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La “neutralità assoluta” e l'internazionalismo socialista

L'atteggiamento del partito socialista e dei suoi iscritti o simpatizzanti dopo lo scoppio della prima guerra mondiale fu caratterizzato, tratto comune a tutti i movimenti internazionali, da una molteplicità di contraddizioni interne. Nonostante queste difficoltà, fu proprio all'interno del movimento socialista che si svilupparono le principali voci che si elevarono contro la guerra, le quali, come ha evidenziato Brunello Vigezzi, furono «rare e ben poco ascoltate»4. Come ha scritto Alberto Cavaglion, nella fase della nascita e del primo sviluppo del movimento socialista nel Regno, l'adesione agli ideali del movimento da parte di personalità di origine ebraica sostituì la fede dei padri perché portatori di aspetti messianici e di «una carica utopistica volta alla conquista di una Gerusalemme sia terrena che celeste»5. Dopo questa prima fase, Turati e specialmente Anna Kuliscioff, si convinsero, sulla scia della dichiarazione di Erfurt del 1891, che la religione dovesse essere relegata alla sfera privata e non alla direzione del partito.6 Nonostante queste posizioni, come ha notato Simon Levis Sullam per il caso veneto, «è possibile che le comuni origini ebraiche, anche se definitivamente ripudiate, costituissero un ulteriore, sotterraneo elemento di affinità culturale e sentimentale tra queste persone».7 I membri e simpatizzanti del partito che condividevano 4 Brunello Vigezzi, Prefazione, in Fulvio Cammarano (a cura di), Abbasso la guerra! Cit., p. XII.

5 Alberto Cavaglion, Gli ebrei e il socialismo: il caso italiano, in Sofia Francesca e Toscano Mario, Stato nazionale ed emancipazione ebraica, Atti del Convegno Stato nazionale, società civile e minoranze religiose: l'emancipazione degli ebrei in Francia, Germania e Italia tra rigenerazione morale e intolleranza, Roma 23-25 ottobre 1991, Bonacci, Roma, 1992, p. 378.

6 Ivi, pp. 387-388.

queste comuni radici, seguirono – e in alcuni casi dettarono – le tendenze che si svilupparono all'interno del partito socialista, esprimendo pareri contrastanti: come nel caso di Alceste Della Seta membro della Direzione del partito che entrò in aperta polemica con la posizione espressa dal gruppo parlamentare, dove erano presenti tre deputati di origine ebraica: Giuseppe Emanuele Modigliani, Elia Musatti e Claudio Treves. Dalla consultazione del Casellario Politico Centrale è emersa inoltre un'intensa attività internazionale a favore della pace durante gli anni del conflitto che vide Angelica Balabanoff al centro di una rete che collegò gli oppositori europei al conflitto.

Tutti questi esponenti del partito si dichiararono contrari all'impresa libica, e si formarono nella maggioranza dei casi grazie agli insegnamenti di Antonio Labriola e Achille Loria. Quest'ultimo, maestro dei socialisti riformisti, aderì allo sforzo bellico in seguito alla dichiarazione di guerra del Regno, malgrado avesse espresso precedentemente la sua contrarietà, in coerenza con le sue idee pacifiste. Secondo l'analisi economica di Loria, la guerra fu il risultato della diminuzione del saggio di profitto dei capitali tedeschi, impulso che venne accentuato dalla politica della Gran Bretagna desiderosa di eliminare la concorrenza tedesca. Secondo Bruno di Porto, Loria:

si colloca con l'interventismo democratico, vedendo nella scelta di campo con l'Intesa la giusta direzione progressiva della storia: nel senso dei più razionali sviluppi economici, delle libertà democratiche, del completamento dell'unità italiana e della solidarietà con i movimenti nazionali emergenti. L'impegno bellico si imponeva per poter poi riprendere, vincendo gli ostacoli delle forze reazionarie ed evitando la catastrofe della disfatta, gli obiettivi sociali a favore delle sacrificate moltitudini.8

Come Loria, molti degli esponenti di origine ebraica del socialismo italiano si laurearono in giurisprudenza, e spesso utilizzarono il loro titolo per difendere gratuitamente gli esponenti del partito arrestati nelle manifestazioni.

Il Piemonte – in particolare Torino, Alessandria e Acqui – fu il centro di un folto gruppo di oppositori alla guerra. Come ha notato Alberto Cavaglion l'adesione agli ideali socialisti fu nella regione subalpina un fenomeno che «se riferit[o] percentualmente alla consistenza numerica delle comunità piemontesi, si potrebbe definire di massa».9 In particolare da Torino e dall'esperienza di opposizione al conflitto emerse la dirigenza del Partito comunista italiano, dove i fratelli Montagnana e Terracini, insieme ai loro giovani compagni dell'epoca, rivestirono un ruolo di primo piano. Più complessa risulta l'analisi degli altri due centri:

164.

8 Bruno Di Porto, Politica, economia e cultura in una rivista tra le due guerre, p. 14. 9 Alberto Cavaglion, Gli ebrei e il socialismo, p. 378.

Milano, dove risiedevano Claudio Treves e Angelica Balabanoff e Venezia con Elia Musatti e Alessandro Levi. Le due città furono legate anche dal movimento interventista, in particolare dalle figure di Margherita Grassini e del marito Cesare Sarfatti, entrambi legati alla comunità ebraica e vecchi compagni di lotte di Musatti.

Il 27 luglio 1914, pochi giorni prima dello scoppio della guerra, il partito socialista italiano si riunì a Milano votando, su proposta di Mussolini, una risoluzione per lo sciopero generale insurrezionale nel caso di un'entrata in guerra dell'Italia. Giuseppe Emanuele Modigliani presentò una mozione, incontrando l'opposizione dell'assemblea, nella quale chiedeva di perseguire la linea dello sciopero generale anche nel caso di una proposta di acquisizioni di territori fatta al Regno.10 La decisione dei partiti socialisti europei, in particolare quello francese e tedesco, di sostenere dello sforzo bellico delle rispettive nazioni, posero di fatto fine alla Seconda Internazionale e alla speranza di uno sciopero generale che coinvolgesse tutti i “proletari europei”.

Nel periodo che andò dall'attentato di Sarajevo alla scoppio della guerra nell'agosto del 1914 il Partito socialista operò da subito su tre fronti: attraverso la stampa socialista con le denunce dell'atteggiamento guerrafondaio di Austria e Germania; chiedendo, su iniziativa del gruppo parlamentare, la convocazione della Camera per impedire l'applicazione delle clausole della Triplice; mentre il terzo versante fu l'attività svolta dalla Direzione del partito, la quale indisse manifestazioni con lo scopo di propagandare attraverso grandi comizi lo sciopero generale contro la guerra, come quando di fronte a circa 40mila persone, il 4 agosto a Milano, si tenne un comizio al quale parlarono esponenti della Unione Sindacale Italiana e del PSI, tra i quali Alceste Della Seta.11

La compattezza dei socialisti, messa in crisi già dalla mancanza di coesione sull'idea dello sciopero nazionale e sulla necessità di affidarsi al gruppo giolittiano in Parlamento per preservare la neutralità, fu destabilizzata anche dalla «presenza di persistenti reminiscenze risorgimentali che portarono settori sempre più ampi del partito a simpatizzare per il Belgio invaso e per le democrazie francesi e inglesi».12 In questo contesto va letta la riluttanza di Alceste Della Seta al Manifesto del 21 settembre del 1914, redatto da Mussolini su iniziativa del gruppo parlamentare, dove veniva ribadita l'assoluta neutralità del partito, nonostante le pressioni provenienti dai garibaldini e dai sindacalisti rivoluzionari, i quali premevano, 10 Leo Valiani, Il Partito Socialista Italiano nel periodo della neutralità, p.8; Brunello Vigezzi, L' Italia di

fronte alla prima guerra mondiale.

11 Leo Valiani, Il Partito Socialista Italiano nel periodo della neutralità, p. 8 e p. 19.

insieme ad alcuni gruppi di socialisti, per un intervento al fianco della Francia repubblicana.13 Il manifesto denunciava le forze interventiste senza operare alcuna distinzione tra i due blocchi e invitava i lavoratori a manifestare il proprio dissenso verso la guerra. Tale dichiarazione scosse gli equilibri interni al partito, già messo in crisi da contrasti interni che avevano messo in pericolo l'unità del fronte socialista nell'agosto del 1914, e pose le basi per quella scissione tra gli interventisti e i neutralisti che prese corpo con l'uscita di Mussolini dal partito poco meno di un mese dopo.14

Alceste Della Seta, membro della direzione del partito dal 1912, espresse il suo dissenso alla dichiarazione poiché, oltre a non condividere la posizione di equidistanza tra i due schieramenti, accusò i redattori di aver voluto ridimensionare le dichiarazioni da lui rilasciate il 2 settembre in occasione dell'incontro con Albert Südekum, inviato dei socialisti tedeschi in Italia per convincere il PSI ad favorire un intervento dell'Italia al fianco degli Imperi Centrali.15 Durante quell'incontro Della Seta accusò il partito socialista tedesco di aver votato una guerra d'aggressione voluta dalla borghesia nazionale, di aver violato i principi dell'internazionalismo, e di aver costretto con tale scelta i socialisti francesi e belgi a combattere.16 Nel marzo del 1915, dopo alcuni mesi di attriti e contrasti, Della Seta presentò le sue dimissioni dalla Direzione perché convinto dell'impossibilità per l'Italia di restare neutrale vista la situazione internazionale e dichiarò inoltre la sua opposizione allo sciopero generale in caso di guerra.17 Emerse in questo contesto la formazione familiare, dove gli ideali risorgimentali e garibaldini si manifestarono nelle simpatie verso il Belgio, la Francia e l'Intesa, nonché sulla necessità di unire il fronte interno per la difesa della patria.

Anche Anna Kuliscioff riteneva inevitabile un intervento italiano: «Per parte mia sono convinta che la guerra è già decisa; sarà questione di tempo e dell'occasione che la farà scoppiare, ma non c'è il minimo dubbio»18. Secondo la socialista russa, i socialisti avrebbero dovuto favorire un'alleanza con l'Intesa, «reputando che il trionfo degli Imperi centrali avrebbe portato al rafforzamento, in campo internazionale, delle forze militariste e reazionarie»19. L'alleanza con l'Intesa presentava nel pensiero della Kuliscioff una criticità: la presenza della Russia autocrate e antisemita era in contraddizione con la concezione di guerra democratica, nodo che si sciolse solo con la rivoluzione russa del febbraio 1917, salutata con 13 Leo Valiani, op.cit.,pp.40-41.

14 Brunello Vigezzi, L' Italia di fronte alla prima guerra mondiale. 15 Leo Valiani, op.cit. , p. 42.

16 Alceste Della Seta, Ricordi a zig e zag, p. 119. 17 Paolo Tirelli (voce cura da), Della Seta Alceste.

18 Filippo Turati, Carteggio. Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Vol. III – 1909-1914. Dalla guerra di Libia al conflitto mondiale, Einaudi, Torino, 1977.

entusiasmo dalla leader socialista. A differenza di molti altri socialisti, tuttavia, dichiarò la sua opposizione alla rivoluzione bolscevica perché autoritaria e contraria alle aspirazioni delle masse e inoltre ritenne indispensabile il proseguimento del conflitto.20

La vicinanza e l'influenza che Kuliscioff esercitò su Turati, leader del gruppo parlamentare, fu decisiva, in particolar modo dopo Caporetto, quando la linea politica del gruppo parlamentare subì una brusca virata con la pubblicazione dell'appello firmato da Turati e Treves “Proletariato e Resistenza”, pubblicato sulla rivista “Critica Sociale”:

Ma nel dolore cocente della patria invasa, il proletariato soffre per ragioni proprie. Ed ecco perché in tutte le grandi ore della storia esso si solleva e tende le nerborute braccia al grande cimento. Esso squassa la piccola rete delle coerenze formali per attingere la grande coerenza sostanziale della vita e dell'amore: non rinnega se stesso e salva la patria!21

Posizione che emergeva chiaramente nel carteggio che Turati e Kuliscioff si scambiarono in quelle fatidiche settimane. Anna attaccò anche la posizione del PSI, invitando il partito a prendere iniziative per favorire il morale delle truppe che si stavano impegnando per la difesa della patria.22 Durante la guerra non smise di occuparsi della questione femminile, proponendo leggi per l'abolizione dell'autorizzazione maritale e si dimostrò molto attiva per ottenere l'equiparazione salariale nelle fabbriche tra uomini e donne.

Il gruppo parlamentare, a maggioranza riformista, guidato da Filippo Turati, coadiuvato da Claudio Treves e Giuseppe Emanuele Modigliani, optò per una posizione di assoluta neutralità, entrando in contrasto con alcuni esponenti della Direzione del Partito e con diversi gruppi di socialisti locali. Alla Camera sedeva dal 1913 la XXIV Legislatura del Regno d'Italia, la prima eletta a suffragio universale maschile. Il numero dei deputati socialisti, rispetto alle precedenti elezioni del 1909, era più che raddoppiato: vi erano 52 eletti nelle liste del partito, a cui andavano aggiunti otto socialisti indipendenti. Il partito, al Congresso di Ancona del 1914, contava quarantasettemila iscritti, un netto aumento rispetto ai ventisettemila di due anni prima.23

Il gruppo parlamentare socialista, nei discorsi tenuti alla Camera in occasione delle sporadiche convocazioni del Parlamento che caratterizzarono già i mesi della neutralità, si occupò di difendere la posizione neutralista. Come ha notato Fulvio Cammarano, il tema della 20 Ivi, pp. 17-18.

21 Filippo Turati e Claudio Treves, Proletariato e resistenza, in «Critica Sociale», a. XXVII, n. 21, 1-15 novembre 1917, p. 264.

22 Paolo Pillitteri, Anna Kuliscioff, pp. 201-202.

23 Gaetano Afrè (introduzione a), Attività parlamentare dei socialisti italiani, vol. V (1913-1919), Tomo I, Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Roma, 1982, p. III.

“nazione”, intesa come valore da preservare e difendere, fu il terreno comune in cui le componenti interventista e neutralista dovettero battersi, impedendo in tal modo ai secondi di «dotarsi di una autonoma riconoscibilità ideologica ed etica»24. I socialisti, così come i cattolici, non poterono quindi connotare la scelta in termini di pacifismo, ma puntarono ad evidenziare come una scelta di neutralità fosse nell'interesse della nazione. Tale opzione avrebbe evitato un conflitto lungo e dispendioso, e inoltre avrebbe dato la possibilità all'Italia di rivendicare un ruolo di mediazione internazionale tra i paesi belligeranti. I socialisti «rivendicarono il diritto di amare la patria secondo i dettami della propria coscienza», opponendosi recisamente all'equiparazione tra patriottismo e interventismo.25

Durante le lunghe chiusure della Camera i deputati socialisti furono impegnati in comizi e manifestazioni a favore della causa neutralista in tutta Italia, trovandosi spesso esposti agli attacchi degli interventisti che li accusavano di antipatriottismo.

Nei loro interventi Modigliani e Treves si mantennero sulla linea concordata dal gruppo parlamentare. La guerra sarebbe stata lunga e dispendiosa: ancora una volta, come in occasione della guerra libica, i costi sarebbero stati redistribuiti in modo iniquo, sopportati quasi totalmente dal proletariato e il governo sarebbe stato costretto a ricorrere alla repressione interna per sedare il malcontento. Dai discorsi parlamentari del deputato livornese, la partecipazione italiana alla guerra imperialistica, che già si stava combattendo in Europa per il predominio del continente, avrebbe solamente allargato il campo dei contendenti senza mutarne gli esiti.26

In seguito al discorso di Salandra del 3 dicembre in cui il capo del governo invocò la “neutralità armata”, Turati e Treves pensarono ad un tentativo da parte dell'Esecutivo di «alzare il prezzo della neutralità» per ottenere i maggiori vantaggi da parte dei due schieramenti in caso di entrata in guerra.27 Treves, nel suo discorso del 4 dicembre, ribadì la condanna a tutti gli imperialismi che erano scesi in campo, ed invitò nuovamente il governo a rivendicare per l'Italia il ruolo di mediatrice internazionale tra le potenze, e di evitare l'entrata in un conflitto che sarebbe stato in ogni caso lungo.28 Nel suo intervento del 9 dicembre Modigliani sostenne: «Noi facciamo il nostro dovere, e del resto voi stessi, quanto vi torna comodo lo riconoscete», ma per coerenza alle idee socialiste «il nostro dovere di resistere alla 24 Fulvio Cammarano, Dalla preghiera al tumulto: un'eccedenza dalla ricerca della politica, in Fulvio

Cammarano (a cura di), Abbasso la guerra!, p. 5.

25 Gaetano Afrè (introduzione a), Attività parlamentare dei socialisti italiani, vol. V (1913-1919), Tomo II, Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Roma, 1985, p. XI.

26 Attività parlamentare dei socialisti italiani, vol. V (1913-1919), Tomo I e Tomo II, Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Roma, 1985.

27 Leo Valiani, Il Partito Socialista Italiano nel periodo della neutralità, p. 58.

infatuazione guerresca. È il compito, ripeto, è il nostro dovere resistere alla guerra, e questo nostro dovere dobbiamo compierlo con una sola limitazione: la limitazione dell'infecondità».29 In linea con l'articolo comparso sull'“Avanti!” l'11 gennaio, firmato da Costantino Lazzari, la guerra per il gruppo socialista poteva avere luogo solo in caso di aggressione, non doveva essere l'Italia la prima a scagliarsi nella lotta. I socialisti si resero conto in quei giorni che l'opzione delle sciopero generale non era più una via praticabile viste le numerosi defezioni dallo schieramento neutralista.30 Quando in quelle settimane di gennaio si paventò la possibilità di sostituire Salandra con Giolitti, tale opzione incontrò il parere favorevole di Turati, Treves, Musatti e degli altri deputati socialisti, propensi a prolungare il periodo della neutralità e sicuri che un ministero giolittiano avrebbe, anche in caso di guerra, mantenuto le libertà individuali e sindacali.31

Le difficoltà di unire lo schieramento dei neutralisti furono molteplici, i pochi tentativi che si compirono in questa direzione furono legati ad iniziative dei singoli, ma la mancanza di una base comune fece sì che non si giungesse ad alcun risultato concreto.32 Treves fu uno dei pochi a tentare questa strada, cercando contatti in particolare con Giolitti, il quale però non accettò di legare la sua posizione, interessata comunque ad ottenere i massimi compensi territoriali, a quella dei socialisti italiani.33 Sempre su pressione del deputato milanese, Turati decise di recidere i legami con quella parte del partito che si era convertita all'interventismo, «dimostrando così una totale avversione verso la violenza sia in politica interna che estera»34. Le divisioni presenti nella compagine neutralista e la crescita del movimento interventista, fecero comprendere alla direzione del PSI, nel convegno di Bologna del 16 maggio 1915, di non poter mobilitare forze sufficienti per contrastare le forze del Governo e degli interventisti.35

Il 20 maggio 1915, quando ormai il governo si era impegnato con il Patto di Londra all'entrata in guerra dell'Italia al fianco dell'Intesa, il gruppo parlamentare socialista si ritrovò da solo a votare contro la concessione dei crediti di guerra, differenziandosi così anche dalle scelte compiute l'estate precedente dei partiti gemelli tedesco e francese.36

I discorsi parlamentari dei socialisti furono caratterizzati dalla difesa del Parlamento, organo 29 Attività parlamentare dei socialisti italiani, vol. V (1913-1919), Tomo I, Ente per la storia del socialismo e del

movimento operaio italiano, Roma, 1982, pp. 255-256.

30 Mario Isnenghi e Giorgio Rochat, La Grande Guerra, 1914-1918, Il Mulino, Bologna, 2008, pp.109-110. 31 Leo Valiani, op. cit., p.75.

32 Fulvio Cammarano, Dalla preghiera al tumulto, p. 8 33 Leo Valiani, op. cit., p. 64.

34 Ivi, p.68. 35 Ivi, p.82. 36 Ivi, p.83.

di rappresentanza del popolo, contro la “dittatura di fatto” imposta dal governo Salandra; un'attenzione continua fu riservata alla difesa delle libertà individuali, in particolare all'internamento di cittadini colpevoli di propaganda pacifista o di opposizione alla guerra. Il gruppo parlamentare denunciò inoltre lo scioglimento dei consigli comunali socialisti e la la censura, che colpiva pesantemente l'organo socialista l'“Avanti!”.37 Alle aspre critiche cui fu sottoposto l'operato di Cadorna, si unirono diverse accuse al Comando superiore dell'esercito per il trattamento riservato alla truppa, anche con espliciti riferimenti alla pratica delle decimazioni e alle esecuzioni sommarie, nonché per il controllo dei militari sulla vita del paese, in particolare sulla censura.38 Non mancarono interventi concernenti le condizioni di vedove, orfani, mutilati e invalidi.39

La posizione dei deputati si complicò in seguito alla dichiarazione di guerra dell'Italia: da un lato vennero accusati di sabotare l'unità del fronte interno, compromettendo il sostegno dello sforzo bellico; dall'altro dovettero mantenere fede agli ideali internazionali e pacifisti.40

Dopo il famoso duello avvenuto il 29 marzo 1915 tra Treves e Benito Mussolini, in seguito ad accuse personali rivolte dal direttore del “Popolo d'Italia” al leader socialista, in cui entrambi i contendenti rimasero leggermente feriti, il leader socialista continuò a svolgere opera di propaganda a favore della neutralità, auspicando la cessazione delle ostilità.41 Treves fu uno dei capri espiatori su cui si concentrò la propaganda nei mesi della guerra. La sua indiscussa leadership all'interno della corrente riformista e i tentativi nei mesi della neutralità di giungere ad un accordo con i giolittiani, scatenarono nei suoi confronti una campagna di diffamazione. I toni si placarono dopo lo scoppio del conflitto, ma ripresero vigore dopo la conferenza di Zimmerwald e furono ancora più intensi, da parte degli interventisti di sinistra, dopo la rivoluzione russa di febbraio, la quale secondo Treves non fu provocata dalla guerra. Nel suo discorso del 12 luglio 1917 alla Camera, ricordato per la frase «il prossimo inverno non più in trincea», Treves si dimostrò favorevole alle idee wilsoniane, in particolare sul tema dell'autoderminazione dei popoli, e propose di indire dei plebisciti per risolvere il difficile