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7 – La nullità dei negozi elusivi per mancanza di causa.

Il dibattito intorno alla rilevanza civilistica dell'elusione di norme fiscali si è riacceso, in giurisprudenza ed in dottrina, a seguito del contrasto tra la pronuncia della Cassazione 21 ottobre 2005, n. 20398 e la coeva sentenza 12 maggio 2005, n. 20816, favorevole alla nullità per frode alla legge. La prima sentenza citata non solo dà per risolte le problematiche di fondo circa la sanzionabilità civilistica dei negozi giuridici elusivi di norme fiscali, ma conclude comminando la nullità per la contrarietà ad un preteso principio generale antiabuso e per la mancanza di causa del contratto oggetto di giudizio, ossia ad assenza di valide ragioni economiche idonee a dare giustificazione agli spostamenti patrimoniali tra le parti contraenti. Le accennate peculiarità del caso concreto e del principio di diritto emergono con chiarezza se confrontate nell’ambito del dibattito in tema di elusione fiscale, da sempre caratterizzato dalla difficoltà di conciliare la libertà costituzionale di iniziativa economica ed il principio di autonomia negoziale con il dovere costituzionale di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.

Alla luce di quanto detto fino ad ora, risulta chiaro che si cerca di applicare istituti civilistici alle fattispecie di elusione fiscale nel tentativo di sanzionare i negozi elusivi anche quando una norma antielusiva adatta

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al caso specifico manchi57. A questo punto, occorre sottolineare che la strada costituita dalla nullità dei negozi elusivi può condurre a conseguenze del tutto insoddisfacenti. In primo luogo, vi è da chiedersi se sia corretto rinvenire una soluzione sul piano civile, posta la incontestata natura impositiva, ma non precettiva né proibitiva, delle norme fiscali. È ormai costante e reiterata la massima, secondo cui la violazione della normativa fiscale non incide sulla validità né sull'efficacia del contratto ma ha rilievo esclusivamente tributario,58 né si può sottovalutare il tenore del comma 3 dell’art. 10 dello Statuto del contribuente, che esclude qualsiasi rilevanza civilistica della violazione diretta delle norme fiscali. In secondo luogo, la riserva di legge in ambito tributario impone che la previsione di sanzioni all'elusione sia rimessa alle scelte del legislatore, pena l'incertezza del sistema tributario. Infine, occorre considerare che le norme antielusive sinora esistenti, ed in particolar modo il già citato art. 37-bis, prevedono la mera inopponibilità della qualificazione tributaria dell'atto nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria. È evidente allora quanto possa essere poco soddisfacente, dal punto di vista dei risultati, il ricorso alla sanzione della nullità quale rimedio di carattere residuale in tutti i casi in cui non vi sia norma antielusiva, né generale né specifica.

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Romano S., “La pretesa nullità di negozi elusivi di norme fiscali” in Contratti,

2008, 12, 1162

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Cass. 24 novembre 1979, n. 6155, in Giust. civ. mass., 1979 , fasc. 11; Cass. 19 giugno 1981, n. 4024, ivi, 1981, fasc. 6; Cass. 24 ottobre 1981, n. 5571, ibidem, 1981, 10; Cass. 27 ottobre 1984, n. 5515, ivi, 1984, 10; Cass. 8 novembre 1995, n. 11598,

Giust. civ. mass., 1995 , 11; Cass. 3 settembre 2001, n. 11351, cit.; Cass. 5 novembre 1999, n. 12327, in Giust. civ. mass., 1999, 2195; Cass. 22 luglio 2004, n. 13621, ivi,

2004, 7-8. Da segnalare anche la Circolare del Ministero delle Finanze 19 dicembre 1997, n. 320, 24-27, a commento dell' art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ove si legge «dall'esame della norma antielusione […] emerge chiaramente che essa può spiegare i suoi effetti esclusivamente nell'ambito tributario, ferma restando pertanto, la validità, ai fini civilistici, degli atti posti in essere dal contribuente, ancorché questi siano inopponibili all'amministrazione finanziaria. In dottrina, A. Carinci, L'invalidità

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L'innovativa pronuncia del 2005 della Suprema Corte propende per la sanzione della nullità, nella variante del difetto di causa. La Corte generalizza la propria analisi ed afferma che i negozi elusivi di norme fiscali sarebbero privi di qualsiasi valida ragione economica che possa dare “impronta giuridica alla volontà contrattuale”, in quanto posti in essere per un fine unico ed esclusivo, quello di conseguire un risparmio di imposta; tutto ciò configurerebbe un abuso dell'autonomia privata, necessariamente da sanzionare. Essa esclude altre possibili cause di nullità, già proposte dalla dottrina e, in alcuni casi, condivise dalla giurisprudenza: esclude la non meritevolezza ex art. 1322 c.c., perché non applicabile ai contratti tipici, ed esclude la ricorrenza di motivi illeciti comuni alle parti, in quanto, nel caso, i contraenti non perseguivano finalità contrarie all'ordine pubblico o al buon costume o altri scopi espressamente proibiti dalla legge. La sentenza, invece, propende per la sanzione della nullità, per assenza di giustificazione dello scambio delle prestazioni tra i contraenti, dovuta alla violazione di un principio generale antiabuso, imperante sull'autonomia contrattuale. Constatata l'assenza di una norma antielusione a chiusura del sistema, la Corte di Cassazione si sforza dunque di individuare una regola in forza della quale il giudice possa sempre conoscere di una controversia riguardante elusione di norme fiscali. In base a questo orientamento, nonostante l'assenza di norme generali antielusione, sussiste il divieto di abusare dell'autonomia privata; esso impedisce di concludere negozi senza alcuna ragione economica, al solo fine di creare il presupposto per l'applicazione di un regime impositivo agevolato ed evitare l'imposizione più onerosa. Si tratterebbe di negozi privi di qualsiasi scopo economico e dunque privi di causa59. Il principio antiabuso sarebbe già proprio

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Si noti, tuttavia, che nessuna delle norme antielusive sinora introdotte nel nostro ordinamento commina la nullità dell'atto elusivo. Cfr., P.M. Tabellini, Libertà

negoziale ed elusione di imposta, Il problema della «titolarità ingannevole » di redditi, Padova, 1995, 13.

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dell'ordinamento comunitario, come individuato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. All’interno delle motivazioni, tuttavia, non vi è mai l'indicazione di alcuna norma interna ed inoltre la sentenza tralascia di valutare le conseguenze della sanzione della nullità, né delimita la sua applicazione ad ipotesi analoghe al caso oggetto di controversia.

Giungendo alle conclusioni, si possono riassumere le soluzioni elaborate da dottrina e giurisprudenza, sul piano civilistico, per contrastare l'elusione fiscale affermando che sono stati suggeriti il rimedio dell'inefficacia relativa dei negozi elusivi nei confronti della sola Amministrazione Finanziaria, oppure la sanzione della nullità per violazione di norme imperative, per frode alla legge, per simulazione o, da ultimo, per mancanza di causa. La sanzione della nullità si dimostra, però, inadeguata come mezzo di contrasto all’elusione fiscale, in special modo ove si consideri l'effetto ripristinatorio, e con portata retroattiva, dell'assetto giuridico-economico anteriore alla stipulazione dei negozi elusivi. La caducazione del negozio elusivo di norme impositive colpito da nullità, infatti, non solo elimina il presupposto di imposta e ostacola l'imposizione fiscale, ma lede una manifestazione dell'autonomia delle parti che, se non è illecita, risulta dunque meritevole di tutela. Colgono dunque nel segno quelle elaborazioni che, tenendo ferma la distinzione tra effetti civili e tributari, applicano la sanzione dell’inopponibilità limitatamente a questi ultimi e nei confronti della sola Amministrazione Finanziaria. È chiaro che le parti, mediante un negozio elusivo di norme fiscali, vogliono comporre i propri interessi e l'elusione della norma fiscale, quale violazione dell'onere di contribuzione, di stampo pubblicistico, rappresenta il momento e la ragione di prevalenza dell'interesse del fisco, terzo creditore. In conclusione, conferma ancora una volta la sua efficacia il rimedio dell’inopponibilità delle operazioni

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elusive nei confronti del fisco e dunque in tal modo l’Amministrazione Finanziaria, ottenuta la declaratoria di inefficacia degli effetti tributari dell'atto, può procedere alla qualificazione dell'effetto fiscale del negozio, al fine di assoggettarlo ad idonea tassazione mediante la negazione del beneficio (es. credito di imposta) oppure applicando l'imposta nella misura non agevolata.

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CAPITOLO III

LA PORTATA INNOVATIVA DELL’APPLICAZIONE DEL