Far riflettere gli alunni sulla possibilità di trattare del teatro attraverso il teatro deve essere affrontato per Goldoni in stretta relazione con la sua vita artistica e professionale e con il suo progetto di riforma. A questo scopo è opportuno che gli alunni abbiano almeno minime conoscenze inerenti la biografia e la poetica goldoniane e la commedia del-l’arte. La difficoltà dell’argomento con-siste principalmente nel dover com-prendere la riflessività di un mezzo come quello teatrale. Parlare di teatro sensibilità, non ne esce neanche del
tutto tranquillo, pacificato, serena-mente sorridente.
A questo punto pare però si sia giunti a una distanza remotissima dal Goldoni e dal nostro testo settecentesco; in parte. La visione del comico di Fo individua, come le due precedenti, una natura sov-versiva, evidenziandone soprattutto, la caratterizzazione di impegno civile e sociale, immediatamente rivolto alla re-altà contemporanea. Questo comico ha di conseguenza un rapporto di critica e conflitto con il potere: «Il comico è una sorta di gioco folle, che però ribadisce la superiorità della ragione. Se tu pensi alle chiavi usate nella comicità, posso fartene esempi a decine: sono tutte tese a ribadire il problema della ragione come supporto vincente in ogni di-scorso, in ogni storia. Il potere cerca di cancellare la ragione, la sua dialettica. Vuole sostituirvi l’ordine che non si di-scute: «È regola accettare quel che è scritto… non stare a chiedere sempre la ragione logica, non stare a discutere!». Nell’uso del paradosso che si fa nel co-mico, rispetto alle regole stabilite, defi-nitive, c’è sempre lo squarcio che ti per-mette di osservare il principe ruzzolante col sedere per aria a cambiare la pro-spettiva delle cose, a far vedere le loro contraddizioni e a darti la possibilità d’esclamare: “Ehi, i conti non tornano; le regole del gioco sono altre; ragionia-moci da capo”» [i punti di sospensione sono del testo]13.
Anche Goldoni fa un teatro sovversivo, secondo Fo: «si accorge [Goldoni] che quella della “bontà” del mercato è una menzogna, e che questi del “banco mercantale” sono dei criminali, dei pi-rati, […] E qui l’indignazione gli fa trovare una scrittura veramente stra-ordinaria. E così nasce la Trilogia della villeggiatura, esempio palese di un’opera di grande impegno con
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13. Ibi, p. 116 14. Ibi, pp. 12-13.
cessario comprendere che il suo scopo nel rappresentare gli attori nella ma-niera detta non è puramente derisorio, ma è legato strettamente ad una sua esigenza artistica e professionale. Goldoni era «un professionista serio e impegnato e il problema dell’attore in tutti i suoi aspetti e risvolti per lui era essenziale: autore di “poesia da rappre-sentarsi”, la scena era la mediazione ne-cessaria tra la sua opera e il pubblico, e I riferimenti espliciti, i commenti
ri-volti al teatro in generale e al funziona-mento delle compagnie chiariscono come, in questo caso, la rappresenta-zione di un aspetto della vita del teatro non possa essere ridotto ad un sem-plice gioco.
L’attenzione di Goldoni è quindi rivolta alle compagnie teatrali, anzi, ne descrive una ancora prima che nasca, con un valore esemplare, altrimenti non si ca-pirebbero i riferimenti espliciti, citati qui sopra, messi in bocca a Pasqualino e al conte Lasca, sulle compagnie in ge-nerale.
Goldoni, cioè, mette in luce e critica gli aspetti negativi del mondo teatrale. In particolare, dal momento che la mag-gior parte della commedia è occupata dalle lotte tra i cantanti, dalle loro bizze, dalle loro fissazioni, dalla loro insolenza, dalla loro meschinità; la maggiore at-tenzione che qui Goldoni rivolge è ai numerosi difetti degli attori. Gli artisti qui rappresentati da Goldoni sono «solo artisti mediocri e rassegnati, cantanti derisori, che si dichiarano perpetua-mente raffreddati e “marcano visita” per non cantare» [virgolettatura del testo]15. In generale, possiamo osservare che nel 1700 parte del vivo dibattito sul teatro riguardava il problema degli attori. Vi era, infatti, un «contrasto fra la delica-tezza di quella professione e il precon-cetto secondo cui essa non sarebbe stata onorevole. Un preconcetto (in Francia ci si spingeva fino a vietare agli attori la sepoltura in terra consacrata) che por-tava a quella professione solo gente veniente da ceti umili e incolti, e pro-vocava quella coscienza alienata di sé e della propria professione, quelle lotte meschine per piccole rivalse sociali, quei contrasti per la difesa del proprio ruolo»16.
In particolare, per quanto riguarda Gol-doni e L’impresario delle Smirne, è ne-scorrere il testo teatrale in questione. Il
fatto che non solo si rappresenti il tea-tro con il teatea-tro, ma che all’interno di questa rappresentazione vi siano bat-tute espressamente dirette a conside-rare il mondo rappresentato, è cosa che non può essere trascurata.
Riferimenti espliciti al teatro e al mondo teatrale sono direttamente pro-nunciati dai personaggi lungo il corso della commedia. Nell’atto primo, scena nona, Nibio dice: «spero imbarcarmi anch’io per direttore dell’opera, e fra l’onorario e gli incerti, se le cose van bene, spero ritornar ricco in Italia, e di poter far l’impresario. Chi ha preso gu-sto del teatro una volta non sa staccar-sene fin che vive, ed io, se alfin dei conti resterò senza niente, non potrò finire che come avrò principiato».
Nell’atto secondo, scena seconda, Pa-squalino dice, riferendosi al battibecco tra Annina e Tognina su chi debba avere la prima parte: «Ecco qui, per queste preminenze, per queste pretensioni, vi è sempre il diavolo nelle compagnie». Nell’atto quarto, scena quinta, il conte Lasca dice: «Che imbroglio, che impic-cio, che malorato impegno è quello di un impresario! Io pratico i teatri, cono-sco e frequento i virtuosi e le virtuose, ma non mi è mai venuto voglia di met-termi alla testa di una impresa. Poveri impresari! Fanno fatiche immense, e poi cosa succede? L’opera in terra, e l’impresario fallito».
Nell’atto quinto, scena ultima, il conte Lasca dice: «Ecco la differenza che passa fra un teatro a carato, e quello d’un im-presario. Sotto di un uomo che paga, tutti sono superbi, arditi, pretendenti. Quando l’impresa è dei musici, tutti sono rassegnati e faticano volentieri. L’impresario delle Smirne è una buona lezione per quelli che vogliono intra-prendere di tali imprese, difficili, labo-riose, e per lo più rovinose».
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Nuova Secondaria - n. 7 2014 - Anno XXXI15. F. Fido, Guida a Goldoni. Teatro e società nel
Sette-cento, Einaudi, Torino 1977, p. 125.
16. G. Petronio, L’impresario delle Smirne, in G. Petronio (a cura di), Il punto su: Goldoni, Laterza, Bari 1986, p. 62.
dal poeta circa i loro ruoli e i loro com-piti all’interno della messa in scena; da qui derivano lo stupore del personaggio che poi diventerà incomprensione e spavento, verso la crudezza dell’am-biente in cui si trova, causati dallo sca-tenarsi di ambizioni e puntigli tra gli at-tori.
Sotto la lente metateatrale, Alì, con la sua lingua, con il suo interesse per le cantanti donne, con il suo stato d’animo esasperato dagli attori, è tut-t’altro che un banale espediente comico; costituisce, invece, uno sguardo esterno su quell’ambiente particolarissimo, il mondo teatrale italiano, e occasione di straniamento che ne fa risaltare, in-sieme alle stravaganze e alla miseria di quei poveri guitti, le caratteristiche ne-gative19.
Cosa rimane dunque? Rimane la bat-tuta di Nibio sull’amore per il teatro, che è, crediamo, la dichiarazione di Goldoni stesso. Il teatro nel suo in-sieme, attori compresi. Antonucci20 so-stiene che «la “riforma” goldoniana non può essere colta compiutamente se non si parte da qui, da questo duplice e ad-dirittura opposto atteggiamento nei confronti dei teatranti: di presa di di-stanza e solidarietà, di estraneità e coin-volgimento. D’altra parte, solo un au-tore che aveva questo modo di pensare, oltre che uno straordinario talento co-mico, poteva condurre avanti una bat-taglia estetica, culturale e scenica delle proporzioni di quella combattuta da Goldoni».
Da quest’amore per il teatro, pensiamo, deriva anche l’intento didattico della tante commedie prenda a tema il teatro
e faccia teatro nel teatro. Per affermare la propria idea di teatro scrive testi come: Il teatro comico, Il Molière, Il Te-renzio, nonché L’impresario delle Smirne18.
Chiarito cos’è il metateatro, qual è il suo scopo in Goldoni, si può riguar-dare al testo della commedia per ricer-carne degli elementi.
Innanzitutto, bisogna considerare la fi-gura di Alì. Nelle analisi precedente-mente svolte, allo scopo di evidenziare gli elementi comici della commedia e il loro funzionamento, si era letta la figura di Alì rinvenendo i tratti che ne fanno un concentrato di comicità.
Questi stessi tratti, per la maggior parte, ora devono essere guardati dal punto di vista metateatrale.
Alì è un ricco commerciante turco che si è interessato al mondo teatrale ita-liano, pur non sapendone nulla. Da qui derivano le numerose spiegazioni, nel-l’atto terzo, date dai virtuosi, da Nibio e l’attore lo strumento indispensabile di
quella mediazione, il filtro di cui non poteva non servirsi, ma che con i suoi difetti poteva pregiudicare, agli occhi del pubblico, tutto il suo lavoro. Da ciò la sua riflessione sull’attore: sulla con-dizione sociale, sulla sua cultura, sulla sua preparazione professionale, sui suoi rapporti con l’impresario, il capoco-mico, l’autore, sulla organizzazione in-terna delle compagnie, sulla recitazione, ecc.; da ciò la sua attività ininterrotta di “poeta di teatro”, cioè di regista, istrut-tore ed educaistrut-tore degli attori, consu-lente, mediatore nel loro difficile con-vivere; da ciò quel suo barcamenarsi […] per piegare quegli uomini riottosi, complessati, nevrotici, alle esigenze sue e dello spettacolo: alle esigenze della ri-forma. […] la riforma del teatro – cioè l’impresa della sua vita – passava per forza di cose attraverso la riforma del-l’attore»17.
Del resto, il deciso impegno di Goldoni nella riforma spiega il motivo per cui in
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17. Ibi, p. 63. 18. Ibi, p. 64. 19. Ibi, pp. 64-65.
20. G. Antonucci, L’impresario delle Smirne, Introduzione, in C. Goldoni, I capolavori, Vol. II, Newton Compton, Aric-cia (Roma) 2007, pp. 264-265.
alla compagnia, ha approfittato del vento favorevole ed è partito per le Smirne».
Nonostante, però, la tristezza della si-tuazione, la commedia offrirebbe, at-traverso la proposta del conte Lasca, che è l’alternativa di Goldoni alla scon-fitta, una conclusione positiva e otti-mistica. Una conclusione, aggiungiamo noi, che rimane aperta, perché appunto è una proposta e in quanto tale richiede l’impegno degli attori, che devono «ri-cominciare da capo»23.
Andrea Verri Università di Venezia “Ca’ Foscari” Rimane, come ultima cosa, da tener
conto di una certa tristezza della scena finale. «[…] il turco è partito, e si è por-tato con sé le speranze di quei quattro poveri diavoli; e questi sono lì, sul molo, con le loro cianfrusaglie e le loro illu-sioni perdute: con lo spettro del do-mani. Ma – è la morale di Goldoni – ben gli sta, e se lo sono voluto; anche se forse sono vittime oltre che colpevoli»22. Che la colpa venga riconosciuta loro è chiaro dalle parole di Pasqualino, su ci-tate, dallo svolgersi intero dei fatti e dalle parole del conte Lasca nell’ultima scena, che riassumono il tutto: «Il si-gnor impresario, stordito affaticato dai musici, dal sensale, dal poeta e dagli operai, la notte scorsa non ha potuto dormire, vegliando e ripensando, ha presa la risoluzione di sacrificare le spese che ha fatto fare alle Smirne; manda questi duemila ducati in regalo commedia, che è una delle componenti
del testo, espresso nelle ultime battute del Conte Lasca, e la proposta di una possibile soluzione alla crisi teatrale: una compagnia a carato.
La proposta è che gli attori si costitui-scano in una cooperativa teatrale, alle cui spese e ai cui guadagni ciascuno partecipi secondo le sue possibilità; in questo modo gli attori si renderanno li-beri «dalla miseria, dalla tirannia degli impresari, dalla protezione equivoca dei nobilucci che frequentano le scene per strusciarsi, si dice a Napoli, alle attrici o ottenerne i favori […]; una soluzione, insomma, che dia quella dignità pro-fessionale e sociale che sola può salvare essi e il teatro»21.
Tutti gli spunti comici derivanti dalla descrizione del teatro che Goldoni aveva sotto gli occhi sono dunque se-rissimi.
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Nuova Secondaria - n. 7 2014 - Anno XXXI21. G. Petronio, L’impresario delle Smirne, cit., p. 65. 22. Ibi, p. 67.