• Non ci sono risultati.

La mobilizzazione delle risorse locali

aspetti operativi

4. La mobilizzazione delle risorse locali

Gianluca Brunori

Università di Pisa, Dipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema - DAGA

La cagliata del Pecorino a latte crudo delle Montagne e Valli Pistoiesi

Pecorino a latte crudo delle Montagne e Valli Pistoiesi, a diverse stagionature

Foto A. Marescotti Foto Archivio ARSIA

4.2 Quali sono le risorse locali interessate alla mobilizzazione?

Le risorse locali possono essere raggruppate in quattro categorie:

• il capitale naturale

• il capitale culturale

• il capitale umano

• il capitale sociale.

Rientrano nel capitale naturale le razze e le varietà autoctone, il paesaggio, la qualità dell’aria e dell’acqua, la fertilità dei suoli, particolari microcli-mi (ad esempio, quelli che consentono una stagio-natura ottimale dei salumi o dei formaggi), risorse minerali che caratterizzano il processo produttivo (il marmo, nel caso del lardo di Colonnata).

Fanno parte del capitale culturale non solo i monumenti e i reperti storici, ma anche le ricette tradizionali, le storie locali, gli stili di vita, l’abbi-gliamento, i prodotti di artigianato, la musica e i gli strumenti musicali, le tecniche di produzione ecc.

Il capitale umano è l’insieme delle capacità pre-senti negli individui: arti e mestieri specifici, la conoscenza di fenomeni naturali e dei meccanismi ecologici locali, la capacità di organizzazione e di comunicazione ecc.

‡ La norcineria è un settore storicamente maschile:

quando si macellava il maiale di famiglia il compito era strettamente riservato agli uomini. Molti di loro si sono specializzati in quest’arte che ancora oggi, in tutta l’Italia centrale, vanta professionisti eccellenti.

In Garfagnana, però, c’era un’eccezione: la testa non era trattata dagli uomini, ma consegnata alle donne di casa. La sua lavorazione, infatti, comporta due lunghe fasi di bollitura, e soltanto le donne – sbri-gando le altre faccende – potevano seguire il pento-lone sul fuoco per sei, sette ore. Non è un caso che, tra i principali fautori del rilancio del biroldo, ci sia un’intera famiglia di donne (nel solco della solida tradizione matriarcale della società garfagnina).

Ilaria Bosi e la sorella Paola hanno ricominciato a produrre il biroldo seguendo gli insegnamenti della madre Margherita.

Carlo Bogliotti, Donne norcine http://www.slowfood.it/img_sito/riviste/

slowark/IT/28/biroldo.html) Il capitale sociale è il potenziale di azione col-lettiva legato a reti locali: la famiglia, il vicinato, l’associazionismo. In genere la presenza di capitale sociale è una condizione fondamentale per la mo-bilizzazione, in quanto consente di disporre di strutture di comunicazione in grado di favorire la circolazione di idee e la realizzazione di progetti.

‡ Molte iniziative di valorizzazione dei prodotti tipici nascono da preesistenti gruppi locali (pro loco, asso-ciazioni culturali, gruppi giovanili) che concentrano la loro iniziativa su un prodotto come fattore di pro-mozione locale, e che rappresenta il nucleo organiz-zativo su cui imperniare azioni promozionali come le sagre. È questa una storia comune a prodotti come il Fagiolo di Bigliolo, la Cipolla di Treschietto, la Ciliegia di Lari ecc.

4.3 A cosa serve la mobilizzazione delle risorse?

Lo scopo del processo di mobilizzazione è l’in-corporazione delle risorse locali nel prodotto, che avviene quando:

• le caratteristiche distintive del prodotto deriva-no in modo chiaro dalle risorse locali;

• gli osservatori esterni, e in particolare i consu-matori, associano in modo chiaro e stabile il prodotto (e il suo nome o marchio) alla speci-ficità delle risorse locali;

‡ I fagioli prodotti a Bigliolo appartengono a varietà rampicanti e vengono prodotti in modo tradizionale, nel totale rispetto dell’ambiente utilizzando solo con-cimi naturali. La zona di produzione attualmente si estende alla frazione di Bigliolo nel comune di Aulla in Lunigiana, nella provincia di Massa-Carrara, e la coltivazione è fatta da piccole aziende a carattere familiare. Bigliolo è collocato in una valle orientata a sud, molto soleggiata, riparata dai venti di tramonta-na dalle prime montagne dell’Appennino; presenta un terreno alluvionale molto fertile, ben drenato e povero di calcio. È questa una caratteristica che unita all’utilizzo di acque di irrigazione, per loro natura poco dure, conferisce al fagiolo di Bigliolo una buc-cia molto sottile quasi impercettibile, un sapore molto dolce e una estrema tenerezza della pasta, molto di più rispetto a fagioli prodotti altrove. Il fagiolo da sempre coltivato a Bigliolo con amorevole cura, anticamente veniva seminato lungo i corsi d’ac-qua. Solo in seguito al diffondersi della pratica del-l’irrigazione, per scorrimento delle acque nei solchi, si è avuto un incremento della produzione. La semi-na viene fatta sulla “ristoppia” del grano, iniziando a lavorare il terreno solo dopo la raccolta del cereale nel periodo che va dal 23 al 30 giugno, cioè da San Gio-vanni a San Pietro. Le piante crescono rigogliose in doppi filari, sostenute da rami di cerro, nocciolo e frassino, i cosiddetti “pali”, raccolti durante l’inver-no; così nel periodo di coltivazione del fagiolo la campagna assume un aspetto davvero particolare.

Da: brochure sul fagiolo di Bigliolo, a cura della Provincia di Massa Carrara.

La mobilizzazione delle risorse locali è inoltre necessaria per garantire l’evoluzione del prodotto in un contesto di mercato che cambia. I prodotti tipici non sono dei ‘fossili viventi’, residui del pas-sato continuamente mantenuti in vita attraverso un’opera di rianimazione. Per poter avere una con-tinuità sul mercato, essi devono potersi evolvere, e garantire un percorso che, salvaguardando i princi-pi fondamentali della tradizione, sia in grado di garantire l’innovazione.

‡ Il Parmigiano Reggiano viene considerato un pro-dotto tipico ‘di massa’ per la sua grande dimensione produttiva. La sua diversità, rimarcata anche nella dif-ferenza con il suo principale competitore (Grana Padano), è un insieme di regole di produzione più rigide. Il fatto di essere considerato sempre più pro-dotto ‘di massa’ ha però generato tensioni sul merca-to, con una tendenza alla discesa dei prezzi. Per poter rafforzare la sua immagine, i produttori del Parmigia-no ReggiaParmigia-no hanParmigia-no identificato alcuni fattori che possono rafforzare la diversità di almeno una parte del prodotto: la razza Romagnola, la produzione nelle aree di montagna.

La mobilizzazione è dunque alla base di un per-corso di innovazione basato sul recupero della tra-dizione: è un processo continuo, che aspira a man-tenere e accentuare le condizioni della diversità e unicità di un prodotto all’interno di un contesto in continuo cambiamento (e in quanto tale caratteriz-zato da inevitabili tendenze all’imitazione).

4.4 Quali sono i passaggi da seguire nella mobilizzazione delle risorse?

La mobilizzazione delle risorse locali si traduce in un insieme di attività che possono essere classi-ficate come segue:

a) Acquisizione di conoscenze

b) Sviluppo della consapevolezza interna alla comunità

c) Sviluppo della consapevolezza esterna alla comunità

d) Consolidamento organizzativo e creazione di know how

e) Riflessione critica sull’attività di mobilizzazione.

Tutte queste attività hanno una dimensione fortemente collettiva. La mobilizzazione parte in genere da gruppi o individui, inizialmente anche molto ridotti numericamente che, a partire da una percezione comune dell’importanza di un prodot-to, sensibilizzano progressivamente la popolazione locale, le istituzioni e gli osservatori esterni.

a) L’acquisizione delle conoscenze

Spesso le comunità hanno conoscenze estrema-mente frammentarie delle risorse locali, legate alla tradizione orale. Attraverso una sistematica raccol-ta delle testimonianze, dei documenti storici, delle immagini, dei reperti fisici è possibile avere un quadro più preciso delle caratteristiche delle risor-se locali e della loro importanza nell’area.

‡ Cetica è una frazione del Comune di San Niccolò, nella montagna casentinese (Arezzo). Durante gli anni dello sviluppo economico (sessanta-settanta) molta gente ha lasciato il paese per cercare occupa-zione altrove. Lo spopolamento e il degrado delle risorse ambientali e paesaggistiche in seguito a que-sto fenomeno hanno contribuito a erodere le rela-zioni sociali e l’identità locale. Nel 1997 alcune per-sone di Cetica hanno dato avvio a un processo di ricognizione delle risorse locali: la castagna e i suoi prodotti e ricette, la produzione del carbone, la

‘patata rossa’, le storie locali.

Da: F. Di Iacovo, P. Pieroni, Cetica, la storia di una comunità capace di comunicare valori

In molti casi, l’acquisizione di conoscenze si avvale della collaborazione di esperti, meglio se re-sidenti o ‘amici’ del luogo, che possono fornire la propria esperienza, le metodologie di rilevazione, la conoscenza di elementi analoghi in altre aree.

‡ La ‘patata rossa’ di Cetica stava per estinguersi, ma grazie a un progetto in cui è stata coinvolta l’Uni-versità di Firenze è stata recuperata e oggi è possibi-le coltivarla.

b) Lo sviluppo della consapevolezza interna alla comunità

Il passo necessario per tradurre una risorsa loca-le in attività economica è la generalizzazione della consapevolezza del valore di tale risorsa da parte della popolazione locale. In questo modo, è possi-bile che l’iniziativa individuale possa attingere a una comune riserva di conoscenze.

‡ A Cetica la gente del luogo ha cominciato a racco-gliere le proprie tradizioni legate alla coltura della castagna e ai suoi prodotti e ricette, alla produzione del carbone e alle altre attività tradizionali. Questi elementi sono diventati la base per la costruzione del Museo del Carbonaio, con foto e testi che descrivo-no il ciclo di produzione del carbone e la vita delle persone legate a questo prodotto.

Lo sviluppo della consapevolezza interna si basa su iniziative di ‘animazione’, ovvero di creazione di occasioni di incontro e di riflessione all’interno della comunità locale. Di particolare importanza la fun-zione delle scuole, in grado di facilitare un rapporto

V A L O R I Z Z A Z I O N E D E I P R O D O T T I A G R O A L I M E N T A R I T I P I C I 49

tra generazioni diverse, oppure delle pro-loco, le associazioni di volontariato, le associazioni culturali.

A tale proposito sono da ricordare le iniziative e i progetti rivolti a individuare, recuperare e conserva-re antiche varietà vegetali e razze a rischio di estin-zione, favorendo la loro reintroduzione sul merca-to. Dal 1997 la Regione Toscana ha disciplinato la tutela del proprio patrimonio di razze animali e varietà vegetali locali, di interesse agrario, zootecni-co e forestale, prima zootecni-con la Legge Regionale n. 50 del 16 luglio 1997 e successivamente con la Legge Regionale n. 64 del 16 novembre 2004.

Dal 1997 l’attività svolta ha permesso di indivi-duare sul territorio, in 8 anni di attività, oltre 500 varietà vegetali tra specie fruttifere, ortive, foraggie-re, cereali, piante ornamentali e specie forestali.

Queste sono state oggetto di una caratterizzazione morfologica e di una ricerca storico-bibliografica sottoposte all’esame di apposite Commissioni tecni-co-scientifiche esperte per settore che sono preposte a esprimere parere per l’iscrizione nel Repertorio regionale delle Risorse genetiche autoctone (LR 50/97). (www.arsia.toscana.it sotto la voce ‘Razze e varietà locali’).

Con l’avvento della LR 64/04 la Regione To-scana istituisce un sistema che parte dalla varietà o razza locale riconosciuta (iscritta al Repertorio regionale) per continuare con l’attivazione di un sistema per la conservazione sia in situ tramite i Col-tivatori Custodi, sia ex situ tramite le sezioni della Banca regionale del Germoplasma, fino a giungere all’aspetto della valorizzazione sia dei ‘semi’ attra-verso il Registro regionale delle Varietà da conserva-zione, sia dei prodotti per il consumo diretto attra-verso un Contrassegno regionale.

c) Lo sviluppo della consapevolezza esterna alla comunità

La consapevolezza esterna è il primo passo per la creazione di un mercato. L’azione relativa alla consa-pevolezza è tanto più efficace quanto forte è la coe-renza della consapevolezza all’interno di una comu-nità: in questo caso, ogni individuo della comunità può comunicare verso l’esterno una visione e un giu-dizio simili a quelli del resto della comunità, raffor-zando nell’osservatore esterno la convinzione che la specificità della risorsa locale sia autentica.

‡ L’esperienza di questi anni mostra che il ruolo delle Province è stato fondamentale per consolidare la con-sapevolezza da parte dei cittadini-consumatori del valore dei prodotti tipici. La provincia di Pisa, ad esem-pio, ha creato il concetto di ‘cesto pisano’ per coprire con la propria attività promozionale tutti i prodotti caratteristici della provincia, e ha costruito intorno a esso una serie di eventi tematici e di prodotto.

‡ Analogamente, la provincia di Massa ha sostenuto le iniziative dei gruppi locali promotori del Fagiolo di Bigliolo e della Cipolla di Treschietto, finanziando la stampa di brochure e la loro partecipazione o l’orga-nizzazione di varie fiere locali.

Spesso, comunque, la consapevolezza interna e quella esterna si rafforzano reciprocamente. Nelle occasioni in cui la comunità rurale comunica con l’esterno (ad esempio, le sagre di paese oppure le fiere) le domande da parte dei visitatori sollevano aspetti che stimolano gli interlocutori a precisare la propria posizione e la propria consapevolezza, e a rendere esplicite cose prima date per scontate.

La patata rossa di Cetica (Arezzo)

FotoArchivioARSIA

d) Il consolidamento organizzativo e la creazione di know how

Un’iniziativa di successo subisce un processo di crescita, che a sua volta avvia un cambiamento organizzativo. Questo cambiamento va adeguata-mente controllato con lo spirito di garantire la continuità con i valori che hanno portato a inizia-re il processo di mobilizzazione.

‡ Molti casi di successo della valorizzazione dei pro-dotti tipici fanno perno su eventi come le sagre. Una sagra, infatti, si trasforma in un momento di rifles-sione collettiva sulle risorse locali. Grazie a questo, la sagra assume un nuovo significato e acquisisce essa stessa delle caratteristiche che la rendono, agli occhi degli osservatori esterni, unica. L’interesse da parte dei consumatori per la sagra stimola la crescita del prodotto e rende necessario un progressivo adegua-mento organizzativo.

In molti casi il processo produttivo tradizionale è ormai scomparso o risulta poco adatto allo svilup-po di mercati più ampi di quello domestico. Per poter consolidare un’attività commerciale basata sulla risorsa tipica è necessario risolvere i problemi legati alla disponibilità della risorsa nei tempi e nelle forme necessarie, alle pratiche necessarie per la sua conservazione e riproduzione, alla compatibilità con le norme vigenti, alle regole di accesso a tale risorsa.

e) La riflessione critica sul processo

Il rapporto tra risorse locali e prodotto tipico richiede uno sforzo di riflessione collettiva sulle ini-ziative messe in atto, rivolto sia a considerare gli effetti di tali iniziative sulle risorse coinvolte (ad esempio: che impatto hanno le iniziative di valoriz-zazione sulla motivazione dei produttori? E sulla qualità del prodotto?), sia gli effetti distributivi (ad esempio, come sono distribuiti tra produttori, in-termediari e dettaglianti i benefici dell’aumento di prezzo del prodotto derivante dal miglioramento della sua immagine?), sia gli effetti moltiplicatori (in che modo la crescita economica del settore ha giovato anche sul resto dell’economia locale?).

4.5 Quali sono gli errori da evitare nella mobilizzazione delle risorse?

Le esperienze fin qui fatte mostrano che vi sono diversi errori da evitare nei processi di mobilizza-zione, ad esempio:

• scegliere tematiche che, invece di unire, divido-no la comunità. Il processo di mobilizzazione non è esente da conflitti, ma talvolta questi conflitti sono artificialmente amplificati da divi-sioni politiche o partitiche;

• attivare la comunicazione verso l’esterno trop-po presto, prima che vi sia sufficiente condivi-sione all’interno;

• eccedere nella comunicazione verso l’esterno, con il rischio di creare aspettative non soddi-sfabili;

• non confrontarsi con altre situazioni, con il rischio di credere le proprie risorse come uni-che quando invece non lo sono.

Nella mobilizzazione gioca indubbiamente un ruolo importante la presenza nel territorio di una consolidata esperienza di interazione e coopera-zione, ancor più se specificamente orientata alla gestione dei processi di sviluppo rurale (un esem-pio in tal senso è dato dall’attività dei Gruppi di Azione Locale del programma LEADER). Laddove ci sia difficoltà a maturare una consapevolezza comune, carenza di iniziativa o difficoltà di inte-razione e coordinamento, diviene fondamentale l’attivazione di azioni di animazione rurale, di informazione e formazione, di assistenza tecnica, e un contributo importante in tale direzione può venire anche da attori esterni al sistema, compre-se le stescompre-se istituzioni, le agenzie pubbliche di supporto allo sviluppo rurale, o le varie organiz-zazioni impegnate nella promozione delle varie risorse rurali, di provenienza anche esterna al mondo rurale (si pensi al ruolo svolto da associa-zioni come Slow Food).

V A L O R I Z Z A Z I O N E D E I P R O D O T T I A G R O A L I M E N T A R I T I P I C I 51

5.1 Cosa è la “qualificazione”

di un prodotto tipico

La qualificazione è l’area strategica nella quale gli attori del processo di valorizzazione definisco-no l’identità del prodotto tipico e ne “costruisco-no” la qualità, e creano così le condizioni perché questo possa entrare in relazione con l’esterno, anche mediante le attività di promozione e com-mercializzazione.

La qualificazione consiste di due fasi logica-mente collegate:

• una fase “interna” di definizione e gestione della qualità nell’ambito del processo produtti-vo, che riguarda non solo la singola impresa ma la collettività delle imprese e dei soggetti coin-volti nel sistema produttivo del prodotto;

• una fase “esterna” volta a creare le più appro-priate condizioni di relazione tra il prodotto (e il produttore, o il sistema dei produttori) e il mercato (in termini più generali il contesto esterno).

Le scelte che devono essere assunte nelle due fasi sono tra loro strettamente interdipendenti: la fase interna può essere completamente inefficace ai fini della valorizzazione se non è collegata funzio-nalmente a quella esterna; e allo stesso modo la fase esterna non avrà effetti se non è basata su una qualificazione “interna” del prodotto. Le due fasi devono quindi essere esaminate congiuntamente in modo da risultare tra loro coerenti.

La qualificazione presenta alcuni aspetti di par-ticolare complessità nel caso dei prodotti tipici, in quanto questi sia pure con intensità diverse pre-sentano forti relazioni con il territorio (nelle sue molteplici configurazioni, fisiche e antropiche), sono il risultato di un processo che coinvolge una molteplicità di soggetti, impiegano risorse specifi-che del territorio, e sono caratterizzati dalla

pre-senza di una molteplicità di valori oltre a quello d’uso (si veda il capitolo 2. La valorizzazione dei prodotti tipici: principi, obiettivi e problematiche).

Nel caso dei prodotti tipici la qualificazione non si esaurisce con il livello aziendale, in quanto il prodotto tipico è allo stesso tempo il risultato dell’impegno e il patrimonio di una collettività di imprese, e più in generale di una società locale.

Devono dunque essere presi in considerazione due livelli della qualificazione:

• un livello individuale, relativo alla singola impresa;

• un livello collettivo, che interessa invece il siste-ma delle imprese e dei soggetti coinvolti nel sistema produttivo e nel sistema locale di cui il prodotto tipico è espressione.

Il livello collettivo presuppone il raggiungi-mento di una qualche forma di accordo tra le imprese circa la definizione della qualità del pro-dotto tipico.

5.2 A cosa serve la qualificazione del prodotto tipico?

Proprio partendo dalla consapevolezza del radi-camento del prodotto tipico al territorio e della specificità che esso presenta rispetto a prodotti standard, gli attori coinvolti nella valorizzazione del prodotto tipico compiono spesso due errori fondamentali.

Un primo errore risiede nel dare per scontato, proprio in virtù della sua tipicità, che il prodotto possieda una sua propria identità definita e piena-mente condivisa da parte di tutti i produttori (e altri eventuali soggetti coinvolti nel processo di valorizzazione).

In realtà l’identità del prodotto è un qualcosa che deve essere ridefinito, sia pure a partire dalla