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La lezione gramsciana de «L’ordine Nuovo»

Durante il primo anno universitario di Adriano Olivetti, compariva a Torino un altro nuovo foglio d’informazione culturale e politica, di successo immediato e futuro. Il primo maggio del ‘19 compariva il settimanale «di cultura socialista» dal titolo «Ordine

Nuovo», per opera di un gruppo di giovani torinesi: Gramsci (ventotto anni), Tasca

(ventotto), Terracini (ventiquattro) e Togliatti (ventisei). Nell’aprile del ‘19 la «sensazione dell’imminenza di un cataclisma»203 riuniva quei giovani socialisti a profetizzare l’avvento anche in Italia di un “Ordine Nuovo” già espressosi altrove: «l’avvento di un ordine nuovo, che coincide con tutto ciò che i nostri maestri ci avevano insegnato», scriveva Gramsci in articolo titolato Note sulla rivoluzione russa.204 “L’ordine nuovo” è quello dei soviet russi e l’intento del giornale si definirà progressivamente, plasmando quella vaga cultura proletaria iniziale nel cosciente intento di «tradurre il bolscevismo russo in lingua italiana» attraverso la teoria dei consigli di fabbrica.205 A partire dall’articolo Democrazia operaia206 del 27 giugno 1919

203 «Quando, nel mese di aprile 1919, abbiamo deciso, in tre, o quattro, o cinque […] di iniziare la

pubblicazione di questa rassegna «L’Ordine Nuovo», nessuno di noi (forse nessuno…) pensava di cambiare la faccia al mondo, pensava di rinnovare i cervelli e i cuori delle moltitudini umane, pensava di aprire un nuovo ciclo nella storia [...] Chi eravamo? Che rappresentavamo? Di quale nuova parola eravamo portatori? Ahimè! L’unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga cultura proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell’ardente vita di quei mesi dopo l’armistizio, quando pareva imminente il cataclisma della società italiana», A. Gramsci, Il programma dell’«Ordine Nuovo», «L’Ordine Nuovo», II, 12, 14 agosto 1920, ora in P. Spriano (cur), La cultura italiana del ‘900… cit. p. 557.

204 A. Gramsci, Note sulla rivoluzione russa, «Il Grido del Popolo», 29 aprile 1917, ora in A. Gramsci,

Scritti Giovanili, Einaudi Torino 1958, p. 108.

205 A. D’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre. cit. pp. 36 ss. La citazione è di A. Leonetti in Un

comunista 1895-1930, Feltrinelli, Milano 1977 p. 48. Sulla rivista gramsciana cfr. P. Spiano, Introduzione, Id. (cur), La cultura italiana del ‘900 attraverso le riviste, VI. L’Ordine Nuovo (1919- 1920), Einaudi Torino, 1963 pp. 13-110.

206[A. Gramsci], Democrazia Operaia, «L’Ordine Nuovo», I, 7, 27 giugno 1919, pp. 47-48, ora in P.

Spriano (cur), La cultura italiana del ‘900… cit., pp. 156-159. Non è secondario che Olivetti usi spesso il sintagma «Democrazia industriale», per correggere la lezione gramsciana ammettendo alla gestione della fabbrica le rappresentanze non solo degli operai, ma anche impiegati e dirigenza nel caso dell’istituto del

si fa progressivamente più chiara nel foglio una teoria organica intorno all’istituto del consiglio di fabbrica e delle commissioni interne, presentate come cellule di un nuovo sistema di potere, quello della reale democrazia operaia, l’unica realizzabile nella prospettiva ordinovista. Un movimento spontaneo che aveva già portato gli operai a chiedere maggiori riconoscimenti per le commissioni interne ma che ancora restava nei binari del sindacalismo riformista a causa di un sistema che candidava e riconosceva elettori solo gli operai federati. Per «L’Ordine Nuovo» le commissioni interne e i consigli di fabbrica avrebbero dovuto essere «una scuola di esperienza politica e amministrativa» e la fabbrica il vero «territorio nazionale dell’autogoverno operaio». Condividendo il clima generale di critica alle pastoie politiche e burocratiche anche interne al sindacato e al partito socialista,207 la rivista di Gramsci elogiava il carattere autonomo e spontaneo delle commissioni interne dal loro primo apparire nel 1906, perorandone altresì la riforma secondo il principio che tutti gli operai potessero eleggerne i membri e che fosse organizzata ricalcando le unità produttive della fabbrica, ovvero la squadra, il reparto, l’officina.

La scoperta dei consigli di fabbrica scosse le passioni liberali di Gobetti208 che a questi istituti autonomi dedicherà notevole spazio nella sua rivista – letta come sappiamo dal giovane Olivetti – interpretandoli come un fenomeno della «libertà della lotta sociale» che è il «motore della storia», secondo le sue riflessioni personali sul liberismo. Il consiliarismo gramsciano vivrà un momento di grande successo e popolarità, e riuscirà

consiglio di gestione, e nella prospettiva di una riforma complessiva della fabbrica secondo i principi comunitari, le rappresentanze della comunità, l’Università, la Regione. Sul consigli di gestione Olivetti e l’idea di “comunità di fabbrica” secondo Olivetti, infra Cap. IV.

207 Gramsci critica duramente le generazioni precedenti di socialisti, in particolare le posizioni espresse

dalla «Critica sociale» di Treves e Turati, in cui il socialismo positivista e scientifico perdeva il contatto spontaneo con le vitalità delle masse operaie traducendosi in attendismo riformista: il riformismo teorico di Claudio Treves era per Gramsci «un balocco di fatalismo positivista le cui determinanti sono energie sociali astratte dall’uomo e dalla volontà, incomprensibili e assurde».

208Sulle relazione Gobetti-Gramsci, A. Asor Rosa afferma che non si possa capire Gramsci senza Gobetti

e viceversa, A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, IV, tomo 2 Torino Einaudi, 1975, pp. 1442; cfr. P. Spriano, Gramsci e Gobetti, «Studi Storici», XVII, 2, aprile-giugno 1976, pp. 69.

a coordinare e muovere all’azione migliaia di operai nella Torino del 1919 e 1920, anche se non riuscirà a esportare l’esperienza oltre la città di Torino. Tuttavia esso troverà nuova riscoperta e applicazioni negli anni della resistenza e dell’Italia liberata anche grazie all’innesto con l’esperienza del CLN Alta Italia e dei consigli di gestione.209

Quello che ci interessa qui sottolineare è che il consiliarismo gramsciano, promosso anche dal foglio gobettiano, entra nel circuito torinese delle idee più efficaci e affascinanti negli anni della formazione universitaria di Adriano Olivetti. Sappiamo che il socialismo di stampo democratico degli Olivetti deprecava le soluzioni “spartachiane” e quelle nostrane dei “soviettisti”, eppure non sfugge l’esistenza di affinità ideali e poi storiche. Come affinità ideale tra il consiliarismo gramsciano e l’attività di Adriano Olivetti va notata la comune polemica nei confronti dell’astrattezza delle soluzioni dei partiti, la burocraticizzazione e centralizzazione dei partiti che asfissia l’auto- organizzazione di base. Un passo richiama in particolare il linguaggio che userà Olivetti negli anni Quaranta. Nel foglio gramsciano, più volte, il “consiglio di fabbrica” viene enfaticamente descritto così:

209 La nuova fortuna nel secondo dopo guerra nella versione moderata dei consigli di gestione degli

stabilimenti industriali sarà, comunque, ancora una volta, di breve durata, quasi che il consiliarismo sia da considerarsi un’efflorescenza caduca dei primissimi tempi post-bellici. Il CLN Alta Italia approva la costituzione dei Consigli di gestione con decisione del 30 agosto 1944 ma questi poi non vengono ratificati dal governo militare alleato. Sulla breve fortuna dei consigli di gestione, cfr. la ricostruzione di U. Morelli, I consigli di gestione dalla Liberazione ai primi anni Cinquanta, Fondazione Agnelli, Torino 1977. Dall’esperienza delle aziende socializzate nel frangente della resistenza, sorse, infatti, il movimento per la creazione dei consigli di gestione nell'autunno 1945 con un coordinamento che ricalcava la stessa struttura del CLN Alta Italia, a testimonianza della contiguità delle due esperienze. Il coordinamento promosse tre convegni nazionali (‘46 e ‘47 a Milano e ‘48 a Torino) e fu rappresentato in parlamento dal progetto di legge del Ministro socialista all’Industria Rodolfo Morandi che concepì i consigli di gestione come organismi di democrazia di base, ma anche di controllo per le imprese delle politiche di riforme e del piano governativo con cui si contava di ricostruire il paese. Il progetto di legge indusse l’assemblea Costituente alla discussione che giunse alla forma dell’articolo 46 della Costituzione.

Il Consiglio di fabbrica è il più idoneo organo di educazione reciproca e di sviluppo del nuovo del nuovo spirito sociale che il proletariato sia riuscito ad esprimere dall’esperienza viva e feconda della comunità di

lavoro. La solidarietà operaio che nel sindacato si sviluppava nella lotta contro il capitalismo, nella

sofferenza e nel sacrifizio, nel Consiglio è positiva, è permanente, è incarnata anche nel più trascurabile dei momenti della produzione industriale, è contenuta nella coscienza gioiosa di essere un tutto organico, un sistema omogeneo e compatto che lavorando utilmente, che producendo disinteressatamente la ricchezza sociale, afferma la sua sovranità, attua il suo potere e la sua libertà creatrice di storia.210

Il consiglio di fabbrica esprime il moto ì autonomistico dei lavoratori che, divenendo

comunità di lavoro, superano il solo antagonismo capitale-lavoro per guadagnare la

propria libertà attraverso la coscienza – financo gioiosa secondo le parole di Gramsci che trovano eco negli scritti di Olivetti211 – di produrre ricchezza sociale ed essere protagonisti della propria storia. Non dissimilmente, Adriano Olivetti arriverà a domandarsi quale tipo di coscienza di lavoratori potesse darsi in un ambiente di produzione di tipo taylorista con massiccio impiego di lavoratori non specializzati, senza più le aristocrazie operaie, e risponderà che sarà nel fine sociale della fabbrica, i cui profitti e benefici dovranno essere ripartiti con la comunità dei lavoratori e del territorio.

Ma al di là dei discorsi teorici, Adriano Olivetti promuoverà l’instaurazione nei propri stabilimenti in una forma moderata dei consigli di fabbrica, quella dei consigli di gestione con rappresentanza di dipendenti operai e impiegati e della dirigenza , ma tesa

210 [Editoriale non firmato], «L’Ordine Nuovo», I/21, (11 ottobre 1919), ripubblicato con integrazioni in

A. Gramsci, La tattica dei consigli di fabbrica, «L’Ordine Nuovo» del 1 maggio 1921, ora in A. Gramsci (a cura di V. Gerratana, A. A. Santucci), L’ordine Nuovo 1919-1920, Einaudi Torino, 1987, p 239. Corsivo nostro.

211«La gioia nel lavoro, oggi negata al più gran numero di lavoratori dell’industria moderna, potrà

finalmente tornare a scaturire quando un lavoratore comprenderà che il suo sforzo, la sua fatica, il suo sacrificio – che pur sempre sarà sacrificio – è materialmente e spiritualmente legato a una entità nobile e umana che egli è in grado di percepire, misurare, controllare, perché il suo lavoro servirà a potenziare quella Comunità, reale, tangibile, laddove egli e i suoi figli hanno vita, legami, interessi», A. Olivetti,

Società Stato Comunità, Ed. Comunità, Milano, 1952. Precedentemente pubblicato nell’opuscolo a cura

del Movimento di Comunità, Tecniche delle riforme, 1951. Anche Semplici, con un accenno veloce, avanza influenza Gramsci su Olivetti, in S. Semplici, Un’azienda e un’utopia: Adriano Olivetti : 1945-

ad educare i lavoratori alla gestione della fabbrica, a essere palestra di gestione dei problemi connessi alla produzione. Recependo la suggestione gramsciana, il consiglio di gestione interno alla fabbrica Olivetti verrà concepito come un organo di educazione dei dipendenti alla compartecipazione ai problemi aziendali. Nella realtà opererà quasi esclusivamente per i servizi sociali dedicati ai dipendenti, quindi per la gestione del fondo aziendale, ma su questo punto ci soffermeremo nel corso del lavoro.212

A nostro avviso, è opportuno considerare la lezione gramsciana dei consigli di fabbrica, anche veicolata dall’attenzione dedicata loro da Gobetti, per interpretare con maggior respiro «la peculiarità del caso Olivetti»213 costituita dalla longevità del suo consiglio di gestione. Nella ricerca ancora rabdomantica di punti di riferimento del giovanissimo Adriano, il comunismo gramsciano definito sulle pagine del giornale socialista «Avanti!» come «umanismo integrale [che] studia, nella storia, tanto forze economiche che le forze spirituali, le studia nelle interferenze reciproche»214 poteva trovare pienamente posto nel catalogo dei suoi riferimenti.

212 Cfr. infra Cap. IV, par. 4.7.

213 Così S. Musso, La partecipazione nell'impresa responsabile: storia del Consiglio di gestione Olivetti,

Il Mulino, Bologna, 2009.

214 A. Gramsci, Einaudi o dell’utopia liberale, «Avanti!», ed. Piemontese, XXIII/144, (25 maggio 1919),

ora in A. Gramsci (a cura di V. Gerratana, A. A. Santucci), L’ordine Nuovo 1919-1920… cit. p. 39; cfr. A. D’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, cit. p. 53.

2.6 Le esperienze giornalistiche olivettiane: le riviste «L’Azione Riformista» e «Tempi