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La perdita della nozione di vita nella tardo-modernità

2. N ATURA E RAGIONE . L’ ANTROPOLOGIA FILOSOFICA

2.3 Il rapporto natura- ragione nell’ontologia metafisica

2.3.2 La perdita della nozione di vita nella tardo-modernità

potremmo dire che è il compito più arduo della nostra epoca ed è l’impresa alla quale la filosofia dovrebbe far confluire tutti i suoi sforzi. Abbiamo, infatti, già più volte ricordato che la scienza cartesiana, introducendo il dualismo di res cogitans et res extensa, ha decostruito la nozione di vita, che non ha più la possibilità di essere trovata né nell’interiorità dell’essere-persona né nella sua esteriorità, dal momento che essa è antecedente alla loro separazione. Spaemann, di conseguenza, si distanzia nuovamente dalla

251 Cfr. Ib., 90.

252 Cfr. Ib., 91.

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definizione scientifica di vita che, soprattutto oggi, si diffonde nel condiviso linguaggio della stampa nazionale e internazionale, da lui stesso così sintetizzato: «un sistema vive, se è capace di evolversi attraverso mutagenesi253».

Il problema, secondo il nostro autore, risiede proprio nel fatto che la scienza moderna ha conformato la definizione di vita al suo stato di conoscenze, che, in sostanza, hanno privato la vita della sua vitalità; infatti, ciò che nominalisticamente è stato definito come vita in realtà non vive più e non ha più nulla a che fare con quello che esperivamo della vita come appagamento, potremmo dire, dei nostri bisogni primari. Proprio per questa ragione, osserva Spaemann, la nozione di vita non può essere spiegata scientificamente solo come un iperciclo, che sostanzialmente può illustrare come una serie di strutture autoreplicative possano essere apparse sotto determinate condizioni entro un vasto margine di probabilità. Difatti queste strutture, asserisce sempre Spaemann, sono sì le condizioni senza le quali la vita non ci sarebbe, ma non sono tuttavia esse stesse viventi254.

Sulla base di questi presupposti, Spaemann arriva alla conclusione che l’unico criterio affidabile per comprendere che cosa voglia significare il termine vita è il «nostro vivere la vita, la nostra esecuzione di essa (unser Selbstvollzug des Lebens)255». Per lui, allora, al nostro vissuto appartiene sia l’essere cosciente del soggetto in una determinata circostanza, sia la dimensione morale del vissuto stesso. In questa prospettiva, a parere del nostro autore, la nozione di vita deve recuperare quell’integrità con cui essa veniva compresa già dai pensatori antichi, senza ricorrere a particolari astrazioni. Il “vivere viventibus esse” aristotelico, già ampiamente ricordato nel primo capitolo di questo lavoro di ricerca, significa, per Spaemann, che il vivere è proprio del soggetto vivente, è il suo essere, così che l’essere è

“qualcosa” di complesso da definire, se prima l’individuo non guarda a se stesso, alla propria condizione umana, che è quella di essere-vivente256.

253 Cfr. R.SPAEMANN R.LÖW,Natürliche Ziele: Geschichte und Wiederentdeckung des teleologischen Denkens, Klett-Kotta, Stuttgart 2005, 230-255. [La traduzione dal tedesco è nostra].

254 Cfr. Ib., 255.

255 Cfr. Ib., 255.

256 La sistematica ripresa del tema aristotelico del “vivere viventibus esse” rappresenta uno snodo teoretico di rilevante importanza nell’ontologia metafisica di Spaemann, che egli ripensa anche in ambito medico-scientifico. Per ulteriori approfondimenti sul tema rimando

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Si potrebbe dunque anche sostenere che, secondo il nostro autore, nella vita il soggetto è una cifra sintetica d’interiorità ed esteriorità, estensione e pensiero nel medesimo tempo. Purtroppo però la tardo-modernità non è in grado di integrare queste due fondamentali dimensioni dell’essere-persona. Essa, infatti, separa la dimensione corporea da quella libera, rilanciando un soggettivismo che inevitabilmente si trasforma in oggettivismo, così che «l’aspetto etico della vita viene confinato nello spazio della competenza insindacabile della coscienza privata257». La perdita della nozione di vita nella tardo-modernità è quindi determinata, a parere di Spaemann, dalla scissione tra dimensione esteriore e interiore dell’essere-persona. Di contro, la vita come interiorità ed esteriorità coincide con l’essere-persona, che, de facto, è vita ancor prima di essere pensiero, ma anche dopo di esso; ossia, il pensiero non è l’essere dell’uomo, ma solo una sua modalità di essere, un modo di vivere, cioè un’ “esperienza258”.

In sostanza, potremmo dire che l’intenzione di Spaemann è quella di ragguagliarci a non confondere le nozioni scientifiche con la nozione di vita et quidem con l’ontologia umana qua talis. La persona, infatti, nasce e muore con l’esistenza della vita umana, dal momento che ne rappresenta l’essere, la natura autotrascendente che rende l’essere-persona fine in sé unico et quidem manifestazione irriducibile dell’Assoluto.

Date queste sintetiche ma indispensabili premesse, nel successivo e centrale capitolo di questo elaborato di tesi, si cercherà di analizzare le riflessioni di Spaemann sulla nozione di persona, partendo dall’analogia che egli traccia tra l’essere e il concetto di vita, che solo in parte abbiamo già qui accennato, cercando la descrizione di tutti quegli elementi che fanno essere la persona “qualcuno” e non “qualcosa”. L’esito conclusivo di tale

al volume di F. HERMANNI T. BUCHHEIM (a cura di), Das Leib-Seele-Problem.

Antwortversuche aus medizinischnaturwissenschaftlicher, philosophischer und theologischer Sicht, Fink, München 2006, 71-83.

257 M.CHIODI,I paradossi del post-moderno, in ID.,Etica della vita. Le sfide della pratica e le questioni teoriche («Lectio» 6), Glossa, Milano 2006, 5.

258 Cfr. P.S. SABANGU, «La persona come paradigma dell’essere. Intervista a Robert Spaemann», Ideazione IX/2 (2003) 217-227, 220. In questo contributo critico l’autore P.S.

Sabangu introduce il termine "esperienza" in riferimento allo sviluppo della riflessione filosofica spaemanniana riguardo alle due opere (Personen e Gluck und Wohlwollen) successive a Natura e ragione. Saggi di antropologia e delle quali ci occuperemo ampiamente nei successivi due capitoli di questo lavoro di ricerca.

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indagine filosofica permetterà di s-velare come nella nozione spaemanniana di persona metafisica ed etica si diano insieme. In altre parole, si cercherà di mostrare come, nell’ontologia metafisica del nostro autore, sia possibile discutere, per esempio, sulla differenza tra uomo (“qualcuno”) e computer259 (“qualcosa”), contrapponendosi alle teorie funzionaliste260 che, traducendo il pensiero nella capacità di operare calcoli computazionali, lo attribuiscono come capacità anche ai dispositivi informatici. La “differenza”, che fra breve argomenteremo, tra l’essere-persona, “qualcuno”, e “qualcosa” (in questo esempio un computer) in relazione alla facoltà di pensare si pone, secondo il nostro autore, su un livello vitale, coscienziale, che non è pensabile su un piano logico: l’uomo infatti “sente” di pensare, mentre il

«computer non pensa261», poiché esso non vive e un processo non vissuto non dovrebbe, secondo Spaemann, meritare il nome di “pensiero”.

259 Cfr. R.SPAEMANN,Persone, 41-47.

260 Il funzionalismo è una delle teorie principali tra quelle sviluppatesi nel Novecento nell’ambito delle scienze cognitive e della filosofia della mente. Il funzionalismo si struttura sull’idea in base alla quale gli eventi mentali sono qualificati da funzioni, cioè da ruoli operazionali o causali, anziché da una specifica costituzione materiale. Parte integrante del funzionalismo così inteso è l’analogia mente-computer, secondo la quale la mente, in quanto strumento di manipolazione formale di simboli, starebbe al cervello come il software all’hardware. Da ciò ne consegue che, se il pensiero è un modus operandi in maniera computazionale, anche un dispositivo informatico – essendo in grado di calcolare – ha la possibilità di pensare. Dal funzionalismo poi derivano altre teorie di tipo riduzionista, come ad esempio, la teoria rappresentazionale della mente, per la quale le rappresentazioni mentali sono simboli di un linguaggio interno in cui accadono i fenomeni mentali dell’uomo, o il connesionismo, che spiega la computazione mediante teorie calcolatorie che si applicano alle attività del sistema nervoso. In ambito psicologico è indispensabile menzionare almeno E. Claparéde, J. Dewey e J. Piaget. A partire dagli anni quaranta la concezione funzionalistica è stata poi approfondita da alcuni sociologi americani, il principale dei quali è T. Parsons. Nell’orizzonte filosofico una menzione degna di nota va attribuita ad E. Cassirer, la cui Filosofia delle forme simboliche (1921-29) può essere considerata il più vasto e stimolante punto d’approdo del funzionalismo filosofico. Nel secondo dopoguerra, tra le varie posizioni riconducibili a una prospettiva funzionalistica se ne è sviluppata una che si è voluta denominare proprio funzionalismo. È stata elaborata negli anni sessanta da un gruppo di filosofi americani della mente, i più noti dei quali sono Jerry Fodor e Hilary Putnam. L’ambito di questioni da essi esaminati è quello dei rapporti tra il mentale e il corporeo (problematica a cui anche Spaemann fa riferimento indiretto nel suo Personen): il cosidetto Mind-Body Problem. Per ulteriori approfondimenti riguardo al rapporto tra mentale e corporeo nel campo di una teoria del linguaggio e della mente rimando all’ottimo studio di C. CALABI, Perceptual Illusions: Philosophical and Psycological Essays, Palgrave Macmillan, London 2012.

261 R.SPAEMANN,Persone, 42.

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