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La misura delle “Aspettative” e della “Partecipazione lavorativa”

3. Il modello per la valutazione dell’efficacia esterna del titolo di dottorato

3.1 La definizione delle variabili esplicative latenti

3.1.2 La misura delle “Aspettative” e della “Partecipazione lavorativa”

La misurazione delle “Aspettative” (A) e della “Partecipazione lavorativa” (PL) segue la stessa logica utilizzata per l’“Efficacia esterna” e per la “Soddisfazione”, definendo

una variabile latente la cui esistenza determina associazione tra i valori osservati degli indicatori considerati. Anche in questo caso, gli indicatori osservati sono stati scelti tra le risposte alla domanda “A30”.

Le “Aspettative” sono state misurate considerando la soddisfazione espressa rispetto:

• alle prospettive di guadagno; • alle possibilità di carriera;

• alla stabilità/sicurezza del lavoro.

Tali aspetti si ritengono correlati positivamente alle “Aspettative”. La scelta di tali indicatori si spiega con l’importanza che questi assumono rispetto alle attese che i dottori di ricerca hanno nei confronti della propria vita professionale. In particolare, oltre alle prospettive di guadagno e alle possibilità di carriera, che sono rilevanti in qualunque momento della propria carriera, si ritiene di valutare anche la stabilità/sicurezza del lavoro. Questo aspetto appare molto importante soprattutto in un periodo, come quello attuale, caratterizzato dalla prevalenza di forme contrattuali di tipo precario che di solito sono riservate a coloro che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro.

La relazione tra gli indicatori osservati e la variabile latente “Aspettative” può essere rappresentata nel modo seguente (Figura 3.2):

Stabilità/sicurezza del lavoro (A304) Possibilità di carriera (A305) Prospettive di guadagno (A302) Aspettative (A) Stabilità/sicurezza del lavoro (A304) Possibilità di carriera (A305) Prospettive di guadagno (A302) Aspettative (A) Aspettative (A)

Figura 3.2. Relazione tra la variabile latente “Aspettative” e gli indicatori osservati

La “Partecipazione lavorativa” è stata misurata considerando i livelli di soddisfazione espressi relativamente:

• all’acquisizione di professionalità; • all’indipendenza e autonomia sul lavoro; • al coinvolgimento nei processi decisionali.

L’indipendenza e autonomia sul lavoro ed il coinvolgimento nei processi decisionali sono aspetti che indicano piuttosto chiaramente una condivisione partecipata delle attività che qualificano la propria attività lavorativa. Per quanto riguarda l’acquisizione di professionalità, si ritiene che possa rappresentare un aspetto della partecipazione lavorativa in quanto svolgere un lavoro altamente professionalizzante comporta probabilmente un maggior coinvolgimento, più interesse per le mansioni svolte e quindi anche un più alto livello di condivisione delle attività. Gli indicatori si considerano correlati positivamente alla “Partecipazione lavorativa”.

La relazione tra gli indicatori osservati e la variabile latente “Partecipazione lavorativa” può essere rappresentata nel modo seguente (Figura 3.3):

Acquisizione di professionalità (A307)

Coinvolgimento nei processi decisionali (A310)

Indipendenza e autonomia sul lavoro (A309)

Partecipazione lavorativa (PL)

Acquisizione di professionalità (A307)

Coinvolgimento nei processi decisionali (A310)

Indipendenza e autonomia sul lavoro (A309)

Partecipazione lavorativa (PL) Partecipazione lavorativa (PL)

Figura 3.3. Relazione tra la variabile latente “Partecipazione lavorativa” e gli indicatori osservati

3.2 La scelta del modello

L’analisi descrittiva preliminare delle risposte (Appendice C) non è soddisfacente. Il fenomeno che si vuole analizzare è piuttosto complesso perché coinvolge diverse variabili latenti e variabili osservate. Un modello statistico consente di descrivere la struttura delle relazioni tra tutte le variabili considerate e di formalizzare una teoria in termini semplificati. I dati sono stati analizzati con un modello ad equazioni strutturali a due livelli a variabili latenti, considerando i dottori di ricerca come unità di primo livello ed i corsi di dottorato come unità di secondo livello. Il modello è stato scelto per i vantaggi dei modelli multilivello e per i vantaggi dei modelli ad equazioni strutturali.

Per quanto riguarda i vantaggi dei modelli multilivello, sui quali si è già avuto modo di soffermare l’attenzione (Capitolo 2), la scelta di un’analisi disaggregata rispetto all’analisi aggregata si giustifica innanzitutto perché consente di esplicitare la struttura gerarchica presente nei dati. Nel caso specifico, i dottori di ricerca sono raggruppati in corsi di dottorato che sono compresi in aree disciplinari, in atenei e magari in altre unità di livello ancora superiore. In conseguenza di tale struttura, è possibile che le unità statistiche appartenenti allo stesso gruppo per ciascun livello della gerarchia, se condividono fattori non osservati, abbiano valori della variabile risposta correlati. In questo caso, l’analisi multilivello, oltre a spiegare la struttura di variabilità complessa, analizzando la variabilità associata a ciascun livello, consente di ottenere stime corrette dei parametri e degli errori standard.

La scelta di un’analisi multilivello si giustifica anche per la possibilità di analizzare in un unico modello statistico variabili misurate a livelli diversi, riferite rispettivamente alle unità di primo e di secondo livello. Nel caso specifico questo significa che si possono valutare gli effetti esercitati sulla variabile endogena dalle variabili individuali (età, sesso, tipologia di attività lavorativa svolta, ecc.) e dalle variabili di contesto (tipologia dei corsi, aree disciplinari e variabili ottenute per aggregazione di variabili osservate a livello individuale).

L’analisi è limitata a due soli livelli di aggregazione principalmente perché si ritiene che gli effetti maggiori sull’efficacia esterna siano esercitati dalle unità poste al livello gerarchico immediatamente superiore (corsi di dottorato) a quello delle unità elementari considerate (dottori di ricerca). Inoltre, l’analisi a due livelli è preferibile anche perché consente un’interpretazione più semplice dei risultati.

Per quanto riguarda i vantaggi dei modelli ad equazioni strutturali, la scelta si giustifica innanzitutto per la possibilità di analizzare un sistema multivariato di relazioni tra variabili (esogene ed endogene) attraverso un sistema di equazioni. Questo permette di modellare la variabile dipendente in un’equazione come variabile indipendente in un’altra equazione e di scomporre gli effetti esercitati da una variabile sulle altre variabili, in effetti, diretti ed indiretti. Nel caso specifico, questo si traduce nella possibilità di modellare, ad esempio, la variabile “Soddisfazione” come dipendente quando le variabili esplicative sono le “Aspettative” e la “Partecipazione lavorativa” e come variabile esplicativa quando la variabile dipendente è l’”Efficacia esterna”.

Inoltre, questo consente di valutare l’effetto totale che la variabile “Aspettative” esercita sull’”Efficacia esterna”, distinguendo l’effetto diretto dall’effetto indiretto esercitato attraverso la “Soddisfazione”.

La scelta di un modello ad equazioni strutturali si giustifica anche per la possibilità di modellare variabili latenti. In questo modo è possibile analizzare relazioni tra variabili che non possono essere misurate perfettamente, o perché non osservabili, e quindi misurate da una serie di indicatori osservati non completamente adeguati rispetto a ciò che si vuole misurare, o perché affette da errore di misura. Nel caso specifico, le variabili latenti che si vogliono analizzare, “Efficacia esterna”, “Soddisfazione”, “Aspettative” e “Partecipazione lavorativa” sono definite attraverso una serie di indicatori misurabili che si ipotizzano a queste correlati. Poiché è ragionevole ritenere che tali indicatori, per quanto appropriati, non siano in grado di misurare perfettamente le variabili latenti, modellare anche l’errore di misura consente di ottenere stime più accurate dei coefficienti che definiscono le relazioni tra le variabili analizzate.

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