transitoria) all’affidamento del servizio su base comunale. Orbene, pure in mancanza di alcun riferimento normativo capace di orientare l’attività interpretativa, si è ragionevolmente portati a ritenere che la portata della norma vada intesa nel senso di estendere e rendere obbligatoria la gestione per ambiti territoriali ottimali per quei servizi contraddistinti dall’esistenza di una “rete” infrastrutturale comune ed estesa al territorio di una pluralità di Comuni come ad es. nel caso degli acquedotti.

In altri termini, si ritiene che il Legislatore intendesse alludere a quei servizi che si connotano per una serie di infrastrutture che, seppur materialmente localizzate sul territorio di diversi enti locali, costituiscono parti di uno stesso impianto e risultano, pertanto, fisicamente e funzionalmente collegate tra loro: ciò consente – anzi, rende più conveniente sia in termini di efficienza che di economicità – una gestione unitaria.

E’ il caso, come anticipato, del servizio idrico integrato ovvero di quello di distribuzione del gas naturale, nei quali gli impianti comunali non sono altro che le ramificazioni locali di un’unica rete “centrale”, la cui estensione può superare il territorio provinciale ed persino quello regionale (ciò non di meno, non possiamo non rilevare come la stessa disposizione faccia «salva l’organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti» ovvero proprio il servizio idrico integrato e la distribuzione gas per i quali la gestione sulla

base di ambiti territoriali ottimali è già prevista dalle rispettive discipline di settore).

Al di là dell’affermazione di principio, non si comprende pertanto a quali servizi pubblici il Legislatore abbia inteso riferirsi.

Non riteniamo – per ritornare alla questione che ci impegna – che in ogni caso la norma sia applicabile al servizio di pubblica illuminazione: non sfugge, infatti, come in tali casi, gli impianti di un Comune, di regola, costituiscono un’entità materialmente e funzionalmente autonoma rispetto a quelli del Comune confinante.

Non esiste, di regola, una infrastruttura unica a livello sovra comunale ovvero una interconnessione tra i singoli impianti Comunali che sono, solitamente, autonomi.

Pur non sottacendo l’evidente ambiguità della portata applicativa della norma in commento, tuttavia si ritiene, sulla base delle sopra richiamate preminenti considerazioni, che la stessa – e quindi il relativo obbligo di gestione su base d’ambito – non sia applicabile al servizio di pubblica illuminazione.

Diversa è, invece, la questione della possibilità – certamente sempre ammissibile e anche auspicabile – di una gestione associata dei servizi da parte di una pluralità di Comuni: il riferimento è, in particolare, alla circostanza che una pluralità di Comuni – secondo i meccanismi e le modalità proprie delle gestioni associate di funzioni amministrative – decidano di procedere all’espletamento di un’unica procedura per l’individuazione di un unico gestore del servizio. Tale assetto organizzativo si pone tuttavia come obbligatorio per effetto della L.7 agosto 2012 n.135 art.9 commi 27 e 28 per i comuni al di sotto di 5.000 abitanti (ovvero 3.000 se facenti parte di Comunità Montane)– e deve intendersi ricollegato alla possibilità di perseguire, in concreto, dei vantaggi (in termini di qualità del servizio e/o di economicità del medesimo) rispetto ad una gestione singola dello stesso.