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La nazione argentina tra storia, costituzione e progresso

Abbiamo visto, nelle pagine precedenti, che le idee attraverso cui prende forma il progetto di rinnovamento culturale della Generación del 37 esprimono tanto la convinzione di essere parte del movimento universale del progresso, quanto la necessità di non sfuggire alle «leggi del tempo e dello spazio» e che, proprio su questo terreno di riflessione, si vuole marcare la distanza dalla generazione che guidò l’Indipendenza politica e tentò le prime forme di organizzazione della Repubblica. È Alberdi che, più di tutti gli altri, si dedica a indagare, sul piano teorico-filosofico, la relazione tra

209 D. F. Sarmiento, Facundo, cit., p. 40. Sarmiento finisce con l’identificare Echeverría con il gaucho che,

nella figura del poeta, si riconosce: «El joven Echeverría residió algunos meses en la campaña, en 1840, y la fama de sus versos sobre la pampa le había precidido ya: los gauchos lo rodeaban con respeto y afición, y cuando un recién venido mostraba señales de desdén hacia el cajetilla, alguno le insinuaba al oído: “Es poeta”, y toda prevención hostil cesaba al oír este título privilegiado» (Ivi, p. 43).

l’universalismo proclamato in Argentina nel Maggio del 1810 e la specificità della realtà nazionale. Il già citato intervento al Salón Literario è dedicato da Alberdi alla ricerca di un’«armonia» tra la legge generale dello svolgimento progressivo della storia e le leggi particolari del tempo e dello spazio:

«El desarrollo, Señores, es el fin, la ley de toda la humanidad: pero esta ley tiene también sus leyes. Todos los pueblos se desarrollan necesariamente, pero cada uno se desarrolla a su modo: porque el desenvolvimiento se opera según ciertas leyes constantes, en una íntima subordinación a las condiciones del tiempo y del espacio. Y como estas condiciones no se reproducen jamás de una manera idéntica, se sigue que no hay dos pueblos que se desenvuelvan de un mismo modo. Este modo individual de progreso constituye la civilización de cada pueblo: cada pueblo, pues, tiene y debe tener su civilización propia, que ha de tomarla en la combinación de la ley universal del desenvolvimiento humano, con sus condiciones individuales de tiempo y de espacio»211.

Un popolo che si pone al di fuori delle «leggi del tempo e dello spazio» finisce per porsi fuori dallo stesso movimento universale dell’umanità, poiché «i popoli che non hanno civiltà propria» non posssono svilupparsi e restano condannati all’immobilismo. È questa la posizione che, agli occhi di Alberdi, occupa l’Argentina nel 1837; essa, infatti, ha avuto accesso alla «legge dello sviluppo progressivo dello spirito umano» in una maniera troppo repentina, anticipando i tempi e rovesciando le tappe della sua trasformazione: la rivoluzione materiale che ha messo fine al regime coloniale, sancendo l’indipendenza politica, infatti, non è stata anticipata, come abbiamo visto, da quella rivoluzione delle idee che era indispensabile alla comprensione generalizzata delle «condizioni proprie dell’età e del suolo» argentini. È proprio al mancato svolgimento della «civiltà specifica che avrebbe dovuto manifestarsi come risultato normale dei modi d’essere nazionali» che Alberdi attribuisce la «sterilità degli esperimenti costituzionali» che si sono susseguiti nei quasi trent’anni di vita repubblicana212. Per «continuare la via iniziata in Maggio» bisogna

abbandonare la sterile copia delle civiltà straniere per rispettare la propria natura; ciò che più è ridicolo, oltre che politicamente inefficace, è infatti pensarsi «virili» quando non si è che nell’«infanzia» della propria esistenza213. Ecco, dunque, la strada da percorrere:

«Ya es tiempo pues de interrogar a la filosofía la senda que la Nación Argentina tiene designada para caminar al fin común de la humanidad. Es

211 J. B. Alberdi, Doble armonía..., cit., pp. 262-263. 212 Ivi, p. 263.

pues del pensamiento, y no de la acción material, que debemos esperar lo que nos falta. La fuerza material rompió las cadenas que nos tenían estacionarios, y nos dio movimiento: que la filosofía nos designe ahora la ruta en que deba operarse este movimiento»214.

È esattamente con questo obiettivo che si dedica alla scrittura del

Fragmento preliminar al estudio del derecho. Come già il titolo indica, e la lunga

prefazione al saggio esplicita, è vano e destinato all’insufficienza ogni studio sull’organizzazione giuridica di un Paese che non si preoccupi di indicare il campo teorico generale al cui interno il diritto si colloca. Di mostrare, prima di tutto, lo stretto nodo che lega la filosofia al diritto, la «costituzione positiva e scientifica» di un popolo a una «netta concezione della natura filosofica del diritto»215. La conoscenza delle leggi, infatti, non comporta di per sé la

conoscenza del diritto216, poiché nello studio di quest’ultimo, vi sono due

livelli, entrambi fondamentali: «il concreto e il morale, quello delle leggi scritte e quello dello spirito delle leggi». È, dunque, nello «spirito delle leggi» che «lo sguardo intelligente dello studioso dovrà cercare il fondamento del diritto»217:

«Se trata pues de considerar el derecho de una manera nueva y fecunda: como un elemento vivo y continuamente progresivo de la vita social; y de estudiarlo en el ejercicio mismo de esta vida social. Esto es verdadamente conocer el derecho, conocer su genio, su misión, su rol. Es así como las leyes mismas nos mandan comprendendo, porque es el alma, la vida, el espíritu del derecho»218. In un articolo scritto qualche mese più tardi e pubblicato in «La Moda», ribadendo la necessità di «armonizzare i costumi» per «costituire un popolo»219, Alberdi dà una definizione di costituzione come «l’ordine vivo

214 Ivi, p. 265.

215 «Yo ensayaba una exposición elementar de nuestra legislación civil, conforme a un plan que el

público ha visto enunciado en un prospecto, y no podía dar un solo paso sin sentir la necesidad de una concepción neta de la naturaleza filosófica del derecho, de los hechos morales que debían sostenerle, de su constitución positiva y científica. Me fue preciso interrumpir aquel primer estudio, para entregarme enteramente a este último» (J. B. Alberdi, Fragmento preliminar..., cit., p. 11). Cfr. G. Sarría,

Fuentes ideológicas del Fragmento preliminar al estudio del derecho de Juan Bautista Alberdi, Ediciones

del Copista, Córdoba, 1999 e H. Ciapuscio, El pensamiento filosófico-político de Alberdi, Ediciones Culturales Argentinas, Buenos Aires, 1985, pp. 29-118.

216 J. B. Alberdi, Fragmento preliminar..., cit., p. 13. 217 J. P. Feinmann, Filosofía y nación, cit., pp. 86. 218 J. B. Alberdi, Fragmento preliminar..., cit., p. 13.

219 «Quien dice costumbres, dice ideas, creencias, habitudes, usos. La democracia de Norte America

vive en las costumbres de los norte americanos: no data de ayer: viene desde el establecimiento de aquellos Estados, que se fundaron sobre fundamentos democraticos; Méjico adoptó la consitución de Norte América y no es libre, porque adoptó la constitución escrita, pero no la constitución viva; no sus costumbres. La libertad no es el parto de un decreto, de una convención. Es una facultad, una

dell’organismo» del popolo, da cui deriva che la funzione del legislatore è di natura esclusivamente interpretativa: «scrivere una costituzione», non è altro che «redigere per iscritto ciò che già vive ed è in gioco nella società», redigere «la vita consuetudinaria della nazione». La «costituzione scritta» è, infine, «il compimento e non il principio di una costituzione»220. Vediamo, dunque,

come la concezione costituzionalistica di Alberdi, che si richiama a una tradizione di pensiero che va dallo Spirito delle leggi di Montesquieu alla

Scienza Nuova di Vico rivendichi, come punto di partenza, la specificità della

condizione nazionale, del suo clima, del suo territorio, del carattere del suo popolo. Al tempo stesso, però, proprio il legame tra filosofia e diritto, rimanda a una concezione universalistica del diritto stesso: se la «filosofia del diritto» è la conoscenza dello «spirito delle leggi», allora «l’attività filosofica in materia di leggi» è la ricerca della loro «origine», della loro «missione», della loro «costituzione». E l’«origine delle leggi» si trova nell’«idea di ragione»221:

«¿cuál es el espíritu de todas las leyes escritas de la tierra? La razón: la ley de las leyes, ley suprema, divina, es traducida por todos los códigos del mundo. Una ley eterna como el sol, es móvil como él: siempre luminosa a nuestros ojos, pero su luz siempre diversamente colorida. Estos colores diversos, estas faces distintas de una misma antorcha, son las codificaciones de los diferentes pueblos de la Tierra: caen los códigos, pasan las leyes, para dar paso a los rayos nuevos de la eterna antorcha»222.

Proprio nel richiamo all’eterna luce della Ragione come principio originario della filosofia – e della filosofia politica – José Pablo Feinmann rintraccia il nocciolo duro del razionalismo di Alberdi: nell’idea, cioè, di «un ordine del mondo assoluto e razionale, fondamento ultimo di tutte le cose». Un ordine assoluto che, però, per mantenersi in vita, deve «manifestarsi attraverso la particolarità finita»223. Capovolgendo il discorso dal particolare

all’universale, vediamo come non sia possibile, per Alberdi e per la

Generación del ‘37, pensare la specificità nazionale fuori dalla convinzione di

essere parte di un ordine assoluto; e ciò non è possibile perché la stessa

costumbre que se desenvuelve por la educación. Así, el verdadero modo de cambiar la constitución de un pueblo, es cambiar sus costumbres: el modo de cambiarlo es darle constumbres. Pero una constitución es el orden orgánico de los distintos elementos de un pueblo, en virtud del cual, todos estos elementon parten de un fin y van a un mismo fin. Luego crear esta armonia, y este fin comun, es constituir un pueblo» (J. B. Alberdi, Sociabilidad: costumbres, campesinos, labradores, tenederos, condición de

la mujer entre nosotros, OC. I, pp. 392-393). 220 Ibidem.

221 J. B. Alberdi, Fragmento preliminar..., cit., pp. 13-15. 222 Ivi, p. 15.

possibilità di pensare a uno svolgimento costituzionale proprio trova la sua origine nella rivoluzione argentina, che è a sua volta concepita – lo abbiamo visto – in quanto «manifestazione locale di un processo rivoluzionario più ampio: la Rivoluzione universale iniziata ai tempi della Riforma protestante, continuata e approfondita dalla Rivoluzione francese e dal ciclo rivoluzionario europeo da essa inaugurato e il cui corso ancora non si è ancora esaurito». Come suggerisce Myers, l’idea di «rivoluzione permanente» – che agli occhi della Generación del ‘37 è un «fatto» e non un semplice desiderio – lascia aperto il problema del carattere «provvisorio» della sua stessa conoscenza, producendo la «permanente oscillazione» tra due definizioni del suo compito intellettuale: quello di investigare la realtà per scoprirne il significato o, al contrario, per inventare – e dunque costruire, elaborare – lo stessa»224. La fine del colonialismo apre infatti lo spazio della

funzione creativa, poichè la necessità di superare l’eredità culturale spagnola, che abbiamo visto ritornare in molti scritti dell’epoca, proietta inevitabilmente sul futuro – e non in una tradizione passata da recuperare – il processo di costruzione nazionale. Nello stesso Fragmento, Alberdi lascia aperta la tensione tra un costituzionalismo come pura attività interpretativa e un costituzionalismo come creazione:

«Gobernámos, pensemos, escribimos y procedamos en todo, no a imitación de pueblo nunguno de la tierra, sea cual fuere su rango, sino exclusivamente como lo exige la combinación de las leyes generales del espíritu humano con la individuales de nuestra condición nacional»225.

È dunque a partire dalla combinazione di universale e individuale, che la filosofia può riconquistare, attraverso la libertà del suo esercizio, la propria funzione creatrice. In questo senso, la filosofia nazionale, elemento imprescindibile per la piena emancipazione, non è data, ma va, precisamente, «conquistata»:

«Es pues ya tiempo de comenzar la conquista de una conciencia nacional, por la aplicación de nuestra razón naciente a todas las fases de nuestra vida nacional [...] porque no hay verdadera emancipación mientras se está bajo el dominio del ejemplo extraño, bajo la autoridad de las formas exóticas. Y como

224 J. Myers, La revulución en las ideas..., cit., p. 424-425.

225 J. B. Alberdi, Fragmento preliminar..., cit., p. 22. È esattamente questo passaggio che Feinmann ritiene

di straordinaria importanza per comprendere il «nocciolo duro» del pensiero di Alberdi che, a partire dal Fragmento, rimarrà invariato per tutto il corso della sua esistenza: «l’umanità, dunque, dovrà realizzarsi all’interno della Nazione e la Nazione potrà accedere alla coscienza di sé solo nella misura in cui la sua particolarità è compresa nel corso necessario e razionale dell’umano» (J. P. Feinmann,

la filosofía es la negación de toda autoridad que no sea la de la razón, la filosofía es madre de toda emancipación, de toda libertad, de todo progreso social. Es preciso pues conquistar una filosofía, para llegar a una nacionalidad»226.

Nell’affermazione della necessità di «conquistare una filosofia» vi è dunque l’espressione del rapporto tra la specificità nazionale e l’idea universalistica di «ragione» che, proprio attraverso la filosofia, dispiega la sua luce negli spazi nazionali227. Ma, più in generale, la «conquista di una

filosofia» ci parla della relazione tra la storia, nel suo svolgimento, e il mondo. Non a caso, lo stesso Alberdi – nel sistema di citazioni che tesse nel

Fragmento228 – ricorre a Vico per ribadire che lo stesso costituzionalismo non

può che essere inquadrato all’interno di una filosofia della storia229.

Riconoscendo un ugual debito nei confronti del filosofo italiano230, Sarmiento

ribadisce la posizione centrale che lo studio della storia assume nella «nostra epoca»:

«El estudio de la historia forma, por decirlo así, el fondo de la ciencia europea de nuestra época. Filosofía, religión, política, derecho, todo lo que dice relación con las instituciones, costumbres y creencias sociales, se ha convertido en historia, porque se ha pedido a la historia razón del desenvolvimiento del espíritu humano, de su manera de proceder, de las huellas que ha dejado en los pueblos modernos y de los legados que las pasadas generaciones, la mezcla de razas, las revoluciones antiguas han ido depositando sucesivamente [...] El historiador de nuestra época va hasta explicar con el auxilio de una teoría, los hechos que la historia ha trasmitido sin que los mismos que los describían alcanzasen a comprenderlos»231.

226 J. B. Alberdi, Fragmento preliminar, cit., p. 21.

227 Cfr H. González, El filósofo argentino:¡dificultates!, in «La Biblioteca», n. 2-3, 2005, pp. 46-65.

228 Sul significato «emancipatorio» del sistema di citazioni all’interno del Fragmento preliminar, cfr. ivi,

p. 51.

229 «Sabemos que el señor de Angelis trata de hacernos conocer a Vico. Haría un grande servicio a

nuestra patria. Vico es uno de los que han enseñado a Europa la filosofía de la historia. Sea cual fuere el valor actual de sus doctrinas, él tiene el gran mérito de haber aplicado la filosofía a la historia; y su obra es todavía una mina de vistas nuevas y fecundas, una Ciencia nueva, en todo el sentido de la palabra» (J. B. Alberdi, Fragmento preliminar..., cit., p. 13).

230 Scrive Sarmiento: «Esta ciencia, tal como apenas la indicamos, la cultivan hoy los grandes escritores

franceses que han sucedido a la escuela alemana en que descollaron Herder, Heeren, Niebuhr, y tantos otros. Guizot, Thierry y Michelet siguen el camino que dejó indicado Vico, y que forma en efecto la

ciencia nueva que él vaticinó». (D. F. Sarmiento, Los estudios históricos en Francia (1844), OC. II, pp 154-

156, cit., p. 154).

La stretta compenetrazione tra la necessità di portare a compimento l’emancipazione nazionale e l’adesione a una filosofia che, inserendo lo stesso processo emancipatorio all’interno dello svolgimento storico universale, restituisce ad esso il suo pieno significato, torna con tutta evidenza nel corso dell’accesa polemica che Sarmiento intrattiene, dalle pagine del «Mercurio», con la tradizione del «purismo linguistico» diffusa in Cile dal Andrés Bello e i suoi discepoli. Alla pubblicazione anonima di un opuscolo dove si elencano le parole castigliane che sarebbero state erroneamente modificate nel linguaggio popolare232, Sarmiento risponde

chiamando in causa i diversi dialetti che, in conseguenza dell’isolamento dei popoli e della mancanza di letture che potevano correggerne i difetti e gli errori, si sono sviluppati tanto nelle varie parti del regno di Spagna, quanto in ogni provincia d’America, ognuna delle quali ha la propria pronuncia e la propria prosa particolare233. Ma l’inevitabilità della proliferazione delle forme

dialettali che rende inattuale ogni rivendicazione purista in merito al linguaggio trova la sua origine nel fatto che la lingua, così come gli altri elementi che compongono il quadro dell’esistenza nazionale, non è altro che «l’espressione delle idee di un popolo»; e se un popolo non ha ancora «conquistato» un proprio pensiero e «deve importare da fonti straniere l’acqua che deve saziare la sua sete», allora, occupando il posto dell’apprendistato, «sarà costretto a soffrire l’influenza delle lingue straniere che lo istruiscono»234. È questa la condizione della monarchia spagnola che,

come abbiamo visto, ferma alla conservazione del proprio passato non ha prodotto negli ultimi secoli nessuna opera letteraria significativa, ed è la condizione della repubblica argentina, che ancora deve conquistare una filosofia propria. L’arretratezza della lingua scritta in confronto alla lingua orale ne offre, per Sarmiento, testimonianza:

«Tan cierto es esto, que en la mayor parte de los idiomas modernos ni prójimos son la escritura de las palabras con los sonidos que representa, lo que atribuimos nosotros a que en los siglos bárbaros que han precedido a la cultura de las lenguas vivas, poquísimos eran los que escribían, y éstos como literatos, no admitían en lo escrito la corrupción en que veían iba degenerando el habla popular. Llegó el día en que un gran número se sintió con ganas de aprender a escribir y se encontró con que mis señores literators escribían como

232 L’articolo, pubblicato dal «Mercurio» il 27 aprile 1842, si intitola Ejercicios de lengua castellana e porta,

come epigrafe, una citazione di Fernando de Herrera: «Culpo el descuido de los maestros y la poca afección que tienen a honrar nuestra lengua». Cfr. P. Verdevoye, Domingo Faustino Sarmiento, cit., p.172.

233 D. F. Sarmiento, Ejercicios populares de la lengua castellana (1842), OC. I, pp. 150-153. Cfr. P.

Verdevoye, Domingo Faustino Sarmiento..., cit., p. 172.

el pueblo había hablado quinientos años antes»235.

Il «grande numero» che «sentì la voglia di imparare a scrivere» segna il passaggio alla società democratica. In un articolo che si apre con una citazione tratta da La democrazia in America sulla letteratura presso i regimi aristocratici236, Sarmiento, seguendo il ragionamento di Tocqueville, ci dice

che, se in una repubblica «il dogma della sovranità del popolo è la base di tutte le istituzioni e da esso emanano le leggi e il governo», allora ciò deve valere anche rispetto alla lingua:

«si hay en España una academia que reúna en un diccionario las palabras que el uso general del pueblo ya tiene sancionadas, no es porque ella autorice su uso, ni forme el lenguaje con sus decisiones, sino porque recoge como en un armadio las palabras cuyo uso está autorizado unánimemente por el pueblo mismo y por los poetas. Cuando los idiomas, romances y prosistas en su infancia, llevavan el epíteto de vulgares con que el latín los oprimía, se formaron esas academias que reunieron e incorporaron la lengua nacional en un vocabulario que ha ido creciendo según que se extendía el círculo de ideas que representaban. En Inglaterra nunca ha habido academia, y no obstante ser el inglés el idioma más cosmopolita y más sin conciencia para arrebatar palabras a todos los idiomas, no ha habido allí tan babel ni tal babilonia como el Quídam y Hermosilla se lo temen. En Francia hay una ilustrada academia de la lengua; pero a más de que se ocupa de asuntos más serios que recopilar palabras, su diccionario no hace fe, y muchos hay, escritos y publicados sin su anuencia que son más abundantes de frases y de modismos, y que por tanto son más populares. Otro tanto sucederá en España cuando sea más barata la impresión de libros, y aun ahora empieza a suceder»237.

In rapporto alla «sovranità popolare» che continuamente innova la lingua,