Intanto, cinque giorni dopo l’uscita del numero analizzato di «Energie Nove», il 10 maggio 1919, «L’Unità» pubblicava l’elenco dei sostenitori della Lega democratica per
il rinnovamento della vita politica e vi compariva, anche in questo caso, l’adesione del
diciottenne Adriano Olivetti a capo di un nutrito gruppo di torinesi, tra i quali lo stesso Piero Gobetti e molti dei collaboratori della rivista «Energie Nove».186 Da Ivrea compariva l’adesione di Giannotto Perrelli, simultaneamente impegnato nelle coeve riviste olivettiane, salveminiano e vicino alle posizioni di «Energie Nove».187 In effetti, il manifesto teorico e politico della Lega salveminiana pubblicato sulle pagine de «L’Unità»188 affrontava i temi più cari alla riflessione di Gobetti e Adriano Olivetti negli anni a seguire, che possiamo così sintetizzare: critica alla degenerazione dei partiti, della burocrazia, del sistema parlamentare, in generale, dei meccanismi che dovrebbero essere l’infrastruttura della democrazia; come parte construens si propugnava il regionalismo, l’autonomismo territoriale e il meridionalismo; ampio spazio aveva poi la questione della scuola pubblica e della separazione tra Stato e Chiesa in posizione fortemente critica del neonato partito popolare di Sturzo.
Mosso dall’acerrima critica ai vecchi partiti e allo Stato liberale sotto ricatto di «clientele capitalistiche, burocratiche, operaie, parlamentari, locali», mediante «l’opera
186L’elenco di tutti i nomi anche in D. Cadeddu, Adriano Olivetti Politico… cit. nota p. 5.
187 G. Perelli (1911-1964), vicino al socialismo riformista e interventista, nel primo dopoguerra, aveva
partecipato al dibattito nato sulla rivista di Gaetano Salvemini in preparazione del convegno dell'aprile del 1919, dichiarandosi contrario alla trasformazione del movimento de «L’Unità» in partito, in intesa con Piero Gobetti che in «Energie nove» affermava lo stesso principio antipartitico. Antifascista, amico di Augusto Monti, nel 1936 Giannotto Perrelli è implicato nel processo al gruppo di Giustizia e libertà a Torino, condannato con il figlio a 8 otto anni di carcere, insieme a Augusto Monti, Michele Giua, Massimo Mila, cfr. l’articolo di denuncia di Carlo Rosselli, 59 anni di galera agli intellettuali piemontesi
accusati di appartenere a GL, «Giustizia e Libertà», 20 marzo 1936, ora in P. Alatri, L’antifascismo italiano, Vol. II, Editori Riuniti, Roma,1961 pp. 331 e ss. Alcune delle carte di Perelli conservate
nell’archivio Centro studi Piero Gobetti, Torino.
malefica dei gruppi dominanti» e dell’oligarchia finanziaria, il manifesto salveminiano accusava «l’oligarchia parlamentare giolittiana, formata dai peggiori deputati di tutti i partiti»,189ma escludeva fermamente le soluzioni «soviettistiche», anzi, dichiarava che la «così detta dittatura del proletariato, che dovrebbe succedere alla rivoluzione, sarebbe la dittatura delle sole organizzazioni degli operai delle industrie».190
La Lega democratica optava indubitabilmente per un sistema democratico con suffragio universale e tendente alla rappresentanza politica di tutte classi sociali mediante un’opera di elevazione culturale e materiale di quelle inferiori, donde l’importanza accordata alla scuola pubblica.191 Punto centrale del manifesto della Lega, in accordo con un’ampia cordata di consenso popolare, era «la lotta accanita contro lo spirito burocratico che informa tutta la legislazione» e «contro le amministrazioni centrali che sottopongono sempre di più al loro controllo tutta la vita del paese, [e] hanno soppresso ogni iniziativa negli enti locali».192
Parole d’ordine di Salvemini e della Lega, dunque, erano: decentramento dello Stato e riforma della pubblica amministrazione verso un regionalismo amministrativo. Il rigetto delle strutture centralizzate e inefficienti dei partiti corrispondeva altresì alla volontà di organizzare la Lega mediante gruppi e comitati territoriali senza costituirsi in un vero e proprio partito, pur non rinunciando alla propaganda d’interferenza che si potesse perorare negli altri partiti.
In politica economica, la Lega si dichiarava, in maniera non sempre chiara, a favore di un sistema economico liberistico moderato da saltuari interventi statali. Per i salveminiani occorreva combattere il protezionismo doganale che era «causa di privilegi parassitari e sperpero di ricchezza e corruzione politica», ammettendo l’evenienza di
189 Ivi, p. 2. 190 Ivi, p.1.
191 A. Carrannante, Gaetano Salvemini nella storia della scuola italiana, «I Problemi della Pedagogia»,
2000, n. 1-3, pp. 53–88.
un’economia statalizzata solo per quelle «forme di attività economiche, nelle quali la gestione pubblica o controllata dalle pubbliche autorità sia preferibile nell’interesse generale». In maniera piuttosto aleatoria, la Lega prevedeva addirittura la possibilità di espropriare il capitale in quei casi in cui «il capitalista non sappia far coincidere l’interesse proprio con quello della collettività, ottenendo dal capitale la massima produzione», attraverso espropriazioni sia a favore degli enti pubblici ma anche sotto forma di riscatto da parte dei sindacati dei lavoratori o gruppi di lavoratori privati.193 In realtà, il socialismo democratico salveminiano prevedeva quale forma principe d’interventismo statale sull’economia la promozione dell’istruzione tecnica e scientifica volta all’abbassamento della disoccupazione e miglioramento della produttività. Per questo, al pubblico insegnamento il manifesto salveminiano dedicava una notevole importanza quale «sincero strumento di selezione intellettuale e classificazione sociale».194
Infine, un punto del manifesto si confrontava col problema delle relazioni con la chiesa cattolica affermando la «necessità che lo Stato si mantenga neutrale di fronte alle diverse chiese assicurando a tutte libertà di culto, propaganda, e di istruzione» mediante una «separazione totale dello Stato dalla Chiesa Cattolica».195
La critica ai partiti e alla burocrazia statale, centralizzata e ingessata, manovrata dagli interessi dei grandi capitali finanziari e industriali, e l’opzione per un decentramento territoriale nel solco della riflessione di Cattaneo, sono i motivi di maggiore affinità tra la Lega e le riflessioni di Gobetti e Olivetti, tanto da aver avvalorato la tesi di alcuni
193 Ib.
194 Ib. In politica estera, il manifesto sosteneva il ruolo della recente Società delle Nazioni quale
organismo sovranazionale chiamato ad armonizzare le aspirazioni pacifiste internazionali con le legittime aspirazioni dei popoli a essere riconosciuti nelle proprie identità e nei propri confini naturali.
195 Ib. Sulla scuola pubblica e laica, al riparo dalle interferenze confessionali della chiesa cattolica, cfr. G.
studiosi della fonte primaria salveminiana per spiegare le affinità tra Gobetti e Olivetti.196
La seconda serie di «Energie Nove» (10 maggio 1919- 1920) cominciava però anche un’opera di revisione dei postulati salveminiani che troveranno compiuta espressione nella rivista successiva «Rivoluzione Liberale». Gobetti si prodigava, per esempio, in una puntuale analisi della storia e delle interpretazioni del socialismo alla quale dedicava due numeri interi; inoltre si proponeva un intensivo studio del bolscevismo e del pensiero e dell’azione di Trotsky e Lenin.197 Come questo potesse essere coerentemente armonizzato con lo spirito democratico del socialismo salveminiano, ha lasciato alcuni studiosi perplessi tanto da parlare del “gobettismo” come un fenomeno ambiguo e vago, un tessuto culturale e generazionale prima e più che un determinato orientamento politico.198Ma occorre affiancare a Salvemini, l’influenza nella Torino del tempo di un altro pensatore: Gramsci. In effetti, lo studio dei soviet e la contemporanea esperienza dei consigli di fabbrica torinesi accendono, a partire dal 1920, nel giovane Gobetti la crescente stima e passione per la coeva rivista gramsciana «L’Ordine Nuovo», in particolare per la questione dei consigli di fabbrica là ampliamente trattata. La seconda rivista di Gobetti, «Rivoluzione Liberale»,199 in effetti, manifestava una progressiva critica a Salvemini, ritenuto pensatore troppo teorico e in definitiva mancante di un progetto e di un agente storico per il cambiamento concreto, un
196 Questa la tesi di D. Cadeddu in contrasto con le posizioni di V. Ochetto, cfr. D. Cadeddu, Adriano
Olivetti Politico. cit. p. 38.
197 Cfr. A. Prospero Marchesini Gobetti, Nella tua breve esistenza: lettere 1918-1926. In appendice: Diari
di Ada (1924-1926), Einaudi, Torino 1991, p. 162.
198 «In ogni caso il gobettismo rimane un fenomeno vago, un’aurea che tocca non solo i diretti
collaboratori delle iniziative gobettiane, ma anche uomini e imprese d’altri ambienti», A. D’Orsi, La
cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi, 2000 p. 90; «Il gobettismo è davvero un tessuto
culturale, dunque, prima e più che un orientamento politico», ivi. p. 84; «In realtà, l’eresia gobettiana si inserisce nel filone del neoliberalismo che, tra Otto e Novecento, ritiene imprescindibile il dialogo con il socialismo, prima, e il comunismo, dopo.» ivi. p. 67.
199 La nuova rivista gobettiana sceglie come titolo due parole che suonavano ossimoriche: «Rivoluzione
Liberale» (12 febbraio 1922 – 1 novembre 1925). Le due parole, infatti, riepilogavano due mondi, quello socialista massimalista o direttamente “soviettista” con il mondo liberale, del parlamentarismo democratico e borghese.
cambiamento prospettato solo in termini meramente morali. Aveva lasciato il segno nel liberale Gobetti la critica stigmatizzante espressa nel foglio gramsciano dell’iniziativa della Lega democratica e della sua sequela, ivi compresa quella torinese di Gobetti.200Di lì a qualche anno, anche il salveminiano Gobetti nella nuova rivista «Rivoluzione liberale» porrà sotto critica il maestro per il suo risolversi in una mera «azione illuministica e propagandistica», un puro «moralismo» incapace di intercettare e affiancare i reali attori delle lotte sociali nel concreto della storia.201
Della lettura da parte di Adriano Olivetti di questo secondo periodico gobettiano ne abbiamo sicura testimonianza.202 A chi si occupi di ricostruire il pensiero di Olivetti si apre quindi la questione dell’influenza del pensiero gobettiano su Adriano Olivetti.
200 [Senza firma], Contributi ad una nuova dottrina dello Stato e del colpo di Stato, «L’Ordine Nuovo»,
I,/5, (7 giugno 1919), ora in A. Gramsci, a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci, L’Ordine Nuovo 1919-
1920, Einaudi 1987, p. 72. Ivi la critica gramsciana a Gobetti e alla Lega di Salvemini: «Il signor Gobetti
è nel suo pieno diritto quando giudica colpo di Stato una professione di fede politica, egli che in sede di “Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale” (ricettario per cucinare la lepre alla cacciatora senza la lepre) brillantemente disserta sulle dottrine dello Stato e riforma della pubblica amministrazione mettendo a base della medesima un solido volume edizione Laterza ed elimina il dissidio tra Stato e individuo ricostituendo le autonomie locali. […] Ma ci riserviamo il diritto, nel nostro giornaletto, di giudicare i “colpi di Stato” del Gobetti come episodi di malavita intellettuale e gli avvalli dei proff. Einaudi, Salvemini e Lombardo-Radice come episodi di “vanità” accademica, nonostante tutti i loro bei programmi di rinnovamento, di moralità e vera democrazia».
201 P. Gobetti, La nostra cultura politica, «Rivoluzione Liberale», II/5, (8 marzo 1923), pp. 17-18.
Intanto Gobetti affiancava alla nuova rivista politica «Rivoluzione liberale» un’azione editoriale impressionante comprendente una nutrita collana di volumi e Il Baretti - Supplemento letterario mensile. In effetti, Gobetti è stato più che un politico organico e coerente un animatore culturale, un editore instancabile, capace di radunare firme famose e sconosciute ma promettenti. Ad esempio è Gobetti a introdurre e commissionare a un giovane Carlo Levi un articolo sul tema del meridionalismo per «Rivoluzione Liberale».
I temi della riflessione gobettiana sul meridionalismo e sulla critica al centralismo burocratico dello Stato unitario, hanno dunque costruito la sensibilità politica che si scorge dietro l’opera letteraria Cristo si è
fermato a Eboli. Nel notissimo romanzo autobiografico le ultime pagine rappresentano una riflessione sui
temi gobettiani, ad es. «Questo capovolgimento della politica, che va inconsapevolmente maturando, è implicito nella civiltà contadina, ed è l’unica strada che ci permetterà di uscire dal giro vizioso di fascismo e antifascismo. Questa strada si chiama autonomia. Lo Stato non può essere che l’insieme di infinite autonomie, un’organica federazione. Per i contadini, la cellula dello Stato, quella sola per cui essi potranno partecipare alla molteplice vita collettiva, non può essere che il comune rurale autonomo. È questa la sola statale che possa avviare a soluzione contemporanea i tre aspetti del problema meridionale (…) Ma l’autonomia del comune rurale non potrà sussistere senza l’autonomia delle fabbriche, delle scuole, delle città, di tutte le forme di vita sociale.», C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Mondadori, Einaudi, 1979 p. 211 (ed. or. 1945).
202 Ad esempio, le lettere di Adriano Olivetti dagli Stati Uniti in cui chiedeva alla famiglia di spedire
regolarmente «la Rivoluzione di Gobetti»: Lettera di Adriano Olivetti ai familiari, 17 agosto 1925, Boston, in ASO, fondo archivistico aggregato Adriano Olivetti, Lettere dall’America 1925-1926.
Per il biografo Valerio Ochetto essa è stata decisiva, pur non approfondendone i temi e le modalità dell’influenza; per Davide Cadeddu è Salvemini la fonte comune che mette in contatto e dialogo i due coetanei. Dall’analisi dei testi, ci pare che non si possa ridurre l’ascendente gobettiano su Olivetti, non tanto nella novità dei postulati politici (antipartitismo, regionalismo ecc) comuni al pensiero salveminiano, ma per il vigore “spirituale”, quasi di apostolato laico, con cui Gobetti si getta nell’agone politico, e soprattutto per la “lezione editoriale” che presenta innegabili affinità con l’attività editoriale di Olivetti.