La protezione dell'ambiente rappresenta, oggi, una delle grandi sfide internazionali ed europee e, a tale titolo, rientra tra gli obiettivi prioritari dell’Unione.
La nascita delle politiche ambientali può essere fatta risalire, pressoché in tutti i paesi industrializzati, agli anni Sessanta7 del secolo scorso. Esse sono generalmente divise in due tipologie di intervento: mantenimento delle condizioni ambientali esistenti; prevenzione da rischi futuri, con l’obiettivo di diminuire il ricorso alle risorse naturali scarse (Muscarà, 1988). Queste, quindi, se da un lato mirano al disinquinamento, dall’altro agiscono in un ottica di prevenzione che si attua ”in due tempi”: i) ‘tamponamento’ dell’emergenza; ii)innesco di processi virtuosi di prevenzione del degrado nel rispetto della qualità ambientale (Bresso, 1992).
A partire dagli anni ’70, la politica ambientale dell’Unione europea si è evoluta attraverso una serie di piani pluriennali, i cosiddetti Environmental Action Programmes – EAPs (1972)8 sulla base dei quali sono state emanate raccomandazioni e direttive di
politica ambientale quali quelle di: controllo dell’inquinamento, protezione del paesaggio in aree economicamente svantaggiate, adeguamento dei paesi membri a convenzioni internazionali per la protezione di risorse naturali e specie in via in estinzione. Con l’Atto Unico Europeo (1987), la protezione ambientale viene adottata
7 Ciò non significa che nelle normative dei vari paesi non fossero già presenti degli elementi regolativi in campo ambientale, ma in generale si trattava di norme volte alla tutela della salute pubblica o di specifici interessi economici.
8 Sono piani pluriennali che delineano gli obiettivi e i principi successivamente incorporati nelle legislazioni comunitarie
Maria Coronato
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esplicitamente tra gli obiettivi fondamentali dell’Unione (Haigh, 1992). In modo particolare si sottolinea: la conservazione e il miglioramento della qualità dell’ambiente; il contributo alla protezione della salute umana; l’impegno ad assicurare una prudente e razionale utilizzazione delle risorse naturali (Art. 130r). Il Trattato di Maastricht del 1992 ha ridefinito poi gli obiettivi della politica economica comunitaria in termini di “promozione di una crescita economica sostenibile e non-inflazionistica nel rispetto dell’ambiente” (Art. 2).
Ovunque, la politica ambientale tende ad articolarsi in due settori funzionali con caratteristiche diverse: la difesa tecnologica e la difesa ecologica. La prima si propone di rendere minimi i carichi sulle singole componenti ambientali per difenderle dall'inquinamento, dall'esaurimento o dalla distruzione connessi con gli usi antropici per mezzo di metodi e processi tecnici. Questa concezione ha portato allo sviluppo di numerose normative e strutture tecnico-amministrative autonome con una forte specializzazione settoriale per la difesa dell'aria e dell'acqua dall'inquinamento, l’abbattimento del rumore, lo smaltimento dei rifiuti, il risparmio energetico. La difesa ecologica dell'ambiente si propone invece di rendere minimi gli impatti sugli ecosistemi e sul paesaggio. Questa concezione, soprattutto nella realtà italiana, risulta meno sviluppata della precedente; le normative e le strutture più importanti sono quelle per la difesa della natura (soprattutto nelle aree protette) e, in misura minore (per la predominante concezione estetica), quelle per la difesa del paesaggio, a loro volta concentrate in un sistema specifico di aree protette.
Le problematiche via via trattate nei Programmi di Azione per l’Ambiente (EAPs) hanno posto sempre più limiti e condizioni allo sviluppo indiscriminato delle attività umane. Fin dal primo EAP (1973-1977) è stato chiarito che la responsabilità del costo necessario a riparare un danno ambientale deve in genere essere attribuita ai responsabili di tale danno (pullet pays principle) suggerendo misure atte a contenere alcune specifiche forme di inquinamento industriale. Già dal secondo EAP (1977-82) l’attenzione del legislatore comunitario si è spostata dal recupero del danno ambientale esistente alla prevenzione di ulteriori danni, spingendo sempre più verso un approccio sistemico ed integrato, prevedendo un maggior livello di cooperazione con paesi non facenti parte dell’Unione ed enfasi sulla necessità di investire in ricerca relativamente a
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problemi ambientali. In modo particolare l’Unione europea si propone oggi di conseguire gli obiettivi del Protocollo di Kyoto, cioè di ridurre, entro il 2020, le emissioni di gas a effetto serra del 20% rispetto ai livelli del 1990 integrando gli obiettivi del cambiamento climatico nella politica energetica, migliorando l’efficienza energetica anche attraverso un ricorso sempre maggiore alle fonti rinnovabili sostenendo e promuovendo lo scambio di emissioni su scala europea.
A partire dal Summit di Rio de Janeiro del 1992 e con la Convenzione Quadro
delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention
on Climate Change - UNFCCC) entrata in vigore il 21 marzo 1994 a seguito della ratifica di quasi tutti i Paesi appartnenti alle Nazioni Unite; con il rinnovato “Protocollo di Kyoto” (2012), l’Unione europea si è posta l’obiettivo di raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze antropiche con il sistema climatico discutendo sui possibili strumenti da applicare. La Convenzione afferma due principi fondamentali: il principio
di equità ed il principio di precauzione, prevedendo con il primo responsabilità comuni
ma differenziate (Convenzione Quadro delle Nazioni Unite 94/96/CE del 15 dicembre 1993) per ciascun paese a seconda delle condizioni di sviluppo, di intervento e della capacità di perturbazione del clima. Diverse, dunque, dovranno essere anche le misure di adattamento a questi impatti9. Con il secondo, invece, si afferma che l’incertezza delle conoscenze scientifiche sui danni provocati dall’ecosistema sulla salute umana (e non) non può essere utilizzata per posticipare gli interventi necessari ad evitare la possibilità di danni non mitigabili ed irreversibili, in linea quindi anche con gli obiettivi del principio di sostenibilità.
Posto che oggi non siamo ancora in grado di pensare/realizzare livelli di inquinamento ad emission zero10, l’obiettivo delle politiche ambientali (di risanamento)
mirano a riportare/mantenere l’inquinamento ambientale entro le soglie di tolleranza (standard) stabilite dai sistemi normativi nazionali, i cui livelli di riferimento non possono essere fissati in modo univoco in quanto sono funzione della vulnerabilità delle componenti ambientali, degli ecosistemi e misurano le conseguenze che le loro alterazioni hanno per la salute umana e per l’ecosistema globale: la biosfera. Più in
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generale si può sostenere che la fissazione delle soglie di tolleranza dipende dalla complessiva sensibilità che la società ha nei confronti dell’ambiente. In questa direzione si riscontra oggi una tendenza ad adottare limiti sempre più restrittivi al crescere di tale sensibilità a seconda della progressiva conoscenza scientifica nei riguardi dei cosiddetti ‘livelli di accettabilità’, ricorrendo alla tecnologia per rispettare i limiti prefissati (Segre, Dansero, 1996; Dansero, 2008).
Da un punto di vista teorico, un limite oggettivo dovrebbe essere considerato in relazione alla capacità di assorbimento e/o smaltimento di inquinanti non depurati da parte dell’ambiente, in altre parole, alla ‘capacità di carico’ (carrying capacity). Una politica accorta, conosciuto questo limite, potrebbe considerare di fissare obiettivi periodici, differenziati territorialmente in relazione alle diverse sensibilità degli ecosistemi locali, di riduzione dei carichi inquinanti, in vista del raggiungimento di un obiettivo globale.
La politica ambientale europea mira a garantire, mediante misure correttive legate a problemi ambientali specifici o tramite disposizioni più trasversali o integrate in altre politiche, uno sviluppo sostenibile del modello europeo di società focalizzandosi sulla promozione dell’efficienza energetica per raggiungere gli obiettivi della competitività territoriale (Agenda di Lisbona, 2000), della sostenibilità (Agenda di Gothenburg, 2001) e della sicurezza negli approvvigionamenti.